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Siamo in guerra?

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Siamo in guerra?

Messaggioda mariok il 30/11/2015, 14:09

pianogrande ha scritto:
Meglio tornare agli stati nazionali (visto che non ci vogliono come unione) che continuare a intossicarci con tutti i veleni che ci circondano costituiti dai paesi dell'Est e adesso anche un po' di Medio Oriente tanto per dare il colpo di grazia.

Se mi convinco di questo sospetto divento non anti europeo ma contro questa classe politica europea che sta portando l'Europa alla rovina.


A portare l'Europa alla rovina non è una "classe politica europea" (che non c'è) ma gli stessi stati nazionali ai quali non ha senso dire che sarebbe meglio tornare, in quanto sono già loro quelli che comandano nell'unico organismo europeo che conta, il consiglio europeo degli stati.
« Dopo aver studiato moltissimo il Corano, la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche religioni altrettanto letali per l'uomo di quella di Maometto» Alexis de Tocqueville
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Re: Siamo in guerra?

Messaggioda pianogrande il 30/11/2015, 15:42

OK Mariok, grazie.

Allora resetto e la metto in modo più positivo possibile.

Vorrei che una classe politica europea esistesse e fosse sinceramente ed onestamente preoccupata del bene dell'Unione e che quindi si smettesse di fare di tutto per mettere l'Europa nei guai.

Questa continua caccia ai guai sono sicuro che faccia la gioia di chi non vuole che l'Unione Europea funzioni.
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Re: Siamo in guerra?

Messaggioda pianogrande il 02/12/2015, 18:57

Ci pensa la Russia a parlar male della Turchia e magari a metterci in guardia da questa entità sempre più inquietante e con la quale facciamo affari e alla quale vorremmo riservare un posto a tavola.

http://www.repubblica.it/esteri/2015/12 ... ref=HREA-1

La famiglia Erdogan (la famiglia, espressione che da noi dovrebbe avere un significato speciale) commercerebbe tranquillamente in petrolio ed armi con l'IS.

Quindi, la considerazione che tirando dietro la Turchia tiriamo dentro l'IS e un pacco di altri problemi del Medio Oriente mi gira nella testa con maggior insistenza.
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Re: Siamo in guerra?

Messaggioda pianogrande il 03/12/2015, 1:21

Anche la Gran Bretagna bombarderà.
Questa è la fine politica di James Corbyn (leader laburista assolutamente scomodo) che è la prima vittima di questi bombardamenti.

http://www.repubblica.it/esteri/2015/12 ... ef=HREC1-1

Tante bombe dove bastava un diverso comportamento politico sono davvero necessarie?

Ormai sembra proprio di sì ma la lezione politica (appoggiare e finanziare potenziali schegge impazzite) non credo sarà ricordata.
Gli interessi sono troppo forti.
Vedere il comportamento disinvolto della Turchia di Erdogan.
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Re: Siamo in guerra?

Messaggioda trilogy il 06/12/2015, 12:33

Ormai tutti i contendenti si preparano alla spartizione di Iraq e Siria e le varie potenze in gioco occupano fette di territorio per trattare da posizioni di forza. Sulle ceneri di Iraq e Siria dovrebbe nascere uno stato a prevalenza sunnita, uno a prevalenza sciita e il nuovo kurdistan. Per dare il via libera alla rinascita dello stato curdo, la turchia verrà ricompensata con un pezzo della siria, (da qui le tensioni con i russi) e con pozzi petroliferi in iraq. Interessante un particolare: la turchia ha rapporti pessimi con i curdi sul suo territorio, mentre collabora anche militarmente con i curdi irakeni.


Scontro Baghdad-Ankara sui turchi a Mosul. Obama e Putin negoziano risoluzione all’ONU
L’Iraq contro Erdogan: ritiri i soldati. La replica: solo una missione di routine per addestrare i combattenti locali contro il Califfato

A 32 km da Mosul, la roccaforte dell’Isis in nord Iraq, le truppe turche sono giunte con almeno 20 carri armati. Una missione «di routine per addestrare» i combattenti locali contro il Califfato e «proteggere la zona», l’ha definita il premier di Ankara, Ahmet Davutoglu. «Ogni altra interpretazione di questo spostamento di truppe sarebbe solo una provocazione», ha aggiunto, provando così a frenare le dure proteste giunte subito da Baghdad.

LA PROTESTA IRACHENA
«Siamo profondamente contrariati dall’azione della Turchia, devono rispettare la nostra sovranità territoriale e ritirarsi immediatamente», ha tuonato il premier Haider al Abadi, precisando che l’Iraq «non ha avvallato nessun dispiegamento di truppe». È una «violazione delle norme internazionali», ha reagito il presidente Fuad Massum, mentre il ministero degli Esteri ha convocato l’ambasciatore turco a Baghdad per protestare. Ma da Ankara fonti diplomatiche assicurano che l’iniziativa è il frutto di un accordo con il governo della regione autonoma del Kurdistan iracheno raggiunto durante l’incontro del 4 novembre scorso a Erbil tra l’allora ministro degli Esteri turco, Feridun Sinirlioglu, e il presidente curdo-iracheno, Massud Barzani.

