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La buona squola

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: La buona squola

Messaggioda mauri il 19/05/2015, 19:11

una visione della scuola che condivido
ciao mauri

http://www.ilciriaco.it/cultura/item/45 ... C3%A0.html
"Buona scuola per me è la capacità di ricreare e di ricrearsi- afferma- Le numerose riforme che si sono susseguite non hanno avuto la lungimiranza di definire come la scuola dovrebbe diventare per essere equa ed inclusiva. E- aggiunge- soprattutto non hanno saputo renderla competitiva. I giovani, oggi come ieri, vengono materialmente imbottiti di sapere e lo schema è sempre il medesimo: spiegazione in classe, compiti a casa, interrogazioni; il risultato è che gli studenti raramente sviluppano un'analisi critica e ancor più raramente riescono a non annoiarsi. Per me un buon insegnante dovrebbe essere come un allenatore, non come un distributore di conoscenze: dovrebbe, cioè, mettere il ragazzo in condizioni correre e saltare in alto con le proprie gambe". In buona sostanza le riforme vecchie e nuove sono divenute un contenitore entro il quale i vizi atavici si sommano e si susseguono. E la 'buona scuola', quella vera, diviene una piccola cattedrale nel deserto. "Arte e musica quasi non vengono considerate cultura nel sistema italiano- aggiunge Berlinguer- Astrattamente si pretende di valutare i meriti, ma poi si trasforma la meritocrazia in un 'mostro' che impone un nuovo sistema di gerarchie. I giovani dovrebbero essere messi nelle condizioni di fare della propria iniziativa, ciascuno secondo le proprie capacità, il nuovo fulcro dell'apprendimento".

http://www.luigiberlinguer.eu/
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Re: La buona squola

Messaggioda pianogrande il 20/05/2015, 0:30

Più che il merito, il metodo etc. quello su cui dovremmo convergere sono i risultati.

Possibile che questo concetto non riesca a passare?

I risultati, gli obiettivi, lo scopo, oggettivamente, obiettivamente, imparzialmente, serenamente .... verificabili.
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Re: La buona squola

Messaggioda gabriele il 20/05/2015, 8:31

pianogrande ha scritto:Se è per questo, esiste anche il traffico di posti tra figli di e lì le cose si complicano ma si può sempre ricostruire.
Ci vorrebbero, ad esempio, dei giornalisti che di mestiere facciano i giornalisti e, magari per hobby, indagini ed inchieste.

Non si può neanche vietare ai figli di di accedere a un posto di lavoro perché sarebbe discriminazione.

Un primo approccio potrebbe essere in percentuale (almeno da un punto di vista di giudizio morale).

Neanche il sistema dei concorsi ha mai risolto questo problema.

Intanto comincerei a legare fortemente ai risultati (oggettivi e verificabili) anche e sopratutto la posizione di preside o meglio le posizioni manageriali in genere.


E' solo una faccia di un più vasto problema di italiota usanza: si fanno le regole, ma nessuno controlla.

Chi controllerà l'operato dei superpresidi?

L'azione della magistratura arriva a seguito di una notizia di reato. Vogliamo lasciare in carico ai carabinieri e alle altre polizie anche questo onere o occorre invece creare un'agenzia apposita che controlli solo ed esclusivamente la regolarità dei concorsi pubblici e delle assunzioni?
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Re: La buona squola

Messaggioda franz il 20/05/2015, 12:29

gabriele ha scritto:Chi controllerà l'operato dei superpresidi?

Per ora esisteno provveditorati e ministeri per cui è ovvio chi controlla i presidi.
Anche i funzionari ministeriali vanno controllati e sottoposti a verifica.
E qui ci potrebbero essere resistenze pari se non superiori a quelle dei docenti.
Ma si deve fare.
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Re: La buona squola

Messaggioda flaviomob il 20/05/2015, 13:01

I test PISA indicano ottime scuole primarie, un buon livello delle "medie" e un crollo nelle superiori. Ma soprattutto una disparità abissale tra territori e contesti sociali diversi.

http://www.linkiesta.it/test-pisa-italia-ocse
Gli indicatori di outcome presentati... sottolineano la estrema polarizzazione esistente nelle nostre scuole: alcune eccellenti, per lo più formate da studenti altrettanto bravi e con docenti e modelli organizzativi funzionali; altre scadenti, composte da studenti svantaggiati, caratterizzate da organizzazioni scadenti e corpo docente da rivedere. Una situazione inaccettabile se abbinata alla constatazione che ciò è in gran parte dovuto a differenze territoriali.



