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E se non esistesse una questione meridionale?

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E se non esistesse una questione meridionale?

Messaggioda franz il 08/09/2019, 11:03

E se non esistesse una questione meridionale?

*di Antonluca Cuoco e Massimo Famularo

C’è un filo rosso-sinistra che unisce la cosiddetta “questione meridionale”, recentemente rispolverata dalle anticipazioni sul rapporto Svimez, all’altrettanto detta “fuga dei cervelli”, che periodicamente fa capolino sui mass media italici. Non si tratta solo del red tape, espressione anglosassone, che indica l’eccesso di burocrazia e tratto caratterizzante di quelle istituzioni estrattive che, secondo Daron Acemoglu, storicamente hanno determinato il fallimento delle nazioni. Ma soprattutto di un errore di prospettiva, che inseguendo le idee astratte di regioni, comuni e territori perde di vista gli individui e le loro necessità.

Proviamo ad osservare la fotografia nazionale. Ogni anno una città in meno in Italia: una città grande come Bergamo o Siracusa, una città da circa 120mila abitanti. Tanti sono stati i cervelli in fuga dall’Italia in media dal 2008, l’anno di inizio della crisi, tenendo in considerazione chi parte.

La perdita di capitale umano (laureati e non) ce la ricordano anche i dati di Massimo Anelli, docente dell’Università Bocconi.

Se ogni settimana gli italiani che lasciano il “belpaese” attraversassero il mare per andare via, su un barcone ci sarebbero 2300 italiani ogni sette giorni (di media i migranti sono stati nel 2018, 258 a barcone).

Dal 2008 è aumentata la concentrazione di giovani e laureati che hanno salutato l’Italia, e sono quelli fra i 25 e i 40 anni, cioè coloro i quali hanno maggiore produttività che contribuisce alla creazione di reddito e sviluppo.

Per la crescita di nuove imprese è necessario avere ovviamente un contesto favorevole (che non mortifichi iniziativa privata, ma premi merito e capacità di innovare) ed un considerevole e crescente numero di giovani (in primis eruditi) nel paese (che svolgono anche una funzione di pungolo al tessuto sociale). Ricordiamo che i tassi di imprenditorialità risultano essere più alti fra i 25 e i 44 anni: è questa la coorte più interessante e dinamica, storicamente. Ovviamente se viene meno il capitale di innovazione, il paese declina inesorabilmente, distruggendo valore, opportunità e risorse umane.

Ciò che accade quindi è una perdita di menti brillanti (circa il 40% di chi se ne va dice di avere una laurea presa con 110 e lode) che diventa poi perdita economica enorme, anche perché la capacità di attirare – dall’estero – giovani e nuovi talenti è scarsa (e nel tempo è calata drammaticamente).
Ma il flusso non è sovranamente solo dall’Italia all’estero ma anche dal sud al nord.

Quindi in cosa consiste esattamente la “Questione Meridionale”? Nel fatto che l’entità astratta “Insieme delle Regioni Meridionali” sia rimasta nel tempo caratterizzata da un reddito pro capite e una crescita economica più bassa rispetto ad un’altra entità astratta qualificata come “Insieme delle Regioni Settentrionali”? Che questo avvenga nonostante un consistente trasferimento di risorse dai cittadini che risiedono nei territori identificati con la prima entità a quelli identificati con la seconda?

Se tuttavia questo risultato è determinato dalle preferenze rilevate (non da quelle dichiarate) dai comportamenti degli individui, che risiedono in quei territori, dove sta esattamente il problema?
Più in generale quanto è desiderabile rendere omogeno uno stato?

Se un individuo, che nasce in un paese di montagna, desidera lavorare come biologo marino, è più agevole che sia lui a trasferirsi dove può svolgere quel lavoro, oppure dovremmo realizzargli un istituto oceanografico sotto casa? Ecco che il tema della fuga di cervelli si congiunge con la questione meridionale e, nelle anticipazioni sul prossimo rapporto Svimez, possiamo leggere come la fuga dei giovani del mezzogiorno stia diventando una vera e propria emergenza.

