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Accordo FIAT: la solita CGIL

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda Robyn il 13/01/2011, 16:38

In questa situazione i lavoratori europei devono incominciare ad organizzarsi per affrontare la sfida della delocalizzazione.La prima cosa da fare è non comperare prodotti cinesi e dei paesi emergenti perche così si danneggia la produzione europea e di consegfuenza il lavoro.La seconda è costituire un fondo europeo che rilevi quelle aziende che delocalizzano trasformarmandole in aziende del terzo settore che non seguono la logica del massimo profitto ,reinvestono gli utili,e non sfruttano.Infatti l'attuale capitalismo non funziona più perche non solo non investe ,ma per investire chiede in cambio la rinuncia alle tutele.Oggi si chiede la rinuncia di alcune tutele domani sarà peggio ciao robyn
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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda Iafran il 13/01/2011, 17:10

Robyn ha scritto:In questa situazione i lavoratori europei devono incominciare ad organizzarsi per affrontare la sfida della delocalizzazione.

I lavoratori europei faranno la loro parte fino in fondo, quelli italiani sono chiamati ad un supplemento: a scegliere una classe politica che guardi soprattutto ai bisogni della collettività.
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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda ranvit il 13/01/2011, 18:41

A proposito della tanto "amata" Germania dove Marchionne sarebbe stato preso a calci in culo....
Sveglia gente! Toglietevi le fettine di ideologia dagli occhi.

Vittorio



http://www.corriere.it/editoriali/11_ge ... aabc.shtml


La svolta tedesca che manca


Tutti sembrano d'accordo sul rimedio allo stallo della nostra economia: copiare il modello tedesco, basato sull'export industriale e su investimenti pubblici in ricerca e sviluppo. Ma questo modello è oggi replicabile dalle imprese italiane? Sembra difficile per tre ragioni. La prima è che le nostre aziende sono dieci anni indietro nel recuperare produttività rispetto alle tedesche. Queste hanno reso più flessibile il loro mercato del lavoro e hanno sfruttato la delocalizzazione per negoziare con successo un ripensamento totale delle relazioni industriali: se i sindacati non accettavano le loro condizioni, chiudevano le fabbriche in Germania investendo di più all'estero. La battaglia solitaria del «tedesco» Marchionne e il disallineamento con quella parte della Confindustria che continua a privilegiare la contrattazione nazionale sono un esempio del nostro ritardo. La seconda ragione è che le imprese industriali italiane sono ancora in larga parte troppo piccole per investire in tecnologia, delocalizzare con successo e crescere sul mercato asiatico, come hanno fatto quelle tedesche negli ultimi anni. La terza ragione infine è che le aziende invece di essere aiutate a crescere in dimensione, sono incentivate a restare minuscole da regole come l'articolo 18; vale a dire quella norma che impedisce licenziamenti alle imprese con più di 15 dipendenti.

Servono per questo due riforme chiave. La prima è quella del mercato del lavoro per eliminare l'attuale garanzia incondizionata del posto a tempo indeterminato che disincentiva le assunzioni, promuove il precariato e non consente alle aziende industriali di seguire i cicli del mercato e della concorrenza, assieme a tutte le rigidità sugli orari che limitano la competitività delle imprese. La seconda riforma è la lotta all'evasione fiscale che diventa essenziale non solo per ragioni morali e di equità, ma per consentire di ridurre il carico delle imposte sul lavoro alle società che rispettano le regole, finanziare la creazione di un sussidio nazionale di disoccupazione e, soprattutto, rendere la concorrenza più leale e favorire la crescita delle imprese efficienti.

Ma per ripartire, dobbiamo aspettare che si moltiplichino i Marchionne o i decenni necessari perché in Italia nascano e crescano medie e grandi imprese industriali come quelle tedesche?
Assolutamente no, perché le due riforme chiave permetterebbero di aumentare rapidamente la produttività della economia italiana di servizi (turismo, commercio, professioni, difesa dell’ambiente), una vera «arma segreta» dove si possono peraltro creare rapidamente nuovi posti di lavoro per assorbire e abbondantemente quelli persi nell’inevitabile delocalizzazione industriale che ci troveremo ad affrontare. Nel mondo sviluppato i servizi rappresentano già l’80% dell’occupazione. Nel nostro caso la percentuale è del 70%, quindi inferiore, ma con produttività bassissima.

