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Il fallimento del regionalismo italiano

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Il fallimento del regionalismo italiano

Messaggioda franz il 15/04/2021, 17:48

Il fallimento del regionalismo italiano, e i suoi responsabili

Dall'amico di lunga data (penso primi anni 80) Giovanni Cominelli

https://www.linkiesta.it/2021/04/il-fal ... ponsabili/

Dopo 50 anni possiamo dirlo: il sistema delle Regioni ha aggravato la disunione e le finanze del nostro Paese. Occorre ridurne il numero e ripensare il riassetto dei livelli istituzionali

Il Covid-19 ha illuminato crudelmente ogni ruga, ogni macchia, ogni neo del nostro Paese. L’assetto politico, istituzionale e amministrativo italiano costruito nei 160 anni precedenti, non è più in grado di accompagnarci dentro il nuovo secolo.

Prendiamo le Regioni o, per peggio dire, l’anarchia regional/feudale nella gestione della pandemia. Essa è il prodotto di un’ambiguità costituzionale, che il Titolo V ha ulteriormente aggravato, dilatando enormemente il campo della legislazione concorrente. La sconfitta del referendum del 2016 che proponeva anche di istituire una Camera delle Regioni ha lasciato la sola Conferenza Stato-Regioni, fuori da ogni controllo del Parlamento e sostenuta su una fragile rete pattizia politico-partitica.

Dopo cinquant’anni si può legittimamente tracciare oggi un bilancio realistico. Il testo del Titolo V è nato, come ogni altro articolo della Costituzione da un compromesso tra varie impostazioni ideologiche che venivano da lontano: il federalismo azionista-repubblicano di Oliviero Zuccarini, di Giovanni Conti, di Emilio Lussu, risalente a Carlo Cattaneo, l’autonomismo comunale e regionalista di don Sturzo, il centralismo liberale di Roberto Lucifero, contrario alla dislocazione cantonale.

Esclusa quasi fin dall’inizio l’opzione federalista di Lussu, prevalse il regionalismo sturziano di Tupini e Stefano Jacini. Il nonno omonimo aveva proposto nel 1870 una forma di regionalismo, nello scritto “Sulle condizioni della cosa pubblica in Italia dopo il 1866. Lettera agli elettori di Terni del loro deputato dimissionario contro il centralismo piemontese”, denunciando «l’esagerazione dell’unitarismo» quale base del malcontento e delle «odierne violenze», quelle del cosiddetto «brigantaggio». Il regionalismo democristiano si fermò sulla soglia del federalismo, mentre il Partito comunista italiano (Pci), rappresentato principalmente da Renzo Laconi, si presentava fortemente centralista.

La Democrazia cristiana (Dc) ripropose nel 1946-48 il programma del Partito popolare del 1919, che contrapponeva «ad uno Stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale (…) l’autonomia comunale, la riforma degli Enti Provinciali e il più largo decentramento nelle unità regionali». Il Partito comunista italiano, al contrario, puntava su uno Stato forte centralizzato, non perché volesse fare come in Russia – Togliatti lo aveva escluso – ma certo perché veniva più facile costruire da Roma la cosiddetta «democrazia progressiva», cugina delle nascenti «democrazie popolari».

Dopo le elezioni del 1948, le parti si invertirono: la Democrazia cristiana, temendo la costituzione di Repubbliche rosse-cuscinetto tra Nord e Centro-Sud, prese la strada della dilazione, mentre il Pci diventò regionalista. Si arrivò, comunque, all’istituzione delle Regioni solo nel 1970.

Ne è uscito un regionalismo che non è né carne né pesce: non è federalista, tale da imputare alla Regione responsabilità fiscali precise e politiche di spesa responsabili. Paga lo Stato, a pie’ di lista. Le linee di spesa non hanno criteri, se non quello della “spesa storica”, costruita lungo i decenni per rapporti di forza e di favore politico-partitici.

E non si sono ancora visti i criteri base dei livelli essenziali di prestazioni. Le Regioni non hanno semplificato o reso più efficiente l’Amministrazione statale. L’hanno duplicata, moltiplicandosi per migliaia di dipendenti regionali e per centinaia di società partecipate regionali. In Sicilia occupano circa 7.000 dipendenti. Un fiume enorme di stipendi, contributo essenziale alla “Società signorile di massa”, dalla definizione di Luca Ricolfi.

