SE SEI POVERO NON VOTARE J.P.MORGAN
Massimo Malerba Ott 23, 2016
La prima domanda che ogni cittadino dovrebbe porsi guardando al merito della riforma costituzionale è: “A chi serve? A cosa serve?” . Qualche sospetto potremmo averlo guardando agli sponsor più motivati del fronte del Sì: da Confindustria a Marchionne alle grandi banche d’affari.
Nel 2013, la banca d’affari americana J.P. Morgan, pubblicò un documento di 16 pagine in cui venivano riportate le raccomandazioni indirizzate ai paesi dell’Europa del Sud, per tornare ad essere competitivi ed uscire dalla crisi del debito. Dovete liberarvi delle vostre costituzioni socialiste, suggerisce J.P.Morgan. Le riforme strutturali più urgenti, oltre a quelle politiche e istituzionali sono, secondo la banca americana, quelle che favoriscono la riduzione del costo del lavoro, il superamento dei diritti costituzionali dei lavoratori, l’aumento della flessibilità e della libertà di licenziare, la privatizzazione dei servizi pubblici, la deregolamentazione, la liberalizzazione dei settori industriali “protetti” dallo stato. Da questo punto di vista, non è casuale il sostegno di Obama alla riforma di Renzi. Obama appoggia la riforma Renzi non perché tifi per l’Italia (perché mai dovrebbe) ma perché tifa (legittimamente) per J.P. Morgan. Che salverà Montepaschi in cambio della svendita degli asset strategici e dei servizi pubblici italiani che valgono miliardi, ma che Renzi potrà privatizzare solo se passa la riforma del titolo V della Costituzione.
Per realizzare questo disegno c’è bisogno di semplificare i processi democratici e di sintetizzare i rapporti di potere. Da qui tutta la retorica renziana sullo snellimento dell’iter legislativo ma anche la campagna populista sui costi della politica (che non vengono peraltro diminuiti) e di conseguenza sui costi della democrazia.
Pensate all’azione di governo dall’insediamento di Renzi ad oggi. Tutte le sue riforme si ispirano a questo schema, all’alleggerinento dei vincoli sociali e alla cessione di potere dal basso verso l’alto: così è per il Jobs Act o per la Buona Scuola e, infine, per la riforma costituzionale, su cui tornerò tra un attimo analizzando un punto specifico, l’articolo 117.
Prima vorrei ragionare sulla logica politica che ispira la riforma costituzionale (e così tutte le altre riforme di Renzi) al di là dei commi e dei tecnicismi. E’ una logica che risponde principalmente ad un’esigenza, quella di costruire una democrazia decisionista e oligarchica, in cui poche persone, se non addirittura una sola persona al comando, siano in grado di determinare ed imporre le scelte.
Per farlo occorrono però due condizioni: la prima è l’accentramento e la concentrazione del potere nelle mani di un’oligarchia, il controllo degli organi di garanzia e l’annullamento dei contrappesi democratici (cosa che viene garantita dall’intreccio tra riforma e legge elettorale), e la seconda è l’eliminazione di ogni forma di mediazione sociale o territoriale e della partecipazione dei cittadini e dei corpi intermedi della società. La cosiddetta disintermediazione: è il capo che decide e dispone, senza vincoli e condizionamenti. E’ il capo che concede o non concede. Passiamo, per questa via, dall’essere cittadini ad essere sudditi che si rapportano direttamente col potere da una posizione di evidente svantaggio.
Accade col Jobs Act, dove si stabilisce il potere di vita e di morte del Capo sui lavoratori, accade nella Buona Scuola che dà vita alla figura del preside-padrone. E accade anche e soprattutto con la riforma Costituzionale dove un premier o un partito potranno decidere in piena autosufficienza persino se fare una guerra o se abbassare i livelli salariali o le pensioni o se svendere la sanità, a seconda delle esigenze politiche, delle esigenze di bilancio, dei vincoli internazionali o degli interessi della grande finanza. E non è casuale che quelli che ci chiedono di votare Si al referendum sono poi gli stessi che hanno approvato il pareggio di bilancio in costituzione.
Ed è proprio questo che serve a J.P.Morgan e alle oligarchie europee: avere come interlocutore un unico Capo, un esecutore materiale dei diktat della grande finanza, che può sopprimere diritti, privatizzare gli asset strategici nazionali, dall’industria, alla sanità, al welfare, alla previdenza, a tutto vantaggio delle élite finanziarie e senza la scocciatura di doverle discutere con alcuno, nemmeno con le istituzioni territoriali, neutralizzate dalla cosiddetta “clausola di supremazia” e in un quadro di sterilizzazione del dissenso sociale.
E qui vengo all’articolo 117 che “riforma” la potestà legislativa di Stato e regioni (stabilisce cioè chi debba legiferare e su cosa). Se passasse il Sì, molte competenze delle regioni passerebbero dal regime di legislazione concorrente a quello di legislazione esclusiva del livello centrale (altro che rafforzamento del ruolo delle autonomie). In altre parole, il partito che ha vinto le elezioni (magari avendo il 20% dei voti al primo turno), potrà legiferare in via esclusiva sulla sanità, i trasporti, l’energia, le politiche attive del lavoro, la formazione professionale. Potrà decidere, in nome dell’interesse nazionale, se fare una megadiscarica a Gallipoli o a Seriate, o se autorizzare le trivellazioni petrolifere a ridosso delle coste pugliesi o siciliane.
Ed è così che si compie il disegno delle oligarchie finanziarie (del famoso 1% della popolazione, i più ricchi) che consiste nell’accaparramento delle risorse e dei beni comuni a scapito dell’altro 99%, dei cittadini, soprattutto i più poveri. Un disegno che gli italiani hanno capito e stanno capendo man mano che si informano non solo sui contenuti della riforma ma anche sulle sue implicazioni politiche e sociali. A noi tutti, nel nostro piccolo, compete continuare quest’opera di informazione sapendo che la lotta è impari. Sapendo che i nostri avversari hanno dalla loro il potere mediatico, risorse finanziarie illimitate, apparati e persone retribuite, non ultimo il guru americano Jim Messina assoldato da Renzi per vincere il referendum. A ciascuno di noi compete spiegare, casa per casa, che votare No è anche l’unico modo per respingere quest’aggressione. Solo così il 4 dicembre le nostre ragioni riusciranno a prevalere sugli interessi delle oligarchie.
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