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Dove sono?

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Dove sono?

Messaggioda franz il 12/10/2008, 13:41

gabriele ha scritto:In questo momento storico risponderei prima: chi regola la politica?

Beh, facile rispondere.
In democrazia sono i cittadini (che sono anche lavoratori, imprenditori, studenti, insegnanti, consumatori, risparmiatori).
In dittatura qualche "principe/partito" piu' o meno illuminato.

Preferisco il primo sistema, ancne se non è infallibile. Anzi.

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Re: Dove sono?

Messaggioda gabriele il 12/10/2008, 14:03

Ah, beh! Mi associo.

Però purtroppo però ora come ora ci troviamo in una via di mezzo...molto più tendente al secondo sistema che al primo

E sai qual'è il dramma reale? Che qui da noi sono più popolari gli antiliberali che si spacciano per liberali che gli antiliberali o i liberali stessi

Gabrive

franz ha scritto:
gabriele ha scritto:In questo momento storico risponderei prima: chi regola la politica?

Beh, facile rispondere.
In democrazia sono i cittadini (che sono anche lavoratori, imprenditori, studenti, insegnanti, consumatori, risparmiatori).
In dittatura qualche "principe/partito" piu' o meno illuminato.

Preferisco il primo sistema, ancne se non è infallibile. Anzi.

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Re: Dove sono? (breve storia del mondo)

Messaggioda franz il 12/10/2008, 14:19

annalu ha scritto:Prima di tutto, da dove hai ricavato l’impressione che io parlassi di evoluzione genetica?

Non lo so. ma quello ho intuito dalla tua risposta.

annalu ha scritto:Ora, che l’evoluzione socioeconomica (e culturale) porti ricchezza, non c’è dubbio.
Ma qui ha ragione Piero: il confronto tra ricchi e poveri non può venir fatto tra ricchi di oggi e poveri di ieri, ma tra ricchi e poveri che vivono fianco a fianco nello stesso periodo storico, e godono in modo molto diverso della ricchezza che l’umanità nel suo complesso ha prodotto.

E chi dice il contrario? Forse lo dicono quei pauperisti che insistono sui poveri dell'africa che vivono "con meno di un dollaro al giorno", comparando pere con mele. Ogni comparazione deve essere relativa (al luogo ed al periodo ) ma è chiaro che oggi coesistono realtà diverse e chi vuole esasperare le diversità compara proprio il 20% + ricco con il 20% piu' povero, senza fare le distinzioni che possiamo fare noi.

annalu ha scritto:Qui la colpa è mia, non mi sono spiegata bene.
...
Quando parlavo di aumento del divario tra ricchi e poveri, mi riferivo invece al divario presente all’interno dei singoli paesi. E quello è aumentato senza dubbio, praticamente in tutto l’occidente, e non solo.

Vorrei uno straccio di prova, di dato statistico. Cosa che compete a chi afferma.
Io non sono affatto d'accordo. Se prendiamo periodi adeguati (decenni) e ci limitiamo anche ai soli paesi occidentali, la ricchezza media è aumentata ed è aumentata per tutti. Siccome la povertà è definita in termini realtivi (non assoluti) essa esiste sempre, come fenomeno statistico. Se noi definiamo povero non chi non ha un certo numero di calorie da mangiare ma colui che ha un reddito inferiore al 20 o 25% del reddito medio (quello che appunto aumenta ogni anno) noi avremo sempre poveri, perché qualsiasi curva gaussiana ritaglia una fetta di popolazione con quelle caratteristiche.
Poi nei pasi poveri i poveri sono il 90% del totale, in quelli emergenti sono tra il 40 ed il 50% da noi sono il 10-12%.
Poi un anno con l'altro possono passare dal 11.4 all 11.7% (ignorando che due anni prima erano il 12.1%) ma questo non vuol dire che il trend globale storico non sia verso la riduzione costante della povertà, soprattutto nei paesi in cui il welfare funziona (e l'Italia per me non è tra questi).
Chiaro che poi puo' apparire in aumento la "percezione" della povertà, perché giustamente piu' noi progrediamo e piu' pretendiamo che questo fenomeno debba sparire. Non prendiamocela pero' con l'economia (credevo di essere stato chiaro) ma piuttosto con la politica, vostro che il nostro welfare (per colpe politiche) è inadeguato.
Se poi osserviamo il pianeta, la diminuzione del divario è evidente ed è un fatto cosi' positivo che io accetterei in cambio anche un amuento del divario nei paesi piu' ricchi. Tanto per parlare dell'interesse generale, sia chiaro :)

