da Salemi il 14/10/2014, 23:16
da gi.bo. il oggi, 20:32
ps. Mettiamoci uno stop poiche stiamo andando O.T.
Forumulivista gi.bo., una sola domanda e poi mi taccio rispettando la tua richiesta.
La tua attuale professione è quella di archeologo o di medium con la passione di archeologo?
La sinistra non esiste più da anni. Si è estinta come si sono estinti i dinosauri. Oggi lo spiega chiaramente anche Franco Cordero su La Repubblica nell’articolo “Il Paese del partito unico”. Oggi siamo all’interno del dominio del partito unico della destra e tutto il resto è archeologia. Dopo due anni di prove prematrimoniali sotto l’occhio vigile di Don Giorgio, l’unione in matrimonio tra i rosa e i blu (Franco Cordero) è avvenuta quest’anno, sempre con Don Giorgio come celebrante. Niente di particolarmente sconvolgente. Non so’ se tu conosci la storia patria. Lo sport principale degli italioti, come ci hai definiti tu, è quello di salire sul carro del vincitore. Nell’aprile del 1945 molti fascisti sono diventati alla bisogna, socialisti, comunisti, democristiani. Adesso stanno facendo il percorso inverso. Questo si era verificato già nel 1922, quando molti socialisti, con l’ex direttore dell’Avanti in testa avevano cambiato casacca. Ma anche Bombacci, fondatore del Pci di Livorno, era passato sotto le file delle camicie nere.
La tradizione è la tradizione e và rispettata. Non si può disattendere lo sport preferito dei Fratelli d’Italia.
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Repubblica 14.10.14
Il Paese del partito unico
di Franco Cordero
MR VANTA uno strepitoso 40.8% alle europee, ma da allora sono avvenute cose influenti sul fronte elettorale. Consideriamole. Veniva alla ribalta sotto il segno della novità: giovane, dinamico, ricco d’apparenti idee, contro l’inetta vecchia guardia; trova sèguito nell’area del disgusto, con qualche riserva sulla figura (boy scout, agonista in tornei televisivi, rampante tra corridoi e piazza). Sconfitto alle primarie dagli oligarchi, li sbaraglia nella rivincita: il partito era uscito male dalle urne; sconta una vocazione a perdere radicata nelle persone; e l’emerso in controtendenza ha gioco comodo verso il governo. Se l’era combinato il neoregnante, rieletto dopo misteriose tresche notturne, chiamandovi Enrico Letta, qualificato dal titolo familiare (è nipote del plenipotenziario d’Arcore), affinché attuasse le famose «larghe intese», ossia un pastiche a tre colori, postcomunista, biancofiore, berlusconiano, mentre l’Italia ha l’acqua alla gola, grave malata sotto l’occhio clinico europeo. Dovendo definire l’irrompente nuovo leader, lo diremmo democristiano evoluto con tenui ascendenze savonaroliane-lapiresche: scaltro, insonne, veloce, famelico, alieno dai dubbi, sicuro d’essere predestinato, ideologicamente amorfo, quindi pronto a muoversi; sa tutto della politica brulicante, avendo scalato le nomenclature in provincia e Comune. Rispetto al governo in penoso marasma, può giocare tre carte: sostenere i tentativi d’uscire dalla crisi; chiedere una svolta strategica; sostituirsi al premier evanescente, fermi restando gli equilibri. Scartiamo la prima ipotesi: non fa del bene gratis; lavora pro se ipso. La seconda mira alle urne, sul presupposto che, visti i pericoli, gl’italiani riscoprano l’organo pensante, ma implica dei rischi. Neapolitanus Rex dixit: terrà vive le Camere; e quando le sciogliesse, sarebbe dubbia la vittoria d’un cartello della sinistra, gravata da cattivo destino. L’aspirante dev’essersi convinto che questa via non conduca a Palazzo Chigi. Meglio entrarvi comodamente, unico possibile demiurgo. L’insuccesso del Nipote gli apre ampi spazi: prima o poi il vento della crisi cade; non consta che sia economista ferrato, e sentendosi irresistibile, prende sotto gamba le difficoltà. In appeal e disinvoltura tattica nessun concorrente lo supera; gl’italiani amano i numeri da palcoscenico; Re Lanterna patisce gli anni; i notabili Pd hanno mutrie poco sopportabili. L’occasione cade dal cielo.