Partecipate efficienti? Rivolgersi per informazioni ad ARIA –-fritta?! – in Lombardia, 600 dipendenti, ottusamente incapace di prenotare i vaccinandi. Quanti consulenti? Quanti e più, per bypassare l’incompetenza accumulata e stipendiata degli apparati.

Se poi il regionalismo doveva rimediare alla frattura storica Nord-Sud, Piero Bassetti ha già fatto notare, commemorando ufficialmente il cinquantenario della Regione Lombardia, di cui lui è stato promotore e primo Presidente, che se nel 1870 – fatto 100 il reddito pro-capite nazionale – Il Nord era livello 110 e il Sud a 90, oggi il Nord è al 120, il Sud a 65.

Le Regioni hanno aggravato la disunione e la frammentazione e hanno rafforzato la spinta corporativa che sale dai territori. Emilio Lussu, intervenendo nella discussione dell’Assemblea costituente, osservò che il regionalismo, per come si andava delineando, apparteneva alla famiglia del federalismo «così come i gatti appartenevano alla stessa famiglia dei leoni».

Chi ha guadagnato da questo regionalismo doroteo, ai limiti del centralismo e del federalismo, sono stati i partiti, che hanno visto moltiplicarsi il personale politico, le carriere, gli stipendi, e perciò il finanziamento: più di un migliaio di consiglieri regionali, più di duecento assessori, 20 sedicenti “governatori”.

E questo spiega la renitenza a rimettere in questione la Costituzione del ’48 e il Titolo V del 2001. Attraverso la moltiplicazione delle istituzioni, la politica partitica si è gonfiata a dismisura, come la rana di Esopo. Delle Regioni a statuto speciale l’unica che ha giustificazione storico-politica è il Trentino-Alto Adige, che la storia imporrebbe di rinominare meno fascisticamente Trentino-Sud Tirolo. Tornare, dunque, allo Statuto albertino, a Carlo Farini e a Bettino Ricasoli, come spesso si invoca soprattutto dalla classe dirigente meridionale, cui non è bastata la lezione tragica del centralismo piemontese-borbonico?

Occorre andare in una direzione liberale e federalista. Non riprenderò qui le proposte ben note di riduzione del numero esorbitante delle Regioni e del riassetto federale dei livelli istituzionali, a partire dalla titolarità fiscale dei Comuni, delle Regioni, dello Stato, nella prospettiva di unità sovracomunali e metropolitane più vaste, di un’integrazione economica orizzontale tra Regioni confinanti al di qua e al di là dei monti e dei mari, nell’orizzonte necessario degli Stati Uniti d’Europa.

Le proposte abbondano, ma resta drammatica l’inerzia della classe dirigente politica, trasformatasi in corporazione tra le corporazioni. Una corporazione “estrattiva”. Perciò non facilmente riformabile dall’interno.
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Re: Il fallimento del regionalismo italiano

Messaggioda Robyn il 16/04/2021, 17:19

Non c'è un fallimento del federalismo in Italia c'è un riflesso psicologico secondo il quale esercitare la regola di supremazia,come si fa' in tutti gli stati federali,significa volere esercitare il centralismo e una analisi giusta del titolo V porta ad interpretazioni chiare delle competenze.Hanno detto bene Fedriga e Figliuolo nel caso della pandemia regole uguali per tutti e non come ha detto De Luca facciamo come ci pare.Facciamo come ci pare significa non avere capito come funziona il federalismo
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Re: Il fallimento del regionalismo italiano

Messaggioda franz il 16/04/2021, 18:29

Robyn ha scritto:Non c'è un fallimento del federalismo in Italia ...

Non c'è perché non c'è federalismo in Italia. C'è regionalismo e di pessima qualità.
In Francia, stato accentrato con un decente decentramento, le cose stanno molto meglio.
Una riprova? Provate a comparare la Corsica alla Sardegna.
PIL procapite, per esempio.
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Re: Il fallimento del regionalismo italiano

Messaggioda Robyn il 17/04/2021, 12:02

Il principio di supremazia fa anche parte di un comune senso di appartenenza alla Repubblica,fare parte di una comunità,non va bene più quando sfocia nel nazionalismo nell'esasperazione del patriottismo,l'essere cittadini europei non è in contrasto con l'appartenenza alla Repubblica è cioè un'appartenenza aperta legata alla fierezza di essere cittadini della repubblica fierezza lontana anni luce dall'orgoglio.Se i francesi dicono W la France W la Repubblique noi diciamo W l'Italia W la Repubblica
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Re: Il fallimento del regionalismo italiano

