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Legge su omofobia: "battaglia" per che cosa?

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Legge su omofobia: "battaglia" per che cosa?

Messaggioda gabriele il 24/05/2011, 14:49

matthelm ha scritto:Vedi Gabriele, lo ripeto per l'ultima volta,non è un mio punto di vista perché i Costituenti l'avevano pensata così la famiglia e il matrimonio.
Le forzature e le ipocrisie si possono fare, ciò non toglie che rimangano tali.
Tu leggi cose che non esistono. Fattene una ragione... coraggio.


Ah ah ah! :D più che una ragione devo farmi una santa pazienza. Ma non importa. Ora però so che ai tempi della costituente c'era anche Matthelm ;)
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Re: Legge su omofobia: "battaglia" per che cosa?

Messaggioda franz il 24/05/2011, 20:41

gabriele ha scritto:Ah ah ah! :D più che una ragione devo farmi una santa pazienza. Ma non importa. Ora però so che ai tempi della costituente c'era anche Matthelm ;)

Ragione o pazienza, fa poca differenza (e fa rima ;) ).
Il termine "coniugi" viene dal latino, come saggiamente fatto notare, e quindi da un periodo, ben prima della nostra Costituzione, in cui non vi era dubbio alcuno sul fatto che a sposarsi (coniugarsi) erano esclusivamente persone di sesso diverso e non strettamente imparentate. Normalmente le costituzioni adottano i termini secondo i significati in voga enon credo che nel dopoguerra fosse all'ordine del giorno l'idea (in italia come altrove) di matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Il che non vuol dire che non ci si possa arrivare adesso, senza usare la costituzione come alibi pro o ariete contro.

Se non sbaglio qui si stava parlando di omofobia, non altre forme di matrimonio/patto/unione.

Franz
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Re: Legge su omofobia: "battaglia" per che cosa?

Messaggioda flaviomob il 25/05/2011, 0:19

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.

Bertolt Brecht


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Re: Legge su omofobia: "battaglia" per che cosa?

Messaggioda gabriele il 25/05/2011, 18:19

franz ha scritto:
gabriele ha scritto:Ah ah ah! :D più che una ragione devo farmi una santa pazienza. Ma non importa. Ora però so che ai tempi della costituente c'era anche Matthelm ;)

Ragione o pazienza, fa poca differenza (e fa rima ;) ).
Il termine "coniugi" viene dal latino, come saggiamente fatto notare, e quindi da un periodo, ben prima della nostra Costituzione, in cui non vi era dubbio alcuno sul fatto che a sposarsi (coniugarsi) erano esclusivamente persone di sesso diverso e non strettamente imparentate. Normalmente le costituzioni adottano i termini secondo i significati in voga enon credo che nel dopoguerra fosse all'ordine del giorno l'idea (in italia come altrove) di matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Il che non vuol dire che non ci si possa arrivare adesso, senza usare la costituzione come alibi pro o ariete contro.

Se non sbaglio qui si stava parlando di omofobia, non altre forme di matrimonio/patto/unione.

Franz


Francesco, di termini latini se ne usano in abbondanza. Il diritto ne è pieno, ma non per questo mi sognerei, e sono sicuro che non lo faresti nemmeno tu, di usare tali termini in funzione della loro origine storico-etimologica, semmai invece per il loro significato.

Aldilà di quello che volevano i membri della Costituente, cosa che a te sembra chiara e semplice, il significato di "coniugi", che se ne voglia o meno, va inteso in funzione del modus vivendi contemporaneo e, come è gia stato fatto notare nel forum, l'omosessualità non è un fenomeno contemporaneo come non lo è l'omofobia.

Il mio post iniziale comunque era solo una utile puntualizzazione per aprire nuove prospettive di riflessione. All'incirca come sono state sviluppate in molti altri paesi civili del mondo dove a farla da padrona è il senso dello stato diritto piuttosto che di quello etico.

