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Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda Stefano'62 il 23/03/2012, 14:23

franz ha scritto:Già ma si vede benissimo che i limiti messi in Italia sono tali che ora siamo nel guano, per usare il temine più pulito che trovo e le imprese se ne vanno o chiudono. Contenti voi :(

L'Italia è la patria del precariato.
Quindi per definizione di limiti non ce ne sono.
O meglio ce ne sono solo di due tipi.
I primi sono di ordine selettivo,che imbrigliano gli imprenditori più deboli cui frega una sega dell'art 18
Il secondo limite è la mafia,anzi LE mafie,anche quelle senza lupara che fanno altrettanti danni.
E di interventi in questi due ambiti non ce n'è alcuna traccia nè alcuna intenzione di farli,basti pensare ai veti posti dal pdl (ma non solo) sulle concussioni sui traffici di influenze e via dicendo (anche quelli li chiede l'Europa,come mai Monti applica una solerzia selettiva nel soddisfare solo le richieste che gli pare ?).
Cercare di eliminare i veri problemi del lavoro intervenendo sull'articolo 18,equivale a cercare di invadere la Cina ammassando truppe attorno a San Marino.
O si è stupidi,oppure quello è l'obiettivo inconfessabile.
matthelm ha scritto:Le generalizzazioni non andrebbero mai fatte. Gli "imprenditori" che fa il paio con "padroni" non sono tutti uguali! La stragrande maggioranza di loro vivono con l'impresa, rischiano e di questi tempi molti hanno svenduto o chiuso le loro aziende per rigidità insopportabili. E' così difficile capire che ogni parte sociale ha la sua importanza e se il "padrone" non riesce più a lavorare il primo danneggiato sarà il lavoratore onesto. Si perché di lavoratori disonesti, lazzaroni, e chi più ne ha più ne metta, ce ne sono e questi sono parassiti inamovibili! e certo sindacato li difende a prescindere. Caspita sono tessere. e dei dipendenti statali cosa ne diciamo? Specie protetta. Ma perché mai, non sono lavoratori come gli altri? La spiegazione c'è ed è lampante: fanno numero elevato, assieme ai pensionati!, nelle tessere sindacali! Non si sapeva?

Tutto vero,ma che c'entra con loro l'art 18,che tra l'altro non difende i lazzaroni nè i disonesti ?
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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda franz il 23/03/2012, 14:31

Stefano'62 ha scritto:L'Italia è la patria del precariato.
Quindi per definizione di limiti non ce ne sono.

Il precariato (per pochi, circa 2 milioni) è stato inventato, purtroppo dal centrosinistra prodiano (leggi Treu), proprio per non toccare la rigidità del mercato del lavoro tutelato dall'art 18.
Quindi è frutto di una politica malsana fatta per non mettersi di traverso a CGIL, FIOM e dalla sinitra malpancista del PD.
Ultima modifica di franz il 23/03/2012, 14:39, modificato 1 volta in totale.
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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda franz il 23/03/2012, 14:37

flaviomob ha scritto:Molte imprese andavano a gonfie vele negli anni ottanta, nonostante esistesse l'articolo 18. L'azienda dove lavoravo io passò da 10 a 16 dipendenti e non vi furono grossi traumi dovuti al superamento del limite di 15 che portava all'obbligo di reintegra.

ma vogliamo ragionare una volta tanto o facciamo solo propaganda?
È chiaro che quando la congiuntura è favorevole non ci sono problemi. Dove lavoravo nel 1978, siamo passati da una cinquantina a quasi 500 in 5 o 6 anni. Non ci vuole molto a capire che il problema dei licenziamenti non si presenta quando la cose vanno bene ma quando vanno male. E che proprio per questo servono ammortizzatori sociali anticiclici.
Ma chi ha detto NO a questo preferendo la difesa ad oltranza del "posto di lavoro"?
Sempre i soliti. La sinistra operaista e sindacale. La quale giustamente fa il suo mestiere, sia chiaro e tutela gli interessi dei suoi iscritti. Ma l'interesse del paese per me è un altro.
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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda Stefano'62 il 23/03/2012, 14:42

franz ha scritto:
Stefano'62 ha scritto:L'Italia è la patria del precariato.
Quindi per definizione di limiti non ce ne sono.