annalu ha scritto:E qui, anche se non sono stata tirata in ballo personalmente, mi permetto di essere in disaccordo con te.
E’ vero che i paesi del “socialismo reale” hanno potuto avere una grande crescita economica solo in seguito al crollo muro di Berlino, ma non si può cancellare il socialismo semplicemente perché i regimi comunisti erano dittature crudeli.
Il socialismo, il marxismo, sono le teorie che hanno permesso ai lavoratori europei di guadagnarsi condizioni sociali ed economiche più giuste. L’esempio migliore è rappresentato dalle socialdemocrazie europee, ma tutta l’Europa ne ha ricevuto vantaggi: sanità e scuola accessibili a tutti, gli ammortizzatori sociali … o pensi che queste non siano conquiste, ma gentili concessioni dovute alla generosità dei più ricchi?

Annarosa! I piu acerrimi nemici dei comunisti non erano i capitalisti ma i socialisti ed i socialdemocratici (basta rileggere qualche scritto di marx e di lenin per prenderne atto) e questo perché questi movimenti proponevano soluzioni molto diverse e conflittuali tra loro. Oggi tu non mi puo' cercare di salvare il comumismo solo perché la socialdemocrazia si è affermata come modello vincente. Diro' di piu', agli inizi del 1900, con i primi progetti di welfare state (nati in ambito liberale come risposta dello stato all'assistenzialismo cattolico e socialista) i piu' feroci nemici del welfare erano appunto i socialisti (che lo vedevano come un grosso pericolo nel cammino verso lo stato socialista). I comunisti ancora non c'erano (erano solo una piccola setta) e la rivoluzione d'ottobre era ancora lontana. Ma il welfare era osteggiato dai socialisti e sostenuto dai socialdemocratici e dai liberali. Questo per dirti che non puoi dare meriti oggi a chi allora era ferocemente contrario. E quando dico "ferocemente" non esagero perché appunto basta leggere i termini usati dai marxisti contro i rinnegati nemici del popolo (i socialdemocratici) per capire che non puoi ora accumunare la loro posizione con quella delle socialdemocrazie.
Quando alle "gentili concessioni" non ci credo nemmeno io. Ma puo' essere stato un ottimo calcolo economico e politico.
Un buon welfare che funzioni dà risorse ai poveri e questi possono sostenere i consumi. È il modello fordista, di inizio secolo scorso.
Inoltre un welfare che funziona sottrae consenso politico agli estremismi (come era il movimento socialista 100 anni fa) ed alla Chiesa (che proponeva un modello basato sulla carità e sulle sue organizzazioni).

Quindi nessuna concessione ma un buon calcolo. Ed è per questo che il welfare fu osteggiato dai socialisti di allora (cambiarono radicalmente idea solo nel dopoguerra, ma ormai erano tutti socialdemocratici) e dalla chiesa che vedeva erodere il potere delle parrocchie e gli stanzamenti ai suoi istituti caritatevoli.

Consiglio di leggere il Ritter, "storia dello stato sociale" . Parte verso il 1850 e si scoprono cose che a quanto pare sono ignorate anche da chi oggi è informatissimo su mille altre questioni. Ma che storicamente vanno sapute altrimenti si danno oggi giudizi storici errati.

Ciao,
Franz
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Re: Dove sono?

Messaggioda franz il 12/10/2008, 14:30

gabriele ha scritto:Ah, beh! Mi associo.

