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Crollo dei salari

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Crollo dei salari

Messaggioda flaviomob il 09/03/2019, 16:41

Stipendi, crolla il potere d’acquisto: in sette anni persi mille euro

Uno studio della Fondazione Di Vittorio della Cgil segnala il caso delle buste paga degli italiani rispetto a Francia e Germania


di ROBERTO PETRINI


ROMA - I salari hanno perso mille euro di potere d’acquisto negli ultimi sette anni. L’allarme viene da un rapporto della Fondazione Di Vittorio, think tank della Cgil, che mette a confronto le retribuzioni medie dei lavoratori dipendenti italiani con quelle del passato e le paragona a quelle degli altri grandi Paesi europei.

Il risultato è sconfortante: in Italia gli stipendi si sono ristretti mentre all’estero, in particolare in Germania e Francia, sono saliti. Il rapporto della Fondazione Di Vittorio elenca i dati delle retribuzioni lorde (vanno tolte tasse e contributi), utilizzando le più recenti rilevazioni Ocse, dal 2001 al 2017. Risultato: in Italia nell’intero periodo c’è stata una sostanziale “stazionarietà” dei salari, mentre dal 2010 al 2017 si è verificata una perdita di 1.059 euro, circa il 3,5 per cento.

L’analisi è circostanziata e basata sui salari reali, cioè aumentando “virtualmente” le retribuzioni di allora come se i prezzi del 2010 fossero stati gli stessi di oggi, il confronto è cioè fatto a “prezzi costanti”: ebbene se nel 2010 la retribuzione media in Italia era di 30.272 euro nel 2017 è scesa a quota 29.214. Possiamo comprare 1.000 euro di beni e servizi in meno.

Diversamente è andata in Germania e in Francia. Il lavoratore dipendente tedesco nel 2010 godeva già in media di una retribuzione lorda più alta di quello italiano, collocandosi a quota 35.621 e nel 2017 è salito di ben 3.825 euro quota 39.446 euro. Anche il lavoratore francese nel 2010 guadagnava di più del nostro – era a quota 35.724 – e nel 2017 porta a casa il 5,3 per cento in più collocandosi a 37.622 euro.

Economie diverse, impatti diversi della crisi, politiche salariali diverse, ma sostanzialmente il gap c’è. Quali le ragioni? In parte i contratti di lavoro, in parte la presenza dei cosiddetti contratti “pirata” che tengono i salari sotto al minino, ma l’analisi della Fondazione Di Vittorio, realizzata da Lorenzo Birindelli, punta l’indice soprattutto sul part time e i lavori discontinui, che la metodologia Ocse include nella rilevazione sommandoli e riconducendoli “virtualmente” a prestazioni full time: ebbene le nostre retribuzioni per i lavoratori a tempo parziale sono più basse della media dell’Eurozona, da noi valgono il 70,1 cento del full time in Europa l’83,6 per cento.

Si aggiunge un’altra ragione che rimanda alla carenza di capitale umano nel nostro Paese: cala la quota di dirigenti e di professioni tecniche. In sostanza in Italia si è ridotta la presenza delle alte qualifiche (7 punti percentuali in meno in questo ultimo ventennio) mentre sono aumentate di 2 punti percentuali le basse qualifiche.

Le contromosse? «Il tema dei redditi può e deve essere affrontato in più modi: intervento su qualità e quantità dell’occupazione; una nuova fase di contrattazione a tutti i livelli; una vera e propria riforma fiscale in senso progressivo che recuperi risorse verso le retribuzioni», commenta Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio.

La radiografia complessiva realizzata dal rapporto della Fondazione non conforta: su 15 milioni di lavoratori dipendenti, relativi al solo settore privato, ben 12 milioni hanno una retribuzione lorda sotto i 30 mila euro, di questi circa 4,3 milioni sono sotto i 10 mila euro annui lordi. Del resto altri recenti dati Eurostat confermano la caduta della quota dei salari sul Pil: nel 2019 siamo al 59,9 per cento, uno dei rapporti più bassi in Europa, in discesa dal 2012. Per ora il neo segretario della Cgil Landini, fin dalle sue prime uscite, ha posto il problema: «La stagione dei rinnovi contrattuali del 2109 deve affrontare, prima di tutto, la questione salariale. In Italia si continuano a pagare salari troppo bassi ai lavoratori».

(Repubblica)


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Re: Crollo dei salari

Messaggioda trilogy il 10/03/2019, 8:46

L'articolo sotto completa bene il quadro sul trend italiano sono anni che arretriamo economicamente relativamente al resto d'Europa. E' un processo decennale di cui ancora non si vede la fine, nè strategie concrete per invertire il trend, ma solo un diluvio di propaganda politica.