Il precariato (per pochi, circa 2 milioni) è stato inventato, purtroppo dal centrosinitra prodiano (leggi Treu), proprio per non toccare la rigidità del mercato del lavoro tutelato dall'art 18.

Non è vero.
E' stato inventato per fare le riverenze a chi vuole manodopera facile e per sdoganare la sinistra agli occhi di quei settori sociali che la vedono ancora come forza politica estrema,perchè non capiscono la differenza tra liberalismo e liberismo.
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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda flaviomob il 23/03/2012, 14:55

Se gli ammortizzatori sociali durano un anno, è chiaro che per il 50enne/60enne espulso dal mondo del lavoro non ci sono tutele adeguate. Ripeto: se si sceglie il modello tedesco, si importa in toto, non a spizzichi e... bocconi!
Non si fanno le nozze coi fichi secchi, se si sceglie la flessibilità in uscita ci vuole un welfare completamente diverso. A fronte del carico fiscale che il lavoro dipendente è costretto a subire (mentre altrove l'evasione va a mille), meriterebbe una tutela molto più sviluppata. Allora si potrebbe accettare una maggior flessibilità in uscita.
Fermo restando che se un'azienda viene condannata dal magistrato per un licenziamento ex articolo 18 per motivi economici, significa che i motivi economici sono falsi.
Quindi, come giustamente si è sottolineato altrove, mischi le mele con le pere caro Franz, perché è evidente che se un'azienda è in congiuntura sfavorevole è in grado di dimostrarlo.
Del resto la tendenza ad applicare l'ideologia del "cazzi loro", che tanto ti è cara, è già evidente in questo governo quando si tratta di lavoratori "anziani" esodati:

http://www.report.rai.it/dl/Report/punt ... refresh_ce

Con la riforma Fornero, dal primo gennaio del 2012 la pensione sarà definitivamente calcolata con il sistema contributivo: tanto versi tanto prenderai. Nelle conferenze stampa che l’hanno annunciato, è stato presentato come il sistema più equo e giusto per tutte le generazioni. Primo effetto dell’allungamento dell’età pensionabile sui lavoratori (mobilitati e esodati) che avevano accettato di lasciare prima il posto nelle loro aziende in crisi con la garanzia della pensione al compimento del 40esimo anno di età lavorativa: resteranno dai 2 ai 10 anni senza pensione e senza lavoro. Su 70.000 si salveranno, forse, in 20.000. Chi ha cambiato datore di lavoro, passando dal pubblico al privato, dovrà ricongiungere i contributi se vuole la pensione piena (quella che viene data a chi è sempre rimasto nello stesso posto). La ricongiunzione verso l’Inps, che è sempre stata gratuita (perché peggiorativa), è diventata onerosa: devi ripagare i contributi due volte. C’è chi si è visto arrivare conti che arrivano fino a 300.000 euro, a fronte di stipendi da 2000 euro al mese lordi. Per i giovani invece qual è il quadro? Chi apre una partita iva, il primo anno di lavoro paga il 28% all’Inps, più l’anticipo per l’anno a seguire. Cioè se incassa 11 mila euro ne pagherà 4000 solo di contributi. Con il risultato poi che la sua pensione non supererà quella sociale.
Le casse degli ordini professionali invece sono state privatizzate e gestiscono un patrimonio che prima era pubblico. Il contributo che chiedono ai propri iscritti raggiunge al massimo il 20%, mentre ci sono delle agevolazioni per i più giovani. Gli agenti di commercio sono obbligati alla doppia contribuzione: Inps ed Enasarco. Solo a Roma Enasarco ha 15.000 appartamenti da dismettere. Poi ci sono i liberi professionisti iscritti ad un ente ed obbligati a versare i contributi ad un altro. La puntata fornirà numeri e procedimenti per orizzontarsi nella confusione che sta togliendo il sonno a qualche milione di persone.


