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Il disprezzo (perdente) per chi vota il Nemico.

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Il disprezzo (perdente) per chi vota il Nemico.

Messaggioda flaviomob il 30/01/2011, 13:02

Vittorio
Altro esempio : io voglio una politica estera ben raccordata con i Paesi alleati anche con interventi militari (e anche senza entrare nel merito). Tu no. Di cosa possiamo discutere?
E questo vale anche per le soluzioni buoniste, per l'inapplicabilità e temerarietà delle scelte della sinistra radicale etc etc


No Vittorio: tu non vuoi solo una politica estera concorde, ma hai espresso posizioni di favore alla guerra in Iraq, più volte ed inequivocabilmente. Temerariamente. Questa non mi sembra una posizione ne' moderata ne' centrista, ma altamente qualificante. Per la destra.

Che poi si possa avere idee di destra su singoli argomenti non è ne' illegittimo ne' sconveniente: basta però prenderne atto e non nascondersi dietro la mascherina del voto degli indecisi centristi.
Diverso però è appoggiare un intervento militare aggressivo, sostenuto da rappresentanti democratici ingannati volutamente sulla realtà dei fatti.


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Re: Il disprezzo (perdente) per chi vota il Nemico.

Messaggioda ranvit il 30/01/2011, 13:31

flaviomob ha scritto:No Vittorio: tu non vuoi solo una politica estera concorde, ma hai espresso posizioni di favore alla guerra in Iraq, più volte ed inequivocabilmente. Temerariamente. Questa non mi sembra una posizione ne' moderata ne' centrista, ma altamente qualificante. Per la destra.

Che poi si possa avere idee di destra su singoli argomenti non è ne' illegittimo ne' sconveniente: basta però prenderne atto e non nascondersi dietro la mascherina del voto degli indecisi centristi.
Diverso però è appoggiare un intervento militare aggressivo, sostenuto da rappresentanti democratici ingannati volutamente sulla realtà dei fatti.



A dir la verità ho sostenuto sempre che bisogna bombardare gli obiettivi "pericolosi" e poi andare via. Sono assolutamente contrario alla presenza sul terreno perchè dell'idea che ogni popolo ha bisogno dei propri tempi di crescita civile e democratica.

Che a te questa, come altre mie posizioni, sembra una posizione di "destra" non mi meraviglia affatto : per te, come per tutti i militanti di sinistrasinistra, chiunque ha una posizione diversa dalla loro, è di destra.
E non ho alcuna intenzione di contrastare questa vostra idea.
Per me siete fuori....dalla sinistra come la intendo io e dalla Storia.

Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Il disprezzo (perdente) per chi vota il Nemico.

Messaggioda flaviomob il 30/01/2011, 13:38

Avere una posizione di destra.... sì, è di destra! :lol:
Anche io ritengo di avere posizioni di destra su alcuni temi, per esempio nel confronto sull'ipotesi di reato di negazionismo io ritenevo necessario che l'autorità statale reprimesse il negazionismo, introducendolo appunto come reato. Dato che è una posizione più vicina all'autorità che alla libertà di espressione, è lecito considerarla di destra. Che c'è di male? Basta riconoscerlo e non nascondersi dietro a un dito (magari... quello della Santanché) :lol:


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Re: Il disprezzo (perdente) per chi vota il Nemico.

Messaggioda lodes il 30/01/2011, 16:29

Caro flavio non c’è nulla da scusare. Leggendo gli interventi ho capito benissimo che qui è in atto una discussione che prescinde dal merito del post iniziale e che affonda nella storia di questo forum. Non era, e non è, mia intenzione intervenire in questa diatriba e per quanto mi è possibile ho cercato e cerco di stare al merito delle questioni che in un qualche modo sono lo sviluppo dei ragionamenti emersi dalle questioni poste dall’articolo di Battista. Poi per quanto mi riguarda cerco solo di mettere a confronto opinioni e idee. Penso di aver scritto abbastanza su come la penso rispetto alle questioni sollevate da Battista e non voglio tediarvi oltre, voglio però riprendere solo un punto del tuo intervento per chiarire meglio il mio pensiero.
flavio scrive:
“No, io credo che la nostra storia sia troppo importante per metterla da parte o svalutarla. L'impatto devastante dei media sulla società e sulla democrazia, attraverso la ricerca del consenso, era già stato analizzato dalla Scuola di Francoforte negli anni '30. Molte analisi sul capitalismo insostenibile si sono rivelate esatte, da un secolo con l'altro, come ha dimostrato il 2008. Nell'ultimo decennio i libri di Marx sono tornati tra i più venduti in Germania e in Europa... i conti con la storia e con i grandi pensatori della storia vanno sempre fatti, senza scorciatoie. Abolire categorie politiche e modalità approfondite di analisi e di pensiero senza proporre nulla di altrettanto sostanzioso in cambio significa semplicemente legittimare il qualunquismo di destra o comunque il diffuso vuoto di pensiero che ci circonda.”