So che in Italia la cosa è molto ardua e ovviamente lo sanno anche le coppie omosessuali che intendono unirsi e convivere perché lo provano sulla loro pelle. Per tale motivo è importate iniziare un percorso sociale che favorisca le unioni per via contrattuale al di fuori del percorso matrimoniale. Insomma, un passo alla volta.
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Re: Legge su omofobia: "battaglia" per che cosa?

Messaggioda flaviomob il 25/05/2011, 21:23

Matrimonio tra persone dello stesso sesso: ecce wikipedia.

http://it.wikipedia.org/wiki/Matrimonio ... esso_sesso

Il matrimonio fra persone dello stesso sesso, spesso indicato come matrimonio omosessuale[1] o impropriamente matrimonio gay, è espressamente disciplinato dalla legge di diversi Paesi.
L'apertura del matrimonio alle coppie dello stesso sesso è in tutto il mondo una delle principali rivendicazioni della militanza omosessuale. Tale richiesta politica nasce dall'esigenza di eliminare completamente dalla legislazione la disparità di trattamento fra unioni eterosessuali e unioni omosessuali, sul presupposto che il rapporto omosessuale sia una sana espressione della sessualità e che il diritto al matrimonio sia un diritto individuale inalienabile della persona.


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Re: Legge su omofobia: "battaglia" per che cosa?

Messaggioda matthelm il 26/05/2011, 13:45

wikipedia? niente di nuovo è un'opinione come altre.

Io apprezzo questo testo:


La famiglia nella Costituzione Italiana

La nostra Costituzione dedica alla famiglia una serie di disposizioni (gli artt. 29-
31 e 37), tra loro strettamente connesse, dalle quali si trae una serie di fondamentali
indicazioni circa la sua natura e rilevanza giuridica e i limiti di intervento del legislatore
in materia, anche in relazione alla questione dell’eventuale rilevanza giuridica di altre
forme di convivenza, che risulta al centro del dibattito attuale.
Va evidenziata innanzitutto la centralità che assume, oggi come allora, la scelta
fondamentale compiuta dai nostri costituenti di inserire la famiglia nella Costituzione,
scelta che ha poi qualificato la successiva evoluzione dell’ordinamento in materia.
Non si trattava di una scelta scontata, anzi essa andava contro tutta la nostra
tradizione costituzionale e legislativa. Lo Statuto Albertino (1848), che per oltre un
secolo aveva rappresentato la Costituzione del Regno d’Italia, aveva sempre ignorato la
famiglia. Lo Stato liberale, pur tutelando la famiglia l’aveva relegata nel codice civile
(1865), ossia tra gli istituti e i rapporti di diritto privato, valorizzando di essa soprattutto
quegli aspetti di natura patrimoniale derivanti dal matrimonio che segnarono il
fondamento della famiglia borghese a partire dal Codice napoleonico del 1804, al quale
si ispirarono le successive codificazioni europee dell’Ottocento. Il regime fascista aveva
invece adottato una concezione pubblicistica della famiglia (resta emblematica la teoria
istituzionista di Antonio Cicu) ma asservendola ai fini propri dello Stato, arrivando al
punto di prevedere il dovere dei genitori di educare e istruire la prole, oltre che in base
ai “principi della morale”, in conformità al “sentimento nazionale fascista” (art. 147
cod. civile del 1942 nel testo originario).
Distaccandosi da tali precedenti, i nostri costituenti intesero invece riconoscere
la famiglia come realtà originaria e primigenia rispetto allo Stato, ma al tempo stesso,
trattandone nell’ambito dei “Rapporti etico-sociali” (Titolo II, Prima parte) insieme alla
scuola (artt. 33-34), ne riconobbero le fondamentali e peculiari funzioni per la
promozione e lo sviluppo della persona umana.
Il problema si pose all’inizio del dibattito in Assemblea quando V.E. Orlando
presentò nella seduta del 23 aprile 1947 un famoso ordine del giorno in cui si proponeva
la cancellazione degli articoli dedicati alla famiglia e l’eventuale inserimento di una
parte del loro contenuto all’interno di un Preambolo della Carta. Dopo un acceso
dibattito la maggioranza, in cui confluirono i costituenti cattolici e le sinistre, respinse
l’o.d.g., Cosi facendo l’Assemblea manifestò chiaramente la sua volontà di inserire la
famiglia tra le istituzioni cardine del nuovo assetto costituzionale anche nella
prospettiva della difficile ricostruzione del tessuto economico e sociale del paese,
sottolineandone la specifica rilevanza sociale e valoriale.
Nella Costituzione, quindi, la famiglia rileva non come istituzione posta a
fondamento dei rapporti economici della società, secondo quella concezione di matrice
liberale che ispirava il codice civile, né in funzione dei preminenti interessi dello Statoapparato, ma essenzialmente, secondo la sua realtà originaria, come comunità naturale
costituita dall’unione tra un uomo e una donna, con assunzione di reciproci diritti e
doveri mediante il matrimonio, ove si sviluppa la persona umana in un contesto di
reciproca solidarietà tra più generazioni.
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Re: Legge su omofobia: "battaglia" per che cosa?