-

Ultime dichiarazioni

Bersani: "sull'articolo 18 si intervenga in Parlamento o le Camere sono inutili".
D'Alema: "Il governo dovrà adeguarsi alla volontà delle Camere".

===

Vedi anche

http://www.globalist.it/Detail_News_Dis ... ppo-teneri


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda franz il 23/03/2012, 15:36

Stefano'62 ha scritto:Non è vero.
E' stato inventato per fare le riverenze a chi vuole manodopera facile e per sdoganare la sinistra agli occhi di quei settori sociali che la vedono ancora come forza politica estrema,perchè non capiscono la differenza tra liberalismo e liberismo.

Già e i lavoratori della SEA di Malpensa, licenziati perchè filmati a rubare nel bagaglio dei passeggeri e reintegrati dal giudice chi li ha inventati?
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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda franz il 23/03/2012, 15:41

flaviomob ha scritto:D'Alema: "Il governo dovrà adeguarsi alla volontà delle Camere".

Questo è chiaro ed è giusto.
Vedremo pero' se la volontà di queste camere, che sappiamo che maggioranza esprimono, sarà uguale a quella della CGIL. o della sinitra del PD. Io lo dubito.
Questa riforma è un punto di equilibrio e contiene tante ottime cose.
Il PD sa che non puo' buttarla all'aria e far cadere il governo.
Bersani lo sa e anche Monti.
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Due pregi, molti difetti (Boeri eGaribaldi)

Messaggioda franz il 23/03/2012, 15:57

“LA RIFORMA DEL GATTOPARDO” di TITO BOERI e PIETRO GARIBALDI da La Repubblica del 22 marzo 2012

La riforma del lavoro che si va delineando ha due pregi e molti difetti. Il primo pregio è nel metodo. Sancisce, almeno sulla carta, la fine del diritto di veto delle parti sociali, che è cosa diversa dalla concertazione. Il lungo negoziato si concluderà senza firma delle parti sociali ma con un verbale in cui si annotano le differenti posizioni. E poi il governo procederà comunque. Staremo a vedere se il Parlamento permetterà all´esecutivo di intervenire senza il consenso delle parti sociali. Sembra, infatti, che si procederà non per decreto – come sin qui previsto nel caso di accordo – ma per legge delega e sappiamo quanto lungo, tortuoso e spesso inconcludente sia il processo di attuazione delle leggi delega. Ad ogni modo la novità è importante e positiva: le parti sociali non possono porre il veto su materie di portata così generale.
Il secondo pregio è nell´ampiezza della riforma.

I problemi da affrontare erano quattro
1) l´entrata nel mercato del lavoro
2) la cosiddetta “flessibilità in uscita”
3) il riordino degli ammortizzatori sociali e
4) il dualismo fra lavoratori precari e lavoratori assunti con i contratti di lavoro a tempo indeterminato.

La riforma indubbiamente affronta tutti questi temi.
Purtroppo questa ampiezza avviene a scapito della profondità e si ha come l´impressione di un intervento voluto dal Principe di Salina, “affinché tutto cambi perché nulla cambi”, per accontentare gli investitori esteri con il tabù infranto dell´articolo 18 e l´opposizione ricercata della Cgil (segnale del fatto che “è una riforma vera”), ma volendo di fatto conservare lo status quo. Vediamo perché, iniziando dalla flessibilità in uscita, dall´articolo 18.

