Pecunia nervus belli: il tramonto del’ISIS senza più petrolio
di Federico Dezzani
caccia russi 300x225“Il denaro è il nervo della guerra” diceva Cicerone, aforisma da accompagnare con “la guerre nourrit la guerre”: le risorse conquistate nella campagna militare alimentano la macchina bellica che si autofinanzia costantemente. È ormai chiaro che fosse questa la strategia alla base del Califfato: i proventi del petrolio immesso illegalmente sul mercato internazionale erano reinvestiti nella “jihad” dell’ISIS, coll’obbiettivo di destabilizzare Siria ed Iraq. I bombardamenti russi, fermando il contrabbando di greggio, minano l’intero progetto: ne segue la corsa di Washington ed alleati in Medio Oriente prima che il conflitto si chiuda con una strategica vittoria russo-iraniana. Il rilancio è pressoché sicuro.
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Negare sempre e comunque
La reazione americana alle prove sui traffici di petrolio tra Turchia e Califfato ricorda quella del marito colto in flagrante con un’avvenente amante: negare sempre e comunque, anche l’evidenza. L’ingrato compito di smentire l’inconfutabile 1 è toccato al colonnello Steve Warren, portavoce a Baghdad dell’operazione Inherent Resolve formalmente impegnata nei bombardamenti contro l’ISIS:
“Let me be very clear that we flatly reject any notion that the Turks are somehow working with ISIL. That is preposterous and kind of ridiculous. We absolutely, flatly reject that notion.The Turks have been great partner to us in the fight against ISIL. They are hosting our aircraft, they are conducting strikes, they are supporting the moderate Syrian opposition. They’ve been good partners here. Any thought that the Turks, that the Turkish government is somehow working with ISIL is just preposterous and completely untrue.”
Assurda e ridicola: così il portavoce statunitense definisce l’accusa che i Turchi contrabbandassero petrolio con l’ISIS, lucrando sulle sventure dei vicini e alimentando la destabilizzazione della regione. Eppure la conferenza stampa tenutasi a mercoledì al Ministero della Difesa russo non ha certo lesinato dettagli, mappe, foto, rilievi satellitari per attestare i traffici illegali di greggio: considerato che gli angloamericani hanno invaso l’Iraq nel 2003 sulla base di prove risibili o contraffatte ad hoc (ne sa qualcosa lo scienziato inglese David Kelly, trovato “suicida” in un bosco dopo aver riferito ad un giornalista della BBC che il rapporto sulle armi di distruzione di massa era stato “abbellito” per l’occasione), il materiale addotto dai russi è oro colato2.
Erano tre le rotte per trasportare il greggio dai campi petroliferi siriani di Raqqa e Deir el-Zor, controllati dall’ISIS, verso la Turchia: una verso ovest, diretta al porto mediterraneo di Dörtyol, una verso nord, fino alle raffinerie di Batman, una verso est, incentrata su Cizre, ad un tiro di schioppo dal confine siriano ed iracheno, per raccogliere il greggio estratto nei campi di Mosul, ultimo bastione del Califfato in Iraq.
Delle tre strade su cui viaggiavano le carovane di autocisterne (mai fermate ai valici turchi per controlli) quella più interessante è la prima, non solo perché riforniva raffinerie occidentali (tra cui forse anche petrolchimici italiani3) ma soprattutto perché il porto di Dörtyol dista circa 100 km dalla base aerea angloamericana di Incirlik. Le probabilità che Washington e Londra non fossero a conoscenza dei traffici illegali che si svolgevano nei pressi della più importante installazione militare del Paese sono le stesse che abbiano evitato per più di un anno di bombardare le autocisterne per scrupoli ambientalistici. I camion impiegati sulle tre rotte sarebbero ammontati a 8.500 unità, capaci di trasportare circa 200.000 barili di petrolio al giorno , l’equivalente della produzione di un Paese come l’Australia od il Gabon. Venduto ad un prezzo dimezzato rispetto alle quotazioni internazionali, 20-21$ al barile4, il commercio illegale alimentava le casse dell’ISIS con un flusso quotidiano di 3-4 $mln.
Come hanno reagito i media occidentali a queste accuse precise e circostanziate?
Semplicemente ignorando la notizia, l’equivalente giornalistico della reazione del colonnello Steve Warren: sui siti delle principali testate anglosassoni (New York Times, Financial Times, Wall Street Journal, etc.) non c’è alcuna traccia della conferenza stampa del Ministero russo della Difesa. Per fortuna Mosca si è munita dei propri canali informativi multilingua ( Russia Today, Sputnik, Pravda, etc.) con cui informa con dovizia di particolari l’evolversi delle operazioni : è dalla metà di novembre , a distanza di neppure due mesi dall’inizio delle operazioni in Siria, che i bombardamenti russi si sono concentrati sulle autocisterne5, distruggendone centinaia al giorno e dimezzando gli introiti dell’ISIS6.