Se, come dalla riforma attuale, aumenterà la concorrenza tra istituti per accaparrarsi i docenti migliori, avremo le scuole dei quartieri benestanti ancora più staccate da quelle "dei poveri".

In una scuola già classista, una misura peggiorativa della situazione!


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Merito a scuola, se l’inclusione produce esclusione

Messaggioda franz il 25/05/2015, 17:58

Merito a scuola, se l’inclusione produce esclusione

di Luca Ricolfi

Non so se l’avete notato anche voi, ma sulle riforme di Renzi sta succedendo una cosa nuova, e piuttosto interessante: la riconciliazione fra nemici di sempre. Ci sono persone che la pensano in modo diametralmente opposto, che non sono mai andate d’accordo su nulla, che hanno visioni del mondo inconciliabili, ma che, d’improvviso, come per miracolo, si trovano dalla stessa parte della barricata, accomunate dal rifiuto per le leggi che il premier si sforza di portare a casa, e qualche volta da qualcosa di ancora più primordiale: la pura antipatia, una sorta di rifiuto antropologico nei confronti del nuovo inquilino di Palazzo Chigi, un atteggiamento che rischia di oscurare anche gli elementi positivi che pure esistono in alcune riforme.

Quello della scuola è, probabilmente, il terreno su cui la convergenza fra nemici è più netta e visibile. E la ragione è presto detta: le riforme di Renzi, qualche timidissimo passo in senso meritocratico lo fanno, mentre il mondo degli insegnanti vede con ostilità qualsiasi meccanismo di valutazione individuale. Era vero una quindicina di anni fa, quando l’idea del “concorsone” per determinare gli aumenti di merito agli insegnanti costò il posto a Luigi Berlinguer, ministro dell’istruzione dell'epoca. Ed è vero oggi, nonostante i meccanismi meritocratici di cui si parla siano meno incisivi di quelli di allora, e il ministro dell’istruzione in carica possa dormire fra due guanciali.

In questo quadro la posizione più curiosa è quella dei sindacati. Accecati dagli slogan renziani, non paiono accorgersi che la sostanza della riforma, quella che determinerà i cambiamenti più tangibili, è di tipo burocratico-assistenziale. Burocratico perché la scuola si prepara a mettere in piedi un elefantiaco apparato di “autovalutazione” (analogo a quello che sta soffocando l'università), che assorbirà una quota sempre maggiore delle energie degli insegnanti, a tutto danno della loro funzione primaria, che è di trasmettere conoscenze, non certo di fare riunioni e compilare “griglie” (che parola orribile!). Assistenziale perché, come ha notato Luisa Ribolzi qualche giorno fa su questo giornale, il cuore della riforma è l’assunzione dei precari, ovvero «un problema del mercato del lavoro intellettuale», non certo l’innalzamento della qualità dell’istruzione. E questo in una situazione in cui l’Europa da anni ci segnala che abbiamo troppi insegnanti e risultati non commisurati alle risorse impiegate, specie in alcune regioni meridionali.

È paradossale: chi ha una visione liberale dell’istruzione è scontento della riforma di Renzi perché di meritocratico vi trova ben poco (dov’è finita l’abolizione del valore legale del titolo di studio?), eppure questo pochissimo è sufficiente a incendiare gli animi di insegnanti, studenti e sindacati.

I quali sindacati, a loro volta, anziché rallegrarsi che in una situazione di “spending review” si trovino risorse per assumere 100 mila precari, trovano che le assunzioni dovrebbero essere ancora di più, in perfetta continuità con le dissennate politiche di spesa che hanno portato l’Italia al disastro.

Ma non voglio inoltrarmi troppo nei meccanismi interni della riforma della scuola, tanto più che non si sa ancora quale sarà il testo di legge finale. Quel che vorrei dire, invece, è come il problema della scuola appare dal mio angolo visuale, che è quello di un professore universitario che la scuola la vede nei risultati che produce, ossia nella qualità dei ragazzi e delle ragazze che si iscrivono a una facoltà. Ebbene, quel che mi passa sotto gli occhi è questo.

Primo. Le matricole che si iscrivono all’università non hanno quasi mai un livello di preparazione corrispondente al titolo di studio che esibiscono. Al termine di un esame, quale che sia stato il suo esito, ho l’abitudine di chiedere allo studente quali studi secondari ha fatto, e che tipo di istruzione ha ricevuto. Il quadro che ne emerge è spesso drammatico: continui cambi di insegnante, insegnanti che saltano completamente parti del programma, insegnanti che infliggono agli allievi le loro personali manie. La autodiagnosi più comune del mio studente è: «non ho le basi».