La riforma dell´articolo 18 non riduce l´incertezza per le imprese dal partecipare alla roulette russa del licenziamento. La nuova norma – stando a quanto dichiarato dal ministro Fornero e ai testi circolati sino ad oggi – lascia in vigore il fronte esistente tra licenziamento giuridicamente legittimo e illegittimo, ma apre un nuovo fronte che sin qui non c´era: quello della distinzione fra licenziamenti economici individuali e licenziamenti disciplinari. Fino ad oggi il lavoratore licenziato in maniera illegittima non aveva interesse a chiedere di far valere la distinzione fra licenziamento disciplinare e licenziamento economico. Con la nuova riforma questa distinzione diventa cruciale. Col licenziamento disciplinare, infatti, il lavoratore è maggiormente compensato e, giudice permettendo, può essere reintegrato. La distinzione fra licenziamento economico e disciplinare è nella pratica molto labile. Chi è davvero in grado di stabilire se un lavoratore è poco produttivo perché lavora male (licenziamento disciplinare) o perché inserito in un´unità in crisi in cui non può “dare di più” (licenziamento economico)? In verità tutte e due le ragioni sono sempre vere, altrimenti l´azienda non lo avrebbe licenziato. Per questo il contenzioso inevitabilmente finirà per riguardare anche la qualifica, economica o disciplinare, del licenziamento.

Insomma, con la riforma si trasferisce un potere enorme ai giudici che, d´ora in poi, dovranno prendere le seguenti decisioni. Se il licenziamento è legittimo o illegittimo. Nel caso in cui fosse illegittimo, se è discriminatorio o non discriminatorio. Nel caso in cui non sia legittimo e non discriminatorio, se il licenziamento è economico o disciplinare. Nel caso in cui il licenziamento sia disciplinare, se si deve imporre la reintegrazione o solo il risarcimento del lavoratore.
Si aumenta così l´incertezza del procedimento e molto probabilmente la sua lunghezza. Chi guadagnerà veramente da questa riforma non saranno nè le imprese, nè i lavoratori, bensì gli avvocati specializzati in cause di lavoro.

Sugli ammortizzatori sociali non c´è allargamento nella platea dei potenziali beneficiari, estesa dalla riforma ai soli apprendisti e artisti-dipendenti, meno di 250.000 persone in tutto. I lavoratori a progetto e i precari continueranno ad essere esclusi dagli ammortizzatori. Non c´è neanche il promesso riordino degli strumenti esistenti. Non verrà abolita la cassa integrazione straordinaria, né di fatto verrà soppressa la cassa integrazione in deroga, destinata a trasformarsi in un ampio numero di fondi di solidarietà, presumibilmente uno per settore produttivo. Non viene abolito il sussidio di disoccupazione a requisiti ridotti e l´indennità speciale per i lavoratori agricoli e nell´edilizia, che servono oggi per lo più a integrare i salari di chi già lavora, piuttosto che ad aiutare chi ha perso il lavoro e ne sta cercando un altro. La recessione non è comunque il momento migliore per avviare queste riforme. Si rischia, infatti, di far decollare nuovi strumenti che sono strutturalmente in passivo e che richiederanno, ben oltre la recessione e la “paccata di soldi” data oggi, trasferimenti dalla fiscalità generale.

La riforma ridurrà in parte le differenze tra lavori precari e non. I lavori precari costeranno di più in termini di contributi, sia nel caso di contratti a tempo determinato che di lavori a progetto. Questa avviene aumentando il cuneo fiscale, la differenza tra costo del lavoro pagato dalle imprese e reddito netto percepito dal lavoratore. Nel caso di un vero riordino degli ammortizzatori, l´aumento dei contributi sarebbe potuto apparire ai lavoratori come un premio assicurativo piuttosto che una tassa. Così il legame fra contributi e prestazioni sarà tutt´altro che evidente.
In assenza di un salario minimo, nel caso di lavoratori a progetto e altri lavoratori parasubordinati, il maggiore carico contributivo potrà facilmente essere fatto pagare al dipendente sotto forma di salari più bassi. I lavoratori parasubordinati stanno già ricevendo lettere dai datori di lavorano in cui si annunciano riduzioni del loro compenso nel caso di riforme che aggravino i costi delle imprese.