Messaggioda flaviomob il 26/05/2011, 17:39

BIOETICA
SU SE STESSO, SUL PROPRIO CORPO E SULLA PROPRIA MENTE, L’INDIVIDUO È SOVRANO
JOHN STUART MILL, LA LIBERTÀ


SABATO 6 GIUGNO 2009

La famiglia come «società naturale»
Contro la possibilità del matrimonio omosessuale viene spesso invocato da alcuni il primo comma dell’art. 29 della Costituzione:

La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
L’aggettivo «naturale», si sostiene, limiterebbe l’applicazione dei diritti alle unioni eterosessuali; queste sole, appunto, sarebbero «naturali», nel senso di «normali» o di appartenenti a un mondo «naturale» contrapposto al mondo umano, ovvero a uno stato di natura contrapposto a quello di cultura. Questa però è una versione «ingenua» ed essoterica dell’argomento, contro la quale è fin troppo facile obiettare che «normale» è concetto troppo vago per avere una qualsiasi utilità morale o giuridica, e che l’omosessualità preesiste alla nascita della cultura e dell’uomo stesso (i famosi pinguini omosessuali...). In realtà, la versione originale del richiamo alla naturalità, quella che usano gli autori più smaliziati, è che per «natura» si deve intendere la finalità essenziale dell’uomo, una potenzialità intrinseca che tutti sarebbero tenuti a rendere attuale; per cui, per esempio, dall’esistenza di sessi opposti si deve dedurre che solo l’unione eterosessuale – l’unica conforme alla legge naturale, all’ordinamento essenziale del mondo – è buona. Tutto ciò che in natura o nella società contraddice questa finalità è per costoro un’aberrazione senza significato.
Ma esiste almeno un altro senso della parola «naturale»: ed è quello di pregiuridico, di qualcosa che precede lo Stato ed esiste indipendentemente da esso e dalle sue leggi. Con questa accezione si vuole il più delle volte rendere chiaro che fonte del diritto non è esclusivamente lo Stato, e che le leggi hanno una loro fonte di legittimazione antecedente, per cui ad esempio sarebbe giusto e doveroso condannare e combattere lo Stato che decretasse la liceità del furto o dell’omicidio. Se fosse questo il senso, non sarebbe certo immediato dedurre dall’art. 29 la proibizione del matrimonio omosessuale. Se tutti gli esseri umani aspirano «naturalmente» – cioè indipendentemente dalle concessioni dei loro governanti – a costruirsi una famiglia; se abbiamo esempi anche antichi di famiglie omosessuali (si pensi, per la stessa Italia, alle coppie costituite da donne omosessuali, comuni e non troppo nascoste anche in un passato non recentissimo); allora non si vede perché il dettato costituzionale non si debba applicare, nella mutata sensibilità odierna, anche al matrimonio omosessuale. Anzi sarebbe forse da considerare incostituzionale l’attuale limitazione; e non solo a norma degli artt. 2 e 3 della Costituzione, ma paradossalmente anche dello stesso art. 29, che parla della famiglia (senza ulteriori specificazioni) come di una associazione indipendente dallo Stato, che lo Stato non può disconoscere.
In che senso, dunque, la Costituzione parla di «società naturale»? È ovvio che nessuno dei Costituenti aveva in mente la possibilità del matrimonio fra omosessuali; ma la Carta – se vogliamo che la Costituzione sia viva e parli anche per l’oggi – va interpretata nel significato letterale del suo testo, senza restringere la denotazione dei termini da essa impiegati a quella intesa dagli autori originali. Tuttavia, quando – come in questo caso – esiste una controversia sulla connotazione di un’espressione, che può essere intesa in sensi anche opposti, pare inevitabile fare ricorso alle discussioni dei padri costituenti, per trovare un punto comune di partenza all’interpretazione.
Qui di seguito registro pertanto i più significativi interventi in sede di Assemblea Costituente, tutti rigorosamente di esponenti della Democrazia Cristiana. Mi sembra che le conclusioni da trarne siano abbastanza univoche.