Non sono io che abolisco categorie, ma è la storia. Nel senso che per quanto mi riguarda l’’89 segna un punto di rottura che va colto in tutta la sua importanza. Certo si può anche utilizzare il pensiero marxista per analizzare le contraddizioni del capitalismo ma una volta utilizzati questi strumenti di analisi manca, inesorabilmente, una risposta, anzi una proposta alternativa. La storia ci consegna il capitalismo e non il socialismo, allora secondo me una sinistra deve domandarsi come stare dentro a questa dimensione con l’obiettivo di realizzare quei valori/obiettivi che stanno nel suo DNA, e cioè: la libertà, la giustizia, l’uguaglianza delle opportunità, la difesa dell’ambiente. Per fare queste cose sono necessari strumenti e soluzioni diversi da quelli che la sinistrasinistra (come la chiama Vittorio) propone. Un esempio: nei ragionamenmti di Landini e Vendola una volta depurati delle enunciazioni di principio salta fuori uno statalismo evidente, cioè la richiesta che lo stato metta risorse. E’ pensabile nell’Italia degli anni duemila che la soluzione della grave crisi che il paese attraversa passi attraverso l’intervento statale?
Quando parlavo di navigare in mare aperto abbandonando i porti del ‘900 mi riferivo a questo. A idee e proposte che non solo sono ancorate ad un vecchio pensiero, ma che se attuate porterebbero il paese alla catastrofe. Perché allora la sinistra non tenta di rielaborare un proprio pensiero che tenga conto della necessità di difesa dei più deboli, quindi un nuovo welfare, quindi una forte sollecitazione a tener conto che i problemi del mondo (la difesa dell’ambiente, l’utilizzo delle risorse ecc) riguarda tutti: padroni e operai.
C’è il timore di uno spostanmento a destra? Attenzione! A parte le facili enunciazioni di principio dovremmo essere d’accordo che oggi è più problematico definire ciò che è di destra e ciò che è di sinistra. Allora quello che conta sono le soluzioni che si propongono. Per esempio in un paese con il più alto deficit statale è di destra o sinistra tendere a meno spesa pubblica e alla razionalizzazione e alla efficienza dellA PA?
In altre parole io vorrei una sx che non rinnega il suo passato –fa parte della storia di tutti noi- ma che è capace di costruire una proposta carica di futuro per gli uomini e donne che “oggi” aspettano di avere una alternativa credibile al bunga bunga. Torniamo ad essere i rappresentanti del “progressismo” e non quelli che sono ancorati ad un mondo che non esiste più.
Buona domenica a tutti.
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Re: Il disprezzo (perdente) per chi vota il Nemico.

Messaggioda flaviomob il 30/01/2011, 17:56

Le tue critiche all'invervento statale sono fondate. Esse però non rispecchiano una rottura con le politiche del Novecento, ma hanno una motivazione ben salda nella situazione particolare italiana. Basti ricordare che il controllo di tutto il sistema energetico è statale in Francia, che Renault ha partecipazioni statali che ne condizionano radicalmente l'azionariato e che Volkswagen ha una forte presenza rappresentativa dei Laender e dei sindacati. Roba di sostanza, non di forma.
Chi sceglie di fare l'università in Svezia, Germania, UK ha un sostegno pubblico che consiste in concrete elargizioni economiche per rette universitarie, spese di vitto e alloggio, spese legate all'acquisto del materiale di studio.
Il governo britannico nel 2008 ha deciso di nazionalizzare parzialmente otto gruppi bancari, tra cui la Royal Bank of Scotland.

