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Accordo FIAT: la solita CGIL

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda ranvit il 11/01/2011, 14:01

Si, il tutto è abbastanza sensato e condivisibile. Tranne quando si mette in discussione l'autonomia di un'impresa. Io impresa investo se ho la sensazione di poter guadagnare, viceversa non investo....semplicemente. La certezza del lavoro dipendente non esiste. E' lo Stato che deve creare le condizioni perchè ci sia lavoro e/o comunque garantire ai cittadini un minimo vitale.
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda matthelm il 11/01/2011, 14:33

Riflettiamo se anche in altri paesi europei come Germania, Francia, Inghilterra o Spagna accadono queste cose.

La posizione della Fiom/Cgil sarebbe sbugiardata ed isolata come estremista. Qui invece la condiamo con i soliti appelli di intellettuali "al caldo", articoli di partecipazione che "non costano nulla", appelli alle libertà più varie come se la controparte "vampiresca e padronale" avesse come suo unico scopo accanirsi contro i lavoratori proletari.

Non in questi termini si dovrebbero affrontare queste questioni che hanno problematiche ben esulano dal nostro pur amabile orticello.

Se vincesse la Fiom cosa pensate ne verrebbe alla classe operaia di buono da una fabbrica chiusa.

La fiom, secondo me consciamente, sta ponendo uno spartiacque tra una sinistra di governo e una sinistra estremista. Questo si riverserà inevitabilmente anche sul Pd. Scelte chiare in questo contesto determinerebbero anche scelte politiche chiare su programmi e alleanze di governo.
Temo che, se anche stavolta, il Pd tentenna e se sbaglia non recupererà più, buttando all'aria tutte le premesse promesse alla sua nascita.
"L'uomo politico pensa alle prossime elezioni. Lo statista alle prossime generazioni".
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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda cardif il 11/01/2011, 15:59

Le parole "Si, il tutto è abbastanza sensato e condivisibile" mi fanno pensare ad un riferimento al mio commento.
Però queste altre parole "Tranne quando si mette in discussione l'autonomia di un'impresa" mi fanno pensare di no, visto che io ho scritto: "... datore di lavoro, che fissa autonomamente le linee di sviluppo dell'azienda,..."

Che faccio? Chiarisco? Invito a leggere meglio? Faccio polemica con lo strabismo di destra?
(chissà se l'altra suocera ha inteso)

Sto scherzando! Si può?
Ma mo' mi so' capito bene?
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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda ranvit il 11/01/2011, 17:30

Io leggo già..... "meglio".


Il problema è che c'è contraddizione tra "Il referendum di Mirafiori nei termini posti, o è sì oppure niente investimenti e quindi tra poco si chiude, è inaccettabile;" e "tra datore di lavoro, che fissa autonomamente le linee di sviluppo dell'azienda"....delle due l'una : o l'azienda nel fissare autonomamente le linee di sviluppo puo' decidere anche di non investire o il non investire è inaccettabile....mettiamoci d'accordo.

Vittorio
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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda pierodm il 11/01/2011, 17:35

Per soddisfare la curiosità di qualcuno su Gran Bretagna, Germania, etc.

We want sex
di Luca Telese - il Fatto

Andate, se non ci siete ancora riusciti, a vedere “We want sex”. Non è un film sul porno californiano – come qualcuno potrebbe dedurre dal titolo – ma una memorabile commedia che racconta con ironia britannica e il sapore del melodramma agrodolce, la storia vera, e quasi eroica, delle operaie inglesi della Ford in lotta per la parità di salario. Due notizie, per i non sindacalizzati e i non eruditi di storia del lavoro: contrariamente a quanto suggerirebbe il buonsenso, e per quanto possa sembrare inverosimile, fino al 1969, le donne, nel Regno Unito, erano pagate metà degli uomini, a parità di lavoro. E così il racconto inizia con lo spaccato di un mondo: la fabbrica che non esiste più, la comunità operaia al femminile, il lavoro nei capannoni in reggiseno e sigaretta, la dialettica complessa con il sindacato in pantaloni, quello degli uomini.