Se questa aumentasse, andrebbe tutta a contribuire la crescita del Prodotto interno lordo e creerebbe nuovi impieghi, perché la maggioranza delle imprese dei servizi, al contrario di quelle industriali, non sono delocalizzabili (un supermercato o un ospedale italiano in Cina non possono andarci, una fabbrica d’auto o un calzaturificio sì). Però di questa opportunità non parla nessuno. Alla base di questa miopia c’è una visione ottocentesca dell’economia: si dimentica che, dopo la rivoluzione industriale di 150 anni fa, ne è avvenuta una seconda, quella post-industriale del XX Secolo.

A questo contribuiscono diversi pregiudizi: molti ritengono che nei servizi si creino posti di lavoro sottopagati (falso), che non esportano (è vero, ma non peggiorano necessariamente le importazioni e in compenso aumentano gli investimenti dall’estero), che fanno parte di quell’«economia di carta» che la crisi ha spazzato via (falso, la finanza ne è solo una piccola parte), che «l’industria è anche servizi» (vero, ma è anche vero che servizi ad alta produttività sono essenziali per la manifattura). Il requisito necessario per il rilancio della nostra economia passa quindi per il ridisegno della struttura del mercato del lavoro e delle imprese italiane, a cominciare da quelle dei servizi. Dobbiamo abbandonare molti miti. Il tessuto delle aziende italiane è fatto di milioni di piccole e medie società. Ma non tutte sono efficienti. Anzi, molte sopravvivono grazie al sommerso, non creando quella domanda di capitale umano che normalmente emerge nelle economie post-industriali.

È soprattutto un problema di regole, importanti nell’industria ma ancora più nei servizi che per loro natura non sono esposti alla concorrenza internazionale come accade nella manifattura. Oltre alla battaglie «solitarie» quanto indispensabili di Marchionne, sono quindi necessarie regole giuste e rispettate da tutti perché senza di esse il libero mercato non nasce, non per ragioni etiche. Questa è l’unica ricetta che ci può permettere di recuperare posizioni nella più significativa delle classifiche che ci vede in coda a tutti i Paesi sviluppati: l’Italia è solo al 74˚ posto per la libertà economica. E senza libertà economica non possono esistere libertà civile e libertà politica.

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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda Robyn il 13/01/2011, 22:39

Ranvit l'attuale modello di sviluppo non funziona più.Meglio non ascoltare certi economisti.Noi in Italia abbiamo una concezione diversa della dignità del lavoro ciao robyn
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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda flaviomob il 13/01/2011, 23:12

ranvit il ieri, 19:52
Lo sciopero è un diritto personale? In quale altro Paese del mondo, uno si sveglia la mattina e decide di scioperare mettendo in crisi la "catena" di cui fa parte?


Eccola, la scoperta dell'acqua calda! Lo sciopero è proprio un diritto individuale, sancito dalla costituzione. Per cui l'accordo proposto da Marchionne, se passerà (ovviamente passerà, è un ricatto contro la vita dei lavoratori), finirà alla Corte Costituzionale che lo dichiarerà illegittimo!


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda Iafran il 14/01/2011, 0:03

ranvit ha scritto:http://www.corriere.it/editoriali/11_ge ... aabc.shtml

La svolta tedesca che manca
....
Questa è l’unica ricetta che ci può permettere di recuperare posizioni nella più significativa delle classifiche che ci vede in coda a tutti i Paesi sviluppati: l’Italia è solo al 74˚ posto per la libertà economica. E senza libertà economica non possono esistere libertà civile e libertà politica.
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L'Autore mi sarebbe piaciuto se avesse dimostrato come e quanto la "libertà" goduta dai nostri attuali "governanti" (che impongono "diktat") avesse procurato "libertà dal bisogno" ai lavoratori italiani, che sentono, giorno per giorno, compromesse sempre di più le loro condizioni economiche e sociali.
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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda cardif il 14/01/2011, 1:21

- le nostre aziende sono dieci anni indietro nel recuperare produttività rispetto alle tedesche.
Marchionne sta alla Fiat dal 2004: qualche responsabilità ce l'ha se in Germania si è investito nella ricerca ed alla Fiat no?
- disallineamento con quella parte della Confindustria (com'è delicato il 'disallineamento'!)
Il CNL è un accordo tra la Confindustria (datori di lavoro) e sindacati (rappresentanti dei lavoratori). Dopo di ché un imprenditore che non lo vuole rispettare esce dalla Confindustria e impone gli accordi che vuole. Perché la Confindustria non impone il rispetto del CNL che ha sottoscritto, oppure che li firma a fare? perché non chiude?
- le aziende ... sono incentivate a restare minuscole da regole come l'articolo 18
visto il numero di eventi che si verificano, questa affermazione è solo un tentativo di battuta
- eliminare l'attuale garanzia incondizionata del posto a tempo indeterminato che disincentiva le assunzioni
vista la tanta precarizzazione già esistente, deprecata anche dalla Banca d'Italia e dalla Confindustria, questo è un altro tentativo di battuta mal riuscito.
- lotta all'evasione fiscale
questo governo ha aiutato l'evasione con i vari condoni; e gli evasori l'hanno pure preso in giro: solo uno su tre dei 700 evasori individuati ieri hanno pagato il piccolo obolo del 5%, due su tre nemmeno quello.