Però purtroppo però ora come ora ci troviamo in una via di mezzo...molto più tendente al secondo sistema che al primo

E sai qual'è il dramma reale? Che qui da noi sono più popolari gli antiliberali che si spacciano per liberali che gli antiliberali o i liberali stessi

Gabrive

Sono d'accordo sulla tua ultima considerazione ma non sulla prima.
Anche qui in senso storico le democrazie in 100 anni sono aumentate passando da poche decine a un centinaio.
Ovviamente non sono democrazie perfette (ma dove lo sono?) ma innegabilmente sono piu' di prima, soprattutto partendo dalla seconda metà del 1900.
Siamo in una via di mezzo ma credo tenda piu' verso la democrazia.
Motivi? La comunicazione, la globalizzazione dei mercati, delle conoscenze, delle informazioni, dell'economia, della politica.

Ciao,
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Re: Dove sono?

Messaggioda pierodm il 12/10/2008, 17:04

Concordo ancora una volta con Annalu, ma vorrei citare una sua frase specifica per puntualizzare.
La nascita di nuove ideologie utopiche”, dice Annalu, alludendo a regimi del cosiddetto socialismo reale precedentemente nominati.
Colgo l’occasione per dichiarare un mio giudizio, che sostengo praticamente da sempre: il regime sovietico e quello maoista non hanno niente di “utopico”, ma sono anzi improntati ad un rigidissimo realismo.
Sono stati principalmente regimi che avevano come scopo la modernizzazione dei rispettivi paesi, in chiave di industrializzazione.
Entrambi hanno ottenuto lo scopo, più o meno, ma solo per scoprire che l’industrializzazione senza democrazia è una specie di mostruosità: anche lì, comunque, si sono avuti grandi risultati sul piano dello sviluppo.
Soprattutto l’URSS, con tutte le sue antiche e storiche arretratezze, quando è caduto il regime dei soviet, era comunque un paese assai diverso e molto più sviluppato della Russia zarista d’inizio secolo.
Proprio per questo rappresenta un ottimo esempio di ciò che si diceva: l’economia produce ricchezza e sviluppo, ma allo stesso tempo produce anche conseguenze negative, se non vere e proprie tragedie – povertà, consumo dissennato di risorse, sfruttamento di classi subalterne, asfissìa delle libertà civili, etc.
Capisco le ragioni ideologiche che portano ad accettare questa evidenza nel caso dei regimi “comunisti” orientali, mentre si fa una fiera resistenza per ciò che riguarda l’occidente, ma questo doppiopesismo non fa bene alla democrazia, proprio nel momento in cui si vorrebbe esserne i paladini.

Passiamo ora ad un’affermazione di Franz:
Bene, eravamo partiti (in senso generale, non riferendomi ai singoli interventi tuoi o di altri) da una posizione scettica sulla "creazione di ricchezza"… A latere si era inserito il tema che oltre alla produzione (ora assodata) di reddito e ricchezza, ci fosse una produzione di povertà ma vedo che l'aspetto è stato lasciato cadere.
Francamente non vedo né l’una né l’altra cosa.
Nessuno mi sembra che abbia contestato la creazione di ricchezza da parte dell’economia, anche perché sarebbe stupido fare le pulci ad un concetto così evidente, anzi direi perfino ovvio – salvo il fatto che si può discutere su certe forme di ricchezza e sull’effettiva necessità di certi prodotti.
Non mi sembra neanche che sia stata lasciata cadere la “produzione di povertà”, certamente non da me che ho introdotto l’argomento.
In realtà, quando ho puntualizzato questo concetto, non intendevo fare una scoperta particolarmente acuta: mi sembrava un’evidenza ovvia quasi quanto la prima, ossia l’economia che produce ricchezza.
Quello che intendevo era sottolineare la necessità di tener ben presenti entrambe le facce della medaglia, nel guardare la sfera economica: produttrice di ricchezza, ma anche produttrice di innumerevoli problemi, tra cui la povertà – due facce ugualmente importanti, e ugualmente significative, e non l’una considerata identificativa del fenomeno economico, e l’altra di ripiego, confinata alla dimensione etica o assistenziale.