A me è successo, da un certo punto in poi, di ridere e di piangere. La commozione partiva dalla storia, ma anche dalla sua incredibile collisione con la realtà che stiamo vivendo. Venerdì si vota per il referendum a Mirafiori, si vota sotto il ricatto del prendere o lasciare, e quando – quasi a fine film – ascoltiamo il discorso del direttore della Ford alla ministra laburista (che, al contrario di Fassino, di Chiamparino e di tutti gli altri diminutivi dell’opposizione che non c’è, non si fa incantare), pare di sentire un copione scritto, parola per parola, dal pensiero unico marchionnemente scorretto che ha invaso i giornali: “Vogliono diritti? Ma noi non possiamo darglieli. E se loro insisteranno nel rivendicarli, caro ministro, vorrà dire che sposteremo la produzione altrove, e la responsabilità sarà vostra”.

Mi venivano in mente tutte le panzane che ci hanno raccontato sulla Fiat nell’ultimo anno: prima i 20 miliardi di investimenti promessi in Italia (curiosamente ne hanno annunciati solo 1 miliardo e settecento, ma non c’è uno straccio di riformista che abbia chiesto che fine abbiano fatto gli altri 18 che mancano all’appello). Prima ci hanno detto che bisognava chiudere Termini Imerese perché era un impianto immerso nell’arretratezza della storia siciliana. Poi hanno colpito Pomigliano, imponendo un contratto lacrime e sangue. E – non dico i partiti di centrodestra – ma i leader del centrosinistra (con l’unica eccezione di Vendola e Di Pietro) ci spiegavano: è vero, è una limitazione di diritti, ma è solo lì, a Napoli, perché dopotutto quelli sono terroni e non vogliono lavorare. E se si chiedeva a Bersani che indicazione di voto dava il suo partito, rispondeva così: “Penso che gli operai di Pomigliano sappiano cosa votare” (marchionnemente, nemmeno la sibilla cumana).

Quella di Pomigliano doveva essere un unicum, una sospensione delle regole provvidenziale e necessaria, che alla fine avrebbe favorito la classe operaia.

Non sono passati nemmeno sei mesi, ed è arrivato “il terzo caso unico”. Non più nel sud in cui tutto viene giustificato con stereotipi neorazzisti e paraleghisti, ma nel cuore della storia industriale italiana, a Mirafiori, nella fabbrica che (non secondo la Fiom!) per l’Unione industriali ha un tasso di assenteismo che è più basso della media di tutte le industrie del Piemonte. Scriverò in un altro post l’idea che mi sono fatto di questa operazione apparentemente incomprensibile. Qui invece voglio ritornare a una scena del film. Quando dopo mesi di sciopero le donne sono stremate, i mariti rumoreggiano, i sindacati vogliono mollare le neo-suffragette, perché il corporativismo rischia sempre di vincere sulla solidarietà. I dirigenti della Ford, ricorrendo alle schedature, vanno a caccia dell’“Anello debole”. Ovvero del modo per far tornare al lavoro almeno una delle scioperanti. Scoprono che una di loro ha un sogno segreto: fare la modella. Le propongono il servizio di lancio della nuova Escort, come testimonial, a patto che interrompa lo sciopero. Quando la leader della protesta lo viene a sapere, va a cercare l’amica nella fabbrica deserta, trasformata in un piccolo photo set per lei. Interrompe il servizio, le parla, dialogo drammatico. Poi dissolvenza. Sarà riuscita a convincerla? La scena riprende con la ragazza, coperta solo di una succinta pelliccia che torna sul set. Il direttore della Ford dall’alto della balconata sorride. Il fotografo pure. Ma la ragazza allarga la pelliccetta e…. sulla pancia c’è scritto con il rossetto lo slogan della protesta: “Equal pay”, parità di salario.

