Continuo a non capire il senso di quello che dice Luca: sarà certo colpa mia, ma sarei bugiardo se dicessi di capire per un puro gesto di cortesia.
Non capisco più ormai nemmeno chi ha detto che cosa, specialmente tra le diverse citazioni - escluso Jabbar, come ho detto.
A me sembra piuttosto farraginosa la confusione tra pluralismo e multiculturalismo: il primo è uno schema organizzativo, giuridico e istituzionale di stampo prettamente politico, il secondo è un fenomeno storico e sociale "oggettivo", nel senso che segue tempi e meccanismi che solo in via marginale possono essere "guidati" e "governati" da un programma politico.
Quindi - come dicevo nel mio poist precedente - solo il pluralismo può eventualmente "fallire", nel senso strumentale e utilitario, mentre l'altro fenomeno semplicemente "è": ciò significa che la società multiculturale (prendendo per buono il senso "statico" di questa definizione) può soltanto piacere o non piacere, ma non essere giudicata "utile" o inutile, efficace o inefficace, specialmente se un simile criterio di giudizio si manifesta in un ambito e con finalità politici.
E' possibile, infatti, valutare in senso "finalistico" il fenomeno delle interazioni e coesistenze culturali solo su un piano "filosofico", ponendo come obiettivo della storia dei popoli un grado convenzionale di "felicità" o di "ricchezza" o di "potenza" - e già dev'essere fatta un'adeguata distinzione tra questi tre valori, che segnano tre diverse interpretazioni del rapporto tra i popoli.
Comunque, a prescindere dalle opinioni di Sartori o di chiunque di noi, il mondo, l'Italia e l'Europa continuano inesorabilmente ad essere multiculturali - anche se spesso assai poco pluraliste.