Giorgio La Pira, 6 novembre 1946:
Sin dall’inizio dei lavori della Sottocommissione, nella stesura della Costituzione, si è detto che la fondamentale preoccupazione è quella di negare la teoria dei «diritti riflessi», che fu il fondamento dello Stato fascista. Lo Stato fascista, infatti, aveva come suo fondamento la teoria giuridica che tutti i diritti sono creati e concessi dallo Stato, che può ritirarli in qualunque momento. Negando questa teoria, si vuole affermare che lo Stato non fa che riconoscere e tutelare dei diritti anteriori alla Costituzione dello Stato, che sono diritti dei singoli, diritti delle società o comunità naturali. Con una dichiarazione come quella proposta, ci si ricollega alla cosiddetta tradizione giuridica occidentale che da Aristotile, attraverso il Cristianesimo, è arrivata fino ad oggi.
Affermando che la famiglia «è una società naturale» – oppure «di diritto naturale», secondo la proposta del Presidente – si afferma che la famiglia è un ordinamento giuridico e che lo Stato non fa che riconoscere e proteggere questo ordinamento giuridico anteriore allo Stato stesso.
Aldo Moro, 15 gennaio 1947:
La famiglia è una società naturale. Che significa questa espressione? Escluso che qui «naturale» abbia un significato zoologico o animalesco, o accenni ad un legame puramente di fatto, non si vuol dire con questa formula che la famiglia sia una società creata al di fuori di ogni vincolo razionale ed etico. Non è un fatto, la famiglia, ma è appunto un ordinamento giuridico e quindi qui «naturale» sta per «razionale».
D’altra parte, non si vuole escludere che la famiglia abbia un suo processo di formazione storica, né si vuole negare che vi sia un sempre più perfetto adeguamento della famiglia a questa razionalità nel corso della storia; ma quando si dice: «società naturale» in questo momento storico si allude a quell’ordinamento che, perfezionato attraverso il processo della storia, costituisce la linea ideale della vita familiare.
Quando si afferma che la famiglia è una «società naturale», si intende qualche cosa di più dei diritti della famiglia. Non si tratta soltanto di riconoscere i diritti naturali alla famiglia, ma di riconoscere la famiglia come società naturale, la quale abbia le sue leggi e i suoi diritti di fronte ai quali lo Stato, nella sua attività legislativa, si deve inchinare. Vi è naturalmente un potere legiferante dello Stato che opera anche in materia familiare; ma questo potere ha un limite precisamente in questa natura sociale e naturale della famiglia.
Lodovico Benvenuti, 17 marzo 1947:
Qui, onorevoli colleghi, abbiamo la restaurazione del diritto naturale sulla forma positiva. Il concetto è evidente: prima dello Stato, indipendente dallo Stato, esiste un diritto acquisito dei cittadini, e della famiglia in particolare, che resiste al diritto dello Stato, di fronte al quale lo Stato non ha libertà di scelta; nel quale, quindi, il diritto dello Stato non può e non deve intervenire; e, ove lo faccia, lo farà in virtù della forza di coazione di cui è munito, ma violando il diritto. Non dimentichiamo, onorevoli colleghi, l’articolo 147 del Codice civile fascista, ove si diceva che l’educazione e la istruzione della prole devono essere conformi al sentimento nazionale fascista: il che significava che i genitori italiani, per essere in regola con la legge, dovevano educare i loro figliuoli a detestare la libertà e a servire l’oppressione. Queste sono le aberrazioni a cui può arrivare una legislazione, quando dimentichi che la famiglia è una società di diritto naturale.
Umberto Merlin, 15 aprile 1947:
Noi diciamo che questo concetto è affermato con le parole «la famiglia è una società naturale», per dimostrare questa semplice verità che la famiglia ha dei diritti primordiali, propri, che lo Stato non deve concedere come una graziosa concessione, ma che deve semplicemente riconoscere perché sono preesistenti alla sua organizzazione.