Quindi mi affianco alla prima impressione di Annalu: Franz produce una massa di dati e di ragionamenti che sfondano una porta aperta, quando cerca di dimostrare il ruolo virtuoso dell’economia produttrice di beni e ricchezze, materiali e immateriali, ma sembra teorizzare in forma assai vaga sugli aspetti politici di questo sistema produttivo: esattamente come fanno gli economisti, o meglio ancora i sostenitori duri e puri del capitalismo.
Su questo tema ho già detto nei miei interventi di questi giorni, e non serve ripetere.

Vale la pena invece riprendere l’argomento di Franz, sulla divisione dei ruoli tra economia e politica.
Questa divisione vale – sia pure con le dovute cautele – per un’analisi per così dire “tecnica” dei fenomeni, ma nella realtà operante rischia di apparire assurda. E mi lascia perplesso quello che afferma proprio oggi Veltroni in materia, secondo ciò che è pubblicato sulla Repubblica.
Fare un discorso sintetico non è facile, perché sono troppi e troppo importanti i valori messi in discussione.

Primo.
Se accettiamo una suddivisione così netta – che si vuole netta – si ha il risultato di un sistema tendenzialmente e programmaticamente contraddittorio, se non schizofrenico tout-court, poiché in una società devono convivere due o più centri di potere e più logiche, più “etiche” indipendenti l’una dall’altra, che però insistono sulla medesima massa di persone e sulle medesime esistenze umane, sul medesimo territorio e sul medesimo flusso di risorse.
Una gerarchia tra questi poteri, benché lasciata teoricamente fuori dalla porta, rientrerebbe rapidamente dalla finestra, e l’uno o l’altro reclamerebbe alla fine il suo proprio “primato”: come avviene in effetti, sia pure con l’espediente di dividersi la parti, con la politica che finge di governare, e l’economia che esercita il potere effettivo sulla vita delle persone.

La politica non dica e soprattutto non imponga all'economia come produrre ricchezza, beni, plusvalore”. Dice Franz.
Come sarebbe? La politica può dire “non amazzare”al cittadino generico, ma non può regolare le attività economiche che rischiano di ammazzare nelle decine di modi che si verificano nella pratica? E non deve interessarsi alle conseguenze delle scelte economiche, all’insediamento delle aziende, a come sono reperiti i capitali, alla loro circolazione, alle forme del lavoro, alla contrattualistica di subordinazione, etc?
Una cosa è lo statalismo e il dirigismo, che decide quanti cappelli fabbricare in un anno e magari farli fare in un fabbrica statale, altra cosa è una politica che conosce, s’interessa e interviene in una sfera che riguarda praticamente la totalità dei cittadini, e che determina la loro vita e il loro libertà di fatto e di diritto.

L'economia non dica e soprattutto non imponga alla politica come ridistribuire e trovare soluzioni eque”, dice poi Franz.
Qui il soggetto è assai più indeterminato: chi è “l’economia”?
In genere infatti “l’economia” non dice, ma fa, e mette di fronte a fatti compiuti: è la sua forza.
E’ per altro nella logica economica prescindere dalle soluzioni eque, dato che vale piuttosto il criterio delle soluzioni vantaggiose, o efficienti.
Il valore della “equità” appartiene interamente alla politica.

Il problema delle democrazie borghesi e capitaliste è che devono convivere due opposte logiche, due “etiche”, che però hanno poteri ineguali, o meglio poteri diversi.
L’economia può fare a meno della democrazia, o almeno di molti aspetti della democrazia liberale, e anzi trae vantaggio da una forte limitazione di questi aspetti.
La democrazia – e sul piano spicciolo i partiti di governo – non possono fare a meno del consenso derivante dai vantaggi “regalati” dallo sviluppo economico, lasciando da parte il complesso rapporto tra classi dirigenti e potere economico.