Ma esattamente perché? Se un individuo nasce della terra dei Trulli o in quella delle Nuraghe e, senza che nessuno lo obblighi ad abbandonare tristemente le sue radici, vuol trasferirsi da qualche altra in Italia o nel mondo dove sta il problema? Forse nel fatto che, potendo scegliere, lo stesso individuo preferirebbe restare dove la madre cucina le orecchiette o dove alla domenica si può fare il barbecue coi il porceddu al mirto? Ritorniamo allora all’esempio dell’aspirante biologo marino nato in alta montagna: come bilanciamo l’interesse dell’individuo che vuol rimanere dove si mangia bene, con quello degli altri n individui che dovrebbero sostenere gli oneri necessari ad evitare il trasferimento?

Esiste un qualche diritto di tutti i cittadini italiani a trovare il lavoro che vogliono o le condizioni di vita che preferiscono sotto casa? Non esiste un tale diritto. Può avere senso cercare di offrire servizi meritevoli come istruzione di base e sanità, in modo per quanto possibile uniforme sul territorio. Parimenti può essere desiderabile che taluni elementi ambientali che ostacolano la prosperità di un territorio (criminalità organizzata, mancanza di collegamenti col resto del paese etc) vengano rimossi e che questo avvenga trasferendo gli oneri sui cittadini che vivono nelle aree più ricche. Ma il livello di attrattività di un comune, una regione o un territorio in generale, oltre che da ovvie caratteristiche geografiche, dipende in larga parte dal comportamento degli individui che ci vivono.

Dovremmo avere imparato che costruire cattedrali nel deserto non contribuisce a rendere il deserto più accettabile, ma solo a bruciare denaro che si sarebbe potuto impiegare molto meglio in modi alternativi. Esiste allora veramente una questione meridionale? E un’emergenza per i cervelli (soprattutto giovani) in fuga?

Per saperlo continuate a leggere questa rubrica.

https://www.immoderati.it/2019/09/05/e- ... ridionale/
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Re: E se non esistesse una questione meridionale?

Messaggioda pianogrande il 08/09/2019, 12:10

Il ragionamento mi sembra si basi su parametri che, quanto meno, non rappresentano tutto il contesto.

Il lavoro sotto casa come "diritto" oppure no non contiene tutta la problematica.

Basta dire il lavoro sotto casa come legittima aspirazione e ci siamo subito trasferiti in un'altro campo.

Le "cattedrali nel deserto" non sono certamente l'unico mezzo per cercare di soddisfare questa aspirazione e quindi la risposta non è cattedrali nel deserto sì o no.

E allora la domanda per il politico può diventare: cosa si può fare per aiutare questi cittadini a soddisfare questaa legittima aspirazione senza costruire cattedrali nel deserto?

E forse ci siamo avvicinati meglio a un livello operativo più realistico.

Il primo esempio minimo che mi viene in mente è (uscendo dal territorio puramente economico - che in politica non può essere sufficiente e definire tutto) di dare a questi cittadini quei servizi di base che li rendano uguali a quelli più fortunati che sono nati in territori dove possono garantire un guadagno anche ai privati.

E' solo un esempio ma di queste condizioni che fanno scappare la gente ne esistono tante.

Un ospedale, un negozio, una farmacia, una scuola e fino al metano o elettricità etc. etc. (per prendere l'esempio dei piccoli centri ma si può estendere anche a quelli più popolosi).

Questo dovrebbe rientrare nel concetto di pari opportunità.

Comincerei, insomma, ad eliminare i motivi per scappare alla ricerca non solo di un lavoro ma di una migliore qualità di vita legata alle strutture territoriali.

Una farmacia non è una cattedrale nel deserto, tanto per intenderci.