E' una contraddizione storica parlare di eccessivo statalismo italiano in relazione al contesto europeo attuale ed anche alle dinamiche finanziarie in atto, che hanno mostrato come privatizzazioni irresponsabili, finanziarizzazione e uso di strumenti rischiosissimi (privatissimi) quali i derivati (con cui da noi si sono indebitati irreversibilmente molti comuni e regioni) siano degenerati in una crisi gravissima.

La questione che tu poni ha fondamento nel particolare italiano: debito pubblico abnorme, inefficienza della PA. Aggiungiamoci anche malaffare, corruzione, evasione, che sono elementi che fanno aumentare il costo della cosa pubblica riducendo la base imponibile: i tartassati sono i 'soliti noti' e sono sempre di meno, così il peso fiscale aumenta. Aggiungiamoci i costi della cassa integrazione e degli ammortizzatori sociali.
Codesti non sono certo elementi di rottura rispetto al secolo scorso, ma casomai elementi di una tradizione italiana a cui la retorica di destra, spesso supinamente accettata anche tra la pseudosinistra, non ha potuto dare risposta, essendo il rimedio proposto della stessa natura del male che avrebbe dovuto curare.
Quando lavoravo in una grande compagnia assicurativa ho assistito a scene autenticamente fantozziane, per imboscarsi o per far cazzeggio durante l'orario lavorativo, tanto più frequenti quanto più gli autori a parole si scagliavano contro i parassiti, gli immigrati, i fannulloni, i sindacati (di sinistra) e il voto di costoro si dirigeva ad AN Lega o affini (ma non esclusivamente). Ho conosciuto gente della mia generazione campata in case popolari, i cui genitori grazie proprio all'alloggio popolare avevano avuto la possibilità di farli studiare e pure tanto, fare un sacco di retorica su privatizzazioni, libero mercato, liberalismo, etc etc
La realtà è che con la memoria storica si perde anche l'etica, il senso del bene comune, il senso di appartenere ad una comunità solidale. Con la pancia piena poi si perde anche la voglia di lottare e il senso di quei conflitti sociali - duri, ma vissuti all'interno di un alveo democratico di convivenza civile - che hanno portato appunto una generazione ad avere la pancia piena. Il cervello, purtroppo, un po' meno.


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Re: Il disprezzo (perdente) per chi vota il Nemico.

Messaggioda pierodm il 31/01/2011, 14:23

Leggendo gli interventi ho capito benissimo che qui è in atto una discussione che prescinde dal merito del post iniziale e che affonda nella storia di questo forum. Non era, e non è, mia intenzione intervenire in questa diatriba

Lodes, se vai a guardare, vedi bene che in quasi tutti i capitoli di questo forum ci si allarga facilmente al di là del post iniziale.
E farei anche appello alla tua cortesia, affinché evitassi di spazzare via come fosseri briciole di pane sulla tovaglia una decina di pagine di discussione, definendo il tutto "diatriba".
Per la verità, a me sembra che qui si sia trattato ampiamente il merito indotto dal post iniziale: non dovresti lasciarti ingannare da qualche giudizio personale e da qualche insultino che si affaccia qua e là, che sono ormai una spiacevole abitudine.

Non sono io che abolisco categorie, ma è la storia. Nel senso che per quanto mi riguarda l’’89 segna un punto di rottura che va colto in tutta la sua importanza. Certo si può anche utilizzare il pensiero marxista per analizzare le contraddizioni del capitalismo ma una volta utilizzati questi strumenti di analisi manca, inesorabilmente, una risposta, anzi una proposta alternativa. La storia ci consegna il capitalismo e non il socialismo, allora secondo me una sinistra deve domandarsi come stare dentro a questa dimensione con l’obiettivo di realizzare quei valori/obiettivi che stanno nel suo DNA,

