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Il multiculturalismo è fallito

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Il multiculturalismo è fallito

Messaggioda lucameni il 06/02/2011, 15:24

http://www.corriere.it/editoriali/10_fe ... aabe.shtml




Multiculturalismo e cattivo vicinato

L’Europa è caratterizzata da secoli da popolazioni stanziali, stabili, e dotate di una propria identità linguistica e culturale. Dal Settecento il Vecchio Mondo ha generato molti emigrati e accolto pochi immigrati. Il mestiere di come accoglierli e di come incamerarli è un mestiere che non conosciamo. Ed ecco che d’un tratto veniamo inondati da immigrati di ogni sorta in gran parte provenienti da «altri mondi», da mondi che sentiamo estranei.

Il problema è, allora, di estraneità e di vicinanza. L’uomo è un animale sociale che vive raggruppato in tribù, in villaggi, in città. Quindi tutti noi abbiamo un vicino, dei vicini; e tutti noi cerchiamo un «buon vicinato» costituito da persone che sono un po’ come noi, o comunque non troppo diverse da noi. Il troppo diverso, l’estraneo, è scomodo e ci fa anche paura.

Che fare? Come fare? Per i faciloni il problema è semplice: faremo come gli Stati Uniti. Ma l’esempio non ci aiuta. Il Vecchio Mondo è da gran tempo uno spazio pieno occupato, dicevo, da popolazioni stanziali. Il Nuovo Mondo era uno spazio vuoto colmato soltanto da immigrati che nel corso di due generazioni si sono largamente integrati nella loro «terra promessa». Ma anche lì gli inizi non sono stati facili. Pur essendo quasi tutti europei (niente islamici), i nuovi arrivati si sono tutti «ghettizzati» nel senso che si sono messi assieme nelle loro «piccole città» (little Italy e analoghi). In parte era perché non conoscevano la lingua del Paese nel quale si accasavano; ma era soprattutto perché così «stavano assieme», così ristabilivano un vicinato familiare. Queste piccole città etniche si sono in parte dissolte tempo un secolo (salvo eccezioni, come più di tutti i cinesi), ma si sono dissolte abbastanza rapidamente perché gli Stati Uniti sono un Paese di altissima mobilità sociale e di lavoro. Un americano cambia casa e località anche sei-sette volte; e ogni volta si deve rifare un vicinato, collegarsi e legarsi con nuovi neighbours, nuovi confinanti. Il che produce e assicura una miriade di piccole comunità funzionali di vicini compatibili.

Ovviamente il problema è tutto diverso in Europa. Gli europei sono da gran tempo residenti fissi. Hanno cambiato molti sovrani (i territori passavano da un monarca all’altro anche per matrimonio e eredità); ma gli abitanti restavano e vivevano nei loro borghi e città per secoli e secoli. Arrivavano anche a combattersi; ma si conoscevano e si somigliavano. Successivamente le recenti megalopoli hanno semmai creato una «folla solitaria» (così David Riesman) che però non è una folla di dissimili ma semmai di vicini indifferenti. Un primo punto è, allora, che non dobbiamo confondere il problema dell’integrazione politica dell’immigrante con il diverso problema di come e dove accasarli. Una cosa è il «cattivo cittadino» (che per esempio rifiuta la democrazia e preferisce una teocrazia), e altra cosa è il «cattivo vicino» che crea una convivenza invivibile tra chi c’era prima e chi sopraggiunge. Va da sé che il problema è aggravato dal fatto che i nuovi immigrati sono diventati troppo rapidamente troppi (il prefetto di Milano ricordava l’altro giorno che gli stranieri sono aumentati, dal 1980, da 3 mila a 400 mila). Ma è ancor più aggravato dalla confusione delle idee.

Per la teoria-ideologia del multiculturalismo ogni cultura si dovrebbe separare dalle altre creando così «identità mono-culturali». Pertanto questa soluzione produrrebbe ghetti davvero blindati che bloccherebbero qualsiasi integrazione. Ma quel che di fatto avviene negli insediamenti italiani (e anche nelle periferie parigine) è il caos multiculturale, l’ammucchiata di ogni sorta di estranei che sono anche estranei tra di loro. A Milano l’assassinato di via Padova era un egiziano (regolare), gli aggressori latino-americani di Santo Domingo. Ma nei quartieri conquistati dagli allogeni c’è di tutto, ivi inclusi molti africani e tutti— alla prima rissa— l’un contro l’altro armati. Fa ridere, o piangere, che siffatte situazioni di disastrosa disgregazione sociale vengano acclamate come l’avvento di un glorioso futuro multietnico e multiculturale. Che fare? Il primo passo sarebbe di invitare i suddetti laudatori a trasferirsi in via Padova (dove tra l’altro, le case degli italiani sono in svendita: davvero un affare). Poi si potrà cominciare a ragionare.