LA MISSIONE DELLE POLEMICHE
La missione scuote però una regione già nel caos. Ankara sostiene di aver inviato circa 150 soldati per sostituire quelli che già da due anni si trovavano nel campo di Bashiqa, creato per volontà del governatore locale e con l’accordo della Difesa di Baghdad, per addestrare le milizie irachene anti-Isis. I soldati turchi, ha detto Davutoglu, ne hanno già formati oltre duemila. Un intervento che includerebbe anche i peshmerga curdi, senza però prevedere la consegna di armi. Ma fonti diplomatiche suggeriscono che il nuovo dispiegamento di forze, pur non modificando la natura della missione, prepara Ankara a una presenza ben più forte sul terreno. Oltre al numero dei soldati, quasi raddoppiato - ma secondo alcune fonti i militari inviati sarebbero in realtà diverse centinaia -, ci sono tra i 20 e i 25 tank. Un’operazione di cui la Coalizione internazionale anti-Isis a guida Usa si è detta a conoscenza ma estranea.[..]

http://www.lastampa.it/2015/12/05/ester ... agina.html
Ultima modifica di trilogy il 06/12/2015, 13:27, modificato 1 volta in totale.
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Re: Siamo in guerra?

Messaggioda pianogrande il 06/12/2015, 13:17

Se dal marasma generale voluto per creare un nuovo ordine ci scappasse il "nuovo Kurdistan", sarebbe già una bella notizia.
Questo nuovo Kurdistan, però, non credo possa significare concessioni ai curdi in Turchia e credo nemmeno in Iran.
Praticamente potrebbe nascere nei due stati più deboli e cioè in Iraq e in Siria.
Non la vedo facile.
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Re: Siamo in guerra?

Messaggioda Robyn il 06/12/2015, 14:02

Ma penso che stati come Iraq e Siria che hanno al loro interno la minoranza curda potrebbero entrambi vivere come stati federali"stato federale siriano,stato federale iraqueno"senza che gli originari confini siriani e iraqueni cambino
Locke la democrazia è fatta di molte persone
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Re: Siamo in guerra?

Messaggioda trilogy il 07/12/2015, 14:49

I miliziani a congresso.....Quelli finanziati dall'Europa saranno assenti, hanno sperperato tutti i soldi ricevuti in hotel a cinque stelle. Almeno non hanno fatto danni :mrgreen:

[..]si apre domani a Riad in Arabia Saudita la conferenza delle opposizioni siriane in patria e in esilio e a cui partecipano anche 15 gruppi armati anti-Damasco, in vista dei colloqui mediati dall'Onu previsti per gennaio prossimo a New York. Lo riferiscono oggi i media panarabi e sauditi, secondo cui più di 100 esponenti delle varie correnti delle opposizioni saranno presenti da domani fino a giovedì. Tra gli invitati non ci sono i qaedisti della Jabhat an Nusra, considerati "terrorirsti" dall'Onu mentre ci sono formazioni armate islamiste che combattono il regime col sostegno turco, saudita e del Qatar. L'Is è escluso perché non è considerato un movimento di vera opposizione al regime siriano bensì un gruppo che fa la guerra agli insorti anti-Damasco.[..]

http://www.repubblica.it/esteri/2015/12 ... ef=HREC1-2
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Re: Siamo in guerra?

Messaggioda pianogrande il 08/12/2015, 1:09

Non per cavarmela con una battuta ma perché è la reale impressione che ho della situazione.

Mi fa venire in mente le zebre che correndo e incrociandosi confondono il predatore.
Stesso concetto vale per qualche varietà di pesci.

La situazione in Medio Oriente/Asia minore è davvero spezzettata e trafficata ad un punto tale che è da raffinati analisti riuscire a trovarne una unica chiave di lettura.

Questo ruolo di mediazione dell'Arabia Saudita che è tra le cause del conflitto (dei conflitti?) mi confonde ancora di più pur nell'ipotesi che si tratti di un prestanome degli USA.

Si incasina (come rendere meglio l'idea) anche il rapporto tra turchi e curdi mentre mi sconcerta il negare all'IS la patente di gruppo di opposizione (uno dei tanti) anti Assad.
Il solo fatto che la cosa venga precisata...
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Re: Siamo in guerra?