Certo, la storia. Alla storia possiamo far dire qualunque cosa, salvo poi doverla discutere e confrontare con altri "messaggi" che la storia ci manda. A questo servono le discussioni, i dialoghi, le polemiche, la politica stessa: altrimenti potremmo evitare di stare qui a picchiettare sui tasti del PC, per esempio.
Tu dici l'89: importante, ma qual è "tutta" l'importanza?
Se si tratta di tirare una linea sul bolscevismo e sul sovietismo, personalmente è la prima cosa che ho fatto quando al liceo ho cominciato ad interessarmi di politica - e purtroppo non era l'89 ma era qualche decennio prima.
Il tracollo dell'URSS non ha niente a che vedere, secondo me, con la validità o meno del marxismo.
Io non sono nemmeno d'accordo con il quadro che tu dipingi, che mi sembra molto "veltroniano", ossia impostato sulla falsariga del "da un lato ... ma dall'altro", e "è così ... ma anche".
Da ciò che dici se ne ricava - o almeno io ne ricavo, sbagliando? - che bisogna non abiurare alle radici, ma bisogna altresì proiettarsi verso il futuro: ottima idea, che vale per qualunque organismo vivente. Il problema politica sta nel decidere, nel capire quali sono le radici, qual è il DNA irrinunciabile, e qual è il futuro.
La sinistra ha mancato di elaborare queste "nuove vie" - anche prima del fatidico 89, quanto a questo - ma stiamo vedendo ora che non è solo questione di buona volontà: per rispondere all'esigenza che tu e noi tutti sentiamo ci vuole la convergenza di diverse condizioni, da quella di un adeguato impegno ideologico ad una diagnosi efficace della realtà, da un buon contesto culturale della società ad un'efficiente selezione dei dirigenti politici.
Soprattutto, serve ineludibilmente la capacità di scegliere: non si fa un partito, non si rinnova una politica, rimanendo nei limiti del "ma anche", e non si diventa per incanto "partito di governo" inseguendo tutto e il contrario di tutto, e ricercando un improbabile ecumenismo.

La storia ci consegna il capitalismo e non il socialismo,

Per un intero secolo la sinistra - politica e sindacale - è stata ben cosciente che la storia "consegnava" il capitalismo, e che insieme con il capitalismo consegnava anche l'antidoto ai suoi veleni: il socialismo.
Non il bolscevismo, o il leninismo, ma certamente il socialismo, e la sfera dei diritti civili difesi dal socialismo, tra i quali i diritti sindacali.
Quando tu dici che, fatta l'analisi, magari tramite il marxismo, manca la soluzione alternativa, trascuri uno o due secoli di storia: che altro sono le nostre moderne democraazie, se non un prodotto del liberalismo unito al socialismo democratico?
Un'unione che è servita a sottrarre il liberalismo al destino di essere l'instrumentum regni del puro capitalismo, ossia l'evoluzione in chiave borghese dell'ancien regime di matrice aristocratica.
Se questo è il DNA del quale tu stesso parli, a me non sembra che l'orientamento attuale sia quello di ispirarsi a questo DNA.

la difesa dell’ambiente, l’utilizzo delle risorse ecc riguarda tutti: padroni e operai.

Va be', questa te la potevi evitare.
Anche nei secoli bui del medioevo la riforestazione riguardava tutti, servi della gleba e feudatari, chierici e maniscalchi.
Come idea di base per rilanciare e rifondare la sinistra e la civiltà occidentale, e per fornire una soluzione dopo le "sterili analisi marxiste" mi sembra un po' vaga, un po' debole, e non molto "moderna".

C’è il timore di uno spostanmento a destra? Attenzione! A parte le facili enunciazioni di principio dovremmo essere d’accordo che oggi è più problematico definire ciò che è di destra e ciò che è di sinistra. Allora quello che conta sono le soluzioni che si propongono. Per esempio in un paese con il più alto deficit statale è di destra o sinistra tendere a meno spesa pubblica e alla razionalizzazione e alla efficienza dellA PA?

Non c'è il timore di. C'è lo spostamento, molto reale.
Le enunciazioni sono facili, questo è vero: tutte. Anche dire che le enunciazioni sono facili è una facile enunciazione.
Come dicevo a Manuela, l'efficienza della PA o la riduzione del deficit sono - devono essere - comuni a qualunque buon governo, così come lo sarebbe la costruzione di strade senza buche, o di binari di treni dritti e non a zig zag.
Ma basta mettere nel conto le persone e la loro vita e le cose cominciano ad essere un po' più facili da definire.
Basta mettere nel conto, cioè, gli interessi delle persone, i rapporti di potere, le gerarchie sociali ed economiche: qui, su questi fattori, che si fanno le scelte politiche.
Sarà pure difficile definire cosa è di sinistra, e quali sono le soluzioni di sinistra, ma mi sembra tuttavia piuttosto chiaro cosa è la destra e quali sono le soluzioni che piacciono alla destra.