Aree ricche d’Europa, c’è Bratislava ma non la Lombardia

Il dossier Eurostat: lo Yugozapaden, la regione della capitale bulgara, stacca di 20 punti la Sicilia. La Sardegna arranca dietro il Portogallo, Cipro, la Lituania e la Polonia

di Gian Antonio Stella

Passi per il centro di Londra dove il Pil pro capite è sei volte quello Ue, passi per Amburgo, Brema o Bruxelles, ma che tra le aree più ricche d’europa ci sia pure Bratislava ma non Milano fa pensare. E così il cedimento del Sud. L’allarme più grave, però, è che quando Eurostat ha diffuso i dati, al governo erano così distratti dalle liti che forse non se sono manco accorti.
Pubblicato l’altra settimana con gli ultimi aggiornamenti sui dati disponibili del «Regional Gdp per capita», il dossier conferma cose in parte già note, tipo la forte crescita di vari paesi ex comunisti, ma con numeri per noi sempre più preoccupanti. Poi, certo, c’è chi dirà che anche i dati Eurostat vanno presi con le pinze e chissà che non siano stati usati parametri a noi ostili e bla bla bla. Fatto è che le tabelle dicono che tra le prime 21 aree Ue per Pil pro capite Milano e la sua area non ci sono. Con 38.000 euro pari al 128% della media europea, la Lombardia è nettamente staccata infatti non solo dalla irraggiungibile capitale britannica (626% del Pil pro capite comunitario!) ma anche dall’Ile-de-France, da cinque aree tedesche, da Vienna, da Salisburgo.

Più ancora spicca il ritardo di 50 punti e oltre, come dicevamo, da Bratislava e Praga. Quasi che, caduto il muro, dei quarant’anni di comunismo fosse rimasto solo un brutto ricordo. Travolto da una rimonta spettacolare che, dopo le difficoltà della separazione e degli anni Novanta, ha visto l’intera Slovacchia salire a una media del 76% e addirittura la Repubblica Ceca all’89% del punto di riferimento Ue. Con il sorpasso, nel caso di Praga, su tutto il nostro Mezzogiorno e sull’Umbria, con le Marche della Terza Italia ormai nel mirino. Certo, l’Alto Adige svetta fino al 143% e il rapporto sul Pil europeo vede il Nord ancora saldo sopra la media continentale. Talvolta da posizioni di forza come il Veneto. Chi cerchi di inquadrare la situazione attuale nel contesto di quanto è accaduto nell’ultimo mezzo secolo a partire dal boom, tuttavia, deve prendere atto che l’intero Paese perde colpi rispetto a chi ha corso e continua a correre più di noi negli ultimi decenni. Tutto normale, per carità: chi ha più fame, più corre.

L’arretramento del Mezzogiorno, però, è drammatico. Basti dire che, stando a uno studio di Confindustria, la Sicilia nel 1951 faceva un ottavo del Pil italiano. Oggi, dopo decenni di investimenti nel Sud che per lo Svimez sarebbero ammontati dal 1951 al 2007 (poi poco o niente…) fino a un totale di 382 miliardi di euro (un quarto di quelli dati alla Germania Est, ma comunque tanti) la stessa Sicilia non arriva a un diciannovesimo. Dice tutto un confronto, che peggiora di anno in anno, con la Yugozapaden, la regione bulgara intorno a Sofia. Nel 2000 il Pil pro capite era al 37% di quello europeo. Oggi, dice il dossier del 26 febbraio, è salito al 79%. Dando 20 punti di distacco alla Sicilia che al cambio del secolo stava davanti di 38 punti. E così più o meno a tutte le altre regioni meridionali (tolto l’Abruzzo) per non dire della Sardegna che prima stava sopra di 49 punti (all’86%) ed è oggi sotto di 10. E arranca dietro il Portogallo, Cipro, la Lituania, la Polonia...

segue articolo completo:
https://www.corriere.it/economia/19_mar ... 2942.shtml
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Re: Crollo dei salari

Messaggioda franz il 10/03/2019, 10:32

Purtroppo è la ovvia conseguenza del fatto che in Italia la produttività non cresce, anzi ristagna, anzi è in calo.

In Italia si parla di tutto ma quasi mai di questo.

Eppure il fenomeno è internazionalmente noto.

La Federal Reserve americana è organizzata in diverse sedi
https://en.wikipedia.org/wiki/Federal_Reserve_Bank

Quella di St. Louis ha un nutrito database statistico, a livello di quello OECD e Eurostat

Provate questo link:
https://fred.stlouisfed.org/search?st=t ... ctor+italy
Consiglio di scegliere il dato a parità di potere d'acquisto.

Entrambi i dataset vi mostrano una situazione preoccupante.
Se non sale la produttività, non possono salire i redditi.
Ovvero possono salire solo se diminuiscono i lavoratori.

La parte interessante è che potete aggiungere altri paesi.

Ho aggiunto Francia e Germania. Il grafico parla da solo.
Probabilmente la Fondazione Di Vittorio della Cgil pensa ancora che il salario sia una variabile indipendente.
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