Camillo Corsanego, 22 aprile 1947:
Però quello che importa è di affermare nella Carta Costituzionale che lo Stato non crea i diritti della famiglia, ma li riconosce, li tutela e li difende perché la famiglia ha dei diritti originari, preesistenti, e lo Stato non deve fa altro che dare loro la efficace protezione giuridica.
Il legislatore non può «il libito far licito in sua legge». Qui noi stiamo costruendo una Carta costituzionale la quale codifica, cioè dà forma giuridica, ai diritti di libertà: diritti di libertà della persona, diritti di libertà del lavoro, diritti di libertà umana, diritti della famiglia che sono anteriori alla legge positiva scritta. Non facciamo qui la disquisizione teorica sulla esistenza, e sul significato che gli studiosi danno alle norme di diritto naturale; è certo che la legge scritta deve conformarsi a certe norme che preesistono al legislatore, che sono anzi le sue ispiratrici. Avviene questo anche quando si codificano norme particolari, quando per esempio nel Codice penale si pone la discriminante della legittima difesa e si dice che si può impunemente uccidere il fur nocturnus che viene durante la notte a turbare i nostri sonni, a rubarci il nostro peculio. Che cosa fa il legislatore in questo caso? Il legislatore non fa altro che dare formula giuridica a un diritto preesistente, Ulpiano stesso fin dai suoi tempi lo aveva insegnato: vim vi repellere licet idque ius naturae comparatur.
Noi siamo contro il concetto fascista: «tutto per lo Stato, tutto nello Stato, nulla contro lo Stato», e respingiamo la dottrina totalitaria la quale, considerando lo Stato unica fonte di diritto, vorrebbe che individui ed enti possedessero solo quel tanto di diritti che allo Stato – feudo del partito dominante – piacesse consentire.
Rimane da notare una cospicua incongruenza dell’art. 29: se la famiglia è una società naturale, che precede il diritto organizzato, com’è possibile che la si affermi fondata sul matrimonio, che è invece tipicamente un istituto dei diritto positivo? Della contraddizione si era accorto Piero Calamandrei, che – senza che nessuno intervenisse a contraddirlo – così parlava nella seduta del 23 aprile 1947:
Dal punto di vista logico ritengo che sia un gravissimo errore, che rimarrà nel testo della nostra Costituzione come una ingenuità, quello di congiungere l’idea di società naturale – che richiama al diritto naturale – colla frase successiva «fondata sul matrimonio», che è un istituto di diritto positivo. Parlare di una società naturale che sorge dal matrimonio, cioè, in sostanza, da un negozio giuridico è, per me una contraddizione in termini.
E concludeva, saggiamente:
Ma tuttavia, siccome di queste ingenuità nella nostra Costituzione ce ne sono tante, ce ne potrà essere una di più […].
Infine, quale che siano le nostre conclusioni sul significato dell’art. 29, una cosa è certa: come ricordava http://www.repubblica.it/2007/02/sezioni/politica/coppie-di-fatto3/appello-giuristi/appello-giuristi.html l’appello di 23 costituzionalisti nel febbraio 2007, la Costituzione
non impone affatto alla Repubblica di riconoscere come famiglia solo quella definita quale «società naturale fondata sul matrimonio». […] Il riconoscimento giuridico di altre tipologie di famiglia non comporterebbe alcun disconoscimento dei diritti delle famiglie fondate sul matrimonio e non potrebbe quindi violare il disposto dell’articolo 29, primo comma, della Costituzione. Il fatto che la Costituzione garantisca in modo particolare i diritti della famiglia fondata sul matrimonio non può in alcun modo avere come effetto il mancato riconoscimento dei diritti delle altre formazioni famigliari.