Tra parentesi: parlare in astratto di DNA della "nostra storia" significa poco, perché il DNA non parla e non vota.
Il DNA della "nostra storia" siamo noi: basta capire chi siamo, noi, e a quale pezzo di storia di preciso apparteniamo.
Persopnalmente , come ho accennato, appartengo a quel pezzo di storia che non ha mai avuto santini o idoletti, e che continua a non averne, nemmeno riveduti e corretti in chiave "moderna".
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Re: Il disprezzo (perdente) per chi vota il Nemico.

Messaggioda lodes il 31/01/2011, 18:09

Caro piero mi dispiace se il termine diatriba ti ha disturbato, ma puoi capire che se tu stesso parli “… da qualche insultino che si affaccia qua e là, che sono ormai una spiacevole abitudine…” pensa cosa può pensare uno che si affaccia alla discussione.
Per quanto mi riguarda credo di essere entrato nella discussione con discrezione evitando di contribuire ad alimentare quella che tu definisci una spiacevole abitudine.
Per quanto riguarda il merito del tuo intervento mi chiedi qual è “tutta l’importanza” dell’89. Devo ammettere che la tua domanda mi stupisce. Mi stupisce perché è evidente il cambiamento avvenuto nel mondo. Come si dice in quesati casi: nulla è stato come prima. E nulla è stato come prima non in relazione a cosa eravamo noi o come la pensavamo culturalmente e politicamente, ma in relazione ai rapporti internazionali, ai nuovi equilibri e, non da ultimo, al fatto che a crollare non è stata solo l’URSS ma l’intera strumentazione culturale e politica che proponeva l’alternativa al sistema capitalista: in altre parole il crollo delle ideologie.
Quanto al richiamo a Veltroni e a un mio presunto maaltrismo posso dire che ragiono con la mia testa e non con quella di Veltroni. Le classificazioni per appartenenza non mi appartengono.
Io parlo di riformismo, di partito di governo rispetto alla realtà italiana e in questa realtà il PD non è tale. Anzi il limite della sinistra italiana sta proprio qui, nel non aver prodotto quella forza politica di cui il paese ha bisogno. Non voglio qui ripercorrere i motivi di questa carenza, tuttavia una cosa è certa quei motivi persistono tuttora e la vicenda FIAT/Marchionne ne è l’emblema.
Infine caro piero ho usato il riferimento al DNA per non dover ripetere concetti che dovrebbero essere acquisiti. E comunque il problema non è cosa c’è nel DNA ma le politiche che un partito di sinistra riformista e di governo propone e realizza. Ora tu dici che “…l'efficienza della PA o la riduzione del deficit sono - devono essere - comuni a qualunque buon governo,…”: non è così caro piero.
Quella è la condizione per poter sviluppare politiche di welfare capaci di offrire uguali opportunità, di politiche di inclusione e non di esclusione ecc, ecc. Quindi riformismo vuol proprio dire questo: cioè migliorare le condizioni di vita delle persone.
E per tornare all’origine della discussione non c’è alcun dubbio che la sx non avendo mai operato questa scelta offra ai vari Battista ampio materiale.
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Re: Il disprezzo (perdente) per chi vota il Nemico.