Secondo. La maggior parte degli studenti non è in grado di scrivere correttamente in italiano, e si perde di fronte a problemi matematici assolutamente elementari. Il lessico è poverissimo, e l’organizzazione logica primitiva o assente. Quando dobbiamo valutare un testo, tipo una relazione o una tesi di laurea, una parte spropositata del nostro tempo va alla mera correzione della lingua. Spesso le università sono costrette a organizzare “corsi di allineamento” per le matricole, al solo scopo di colmare lacune lasciate dalla scuola.

Terzo. Quando ci chiediamo qual è il livello scolastico che ha generato un simile deserto, spesso dobbiamo concludere che non è solo o tanto la scuola secondaria superiore, ma è la scuola dell’obbligo. Le lacune più vistose, ad esempio ortografia e aritmetica elementare, sono chiaramente omissioni della scuola elementare.

Quarto. Quasi tutto quel poco che la scuola ancora insegna, nel giro di pochissimi anni viene dimenticato. Può capitare che uno studente di 19 anni ti dica che sì, certo che quell’argomento lo abbiamo fatto, ma «sono passati già 2 anni», come se fosse normale che quasi tutta la conoscenza evapori (tanto si trova tutto su internet).

Quinto. Gli studenti che, dopo 3 + 2 anni, sono in grado di scrivere una tesi di laurea comparabile a quelle delle due generazioni precedenti sono una infima minoranza. Per vedere qualcosa di leggibile bisogna aspettare la fine del dottorato, il che significa: oggi ci vogliono circa 21 anni per ottenere quello che un tempo si otteneva in 17. Il sistema dell’istruzione, a quanto pare, è l’unico settore in cui la produttività anziché aumentare è in costante diminuzione da decenni.

Si potrebbe continuare, ma vorrei aggiungere solo una considerazione, la più amara ma forse la più importante, almeno per me. È triste vedere tanti ragazzi che non riescono a completare l’università, o addirittura non provano neppure a iniziarla, solo perché la scuola non li ha preparati abbastanza. Si dicono tante belle parole sulla dispersione scolastica, sulla necessità di «non perdere per strada i ragazzi», ma la realtà è che alcuni dei danni cognitivi che noi osserviamo nei ragazzi che frequentano l’università sono irreversibili, e sono quasi sempre il risultato di una scuola che ha abdicato alle sue responsabilità formative. Un malinteso senso di solidarietà, amicizia, e benevolenza verso gli allievi spesso induce gli insegnanti ad abbassare drammaticamente gli standard, con l’idea di includere tutti. Ma noi che osserviamo il segmento terminale di questo processo, siamo purtroppo costretti ad avvertire tutti – ragazzi, famiglie, insegnanti e presidi più o meno “sceriffi” – che è proprio la nostra indulgenza che depriva i ragazzi, nel senso letterale che li priva di possibilità di vita cui avrebbero diritto.

C’è un punto, infatti, oltre il quale l’inclusione si capovolge in esclusione: l’università ha abbassato moltissimo gli standard negli ultimi decenni, ma ci sono limiti sotto i quali non è possibile andare, almeno per le materie scientifiche. E lo stesso vale per un liceo: si può spostare l’asticella sempre più in basso, ma il latino sarà sempre latino, la matematica matematica, la grammatica grammatica. Gli inclusi di oggi sono spesso gli esclusi di domani, e chi miracola un ragazzo che non sa nulla lo condanna ad essere fermato alla stazione successiva.

Di questo, mi piacerebbe che una riforma della scuola si occupasse un po’ di più. Ma capisco Renzi e i politici. In fondo le proteste di questi giorni mostrano che nel mondo della scuola sono altre le cose su cui ci si appassiona e ci si divide: la stabilizzazione dei precari, le carriere degli insegnanti, i finanziamenti alle scuole private, il sacrosanto diritto allo studio. E se queste sono le priorità della società civile, è vano chiedere alla politica di averne altre.

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti ... d=AB7zfrlD
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Re: La buona squola

Messaggioda pianogrande il 25/05/2015, 20:06

Condivido.

Si confonde il diritto allo studio con il diritto alla promozione.

Tra gli insegnanti, invece, si confonde il diritto al lavoro con il diritto di non sbattersi più di tanto.

Manca il senso della responsabilità, nella scuola.

Una commissione ad un esame di diploma dovrebbe essere commissione esaminatrice anche nei confronti degli insegnanti.
Se ci sono studenti che non sanno chi ha scoperto l'America o dicono Romolo e Remolo, in qualche modo, devono andarci di mezzo anche i prof.
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Considerazioni partendo dal database MIUR

Messaggioda franz il 28/05/2015, 10:01

Scuola. I dati del Miur. Ma di che parlano ministri e giornali?