Con questo presumibile interno psichico affoga Letta junior, orfano del sostegno quirinalesco. Bastava una lieve spinta. L’esordio è gaffe sonante, quando dichiara «profonda sintonia» col supremo affarista, formalmente oppositore, i cui disegni viscerali tutti sanno dove mirino. Era sincero. Da allora non è emerso un solo dissenso su questioni capitali. Ante omnia, la giustizia. Era arguibile dai nomi cos’avessero pattuito i due nel colloquio segreto al Nazareno, presente Letta maior: il nuovo ministro, scelto dal Colle, impersona un Pd morbido, leader dei soidisants «giovani turchi» governativi; i due sottosegretari vengono da Arcore (uno s’era distinto a corte affatturando l’espediente del legittimo impedimento nelle cause berlusconiane); e sabato 4 ottobre il guardasigilli ammette che diverse essendo le «sensibilità» nell’équipe, il falso in bilancio non sia incriminabile. Lo sapevamo ma ormai è ufficiale che un corruttore plutocrate abbia autorità dirimente quale patrono del malaffare white collar.
Al trionfo elettorale europeo cooperavano i dissidenti dalla linea berlusconoide e sono voti persi dall’infedele. Quanto attiri i «moderati», lo dicono furie nelle gerarchie forzaitaliote: può mangiarseli tutti; è l’uomo che elettori devoti aspettavano, erede naturale del vecchio monarca, indenne da ripulsioni moralistiche, amicusfamilias del conterraneo Denis Verdini. Nei due partiti, rosa e blu, fermentano dissensi interni e viene fuori l’embrione d’un partito unico. Benestanti in colletto bianco formano un bacino dove pescare. Così esperto della politica brulicante, sente l’erba che cresce. Insomma, ha futuro a destra. Non può riconvertirsi: gli pesa addosso l’accusa d’infedeltà e rischierebbe la fine del predecessore se sfidasse il vecchio diarca, ad esempio su intercettazioni o delitti estinti dal tempo, consegnandosi agli oppositori interni (altrettanto inclini ai patti sotto banco: vedi Bicamerale, D’Alema, Violante ecc.); non sbaglia nella percezione del vento. Ormai esiste in quanto uomo nuovo. I segni lo confermano sulla linea d’una «profonda sintonia». Gli rendono ossequio i soliti panegiristi, particolarmente tra i finti indipendenti attivi nel culto berlusconiano: con tante lodi all’innovatore, diranno che ridisegna la carta politica, essendosi allestito gli strumenti mediante riforme costituzionali; non sono più tempi d’ideologia ossessiva.
Veniamo al verso negativo. Dopo otto mesi dall’insediamento siamo ancora al buio e gl’indici puntano in giù: la spinta propulsiva s’è scaricata in pantomime (quella farsa dei gelati contro l’ Economist ) o formule («task force anticorruzione»: se vuole sradicarla, fornisca l’arma penale; ma divus Berlusco lo vieta); i fatti sono materia dura, ribelle alle parole. Nella fattispecie logorano l’attore. Votassimo domani, quel 40.8% sarebbe un sogno, a meno che rosa e azzurri convolino sotto la stessa insegna. Il partito più numeroso ha buone probabilità d’essere quello dei non votanti. Ora, sotto l’effetto logorante in Rentium, chi ripiglia quota? Vecchio e segnato dai colpi, l’Olonese ritrova gli spiriti animali: oppositori interni non gli fanno caldo né freddo in aritmetica elettorale; e cooperando all’agenda del governo, recupera i carismi nell’opinione cosiddetta moderata. Lo vedono ascendente, condomino palese. Inutile dire chi vi perda: l’Italia svenata dal malaffare cronico; continuando le cose in tale verso, sotto queste lune non basta mezzo secolo a colmare i ritardi dall’Europa in sviluppo economico e intellettuale.