Messaggioda pierodm il 31/01/2011, 19:16

Caro Lodes, tu non sai - non puoi sapere - ciò che vado dicendo da anni, ossia da quando ho cominciato a frequentare questo e altri siti telematici di discussione, e ancora prima, quando scrivevo ancora con la stilografica o con la mia Singer color crema e passavo i miei articoli in tipografia.
Ho spennellato per dritto e per rovescio i comportamenti e le omissioni della sinistra, in modo almeno pari, se non peggiore, a quello che tu usi adesso, e a quella sorta di autocritica che è implicita nei discorsi dei "riformisti".
Sono quindi assolutamente d'accordo con il fatto che sia mancata una sufficiente elaborazione, una revisione, una "rifondazione" della sinistra stessa: tanto per riallacciarci all'accenno fatto da Flavio alla scuola di Francoforte, per esempio, ricordo bene che ero irritato dal fatto che gli intellettuali di varia estrazione le loro analisi le avevano fatte, suggerendo per tempo a chiunque volesse capire quale sarebbe stata l'evoluzione della società nei decenni a venire.
"I libri li hanno letti, ai convegni ci sono andati, i "documenti congressuali" li hanno riempiti di accenni debitamente acculturati, questi dirigenti dei nostri partiti" - dicevo - ma poi? Hanno mostrato di trarne le dovute conseguenze politiche? Neanche per sogno. Per queste persone le analisi sono solo analisi, i libri solo libri, la cultura e la sociologia solo un vezzo da esibire per dire a tutti che "loro sanno" e che "non sono mica sprovveduti", e che questo loro comportamento era facilmente verificabile se appena si faceva vita di partito.
Le cose sono andate come la critica sociologica dei vari Horkheimer, Adorno e (l'illegibile purtroppo) Marcuse avevano detto con grande chiarezza e ricchezza di ragionamento, ma sono rimasti relegati ad una dimensione banalizzata del sessantottismo, e dismessi dalla nomenklatura di sinistra come a mano a mano avevano dismesso l'eskimo e i pantaloni a zampa d'elefante.
Non è detto, naturalmente, che la politica e la sinistra averebbero dovuto farsi dettare l'agenda dai filosofi di Francoforte, sia perché la filosofia dev'essere sempre tradotta in politica da un'elaborazione intermedia, sia perché anche i filosofi di Francoforte non sono esenti da critiche: ma un decente tentativo avrebbe almeno significato che c'era una tensione riformatrice, una volontà di rivedere e aggiornare le proprie posizioni senza recidere le proprie radici culturali.
Io non mi voglio allontanare dal '900, ma anzi vorrei tenermici ben stretto, per farne tesoro.
Non vorrei, comunque, staccarmi dal '900 per veleggiare all'indietro, sospinto da idee, interessi e comportamenti assai più vecchi del socialismo.

L'89.
Tutto giusto e tutto vero, per ciò che riguarda i rapporti internazionali: puoi immaginare facilmente che non era certo questo aspetto che contestavo.
Vero anche, però, che - come avevo accennato - l'89 non ha significato per me una speciale rivelazione, avendo fatto il mio personale 89 più o meno vent'anni prima.
In questo e in diverse altre cose io sono, in sessantaquattresimo, come Bertrand Russell, che l'URSS l'aveva liquidata nel 1925, dopo essere andato a visitarla pieno di entusiasmo per le speranze che la Rivoluzione d'Ottobre aveva acceso.
Forse il crollo dell'Unione Sovietica può aver significato molto sul piano della propaganda e dell'opinione pubblica in generale, ma non può avere una particolare importanza ideologica e intellettuale per chi s'interessa di politica, e tanto meno per una dirigenza di partito. Specialmente per un partito come il PCI, che dall'URSS si era già distaccata con i diversi, progressivi "strappi" di Berlinguer.

Il maanchismo.
Io non attribuisco a te un'imitazione di Veltroni. Faccio solo un accostamento.
Salvo casi particolari - che sono in genere piuttosto evidenti - di gente che subisce pedissequamente il "fascino perverso" di qualche slogan, io credo che esistano convergenze sia nel contenuto sia nel metodo dovute ai tempi, al "clima" culturale e alla scelta di un punto di vista dal quale discendono inevitabilmente concetti e parole molto simili.
Io, anche se la mia critica è vivace, non disprezzo affatto la posizione di Veltroni, e nemmeno il tentativo di tenere insieme tutto e il contrario di tutto: la trovo sbagliata, semplicemente.
Di Veltroni non mi piace la figura per così dire "sociale", ma questo è un altro discorso, così come ho trovato grottesco il suo discorso della "vergogna", alla metà degli anni '90.

Però, dopo aver detto tutto questo, non sono d'aqccordo con il fatto che Battista possa impunemente e ragionevolmente fare quel suo discorso: a prescindere dalle questioni di merito, è un discorso assurdo e paradossale, in quanto nega alla gente di sinistra il diritto di dare giudizi critici e dispregiativi, laddove un diritto uguale lo attribuisce a se stesso.
Qui non siamo nel campo della politica e nemmeno della storia, ma in quello della logica.
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Re: Il disprezzo (perdente) per chi vota il Nemico.