Vedo davanti a me un discorso ancora più lungo e complicato di quelli fatti finora.
Quindi taglio, dicendo che il liberalismo deve ancora scoprire come far fronte a questo incalzare di problemi, dopo che si è deciso di escludere dal tavolo politico il punto di vista socialista, che era intervenuto un secolo fa per consentire al sistema di mantenere una parte delle sue promesse di libertà e di giustizia sociale.
Tirare in ballo l’URSS o la Cina per sgattaiolare dal problema è una follia politica, oltre che un’assurdo logico.
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Re: Dove sono?

Messaggioda franz il 12/10/2008, 17:28

pierodm ha scritto:La politica non dica e soprattutto non imponga all'economia come produrre ricchezza, beni, plusvalore”. Dice Franz.
Come sarebbe? La politica può dire “non amazzare”al cittadino generico, ma non può regolare le attività economiche che rischiano di ammazzare nelle decine di modi che si verificano nella pratica?

Aspetta un attimo, ... mi pareva di essermi espresso in italiano dicendo che la politica deve regolare (e che deve farlo bene) ma non deve dire all'economia come produrre ricchezza. La tua obiezione quindi mi pare non tenga conto di quello che ho detto.
Poi con "economia" intendo il sistema economico (o sotto-sistema, se intendiamo come sistema l'intera società, cosi' per la politica e la cultura (sottosistema politico e culturale).
Chiaro che dovremmo meglio definire cosa sia l'economia ma visto che parliamo di sottosistemi con dei ruoli la definizione è autoesplicitante. Il sottosistema economico è definibile come quella parte della società che si occupa della ottimizzazione della produzione e degli scambi commerciali e come tale produce ricchezza e valore aggiunto.
Sarà tautologico ma l'economia è quello che è. La politica si dovrebbe occupare della ottimizzazione del sistema regolatorio e ridistributivo. Una volta che si definiscono i ruoli, è piu' facile capire che un sistema puo' essere fatto di varie parti con ruoli diversi: motore, trasmissione, volante, sospensioni, cambio. Non ci vuole molto. Mi pare poi che già negli antichi miti romani ci sia una saggia allegoria (con il corpo umano) rispetto all'equilibrio necassario tra le parti ed all'assurdita del predominio di una parte sul tutto.

Ciao,
Franz

Aggiungo che ...

Il problema delle democrazie borghesi e capitaliste è che devono convivere due opposte logiche, due “etiche”, che però hanno poteri ineguali, o meglio poteri diversi.
L’economia può fare a meno della democrazia, o almeno di molti aspetti della democrazia liberale, e anzi trae vantaggio da una forte limitazione di questi aspetti.
La democrazia – e sul piano spicciolo i partiti di governo – non possono fare a meno del consenso derivante dai vantaggi “regalati” dallo sviluppo economico, lasciando da parte il complesso rapporto tra classi dirigenti e potere economico.

Non credo che l'economia possa fare a meno della democrazia perché le libertà economiche vanno di pari passo con quelle politiche e se non vanno di pari passo si arriva poi alla rivolta ed alla rivoluzione cruenta. Vedremo in Cina tra 10 anni. Forse anche meno. Dovranno per forza concedere libertà, piano, con il contagocce (questi comunisti li conosciamo, è difficile che mollino il potere ma per stare a galla qualche concessione devono farla) ed anche a Cuba ci stanno lentamente arrivando.

Tirare in ballo l’URSS o la Cina per sgattaiolare dal problema è una follia politica, oltre che un’assurdo logico.

