da pierodm il 22/04/2009, 16:57
Pagheca.
Hai ragione a dire che bisogna andare al di là della Tv, non darle un'importanza eccessiva - anche se per molta gente quest'importanza ce l'ha, aggiungo io, purtroppo.
Ma in questa nostra discussione siamo in effetti andati al di là: non stiamo parlando più della Tv in sé, ma - almeno così mi sembra - di cosa sia faziosità, cosa sia equilibrio, cosa sia buon giornalismo, ossia di tutte cose che hanno un valore generale, che non si applica cioè soltanto alla Tv.
Cardif.
Se mi posso permettere di avere l'aria di darti un consiglio: non aver paura di dare giudizi, che pensi possano essere sbagliati per mancanza di conoscenza specifica. Sbaglia di qua, azzecca di là, piano piano l'idea giusta te la fai.
Franz.
Sì, siamo alle solite.
Quando mi riferivo al tuo "punto di vista molto più semplice", non parlavo di ciò che segretamente pensi, violando la sacra pisside del tuo intimo: parlavo di ciò che capivo leggendo ciò che tu scrivi, ossia interpretavo il senso delle tue parole. Un esercizio elementare da parte del buon ascoltatore volenteroso.
Per il resto, vedo che ribadisci con chiarezza sempre maggiore il tuo pensiero, e che con chiarezza sempre maggiore risulta che io (e anche Annalu e altri) non l'avevamo capito in modo scorretto.
Dici infatti: la faziosità dei interventi in una trasmissione televisiva del servizio pubblico non è un problema, se esiste contraddittorio, se gli ospiti in studio sono bilanciati e qualificati. Per me invece è un problema se è il condutture ad essere fazioso, sia nelle sue filippiche sia per come organizza la presenza degli ospiti in studio ed i servizi esterni.
A me sembra di aver già risposto in tre o quattro modi diversi a questa tesi, ma ci provo ancora, sperando di non ripetermi troppo.
Innanzi tutto, tu lo chiami "conduttore", mentre l'autore o il personaggio determinante di un prodotto giornalistico si chiama "giornalista".
Un conduttore è per definizione poco più di uno speaker, che non ha il diritto di condizionare più di tanto il contenuto d'una trasmissione, per il semplice fatto che non può sostituirsi o sovrapporsi all'autore che lo "firma".
Infatti sono rari i casi in cui un prodotto giornalistico ha conduttori diversi dagli autori, i quali eventualmente appaiono "anche" nel ruolo di conduttori perché questa è la struttura richiesta dal prodotto televisivo: ma rimangono autori, cioè giornalisti. Quindi il discorso va ricondotto sotto questo titolo, cioè il giornalismo, scritto o parlato o filmato che sia.
Una trasmissione, così intesa, non è affatto detto che sia fatta da "ospiti in studio", e la presenza stessa degli ospiti in studio non significa che un prodotto giornalistico sia equiparabile ad una "rassegna delle opinioni", o ad un momento della campagna elettorale ispirata alla par condicio.
Ricordo gli splendidi servizi che Oriana Fallaci faceva all'Europeo, da inviata speciale: una giovane giornalista che andava, osservava con i suoi occhi pungentissimi e spalancati, e non aveva la pretesa di raccontare TUTTO quello che succedeva in un certo posto, ma quello che LEI vedeva e capiva e trovava giusto raccontare, e allo stesso modo ricordo tanti servizi sull'Espresso in Vietnam: grazie a dio non erano "dibattiti in studio", ma giornalismo vero.
Vogliamo dire che nel servizio pubblico il giornalismo vero andrebbe escluso? Anche senza dirlo esplicitamente, purtroppo questa è la regola generale, raraente incrinata, e ogni volta magno cum scandalo.
Se io fossi un giornalista RAI, incaricato di un servizio/trasmissione settimanale, una volta svegliato alle tre di notte dal terremoto, per prima cosa telefonerei al mio capo-redattore: domani mattina alle otto tutti in redazione per concertare il servizio di tre giorni dopo.
Poi, in redazione, direi: come sempre, ricordiamoci che non siamo il telegiornale, quindi andremo in onda quando le notizie saranno state già date in abbondanza, poi lo sapete, non vogliamo né pezzi di colore, né la solita passerella di personaggi, e nemmeno la ripetizione rituale della solita trafila del bene e del male, gli sciacalli e i benefattori, miseria e nobiltà del genere umano che è presente in ogni catastrofe. A 'ste stronzate ci pensaranno gli altri, in tanti.
Quello che dobbiamo fare è un servizio su "questo" terremoto, non su un terremoto in generale.
Quindi, tu e tu, per mezzoggiorno state lì sul posto e cercate tutti gli elementi, le persone, le immagini che facciano capire la differenza tra questo terremoto e altri terremoti successi in questi anni in altre parti del mondo: dico mezzogiorno, perché vi servono almeno due o tre ore per documentarvi sul Giappone o 'n dove cazzo so' successi terremoti del genere. Intanto Roberto e Chiara preparano in redazione un paio di servizi e documentazione sul Giappone e sulla California. ... etc ...
Ti ho fatto un esempio, che per quanto deriva dalla mia esperienza è assolutamente realistico, perfino in qualche nome.
In studio gli ospiti sono elementi come gli altri per "fare" il servizio: io li cercherei in base a ciò che nel lavoro sul campo viene fuori.
Se devo pensare che il mio servizio sia una fase della politica o di qualche altra cosa che non sia giornalismo, vuol dire che sto pensando - o sono costretto a pensare - di fare un altro mestiere.
Ciò non significa chedevo per forza invitare in studio solo chi la pensa come me, o chi mi asseconda nella mia tesi giornalistica: potrei trovare invece interessante mettere a confronto con la crudezza (faziosissima) dei filmati e delle interviste coloro che sono certo che li contesteranno, sentendosene oltraggiati o messi sotto accusa. Sono scelte giornalistiche, ossia conseguenti alla mia idea di "qualità".
Poi dici: il fatto che esistano trasmissioni faziose di colore opposto non è affatto una garanzia di pluralismo capace di "far venir fuori la verità".
Vero, non è una garanzia di pluralismo, ma questo è l'unico pluralismo liberale: non garantito, perché niente è garantito.
Se poi il pubblico dei lettori/spettatori sceglie chi di vedere una cosa, chi l'altra, e basta, è un problema dei lettori/spettatori, ossia un problema della cultura diffusa, che non si "educa" certamente sostituendo al buon giornalismo una forma di giornalismo ecumenico e insipido, o una forma di cerchiobottismo che cerchi di accontentare tutti dando a ciascuno da masticare il proprio pezzetto di liquirizia partigiana.
Pino.
Assolutamente d'accordo. Ormai Ballarò non riesco mai a vederlo per più di qualche minuto, per le precise ragioni che tu hai ben detto, salvo rare eccezioni.
E pure Floris è bravo, si vede che saprebbe e vorrebbe fare di meglio. Fa solo un piccolo passo nella direzione in cui Santoro fa mezzo chilometro: senza riuscire ad evitare di essere chiamato ugualmente fazioso, schierato, capzioso, etc, dalle schiappette politiche di turno.