Giuseppe Sandro Mela.

2015-05-26.

Il Miur, Ministero della Istruzione, della Università e della Ricerca ha reso pubblico il proprio database, aggiornato a tutto il 2012.

2015-05-25__Miur__001
Immagine

Di questi tempi nei quali si sta facendo un gran parlare dei problemi della scuola, sembrerebbe che nessuno si degni di ragionare un pochino sui numeri, prime di parlare e di prendere iniziative. Ma i numeri restano, e restano come macigni. A voler essere onesti, si direbbe che ministri, giornalisti e sindacalisti siano non solo colpevolmente disinformati, ma in perfetta malafede.

* * * * *

(1) I dati sono aggiornato a tutto il 9 ottobre 2012. Nell’epoca dell’informatica un simile database potrebbe essere aggiornato anche giorno per giorno. Questo è uno dei tanti segni di una trasandatezza mentale durante la gestione ordinaria del ministero, nonché di scarsa trasparenza.

(2) Il file «alunni_classi» contiene i dati relativi a tutti gli Istituti scolastici, specificatamente il numero di alunni e delle classi.

Numero totale degli alunni: 6,713.438#

Numero totale delle classi: 324,155#

Numero medio alunni per classe: 20.7#

(3). Il file «personale_scuola» contiene i dati relativi al corpo docente ed agli Ata. Ecco i totali.
docenti_maschi_totale 160,610
docenti_femmine_totale 1,103,113
docenti_maschi_sostegno 18,150
docenti_femmine_sostegno 145,746
ata_m 66,928
ata_f 141,605
Totale 1,636,152

Il totale del personale docente ammonta a 1,427,619 unità.

Il rapporto alunni/addetti è 4.1 (6,713.438 / 1,636,152).

Il rapporto alunni/docenti è 4.7 (6,713.438 / 1,427,619).

Il numero dei docenti di sostegno è 163,896, e costituisce il 12.96% del corpo docente.

* * * * *

Considerazioni.

(1). Il rapporto alunni/addetti di 4.1 ed alunni/docenti di 4.7 pone l’Italia al vertice mondiale per tale parametro.

(2). Il numero dei docenti è circa quattro volte superiore a quello necessario nei restanti paese ad alta scolarizzazione.

(3). Che il 12.96% del personale docente sia di sostegno indicherebbe che un’analoga percentuale di alunni sia disabile, fatto difficilmente sostenibile. Gli insegnanti si sostegno sono assunti per chiamata…

(4). Per i risultati didattici che ottiene in media il nostro corpo docente, sarebbe lui a dover pagare per entrare in aula, non lo stato a remunerarli.

(5). Si parla spesso di pari opportunità, quasi invariabilmente a sostenere la necessità di fare assumere più femmine. Bene: il nostro corpo docente nella scuola è composto da femmine al 90%. Qui si pone allora il problema della discriminazione dei maschi. Non solo. Ma se le femmine fossero poi così migliori dei maschi, la nostra scuola dovrebbe fare faville, cosa che i fatti smentiscono.

Come si constata,

un mondo della scuola

di ipocriti corrotti.

→ Sole 24 Ore. 2015-05-23. Cgia Mestre: in Italia la spesa pensionistica è 4 volte superiore a quella scolastica.

Secondo la Cgia di Mestre l’Italia ha la spesa pensionistica più elevata d’Europa (il 16,8% del Pil, pari a poco meno di 270 miliardi di euro all’anno), mentre è al penultimo posto negli investimenti per l’istruzione (il 4,1% del Pil, che equivale a 65,5 miliardi di euro all’anno). In questo settore solo la Spagna presenta uno score peggiore del nostro (4% del Pil). La nostra spesa pensionistica, spiega la Cgia, è 4 volte superiore a quella scolastica.

Il confronto con gli altri paesi europei

Nessun altro Paese dell’area dell’euro presenta uno «squilibrio» così evidente. In Ue, ad esempio, le pensioni costano mediamente “solo” 2,6 volte l’istruzione, in Francia 2,7 volte, mentre in Germania 2,5. «I dati riferiti all’Italia – commenta il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi – sono in parte condizionati dal trend demografico. Tuttavia, non possiamo disconoscere che le politiche di spesa realizzate negli ultimi quarant’anni abbiano privilegiato, in termini macroeconomici, il passato, ovverosia gli anziani, anziché il futuro, cioè i giovani».