Messaggioda flaviomob il 09/12/2015, 2:15

Pecunia nervus belli: il tramonto del’ISIS senza più petrolio
di Federico Dezzani

caccia russi 300x225“Il denaro è il nervo della guerra” diceva Cicerone, aforisma da accompagnare con “la guerre nourrit la guerre”: le risorse conquistate nella campagna militare alimentano la macchina bellica che si autofinanzia costantemente. È ormai chiaro che fosse questa la strategia alla base del Califfato: i proventi del petrolio immesso illegalmente sul mercato internazionale erano reinvestiti nella “jihad” dell’ISIS, coll’obbiettivo di destabilizzare Siria ed Iraq. I bombardamenti russi, fermando il contrabbando di greggio, minano l’intero progetto: ne segue la corsa di Washington ed alleati in Medio Oriente prima che il conflitto si chiuda con una strategica vittoria russo-iraniana. Il rilancio è pressoché sicuro.

***

Negare sempre e comunque

La reazione americana alle prove sui traffici di petrolio tra Turchia e Califfato ricorda quella del marito colto in flagrante con un’avvenente amante: negare sempre e comunque, anche l’evidenza. L’ingrato compito di smentire l’inconfutabile 1 è toccato al colonnello Steve Warren, portavoce a Baghdad dell’operazione Inherent Resolve formalmente impegnata nei bombardamenti contro l’ISIS:

“Let me be very clear that we flatly reject any notion that the Turks are somehow working with ISIL. That is preposterous and kind of ridiculous. We absolutely, flatly reject that notion.The Turks have been great partner to us in the fight against ISIL. They are hosting our aircraft, they are conducting strikes, they are supporting the moderate Syrian opposition. They’ve been good partners here. Any thought that the Turks, that the Turkish government is somehow working with ISIL is just preposterous and completely untrue.”

Assurda e ridicola: così il portavoce statunitense definisce l’accusa che i Turchi contrabbandassero petrolio con l’ISIS, lucrando sulle sventure dei vicini e alimentando la destabilizzazione della regione. Eppure la conferenza stampa tenutasi a mercoledì al Ministero della Difesa russo non ha certo lesinato dettagli, mappe, foto, rilievi satellitari per attestare i traffici illegali di greggio: considerato che gli angloamericani hanno invaso l’Iraq nel 2003 sulla base di prove risibili o contraffatte ad hoc (ne sa qualcosa lo scienziato inglese David Kelly, trovato “suicida” in un bosco dopo aver riferito ad un giornalista della BBC che il rapporto sulle armi di distruzione di massa era stato “abbellito” per l’occasione), il materiale addotto dai russi è oro colato2.

Erano tre le rotte per trasportare il greggio dai campi petroliferi siriani di Raqqa e Deir el-Zor, controllati dall’ISIS, verso la Turchia: una verso ovest, diretta al porto mediterraneo di Dörtyol, una verso nord, fino alle raffinerie di Batman, una verso est, incentrata su Cizre, ad un tiro di schioppo dal confine siriano ed iracheno, per raccogliere il greggio estratto nei campi di Mosul, ultimo bastione del Califfato in Iraq.

Delle tre strade su cui viaggiavano le carovane di autocisterne (mai fermate ai valici turchi per controlli) quella più interessante è la prima, non solo perché riforniva raffinerie occidentali (tra cui forse anche petrolchimici italiani3) ma soprattutto perché il porto di Dörtyol dista circa 100 km dalla base aerea angloamericana di Incirlik. Le probabilità che Washington e Londra non fossero a conoscenza dei traffici illegali che si svolgevano nei pressi della più importante installazione militare del Paese sono le stesse che abbiano evitato per più di un anno di bombardare le autocisterne per scrupoli ambientalistici. I camion impiegati sulle tre rotte sarebbero ammontati a 8.500 unità, capaci di trasportare circa 200.000 barili di petrolio al giorno , l’equivalente della produzione di un Paese come l’Australia od il Gabon. Venduto ad un prezzo dimezzato rispetto alle quotazioni internazionali, 20-21$ al barile4, il commercio illegale alimentava le casse dell’ISIS con un flusso quotidiano di 3-4 $mln.

Come hanno reagito i media occidentali a queste accuse precise e circostanziate?

Semplicemente ignorando la notizia, l’equivalente giornalistico della reazione del colonnello Steve Warren: sui siti delle principali testate anglosassoni (New York Times, Financial Times, Wall Street Journal, etc.) non c’è alcuna traccia della conferenza stampa del Ministero russo della Difesa. Per fortuna Mosca si è munita dei propri canali informativi multilingua ( Russia Today, Sputnik, Pravda, etc.) con cui informa con dovizia di particolari l’evolversi delle operazioni : è dalla metà di novembre , a distanza di neppure due mesi dall’inizio delle operazioni in Siria, che i bombardamenti russi si sono concentrati sulle autocisterne5, distruggendone centinaia al giorno e dimezzando gli introiti dell’ISIS6.