http://bioetiche.blogspot.com/2009/06/l ... urale.html


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Re: Legge su omofobia: "battaglia" per che cosa?

Messaggioda flaviomob il 26/05/2011, 17:49


La famiglia nella Costituzione: alla radice di un ossimoro


di Roberto Bin

“Studium Iuris”, n.10 del 2000
1.Le scale di Escher È noto che l'art. 29 Cost. rappresenta uno dei sommi esempi di mediazione linguistica nella scrittura della costituzione. "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio" è una proposizione impossibile, una specie di equivalente legislativo delle scale di Escher. Verrebbe da dire che ha un senso, ma non un significato: ossia muove reazioni emotive abbastanza precise sul piano ideologico, ma non si traduce in regole giuridiche che possano basare un ragionamento argomentativo serrato. L’idea di una "società naturale" porta con evidenza a postulare l’esistenza di un qualcosa che precede il diritto e lo Stato. Con coerenza l’art. 29 affermerebbe perciò che la Repubblica "riconosce" i diritti della famiglia, come a voler dire che questi preesistono all’ordinamento giuridico repubblicano, perché derivano dalla "natura delle cose" e non dal diritto stesso. È l’antica pretesa giusnaturalistica, riscoperta e riproposta dalla parte cattolica dei costituenti e degli interpreti della costituzione. È una pretesa mai sopita. Introducendo di recente il convegno nazionale dei giuristi cattolici del 1997 - che pure aveva l’inquietante titolo "Quale famiglia?" - Giuseppe Dalla Torre esordisce proprio così: la costituzione concepisce la famiglia "come formazione sociale funzionale allo svolgimento della persona, precedente allo Stato e che questo non può che riconoscere". Se la locuzione "società naturale" ha un qualche significato per il diritto, non credo che possa averne uno diverso da questo. Ma se questo è il significato, si apre un vasto panorama di contraddizioni pratiche ed ermeneutiche. 2. Esiste un concetto "naturale" di famiglia? Prima contraddizione: esiste un concetto "naturale" di famiglia? Questo è il punto su cui hanno maggiormente insistito i critici di questa concezione. Si sa, tutti gli studi storici, antropologici, sociologici, economici ecc. ci confermano che la famiglia e un’istituzione estremamente mutevole, per dimensione, organizzazione, funzione. Non occorre neppure analizzarla con strumenti sofisticati, perché appartiene alla stessa nostra esperienza diretta l’incredibile mutazione che la famiglia italiana ha subito nel corso di una o due generazioni. Oltre i confini geografici e storici della nostra esperienza diretta, poi, qualsiasi unità del concetto di famiglia si perde. E allora, cosa connota questa "società naturale"? Mi posso immaginare due tipi risposta, una in chiave psicologica, l’altra in chiave culturale. La prima potrebbe portarci a dire che la "famiglia", qualsiasi ne sia l’estensione, l’organizzazione o la funzione, è comunque "naturale" nel senso che appartiene ai bisogni umani fondamentali, imprescindibili, legati alla socialità dell’uomo, alla sua riproduzione, alla sua affettività, al suo bisogno di riservatezza. La famiglia, insomma, denoterebbe quel primo e indispensabile esempio di "formazione sociale" di cui l’art. 2 Cost. garantisce e, ancora una volta, "riconosce" l’esistenza (non a caso, essendo l’art. 2 l’altra clausola "giusnaturalistica" della costituzione),. Ma se così fosse, dovremmo ritenere che l’art. 29 ci rimanda ad un concetto estremamente ampio, destrutturato, di ‘famiglia’. Se ad essa si indirizza un bisogno "naturale" della persona, la ‘famiglia’ allora può assumere tante forme organizzative quante sono i modi in cui ognuno realizza la propria personalità. L’art. 29 verrebbe perciò ad essere letto come una garanzia di autonomia, di "autogoverno", ad un livello sociale minimo, di cui ognuno è padrone di individuare la fisionomia senza ingerenze dell’apparato pubblico: sarebbe una garanzia dall’estensione assai simile a quella apprestata dall’art. 8 della CEDU ("Toute personne a droit au respect de sa vie privée et familiale"). È chiaro che allora, per esempio, non vi sarebbe modo di negare la perfetta (nel senso di eguale) legittimità anche della famiglia omosessuale, così come di ogni altra formazione familiare "anomala". Anzi, proprio per l’elementare rispetto di questa sfera di intimità sociale che è la famiglia, nessuno – esterno a quel nucleo - dovrebbe poter esprimere giudizi sui comportamenti che in essa si tengono e tanto meno farne derivare conseguenze giuridiche. Il fatto che, per esempio, nella famiglia omosessuale non vi sia lo "scopo riproduttivo" – a parte il fatto che ormai è solamente un problema tecnologico o semmai, se passano oscure leggi, un limite giuridico, quindi convenzionale – non può certo incidere sulla garanzia riconosciuta ad essa: nessuno dubita che anche le famiglie "normali" che, per scelta o meno, siano senza figli sono ciò nonostante, almeno sotto un profilo giuridico (diversamente da quello acustico), perfettamente "famiglie". Anzi, si potrebbe ragionare proprio all’incontrario: tanto più si ritenesse che non solo la "famiglia", ma proprio la famiglia riproduttiva, è un bisogno "naturale" della persona, tanto più si dovrebbe concludere che sia il "riconoscimento" del nucleo familiare, sia il diritto alla procreazione assistita devono essere assicurati a tutti, come "diritto inviolabile dell’uomo" alla realizzazione della propria personalità (ancora l’art. 2 Cost.)