Spesa pensioni: aumento record 2003-2013

In Italia tra il 2003 e il 2013 la spesa pensionistica sul Pil è aumentata di 2,6 punti percentuali, attestandosi a quota 16,8%: è il record europeo, con oltre 4 punti percentuali in più della media registrata nell’area dell’euro. In termini assoluti il costo per le nostre casse pubbliche nel 2013 è stato di 269,89 miliardi di euro. In Italia ci sono circa 16 milioni e mezzo di pensionati, contro i 18,4 milioni presenti in Francia e i 23,5 residenti in Germania. Tuttavia, rapportando il numero di pensionati al numero di occupati, il nostro Paese presenta l’incidenza più elevata di tutta l’Europa: 74,3%. A fronte di una media continentale del 63,8%, in Francia il dato si attesta al 72,4% e in Germania al 61,6%.

Diminuisce la spesa per l’istruzione

Per quanto riguarda l’Istruzione sempre tra il 2003 e il 2013, la spesa per la scuola è scesa dello 0,5%. Solo l’Estonia ha “tagliato” di più (0,6% del Pil). In valore assoluto investiamo 65,5 miliardi di euro all’anno che corrispondono al 4,1% del Pil.

http://www.senzanubi.it/home/scuola-i-d ... -giornali/
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Re: La buona squola

Messaggioda pianogrande il 28/05/2015, 11:29

L'aspetto della esclusione dei maschi è davvero macroscopico.
A cominciare dagli asili che si chiamano scuola materna dove quindi l'esclusione è istituzionalizzata e proseguendo con gli istituti magistrali dove i maschi quasi non sono previsti.
Termini come pedagogia per non parlare di puericultura richiamano irresistibilmente la figura femminile.

Il resto lo hanno fatto gli stipendi non eccelsi uniti ad orari ridottissimi.
Ecco che la scuola è diventata la destinazione naturale delle donne che debbono pensare anche alla casa.
Naturalmente è tutta la nostra società che dovrebbe evolversi perché la scuola è una espressione della sua cultura e della sua organizzazione.

Non si può però ignorare il fatto che il corpo insegnante è portato ad accontentarsi di poco.
E' portato a tirare a campare portando a casa quello stipendio con orari ridottissimi (anche meno della metà delle ore di chi lavora in altri ambiti).

L'unica cosa che il corpo insegnante non sopporta è che questo tran tran di basso profilo e di routine in cui si guarda più l'orologio che il registro venga disturbato da gente che vuole vedere, sapere, controllare, valutare.

La reazione umanamente comprensibile potrebbe essere: Ma come? Ci avete abbandonato in un angolo e adesso volete i risultati. Ci avete abituato a una routine rassegnata e sopportata e adesso volete i risultati?

Umanamente comprensibile ma non una giustificazione per difendere questo stato di cose.

A cosa serve la scuola?
Basterebbe questa domanda per tirarsi su le maniche.
Non solo gli insegnanti, naturalmente.
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Re: La buona squola

Messaggioda franz il 28/05/2015, 20:20

pianogrande ha scritto:Non si può però ignorare il fatto che il corpo insegnante è portato ad accontentarsi di poco.
E' portato a tirare a campare portando a casa quello stipendio con orari ridottissimi (anche meno della metà delle ore di chi lavora in altri ambiti).

Tocca a me fare (una volta tanto) l'avvocato del diavolo.
Non si puo' ignorare quanto sia logorante insegnare (30-35-40 anni consecutivi) a bambini e ragazzi spesso maleducati, spesso disadattati, spesso con necessità di sostegno ... che sulla carta esiste (i numeri di cui sopra) ma che in realtà (insegnanti di sostegno) non sono qualificati per esserlo. Sono semplicemente insegnanti piu' incapaci di altri che vengono etichettati come "sostegno" ma che non hanno alcuna reale qualifica per esserlo veramente. Quindi quando te li ritrovi in classe (ufficialmente per aiutarti) c'è solo da mettersi le mani nei capelli.
Se non hai sussidi didattici, se non hai alle spalle un'organizzazione seria ma devi fare tutto tu a casa (e nessuno ti paga per questo e quindi pochi lo fanno) allora insegnare 40 anni nella scuola italiana non dico sia usurante come 30 anni di miniera ma siamo lì. I minatori in fondo fanno un lavoro molto piu' duro ma non hanno a che fare con provveditorati, circolari ministeriali, colleghi scansafatiche e raccomandati, genitori inviperiti perché hai osato mettere una brutta nota a TUO FIGLIO o addirittura bocciarlo.
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