Resta da spiegare il perché la coalizione a guida americana non abbia preso di mira la flotta di camion durante i quasi 18 mesi dell’operazione Inherent Resolve: perché i mezzi erano “ obbiettivi civili” non bombardabili, come si sente rispondere il deputato iracheno Mowaffak al-Rubaie quando sollecita l’intervento dell’aviazione americana contro il contrabbando di greggio verso la Turchia7?

È evidente che, fedeli al motto “l a guerre nourrit la guerre”, gli angloamericani ed i vari alleati regionali (israeliani, turchi e monarchi sunniti vari) avessero impostato l’intera strategia di destabilizzazione del Levante attorno ai pozzi petroliferi iracheni e siriani: gli introiti derivanti dall’estrazione e dallo smercio di petrolio servono in un primo momento a pagare stipendi ed equipaggiamento ai 25.000-30.0008 mercenari arruolati sotto le insegne dell’ISIS e, in futuro non troppo remoto, avrebbe dovuto garantire la sostenibilità economica del famigerato“Califfato”, ovvero lo Stato sunnita ricavato dallo smembramento di Siria ed Iraq.

Nato infatti nella regione nord dell’Iraq a maggioranza sunnita (grazie anche al determinante apporto di ex-alti ufficiali di Saddam Hussein ) l’ISIS nel giugno del 2014 avanza inarrestabile, senza incontrare nessuna resistenza dell’esercito addestrato dagli USA, verso i centri nevralgici della produzione irachena di greggio: Mosul, Kirkuk e Tikrit . Contemporaneamente occupa i campi petroliferi siriani lungo l’Eufrate: Raqqa e Deir el-Zor.

L‘intervento russo in Siria nel settembre del 2015 ed il coordinamento degli sforzi bellici con Iraq ed Iran non solo inverte rapidamente la situazione militare sul campo ma, attraverso i bombardamenti chirurgici dell e autocisterne che trasportano il greggio in Turchia (unico paese della coalizione americana che confina col Califfato e può immettere il petrolio nei mercati internazionali) assesta un colpo letale alle finanze dell’ISIS ed all’intera strategia di destabilizzazione del Levante.

Ne segue l’abbattimento del SU-24 russo per mano turca, senza dubbio una provocazione premeditata e concordata con gli angloamericani. Si noti che i bombardamenti di Washington contro le infrastrutture controllate dall’ISIS (operazione Tidal Wave II) iniziano nell’ultima decade d i ottobre, solo dopo l’avvio dei bombardamenti russi e con ritmi davvero fiacchi. Rimangono infatti sottotraccia fino a metà novembre, quando Mosca diffonde notizie sulla distruzione delle autocisterne: ecco allora che sui media occidentali appaiono improvvisamente le imprese degli A-10 Thunderbolt contro i convogli dell’ISIS9. Si mette così una pezza dal punto di vista mediatico, ma il danno è pesantissimo: Mosca ha rotto il giocattolo.

È sintomatico che i primi rovesci militari dell’ISIS coincidano con gli ultimi sforz i per sostenere l’agenda di balcanizzazione del Medio Oriente. Il 24 novembre (ironia della sorte lo stesso giorno in cui il bombardiere russo è colpito a tradimento dai turchi) appare sul New York Times un articolo firmato dal falco repubblicano John Bolton, membro dei più influenti pensatoi statunitensi come l’American Enterprise Institute ed il Jewish Institute for National Security Affairs, dall’emblematico titolo “To Defeat ISIS, Create a Sunni State ”. All’interno si legge10:

“The Islamic State has carved out a new entity from the post-Ottoman Empire settlement, mobilizing Sunni opposition to the regime of President Bashar al-Assad and the Iran-dominated government of Iraq. Also emerging, after years of effort, is a de facto independent Kurdistan. If, in this context, defeating the Islamic State means restoring to power Mr. Assad in Syria and Iran’s puppets in Iraq, that outcome is neither feasible nor desirable. Rather than striving to recreate the post-World War I map, Washington should recognize the new geopolitics. The best alternative to the Islamic State in northeastern Syria and western Iraq is a new, independent Sunni state.”

Ecco perfettamente esplicitata la strategia di Washington, Londra, Tel Aviv ed ascari vari: nel silenzio assoluto della UE, della Chiesa Cattolica di papa Bergoglio e di associazioni caritatevoli varie, il Medio Oriente è stato messo a ferro fuoco, infliggendo indicibili sofferenze alla popolazione ed inestimabili danni al patrimonio storico-artistico, per balcanizzare la regione , spartendo Siria ed Iraq, così da garantire la sicurezza di Israele e la salvaguardia del predominio angloamericano in ossequio al consueto “divide et impera ”.

Finché, ça va sans rien dire, non è arrivata la Russia. I risultati non si sono fatti attendere.

....


http://www.sinistrainrete.info/estero/6 ... rolio.html


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