Messaggioda flaviomob il 03/02/2011, 13:18

Disordine capitalistico e popolo minore. Note sull’amnesia mediatica
di Andrea Inglese
“Il 15 settembre 2008, data del tracollo di Lehman Brothers, sta al fondamentalismo di mercato (ovvero il concetto che i mercati, da soli e liberi da ogni vincolo, possano garantire la crescita e la prosperità economica) come l’abbattimento del muro di Berlino sta alla caduta del comunismo.” Lo scrive un premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz, nel suo ultimo lavoro, Bancarotta. L’economia globale in caduta libera (Einaudi, 2010). Se in quest’affermazione c’è qualcosa di vero, e se noi, come si è spesso detto, siamo una società aperta, allora è divenuto necessario affrontare una discussione collettiva e spregiudicata sulla natura del capitalismo e sulla sua compatibilità con i principi di una società realmente democratica. D’altra parte, abbiamo visto in questi mesi un numero sempre maggiore di persone, pur sprovviste di Nobel per l’economia, testimoniare contro l’introduzione in Europa delle solite ricette neoliberiste (taglio della spesa pubblica, blocco dei salari, flessibilità del lavoro, privatizzazioni). Hanno rotto invisibilità e silenzio i lavoratori clandestini arrampicati sulle gru, gli operai che difendono i loro elementari diritti, gli studenti privati di futuro. Sennonché la risposta delle classi dirigenti a queste voci di dissenso pare bizzarramente riprodurre gli stessi principi di quella dottrina che ha subito nel settembre 2008 una plateale confutazione. La pretesa dei cittadini comuni di partecipare alle decisioni d’interesse generale è ingenua e controproducente, in quanto le questioni ultime, che sono tutte di natura economica, sono per ciò stesso destinate a una gestione oligarchica, di minoranze specializzate.

Ora, che sia Marchionne a vanificare con il ricatto il referendum degli operai di Mirafiori o il capo del governo a decidere che i “veri studenti” sono quelli che non contestano la riforma universitaria, il problema all’ordine del giorno non riguarda neppure più la scelta di un modello economico alternativo al capitalismo egemone degli Usa, ma lo statuto stesso della democrazia, ossia ciò che fino ad oggi viene considerata l’eccezione occidentale.

E in tutto questo, quale il ruolo dei famigerati media pluralisti? Almeno loro, di fronte a una tale crisi di consenso, sono disposti a mettere in discussione il paradigma dominante, esplorando le realtà che così poco quadrano con i teoremi degli esperti? Hanno il coraggio di riformulare le agende dell’attualità, gettando piena luce sulle radici di quella violenza, che le nuove élite politico-finanziarie esercitano in forme più o meno legali sui ceti popolari del loro o di altri paesi? Se consideriamo come in Italia la bancarotta del modello statunitense e dei suoi seguaci europei è stata trattata, ci rendiamo conto che siamo ancora nel regno dell’eufemismo e dell’amnesia. Con un’aggravante tutta nostrana: l’unica minaccia alla democrazia, che la sinistra parlamentare e i media che l’appoggiano sembrano riconoscere, viene da Silvio Berlusconi e dai suoi tentativi di manipolazione della carta costituzionale. Ogni dibattito sulle alternative al libero mercato e alle recenti politiche di austerità europee è rimandato al giorno in cui – data non definibile – il capo dell’attuale governo sarà scomparso dalla scena politica nazionale. [..]

da Alfabeta
riportato da
http://www.sinistrainrete.info/politica ... -mediatica


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Quale popolo?

Messaggioda pierodm il 05/02/2011, 12:44

In nome di quale popolo

di Felice Lima - Il FATTO

... In un Paese civile il processo penale assolve il suo compito naturale, che è un compito per certi versi abbastanza circoscritto: accertare se quella tal specifica condotta di quella tal persona integri o no una fattispecie di reato e, se sì, comminare la pena prevista dalle leggi. In un Paese civile il processo non mette in crisi il Governo e il processo non è chiamato a fare da arbitro di alcuna rilevante questione politica, perché in un Paese civile il popolo non consente che alcuno che abbia cariche pubbliche le mantenga quando è raggiunto da sospetti gravi e qualificati non già di reati, ma anche solo di condotte gravemente deplorevoli. Dunque, in un Paese civile il processo è un fatto che riguarda fondamentalmente solo la singola persona dell’imputato, che, se aveva qualche carica pubblica, quando finisce davanti ai giudici (e nei paesi civili non c’è modo di sottrarsi a questo dovere), l’ha già lasciata per non costringere l’intero Paese a una roulette russa con i suoi valori più importanti.