Bella frase ad effetto ma ... io ho portato dati e numeri sul fatto che il crollo del comunismo ha significato l'aumentio di progresso e sviluppo per quei paesi. Se vuoi sostenere il contrario, devi dimostrarlo. Le frasettine non bastano.
Ultima modifica di franz il 12/10/2008, 18:20, modificato 1 volta in totale.
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Re: Dove sono? (breve storia del mondo)

Messaggioda annalu il 12/10/2008, 18:20

franz ha scritto:I piu acerrimi nemici dei comunisti non erano i capitalisti ma i socialisti ed i socialdemocratici (basta rileggere qualche scritto di marx e di lenin per prenderne atto) e questo perché questi movimenti proponevano soluzioni molto diverse e conflittuali tra loro. Oggi tu non mi puo' cercare di salvare il comumismo solo perché la socialdemocrazia si è affermata come modello vincente. Diro' di piu', agli inizi del 1900, con i primi progetti di welfare state (nati in ambito liberale come risposta dello stato all'assistenzialismo cattolico e socialista) i piu' feroci nemici del welfare erano appunto i socialisti (che lo vedevano come un grosso pericolo nel cammino verso lo stato socialista). I comunisti ancora non c'erano (erano solo una piccola setta) e la rivoluzione d'ottobre era ancora lontana. Ma il welfare era osteggiato dai socialisti e sostenuto dai socialdemocratici e dai liberali. Questo per dirti che non puoi dare meriti oggi a chi allora era ferocemente contrario. E quando dico "ferocemente" non esagero perché appunto basta leggere i termini usati dai marxisti contro i rinnegati nemici del popolo (i socialdemocratici) per capire che non puoi ora accumunare la loro posizione con quella delle socialdemocrazie.
Quando alle "gentili concessioni" non ci credo nemmeno io. Ma puo' essere stato un ottimo calcolo economico e politico.
Un buon welfare che funzioni dà risorse ai poveri e questi possono sostenere i consumi. È il modello fordista, di inizio secolo scorso.
Inoltre un welfare che funziona sottrae consenso politico agli estremismi (come era il movimento socialista 100 anni fa) ed alla Chiesa (che proponeva un modello basato sulla carità e sulle sue organizzazioni).

Quindi nessuna concessione ma un buon calcolo. Ed è per questo che il welfare fu osteggiato dai socialisti di allora (cambiarono radicalmente idea solo nel dopoguerra, ma ormai erano tutti socialdemocratici) e dalla chiesa che vedeva erodere il potere delle parrocchie e gli stanzamenti ai suoi istituti caritatevoli.

Consiglio di leggere il Ritter, "storia dello stato sociale" . Parte verso il 1850 e si scoprono cose che a quanto pare sono ignorate anche da chi oggi è informatissimo su mille altre questioni. Ma che storicamente vanno sapute altrimenti si danno oggi giudizi storici errati.

Ciao,
Franz

Non mi riferivo certo ai partiti comunisti!
I partiti comunisti consideravano nemici i riformisti perché questi volevano ottenere un maggior benessere dei lavoratori senza violenza, mentre i rivoluzionari duri e puri seguivano la teoria del "tanto peggio tanto meglio", che ha prodotto nel tempo tanti danni e tanti lutti.
Quanto alla Chiesa, il discorso è un po' diverso: l'elemosina è una "gentile elargizione", un atto di generosità da parte dei ricchi verso i poveri che tali rimangono. Quello che invece si rivendica è il "diritto" ad un migliore livello di vita, che è tutta un'altra cosa, anche se, in mancanza di stato sociale, la presenza di organizzazioni caritatevoli è sempre meglio di niente.

Però non credo nemmeno al "capitalismo illuminato" che provvede al benessere dei lavoratori, se non in poche isole felici. I lavoratori un livello di vita migliore se lo sono guadagnato con le loro lotte, lotte che creavano problemi ai "padroni" i quali hanno quindi ritenuto meglio scendere a compromessi e trattare condizioni migliori di vita e di lavoro.

Insomma, alla fine lo "stato sociale" che bene o male è presente in tutta Europa lo dobbiamo a coloro che hanno saputo interpretare le teorie del capitale e del lavoro in senso democratico e non rivoluzionario.
I soliti moderati, insomma, quando non sono così moderati da smettere del tutto di protestare e di rivendicare i diritti.