Il meccanismo di entrata principale sarà quello dell´apprendistato. è un contratto che offre poche protezioni durante il periodo formativo, perché può essere interrotto al termine del periodo di apprendistato senza alcun indennizzo. Inoltre si applica soltanto ai giovani fino a 29 anni, mentre oggi più del 50 per cento dei lavoratori precari ha più di 35 anni. Inoltre le parti sociali si aspettano un alleggerimento fiscale per l´apprendistato. Quello di aver aperto il portafoglio è stato forse il maggiore errore negoziale fatto del governo, poiché non è servito nemmeno a “comprare” il consenso delle parti sociali. E avrà effetti negativi sul deficit di bilancio.

In conclusione, gli interventi sul dualismo possono peggiorare la condizione dei lavoratori duali e aggravano i costi delle imprese senza offrire una vera e propria nuova modalità contrattuale in ingresso. Tutto questo rischia di ridurre fortemente la domanda di lavoro. La vera sconfitta e il vero paradosso sarebbe proprio quello, che la grande riforma non solo cambi tutto per non cambiare nulla, ma addirittura riduca il numero dei lavoratori occupati.

“LA RIFORMA DEL GATTOPARDO” di TITO BOERI e PIETRO GARIBALDI da La Repubblica del 22 marzo 2012
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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda pianogrande il 23/03/2012, 17:13

Le generalizzazioni non andrebbero mai fatte. Gli "imprenditori" che fa il paio con "padroni" non sono tutti uguali! La stragrande maggioranza di loro vivono con l'impresa, rischiano e di questi tempi molti hanno svenduto o chiuso le loro aziende per rigidità insopportabili. E' così difficile capire che ogni parte sociale ha la sua importanza e se il "padrone" non riesce più a lavorare il primo danneggiato sarà il lavoratore onesto. Si perché di lavoratori disonesti, lazzaroni, e chi più ne ha più ne metta, ce ne sono e questi sono parassiti inamovibili! e certo sindacato li difende a prescindere. Caspita sono tessere. e dei dipendenti statali cosa ne diciamo? Specie protetta. Ma perché mai, non sono lavoratori come gli altri? La spiegazione c'è ed è lampante: fanno numero elevato, assieme ai pensionati!, nelle tessere sindacali! Non si sapeva?
A mia consolazione leggo su internet: Napolitano si esprime sulla riforma: «Non stiamo aprendo ai licenziamenti facili». Se lo dice lui c’è da crederci. . Oppure per certa sinistra conservatrice anche il nostro Presidente è con i “padroni”?[


Matthelm

Un po' di generalizzazione, davanti a milioni di casi, come si fa a non farla?
Anche credere a Napolitano è una generalizzazione.
Io ho il massimo rispetto per Napolitano e per gli imprenditori.
Ne ho tantissimo anche per i dipendenti e per i fatti.
Ci sono i lavoratori disonesti e ci sono gli imprenditori disonesti.
Per questo ci devono essere anche le regole.
Gli imprenditori dovrebbero essere sottoposti tutti alle stesse regole.
Questo, però, non avviene ed è il primo fattore di crisi.
Chi non paga le tasse (e sono tantissimi) fa concorrenza sleale a chi le paga.
Chi è esposto alle mafie affoga non certo per colpa dei dipendenti.
Chi prende gli appalti pagando mazzette fa concorrenza sleale etc. etc.
Non li invidio certo gli imprenditori ed il termine padrone non fa parte del mio vocabolario.
Almeno non nel senso che tu gli attribuisci.

Non è continuando a scaricare le tensioni tutte sugli ultimi (i dipendenti) che i problemi si risolvono.
Lo stile dell'inaffidabile e sgusciante Marchionne, ormai, dovrebbe aver fatto scuola.

Piantiamola poi, una buona volta, con il termine conservatori.
I veri conservatori di questo paese sono i cosiddetti liberi professionisti (hanno anche la faccia di bronzo di autodefinirsi tali) che hanno garanzie blindatissime e appena sfiorate anche dal Monti della equità e del rigore.
I veri liberi professionisti sono, ormai i lavoratori dipendenti che, in grandissima parte, non sanno cosa sarà di loro la settimana prossima.

Le parole sono importanti.
Fotti il sistema. Studia.
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Come l’asino di Buridano ...