Ecco, le operaie britanniche quella battaglia la vinsero, e ti si stringe il cuore di tenerezza quando le vedi nei titoli di coda, le vere protagoniste, oggi diventate tutte indomite nonnine. Come sarebbe bello, se nel film che si deve ancora girare, raccontando di questo incredibile, ricattatorio referendum, scoprissimo che gli operai di Mirafiori, stremati da un anno di cassa integrazione (lavoreranno solo questa settimana, quella del voto, per benevolo incentivo dell’azienda) sono riusciti a non piegare la testa. Dipinti come fannulloni, ma in realtà affezionati alla loro fabbrica più dei padroni e dei manager che si sono avvicendati in questi anni. Costretti ora con il coltello alla gola, a dire sì ad un contratto che (molto democraticamente) cancella la rappresentanza dei sindacati che non sottoscrivono l’accordo (incredibile ma vero) e cancella le elezioni interne (incredibile ma altrettanto vero) anche per quelli che lo sottoscrivono: i delegati, se passa il sì, saranno designati dall’alto, come i nominati del parlamento, e non si voterà mai più nessuna rappresentanza.

Ieri, nella puntata di “In Onda” che abbiamo dedicato alla vertenza, c’era ospite Carlo Callieri, il dirigente Fiat che organizzò la marcia dei 40mila del 1980, che gridava a Giorgio Airaudo (il responsabile auto della Fiom) con una espressione terribilmente dickensiana: “Sarete sconfitti con un largo margine! Sarete battuti! Sarete cancellati dalla fabbrica!”. Il volto affabile del riformismo confindustriale, insomma. Ho sentito Airaudo, che era al mio fianco in studio, ruggire con un sorriso in volto: “Dottor Callieri! La Fiat nel 2004 l’abbiamo salvata noi. Quanto alla Fiom, c’era cento anni fa quando lei non era ancora nato, e per fortuna ci sarà anche fra cento anni quando lei non ci sarà più”.

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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda pierodm il 11/01/2011, 18:10

Si, il tutto è abbastanza sensato e condivisibile. Tranne quando si mette in discussione l'autonomia di un'impresa

Autonomia di un'impresa?
Parliamone.

Un'impresa in generale - una grande impresa, specialmente - non è mai autonoma, nel senso che è staccata dal contesto territoriale, dalla cultura del paese dov'è nata e si è sviluppata, dal mercato sul quale riversa i propri prodotti.
Un'impresa non è solo il frutto dei soldi che servono a metterla in piedi: tuttavia, anche se così fosse, probabilmente nemmeno quei soldi provengono dal nulla, nel senso che sono "autonomi" dalla storia e dall'umanità che li ha prodotti.
Una grande impresa si nutre della fatica e della vita di chi ci lavora e ci ha lavorato, dell'intelligenza dei suoi quadri e dei progettisti, della scuola che formato i suoi operai, delle infrastrutture che ne hanno consentito l'esistenza materiale e le intreconnessioni con il tessuto produttivo nazionale e internazionale.
Una grande impresa è facile, anche, che abbia goduto di una legislazione di favore.
Oltre che usufruire di finaziamnenti - spesso miliardari - elargiti dallo stato, ossia dall'intera comunità dei cittadini.

La Fiat è, in questo senso, una delle meno "autonome" delle grandi industrie italiane ed europee, specialmente per gli ultimi due punti elencati.

Fino ad un certo punto della storia tutto questo era un vincolo naturale, oltre il quale il capriccio del capitale non poteva andare: ce n'era certamente l'aspirazione più o meno segreta, ma "delocalizzare" era quasi impossibile, e dunque l'impresa doveva fare i conti con i suoi obblighi sociali.
La globalizzazione ha reso possibili i sogni di chi investe capitali e di chi gioca in Borsa la vita degli altri, e ha messo nelle loro mani un'arma di ricatto formidabile. Ha azzerato in un colpo solo cento, duecento anni di progresso occidentale e di storia.