Malgrado tutto, le nostre opinioni sono piuttosto vicine.
Tu sei solo molto più intransigente verso i pionieri delle nuove idee nuove su capitale e lavoro. Loro sono senza dubbio stati degli idealisti feroci, ma forse bisogna anche tener conto di quanto potessero essere "feroci" le condizioni di vita dei lavoratori del primo novecento. Se abbiamo ora tante "morti bianche", quante ce ne saranno state allora? E certo per loro non esistevano assicurazioni sulla vita. Quando le condizioni di vita sono invivibili, una certa dose di estremismo può essere comprensibile.
Diverso è chi continua a praticare quello stesso estremismo, quando la situazione è cambiata ed i disastri e i lutti che l'estremismo provoca non possono avere giustificazione alcuna.

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Re: Dove sono?

Messaggioda annalu il 12/10/2008, 18:32

franz ha scritto:
Tirare in ballo l’URSS o la Cina per sgattaiolare dal problema è una follia politica, oltre che un’assurdo logico.

Bella frase ad effetto ma ... io ho portato dati e numeri sul fatto che il crollo del comunismo ha significato l'aumentio di progresso e sviluppo per quei paesi. Se vuoi sostenere il contrario, devi dimostrarlo. Le frasettine non bastano.


Mi distraggo un attimo, inserisco in ritardo una risposta e trovo che il discorso è andato ben avanti ... per reinserirmi ci devo pensare, ma qualcosa posso dirla subito.
Il crollo del comunismo in Russia ha portato ha portato progresso? Certo, ma non così immediatamente.
La durata media della vita, dopo la disintegrazione dell'URSS, ha subito un calo di circa dieci anni per la caduta del potere d'acquisto dei salari e la disintegrazione del sistema sociale sovietico, e solo dopo ha ricominciato a salire.
E poi, la Russia di Putin non è più l'URSS di Stalin e Breshnev, ma non la giudicherei una vera democrazia.

Quanto alla Cina, non mi risulta che il comunismo lì sia crollato, si sta solo trasformando in mdo imprevedibile e imprevisto, e stiamo a vedere come andrà a finire.

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Re: Dove sono? (breve storia del mondo)

Messaggioda franz il 12/10/2008, 18:41

annalu ha scritto:Però non credo nemmeno al "capitalismo illuminato" che provvede al benessere dei lavoratori, se non in poche isole felici. I lavoratori un livello di vita migliore se lo sono guadagnato con le loro lotte, lotte che creavano problemi ai "padroni" i quali hanno quindi ritenuto meglio scendere a compromessi e trattare condizioni migliori di vita e di lavoro.

Nemmeno io ma è possibile che esistano o siano esistiti liberali lluminati (ok, non in Italia).
Cosi' come esistono quelli meno illuminati ed accecati. Caratteristica che tocca tutte le parti politiche.

Il riferimento al fordismo (oggi finito e superato da tojotismo) non era casuale.
Ford si accorse che se non dava soldi agli operai, pagandoli bene, col cappero che loro avrebbero comprato le sue macchine.
Ovviamente non si tratta di dare soldi gratis ma di darli in funzione della responsabilità e della produttività.
Ma è chiaro che piu' soldi vanno ai lavoratori e maggiori sono i consumi e/o i risparmi.

annalu ha scritto:Malgrado tutto, le nostre opinioni sono piuttosto vicine.
Tu sei solo molto più intransigente verso i pionieri delle nuove idee nuove su capitale e lavoro. Loro sono senza dubbio stati degli idealisti feroci, ma forse bisogna anche tener conto di quanto potessero essere "feroci" le condizioni di vita dei lavoratori del primo novecento.