Messaggioda franz il 23/03/2012, 18:09

“L’AGITAZIONE DELLE ANIME” di MICHELE SALVATI dal Corriere della Sera del 22 marzo 2012

Si raccoglie quello che si è seminato. Per ragioni evidenti — il legame con la Cgil, ma anche convinzioni antiche di una parte della sua dirigenza — sul tema della riforma della legislazione del lavoro il Pd ha lasciato convivere al suo interno posizioni molto diverse, l’anima di Damiano e l’anima di Ichino, per ricordarne gli esponenti più noti. Come l’asino di Buridano, tra queste anime non ha mai deciso e le ha lasciate polemizzare al suo interno. Quando è stato al governo ha sempre evitato di porre il tema sul tappeto nei suoi aspetti più ostici. Quando al governo era Berlusconi, questi si è ben guardato dall’affrontare il problema: in altre faccende affaccendato, egli ha seguito la sua ben nota strategia di galleggiamento e quieto vivere. Ad affrontare il toro per le corna c’è voluto Monti, e ora il Pd è nei guai.

Questo è un brutto momento per fare «la» riforma della legislazione del lavoro. Ciò che veramente incide sulle condizioni di benessere dei lavoratori — quelli che già sono occupati e quelli che vogliono entrare nel mercato — sono i livelli e la dinamica dell’occupazione, della domanda di lavoro: quando questi sono sostenuti, ci saranno assunzioni massicce, licenziamenti scarsi, e i licenziati in un’azienda troveranno facilmente lavoro in un’altra: l’articolo 18 interessa allora a ben pochi. Le cose stanno in modo diverso quando l’occupazione è scarsa e la domanda di lavoro è fiacca, se non addirittura in regresso. È la situazione attuale e temo che sarà destinata a durare per molto tempo, perché una ripresa economica non è in vista. In questa situazione ciò che influisce sul benessere dei lavoratori sono le garanzie di sostegno del reddito nel caso non si trovasse o si perdesse il lavoro: è questo che interessa, assai più dell’articolo 18. Qui però ci si scontra con il secondo motivo che rende il momento poco adatto alla riforma: la scarsità di risorse finanziarie disponibili per un ridisegno robusto degli ammortizzatori sociali.

Ma i momenti per riformare spesso non si scelgono, si verificano, e bisogna coglierli al volo. Di una riforma che aggiornasse la nostra obsoleta disciplina avevamo un grande bisogno: non solo perché ce la chiedono l’Europa e i mercati, ma per le iniquità e gli ostacoli allo sviluppo che essa contiene. Il centrodestra e il centrosinistra che abbiamo conosciuto non l’avrebbero mai fatta e, se rimanessero gli stessi, mai la farebbero in futuro: bene hanno dunque fatto Monti e Fornero a proporla. La riforma è solo abbozzata.

Alcune misure mi convincono, altre meno. Oltretutto non si tratta di un testo definitivo ed è probabile (anzi, sperabile) che il Parlamento lo discuta a fondo e dunque alcune misure vengano riformulate. E qui, forse, il Pd può recuperare in extremis quella credibilità che le sue incertezze hanno sinora appannato. Può farlo, però, solo se l’asino di Buridano decide a quale mucchio di fieno rivolgersi, se a quello riformista o a quello della conservazione sindacale: concentrarsi sull’articolo 18 e definire la sua riforma come «pericolosa e confusa», come ha fatto D’Alema, non è un buon segno. Così come non lo è avanzare l’argomento della sacralità della concertazione. La concertazione all’italiana è stata una fase della nostra storia recente, motivata da circostanze eccezionali e ci voleva un governo frutto anch’esso di circostanze eccezionali per ribadire un principio costituzionale ovvio: che il governo ascolta e discute con i rappresentanti degli interessi — e questo governo ha ascoltato e discusso —, ma poi propone al Parlamento un testo legislativo. E il Parlamento decide.

“L’AGITAZIONE DELLE ANIME” di MICHELE SALVATI dal Corriere della Sera del 22 marzo 2012
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