Resta da spiegare il perché la coalizione a guida americana non abbia preso di mira la flotta di camion durante i quasi 18 mesi dell’operazione Inherent Resolve: perché i mezzi erano “ obbiettivi civili” non bombardabili, come si sente rispondere il deputato iracheno Mowaffak al-Rubaie quando sollecita l’intervento dell’aviazione americana contro il contrabbando di greggio verso la Turchia7?
È evidente che, fedeli al motto “l a guerre nourrit la guerre”, gli angloamericani ed i vari alleati regionali (israeliani, turchi e monarchi sunniti vari) avessero impostato l’intera strategia di destabilizzazione del Levante attorno ai pozzi petroliferi iracheni e siriani: gli introiti derivanti dall’estrazione e dallo smercio di petrolio servono in un primo momento a pagare stipendi ed equipaggiamento ai 25.000-30.0008 mercenari arruolati sotto le insegne dell’ISIS e, in futuro non troppo remoto, avrebbe dovuto garantire la sostenibilità economica del famigerato“Califfato”, ovvero lo Stato sunnita ricavato dallo smembramento di Siria ed Iraq.
Nato infatti nella regione nord dell’Iraq a maggioranza sunnita (grazie anche al determinante apporto di ex-alti ufficiali di Saddam Hussein ) l’ISIS nel giugno del 2014 avanza inarrestabile, senza incontrare nessuna resistenza dell’esercito addestrato dagli USA, verso i centri nevralgici della produzione irachena di greggio: Mosul, Kirkuk e Tikrit . Contemporaneamente occupa i campi petroliferi siriani lungo l’Eufrate: Raqqa e Deir el-Zor.
L‘intervento russo in Siria nel settembre del 2015 ed il coordinamento degli sforzi bellici con Iraq ed Iran non solo inverte rapidamente la situazione militare sul campo ma, attraverso i bombardamenti chirurgici dell e autocisterne che trasportano il greggio in Turchia (unico paese della coalizione americana che confina col Califfato e può immettere il petrolio nei mercati internazionali) assesta un colpo letale alle finanze dell’ISIS ed all’intera strategia di destabilizzazione del Levante.
Ne segue l’abbattimento del SU-24 russo per mano turca, senza dubbio una provocazione premeditata e concordata con gli angloamericani. Si noti che i bombardamenti di Washington contro le infrastrutture controllate dall’ISIS (operazione Tidal Wave II) iniziano nell’ultima decade d i ottobre, solo dopo l’avvio dei bombardamenti russi e con ritmi davvero fiacchi. Rimangono infatti sottotraccia fino a metà novembre, quando Mosca diffonde notizie sulla distruzione delle autocisterne: ecco allora che sui media occidentali appaiono improvvisamente le imprese degli A-10 Thunderbolt contro i convogli dell’ISIS9. Si mette così una pezza dal punto di vista mediatico, ma il danno è pesantissimo: Mosca ha rotto il giocattolo.
È sintomatico che i primi rovesci militari dell’ISIS coincidano con gli ultimi sforz i per sostenere l’agenda di balcanizzazione del Medio Oriente. Il 24 novembre (ironia della sorte lo stesso giorno in cui il bombardiere russo è colpito a tradimento dai turchi) appare sul New York Times un articolo firmato dal falco repubblicano John Bolton, membro dei più influenti pensatoi statunitensi come l’American Enterprise Institute ed il Jewish Institute for National Security Affairs, dall’emblematico titolo “To Defeat ISIS, Create a Sunni State ”. All’interno si legge10:
“The Islamic State has carved out a new entity from the post-Ottoman Empire settlement, mobilizing Sunni opposition to the regime of President Bashar al-Assad and the Iran-dominated government of Iraq. Also emerging, after years of effort, is a de facto independent Kurdistan. If, in this context, defeating the Islamic State means restoring to power Mr. Assad in Syria and Iran’s puppets in Iraq, that outcome is neither feasible nor desirable. Rather than striving to recreate the post-World War I map, Washington should recognize the new geopolitics. The best alternative to the Islamic State in northeastern Syria and western Iraq is a new, independent Sunni state.”
Ecco perfettamente esplicitata la strategia di Washington, Londra, Tel Aviv ed ascari vari: nel silenzio assoluto della UE, della Chiesa Cattolica di papa Bergoglio e di associazioni caritatevoli varie, il Medio Oriente è stato messo a ferro fuoco, infliggendo indicibili sofferenze alla popolazione ed inestimabili danni al patrimonio storico-artistico, per balcanizzare la regione , spartendo Siria ed Iraq, così da garantire la sicurezza di Israele e la salvaguardia del predominio angloamericano in ossequio al consueto “divide et impera ”.
Finché, ça va sans rien dire, non è arrivata la Russia. I risultati non si sono fatti attendere.
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http://www.sinistrainrete.info/estero/6 ... rolio.html