La cosa grottesca, tuttavia, non è la sodisfazione golosa con la quale i giocatori di Borsa si sono buttati sull'opportunità offerta, perché questo c'era da aspettarselo.
La cosa grottesca è il codazzo di gente che investitori non sono, capitalisti nemmeno, e che tuttavia si spellano le mani nell'applauso, in nome di una condizione sociale e di lavoro che torna ad essere quella di un'elemosina elargita secondo il capriccio del "padrone". Naturalmente, poiché sono passati gli anni e siamo diventati più raffinati, il padronato non esiste, la parola "padrone" è demodé: adesso si chiama più elegantemente "autonomia dell'impresa".
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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda matthelm il 11/01/2011, 18:14

Che dire? vista la premessa ero quasi spaventato nel cominciare a leggere l' articolo di Telese.

Siamo nel 2011, nel pieno di una crisi mondiale. La situazione è particolarissima e difficile che rasenta il drammatico.
Ne teniamo conto o giochiamo all'italiana visto che noi siamo i più furbi del mondo?
Ultima modifica di matthelm il 11/01/2011, 18:44, modificato 1 volta in totale.
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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda ranvit il 11/01/2011, 18:37

Autonomia di un'impresa?
Parliamone.






Abbastanza d'accordo su che cosa è una grande impresa e anche sulle conseguenze della globalizzazione dell'economia (ma non della politica).

E.....quindi?

Da questo discende forse che se un'azienda decide di andare altrove qualora non ci fossero le condizioni, non lo puo' fare?

Le analisi sono condivisibili, sono il cosa fare che ci divide...


Vittorio
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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda cardif il 11/01/2011, 18:44

Non capisco:
La prima frase è relativa al referendum: va bene che il datore di lavoro dica 'o accettate col referendum le condizioni economiche e di lavoro che io sono disposto a concedere, oppure chiudo'? Secondo me, no perché, senza limitazioni di legge, potrebbe chiedere quel che vuole, e sarebbe un ricatto. Visto il post precedente, potrebbe chedere che le donne accettino metà stipendio dei maschi altrimenti chiude, per esempio?
La seconda è relativa all'indipendenza dell'imprenditore nelle strategie aziendali (investimenti, ampliamenti; anche chiusura, se per esempio l'azienda è in passività o le conviene traslocare all'estero). I dipendenti non possono imporre niente a lui: investire, ampliare, non chiudere. E pure l'imprenditore non può imporre le condizioni economiche e di lavoro che vuole per non chiudere, pena lo sfruttamento del lavoratore ed un regredire di decenni, in assenza di diritti minimi stabiliti per legge.
Altrimenti non c'è parità tra le parti: chi domina e chi soccombe. Io sono agnostico, ma per chi è cattolico questo dovrebbe porre anche qualche problema morale oltre che di equità, secondo me.
Dov'è la contraddizione? Non ci vedo incoerenza.
Che poi possa intervenire il governo a tutelare il lavoratore (coi paracaduti per il lavoratore o con incentivi all'azienda perché non chiuda) è un altro discorso. Solo che oggi un governo non c'è (non è che dando la CIG risolve il problema; lo sposta solo più in là); oppure non vuole. C'è solo Sacconi che fa il tifo per Marchionne: non è granché come piano del governo per l'industria.
p.s.: sono rimato indietro, sono giunti altri commenti mentre scrivevo questo. pardon
Ma mo' mi so' capito bene?
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Re: Accordo FIAT: la solita CGIL

Messaggioda ranvit il 11/01/2011, 19:00

Non mi pare che la Fiat stia dicendo "o accettate col referendum le condizioni economiche e di lavoro che io sono disposto a concedere, oppure chiudo". Sta dicendo che vanno eliminati alcuni privilegi (presenti solo in Italia) che impediscono una vita aziendale paragonabile (e quindi competitiva) a quella degli altri Paesi....

Di che stiamo parlando? Di un'ipotetica situazione in cui un'azienda puo' non rispettare le leggi? Ma chi ha mai sostenuto questo?
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