Invece, in un Paese nel quale l’illegalità, la spregiudicatezza, la menzogna spudorata sono disvalori diffusi, il processo e i giudici restano l’ultimo e l’unico presidio della decenza. Questo – che è in sé un fatto paradossale e indecente – carica il processo e i giudici di compiti e responsabilità superiori a ciò per cui sono costituiti. E’ assurdo e paradossale che pochi giorni fa la Corte di Cassazione, rigettando il ricorso del senatore Cuffaro, ne abbia causato la decadenza da senatore. Perché è assurdo che i senatori abbiano accettato di sedere per anni accanto a una persona della quale erano note le cose che sono note del senatore Cuffaro. E si badi, questo non c’entra nulla con il rispetto e l’umana pietà che si devono anche al sen. Cuffaro. Pietà e rispetto non negano, ma affermano e impongono l’obbligo della verità e della decenza.

Così come in nessun Paese civile il presidente della Camera (allora Casini), mentre un Tribunale entra in camera di consiglio per condannare un altro senatore (Dell’Utri), dichiara a stampa e televisioni che lui ha telefonato all’imputato per dargli la sua solidarietà. Ma in quale Paese il presidente della Camera dà pubblica solidarietà al mafioso imputato invece che ai giudici?

In un Paese normale esistono mille strumenti di controllo della legalità, della correttezza, della decenza collettiva. In Italia sono rimasti solo i processi penali. Questo è il sintomo certo di un degrado collettivo gravissimo. Estremo. Devono essere stati davvero bravi i nostri Padri costituenti se il sistema che hanno messo su ha fatto sì che ancora oggi, nonostante da anni governi di tutti i colori si siano impegnati attivamente giorno e notte a distruggere ogni speranza di giustizia (è di questi giorni la notizia che il ministro della Giustizia (???) ha confermato che la legge sul cosiddetto “processo breve” andrà avanti), ci sia ancora qualche processo che va avanti.

Ma non durerà. Primo perché anche la magistratura è composta da italiani e, dunque, per dieci Boccassini ci sono cento Curtò, cento Squillante e cento che, senza che siano stati ancora accertati reati a loro carico, mantengono condotte come quelle che hanno portato pochi mesi fa il procuratore aggiunto di Roma (mica un giudice di pace di periferia) a dimettersi frettolosamente senza che la magistratura abbia detto una sola parola di coraggio e sincerità sui retroscena di quella vicenda.

Secondo, perché non è pensabile una giustizia “contro il popolo”. Se il popolo trova accettabile la disonestà e la menzogna, se vuole al potere le persone peggiori, se trova che una vicenda di prostituzione minorile possa essere oggetto di barzellette e luoghi comuni, invece che di indignazione, se ben 315 deputati sono disposti a sostenere che la telefonata in Questura per fare liberare Ruby è stata fatta per superiori interessi di Stato, allora non si potrà per troppo tempo continuare a fare giustizia “in nome di questo Popolo”. E’ vero che il “Popolo Italiano” in nome del quale pronuncio le sentenze non è la somma dei cittadini presenti oggi sul suolo patrio, ma “l’anima” di quel popolo descritto nella Costituzione, ma se si può accettare che il popolo sperato dai costituenti sia una aspirazione più che una realtà, non si può reggere a lungo al fatto che sia ridotto a una ingenua illusione.

Frattanto, peraltro, più il malaffare occupa tutti i gangli vitali dello Stato più disarticola l’amministrazione della giustizia e più trasforma la legge da razionale strumento di giustizia a disonorato strumento del potere. Le leggi ad personam non sono leggi, sono abusi contro la legge. In un contesto così tutto perde senso e il Paese sprofonda in un baratro del quale sembra non cogliere la profondità, dando luogo a uno spettacolo simile ai passeggeri del Titanic che ballavano sul ponte mentre la nave affondava.
pierodm
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