[....]

*docente di Diritto Costituzionale presso l' Università di Ferrara




http://www.lucacoscioni.it/la_famiglia_ ... n_ossimoro


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Re: Legge su omofobia: "battaglia" per che cosa?

Messaggioda pianogrande il 27/05/2011, 0:48

Insomma.
Se lo stato prende atto della famiglia come organizzazione naturale, non può discriminare sui tipi di famiglia.
E' evidente l'errore di definire la famiglia come fondata sul matrimonio.
Avrebbero semmai dovuto definire il matrimonio come istituzione fondata sulla famiglia (che prende atto della preesistenza della famiglia e ne regolamenta alcuni aspetti e non bisogna neanche esagerare ad andare a regolamentare troppe cose).
La famiglia "naturale" esiste e funziona benissimo anche senza il matrimonio.
Quando due conviventi con figli si sposano, il funzionamento della famiglia può anche non cambiare affatto.
Ci sono degli aspetti che vengono tutelati dallo stato ma sono aspetti anch'essi naturali e che lo stato si prefigge di regolamentare.
Bellissimo il concetto del naturale come preesistente allo stato.
Lo stato prende atto e regolamenta.
A questo punto (pur restando della idea che bisogna fare i passi possibili e gradualmente) non vedo, in linea di principio, perché lo stato si debba rifiutare di regolamentare le unioni tra omosessuali.
A meno che non voglia stabilire per legge (dello stato) che tali unioni sono innaturali.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Legge su omofobia: "battaglia" per che cosa?

Messaggioda gabriele il 27/05/2011, 9:41

pianogrande ha scritto:Se lo stato prende atto della famiglia come organizzazione naturale, non può discriminare sui tipi di famiglia.


Aggiungo che il concetto di "famiglia", come è già stato fatto notare, non ha confini netti. Basti pensare alle forme che la famiglia può assumere nel contesto sociale attuale. Penso agli affidamenti a persone sposate o a single, a madri single supportate dai nonni, o ad altre forme che potrebbero essere "legalizzate" ma che in Italia restano in un limbo giuridico dalle quali dovrebbero essere fatte uscire.
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