Poi, a chi vuole fare l'ingegnere nucleare, non gli costruiamo una centrale atomica tra i trulli o i nuraghi ma a chi vuole fare l'operatore turistico o il produttore di miele o di formaggio pecorino, la casa d'inverno glie la dovremmo scaldare senza obbligarlo ad andare a tagliare la legna nel bosco.

P.S. L'altro problema è la presenza dello stato contro le mafie.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: E se non esistesse una questione meridionale?

Messaggioda franz il 09/09/2019, 14:03

pianogrande ha scritto:Il primo esempio minimo che mi viene in mente è (uscendo dal territorio puramente economico - che in politica non può essere sufficiente e definire tutto) di dare a questi cittadini quei servizi di base che li rendano uguali a quelli più fortunati che sono nati in territori dove possono garantire un guadagno anche ai privati.

E in effetti il testo che ho riportato afferma in modo chiaro che:
Esiste un qualche diritto di tutti i cittadini italiani a trovare il lavoro che vogliono o le condizioni di vita che preferiscono sotto casa? Non esiste un tale diritto. Può avere senso cercare di offrire servizi meritevoli come istruzione di base e sanità, in modo per quanto possibile uniforme sul territorio. Parimenti può essere desiderabile che taluni elementi ambientali che ostacolano la prosperità di un territorio (criminalità organizzata, mancanza di collegamenti col resto del paese etc) vengano rimossi e che questo avvenga trasferendo gli oneri sui cittadini che vivono nelle aree più ricche. Ma il livello di attrattività di un comune, una regione o un territorio in generale, oltre che da ovvie caratteristiche geografiche, dipende in larga parte dal comportamento degli individui che ci vivono.


PS: il riscaldamento non è un obbligo dello Stato, nel senso di servizio pubblico garantito, ma occhio ai vari NO-TAP non non vogliono far arrivare il gas nel Sud ed ai NO-TAV che bloccano i traporti veloci, che sono un elementi di modernità negli anni 2000. E anche qui, purtroppo, la fonte di tutti i danni è il capitale umano.
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Re: E se non esistesse una questione meridionale?

Messaggioda pianogrande il 09/09/2019, 22:21

franz ha scritto:
pianogrande ha scritto:Il primo esempio minimo che mi viene in mente è (uscendo dal territorio puramente economico - che in politica non può essere sufficiente e definire tutto) di dare a questi cittadini quei servizi di base che li rendano uguali a quelli più fortunati che sono nati in territori dove possono garantire un guadagno anche ai privati.

E in effetti il testo che ho riportato afferma in modo chiaro che:
Esiste un qualche diritto di tutti i cittadini italiani a trovare il lavoro che vogliono o le condizioni di vita che preferiscono sotto casa? Non esiste un tale diritto. Può avere senso cercare di offrire servizi meritevoli come istruzione di base e sanità, in modo per quanto possibile uniforme sul territorio. Parimenti può essere desiderabile che taluni elementi ambientali che ostacolano la prosperità di un territorio (criminalità organizzata, mancanza di collegamenti col resto del paese etc) vengano rimossi e che questo avvenga trasferendo gli oneri sui cittadini che vivono nelle aree più ricche. Ma il livello di attrattività di un comune, una regione o un territorio in generale, oltre che da ovvie caratteristiche geografiche, dipende in larga parte dal comportamento degli individui che ci vivono.


PS: il riscaldamento non è un obbligo dello Stato, nel senso di servizio pubblico garantito, ma occhio ai vari NO-TAP non non vogliono far arrivare il gas nel Sud ed ai NO-TAV che bloccano i traporti veloci, che sono un elementi di modernità negli anni 2000. E anche qui, purtroppo, la fonte di tutti i danni è il capitale umano.


Inconvenienti della lettura veloce.
Comunque mi sarà servito come esercizio scrivere tutta quella roba.
Fotti il sistema. Studia.
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