Sulla trasformazione sono d'accordo: apertura all'Europa del nord con incentivi allo sviluppo del turismo al sud (porti turistici, piccoli aeroporti, contributi per realizzare alberghi,...). Ma questo governo ha la Lega Nord.

- i piccole e medie società. Ma non tutte sono efficienti
libero mercato che già c'è: chiudono in tante.
- necessarie regole giuste e rispettate da tutti
appunto, servono leggi dello stato a tutela dei diritti minimi, e non contratti tra le parti, come il CNL, che un datore di lavoro può non rispettare.
- l’Italia è solo al 74˚ posto per la libertà economica
ma la libertà non serve solo all'imprenditore, che fa anche il finanziere e si arricchisce con le stock option sul mercato invece che col prodotto; serve anche all'operaio per arrivare a fine mese.

L'Italia è pure al 24° su 25 per la libertà di stampa, nell'ovest Europa. Embè?
La difesa di Marchionne è solo ideologica, e l'ideologia è che il capitale è il dominus e la mano d'opera è strumento. Non si discute nel merito.
Ma mo' mi so' capito bene?
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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda ranvit il 14/01/2011, 10:05

flaviomob ha scritto:Eccola, la scoperta dell'acqua calda! Lo sciopero è proprio un diritto individuale, sancito dalla costituzione. Per cui l'accordo proposto da Marchionne, se passerà (ovviamente passerà, è un ricatto contro la vita dei lavoratori), finirà alla Corte Costituzionale che lo dichiarerà illegittimo!



Scusa flaviomob, mi dici qual'è l'articolo della Costituzione che lo dice?


Le aziende tedesche hanno investito nella ricerca perchè hano avuto dai sindacati la certezza del ritorno dell'investimento.

La Confindustria si è adeguata al resto dell'inciucio all'italiana vigente nella prima Repubblica. Conveniva a tutti : Dc, Pci, Sindacati,... Da tempo era noto che le relazioni capitale-lavoro erano ormai obsolete (una delle ragioni principali dell'inconsistenza degli investimenti esteri) ma nessuno aveva la forza di metterle in discussione....ora Marchionne l'ha fatto. Del resto non aveva e non ha alternativa : o chiude con l'Italia o se ne va altrove.

E' vero che gli eventi in relazione all'art. 18 sono pochi, ma solo perchè alle imprese non conviene mettersi a litigare sull'argomento e trovano altre strade....
Resta il fatto che l'art. 18 è un tappo fortissimo alla crescita delle imprese.
La garanzia del posto a tempo indeterminato è uguale all'art. 18.
Nessun governo degli ultimi 60 anni è riuscito a combattere efficacemente contro l'evasione fiscale...forse perchè i politici (tutti) sono coinvolti per la protezione dei loro "amici" e finanziatori.


Vittorio
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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda Robyn il 14/01/2011, 12:20

Mi aspetto parole chiare da Bersani sul terzo settore
La parte Modem che è anche composta da cristiani laici chiede un sì a Fiat?Questa è la risposta
Operai del settore industriale voi siete esposti sia alle più entusiasmanti che alle più pericolose conseguenze di tale processo.La persona deve rimanere il soggetto dell'economia non può diventare schiavo dei sistemi economici.La chiesa proclama la sua sollecitudine per il mondo del lavoro.La dignità del lavoro fà parte della dignità della persona ed essa sà che tutelando la prima sà di tutelare anche la seconda e di realizzare la giustizia in tutte le fasi del processo industriale ciao robyn
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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda Robyn il 14/01/2011, 12:28

Si parla poi che con i turni e gli straordinari le buste paghe dei dipendenti Fiat saranno come quelle europee.C'è da chiarire che non è così perche i turni e gli straordinari non si fanno sempre.Questo aumento non è strutturale.Invece è strutturale la detassazione dell'Irpef.Qui,a prescindere,il reddito è sempre più alto.Inoltre non si possono dividere gli operai quando c'è da fare contratti di lavoro differenziati e considerali tutti colpevoli quando c'è l'assenteismo
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