Franceschini e le questioni sociali. Rosario Amico Roxas
Franceschini ha ereditato un compito che non può essere risolto da una sola persona, a meno che non voglia imitare il cavaliere e negare il dibattito interno al partito.
I treni di Veltroni in giro per l’Italia non hanno funzionato, per la ragione più che evidente che si trattava di apparente democrazia partecipativa, infatti, nelle segrete stanze del potere, comitati ristretti sceglievano candidati, uomini di potere, quadri direttivi o reggenti, secondo il più rigoroso rispetto del manuale Cencelli.
Il nuovo segretario dovrà coniugare insieme le due anime del PD, pur assimilate da una medesima tradizione solidaristica: la tradizione cattolica e la tradizione comunista, apparentemente entrambe superate dagli eventi e dalla nuova interpretazione della politica, diventata un grande fratello adattato alla cronaca quotidiana. Le due tradizioni trovano difficoltà a dialogare, perché tormentate da una profonda divergenza interna: il fondamentalismo dei teocon della Binetti e il radicalismo libertario della Bonino.
Sembra, quasi, che il negazionismo sia diventato un metodo attuale, perché si è sviluppato un pentitismo generazionale, nel quale il contributo socialista, comunista, cattolico, democratico, confessionale, laico, viene, di fatto, negato, trascurando il contributo unitario che animò la resistenza, la liberazione, lo spirito nazionale, democratico, antifascista che produsse la più avanzata Costituzione del mondo Occidentale.
Se Franceschini non affronta e non pianifica tale problema all’interno di un dibattito molto ampio, con il coinvolgimento della base del partito, allora è destinato ad essere un’ombra in transizione.
In questa nostra odierna società è stato tutto distrutto, scientificamente e volutamente, senza un serio esame storico, sociale, culturale, per cui è venuta anche a mancare ogni ipotesi di integrazione all’interno della medesima società, come se ci fosse in atto una guerra fredda civile. L’avversario viene demonizzato, ma non combattuto, in omaggio a una occulta complicità politica.
Franceschini dovrà identificare il punto di partenza dal quale cominciare, che non può prescindere da un’iniziativa popolare in grado di avviare una vera, reale e realistica ricostruzione del tessuto nazionale intorno alle grandi questioni sociali, unico terreno di coltura che l’attuale maggioranza ha volutamente trascurato per interessi divergenti, peraltro con la certezza che nessuno li avrebbe surrogati. Il compito non è facile; ci sarebbe da tentare un programma che, in Italia, non è mai stato tentato da nessuno, pur trattandosi di un programma di un’ovvietà disarmante. Superando le divergenze classiste e, spesso, corporative, Franceschini dovrebbe promuovere e stimolare una nuova alleanza operativa: l’alleanza tra le forze produttive del lavoro e le forze dell’intelligenza, per trasformare una informe massa di tifosi incarogniti, di una parte o dell’altra, in una nazione, in grado di svilupparsi nell’unità.
Non c’è tempo per le gestioni di transizione; i provvedimenti che questo governo sta assumendo, mirano tutti nel verso opposto agli interessi nazionali. Ce ne fornisce le prove la politica sociale di Obama, tutta indirizzata a rimettere in moto l’economia americana attraverso le agevolazioni alla piccola e media borghesia del lavoro e della produttività e alla classe operaia, ridimensionando l’economia della finanza che ha dimostrato tutti i suoi limiti fallimentari; l’itinerario seguito da questo governo mira a consolidare il liberismo del mercato, come se potesse risorgere dalle sue ceneri. Per questo necessita un’autoconvocazione popolare capace di ricostruire tutto ciò che è stato distrutto.