Ok, non siamo molto lontani, anzi molto vicini ma le "nuove idee" che citi senza esplicitarle e che io non vedo oggi nel panorama politico mi confondono, perché poi fai rimento alle condizioni di un tempo, e quindi a "vecchie idee". Ora io non nego che il socialismo reale sia stato, nell'arco dei 50-70 anni in cui è stato imposto con la dittatura, un vantaggio sia pur minimo per quei popoli. La Russia zarista era piu' arretrata della russia sovietica. Nel cambio un po' ci hanno guadagnato. Ma in 70 anni hanno fatto progressi "100" mentre il mondo faceva 700 (per fare un esempio) tanto che una volta abbandonato il sistema comunista di gestione e programmazione dell'economia le loro economie sono partite come delle F1. Un segno che il sistema comunista (abolizione della proprietà privata, dittatura del proletariato, pianificazione politica dell'economia con i piani quinquennali nazionali) noto anche come "capitalismo di stato" è fortemente sub-ottimale rispetto al sistema capitalistico normale (privato con piu' o meno regolazione statale).

Poi le condizioni sul lavoro, i morti, i disastri econogici, la miseria ... fruto di quelle "vecchie idee" non ce la raccontavano tutte. La dittatura vive di propaganda. Solo nel campo ambientale io ho potuto toccare con mano nel 1990 cosa hanno fatto i sovietici negli anni 80, cose che qui mai sarebbero state permesse! Discariche tossiche a cielo aperto (anche nucleari), che loro stessi non sapevano come trattare. Tanto avevano ampi spazi! Non ci mettevano soli i dissidenti, anche i rifiuti.

Comunque se si sono "nuove idee" siamo qui per discuterne criticamente.

Ciao,
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Re: Dove sono?

Messaggioda franz il 12/10/2008, 18:52

annalu ha scritto:Il crollo del comunismo in Russia ha portato ha portato progresso? Certo, ma non così immediatamente.
La durata media della vita, dopo la disintegrazione dell'URSS, ha subito un calo di circa dieci anni per la caduta del potere d'acquisto dei salari e la disintegrazione del sistema sociale sovietico, e solo dopo ha ricominciato a salire.
E poi, la Russia di Putin non è più l'URSS di Stalin e Breshnev, ma non la giudicherei una vera democrazia.

Quanto alla Cina, non mi risulta che il comunismo lì sia crollato, si sta solo trasformando in mdo imprevedibile e imprevisto, e stiamo a vedere come andrà a finire.

annalu

Vero, dopo un disastro la ripresa non è immediata.
Prediamo il nostro caso. La guerra è finita nel 1945. Il boom economico inizia 10~15 anni dopo.

La Cina riamane uno stato comunista (per la direzione politica dittatoriale ad opera dell'unico partito e senza libere elezioni) che pero' ha adottato il capitalismo privato come modello di sviluppo.
Quindi ha abolito la proprietà privata e permesso le società per azioni, con capitale misto.
In pratica ha adottato il capitalismo senza pero' mollare il potere.

La Russia ha seguito una strada diversa. Prima le graduali riforme democratiche (con gorby, eltsin, putin) e poi l'economia, senza gestione (e con molto potere mafioso).
Con il risultato che la democrazia è ancora imperfetta (qui sono d'accordo) e l'economia appare in ritardo, salvo per il grosso comparto energetico, su cui hanno puntato quasi tutto.

Il modello cinese è opposto. Niente libertà democratiche ma quasi tutte quelle economiche, con il risultato che l'economia è esplosa ed ora iniziano le tensioni (prima scintila con tien-ammen, poi il tibet, il resto prima o poi verrà) sul fronte delle libertà politiche e civili.

Sul lungo periodo credo che lo stop che ha vissuto la russia all'inizio nella sua transizione verso la libertà lo avrà anche la Cina alla fine e che entrambe le nazioni arriveranno ad esisti abbastaza simili.
Solo che la Cina temo avrà un periodo cruento e violento quando un miliardo e trecentomilioni di cinesi (mica bruscolini) vorranno la libertà. Quando succederà il mondo vivrà una crisi che quella di oggi è nulla in confronto, se i dirigenti cinesi non molleranno alvolo le poltrone e non avranno preparato una transizione "dolce" e graduale verso la democrazia.

Ciao,
Franz
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