Messaggioda Robyn il 18/04/2021, 14:07

La sanità non è materia esclusiva delle regioni ma materia concorrente dove lo stato fissa i principi e le regole e le regioni all'interno di questi principi e regole hanno competenza legislativa.Anche per l'art 119 lo stato può controllare la spesa incluso quella delle regioni a statuto speciale infatti si parla di coordinamento della finanza pubblica
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Re: Il fallimento del regionalismo italiano

Messaggioda Robyn il 23/04/2021, 18:13

Nel titolo V ci sono competenza che sembrano apparire sia come esclusive che concorrenti.In queste materie pare che la corte costituzionale abbia chiarito quale è il limite di intervento statale e in quali ambiti e quali quello delle Regioni realizzando di fatto una più incisiva differenza fra competenza esclusiva e concorrendo contribuendo ad una maggiore chiarezza
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Re: Il fallimento del regionalismo italiano

Messaggioda Robyn il 24/04/2021, 9:23

Per ex nelle competenze esclusive compaiono "norme generali sull'istruzione" nelle materie concorrenti compare l'istruzione salva l'autonomia scolastica ad eccezione della istruzione e formazione professionale.Questo dovrebbe significare che nelle materie esclusive si stabiliscono la durata dell'obbligo scolastico la durata dell'istruzione superiore il tipo di istituti,classico,scientifico,tecnico,biologico,linguistico mentre nella materia concorrente un preambolo di materie comuni per ogni istituto e materie differenziate in base alle esigenze locali o di scelta dello studente per ogni corso di scuola secondaria etc.L'istruzione e la formazione professionale paiono appartenere alla competenza esclusiva delle regioni anche se compaiono nella legislazione concorrente,quindi i centri per l'impiego che sono statali dovranno fare frequentare a chi è senza impiego i corsi di formazione regionale.L'ambiente anche compare sia come competenza esclusiva che concorrente ,nella legislazione esclusiva c'è competenza nella legislazione ambientale generale per ex pannelli solari norme sui parchi nella competenza concorrente la valorizzazione del patrimonio artistico naturalistico e ambientale di beni esistenti nonché l'istituzione di nuovi parchi protetti da parte delle regioni,tutto ciò sempre in cooperazione con la competenza statale.Esistono poi le infrastrutture come porti aeroporti strade stradali e superstradali fondi di energia la cui competenza è statale cioè le regioni non possono impedirne la costruzione,ma la regione può definirne altri aspetti
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Re: Il fallimento del regionalismo italiano

Messaggioda Robyn il 24/04/2021, 17:30

Per ex nel caso dell'istruzione c'è il preambolo di materie comuni,le materie differenziate possono riguardare le lingue e il dialetto e delle minoranze linguistiche.E il caso delle Regioni confinanti dove in Friuli la minoranza slovena può studiare lo sloveno fermo restando che la prima lingua è l'italiano,la stessa cosa può esserci in V d'Aosta con il francese e in Alto Adige con il tedesco.Poi in Trentino c'è la minoranza ladina che può studiare il ladino fermo restando che ha come prima lingua l'italiano.Per i dialetti delle altre regioni ha poco senso lo studio del dialetto per ex il siciliano o il sardo.In materia di infrastrutture e grande viabilità statale la Regione non può impedire il passaggio di queste grandi arterie sul suolo regionale,ma può fare deviare il percorso quando attraversano parchi protetti o zone a pericolosità idrogeologica,in questo caso esiste il federalismo cooperativo fra regioni e stato centrale
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Re: Il fallimento del regionalismo italiano

Messaggioda Robyn il 02/05/2021, 12:55

Altro aspetto negativo e fallimentare del regionalismo italiano è che siamo tornati all'Italia dei feudi,dei comuni dove si pagava il dazio come nel film di Roberto Benigni.L'esempio più lampante è il criterio della residenza per avere l'alloggio popolare.Per ex la Regione Friuli è passata da 2 a 5 anni.La competenza esclusiva centrale dello stato dovrebbe stabilire che bastano due anni.Le Regioni a statuto speciale possono solo stabilire se due anni continuativi o discontinui oppure scegliere il semplice criterio della residenza senza aspettare due anni,per quelle ordinarie no,per queste è possibile una richiesta di alloggio popolare che si fa' nell'immediatezza,al cambio della residenza regionale
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