Giovanni Sartori
21 febbraio 2010
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Re: Il multiculturalismo è fallito

Messaggioda flaviomob il 06/02/2011, 16:51

A me, che ci lavoro, risulta che in via Padova ci sono italiani che affittano monolocali in nero, spesso in condizioni disastrose, a 3-4 persone alla volta - straniere ovviamente - chiedendo affitti esorbitanti in condomìni fatiscenti. In una metropoli in cui la gestione dell'edilizia popolare si svolge in una singolare compartecipazione tra ente pubblico e criminalità organizzata diffusa.
Meno male che Sartori è troppo moderno per accorgersene: è sempre meglio lasciarsi il Novecento alle spalle... :lol:

...le case popolari sono anche business. Affari per le cosche mafiose che abitano la zona, e che “vendono” per cifre fino a 4000 euro l’ingresso negli appartamenti, e in alcuni casi si fanno pagare affitti fino a 300 euro al mese. Vittime sono soprattutto gli anziani, che hanno paura ad allontanarsi dalla loro abitazione per paura che venga occupata, e così non si fanno ricoverare in ospedale, non vanno in vacanza.

Partendo da sudest e procedendo a 360 gradi, la periferia è in mano a molti clan. I siciliani di via Solomone, in zona Rogoredo; i pugliesi e i calabresi di via Stadera e via Costantino Baroni; i clan calabresi del Giambellino, nella zona di via Vespri Siciliani, via Bruzzesi e via Bellini; ancora i clan calabresi e siciliani a Baggio, in via degli Ippocastani e via Latici; i calabresi e i casertani di Quarto Oggiaro, in via Pescarella e via Lopez, e infine tutte e quattro le matrici mafiose della zona Niguarda, proprio di fronte all’ospedale maggiore: i clan calabresi in via Villani, i napoletani in largo Rapallo, i pugliesi in via Ciriò e i siciliani di via Luigi Monti....


http://liberapiemonte.it/2010/05/25/a-m ... %E2%80%99/

PS: In relazione all'articolo su Cameron, mi piacerebbe approfondire il concetto di liberalismo muscolare... magari potremmo anche introdurre la segregazione democratica, il fascismo plurale, il comucapitalismo (ah no, quello esiste già...), l'illuminismo integralista...


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Re: Il multiculturalismo è fallito

Messaggioda lucameni il 06/02/2011, 19:15

"A me, che ci lavoro, risulta che in via Padova ci sono italiani che affittano monolocali in nero, spesso in condizioni disastrose, a 3-4 persone alla volta - straniere ovviamente - chiedendo affitti esorbitanti in condomìni fatiscenti. In una metropoli in cui la gestione dell'edilizia popolare si svolge in una singolare compartecipazione tra ente pubblico e criminalità organizzata diffusa."

Da noi in Toscana diremmo: c'entra come il culo con le quarantore.
E questa sarebbe la dimostrazione che il "multiculturalismo" come inteso e praticato in Italia funziona e quindi - interpretato alla vostra maniera - Sartori ha per forza di cose torto!?
Buono a sapersi, come abolire di diritto la disonestà umana perchè esiste l'utopia di convivenza pacifica e virtuosa.

La tesi di G.S.- sicuramente discussa e discutibile - è che la società aperta fondata sul pluralismo, ovvero la tolleranza e il riconoscimento delle diversità, non ha nulla a che vedere con il multiculturalismo, il quale invece di fatto non persegue «una integrazione differenziata ma una disintegrazione multietnica».

Altra citazione del novello "razzista" G.S. che - rispetto a quanto siamo abituati - intendeva altro con multiculturalismo e pluralismo: «l’etica delle buone intenzioni ha il suo legittimo spazio nella morale individuale e nella predicazione religiosa, ma diventa inaccettabile e anche immorale nello spazio etico-politico. Perché qui rifiutare la responsabilità per gli effetti delle nostre azioni è davvero troppo facile e, insisto, immorale»; «la connessione tra non sapere e successo dell’etica delle intenzioni e una connessione ovvia. L’etica dei principi non richiede il sapere di niente, mentre l’etica delle conseguenze richiede sforzi di sapere».

Premesso che il paragone di Sartori su via Padova lo ritengo poco felice e, come si è visto facile a dare il destro a contestazioni ancor meno felici, da questo a tirare fuori argomenti che, visto la serietà dei temi, proprio sanno di culo e quarantore, ce ne corre. Mi pare.

Ma tanto è inutile pretendere di discutere nel merito, come se l'articolo descrivesse un mondo senza sfruttamento e ammorbato solo dalla presenza delle culture diverse: si legge - di Sartori o di altri - quello che fa piacere leggere.
Nella considerazione che simili tesi, aberranti finchè si vuole, si potrebbero contestare con argomenti e non con battute, o non si capisce quello che si legge o, se si legge e lo si capisce, si mistifica a proprio uso e consumo con superficialità travestita da impegno e, come sempre, con spocchiosa ironia da quattro soldi.
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Re: Il multiculturalismo è fallito

Messaggioda flaviomob il 08/02/2011, 2:10

Se leggi bene l'articolo di Sartori fino in fondo, noterai garbatamente che è il Sartori stesso ad introdurre il discorso su via Padova (a Milano), con il solito leitmotiv vittimista (sì, la ex capitale morale d'Italia oggi è un covo di vittimisti, perché ha ben imparato, tramite Lega, che 'chi chiagne fotte a chi ride') sulla svalutazione degli appartamenti. La realtà invece è quella di una speculazione sempre più cinica, capillare e malavitosa.
L'amministrazione comunale, dopo che in via Padova in dicembre commercianti e residenti avevano ottenuto di appendere luminarie in diverse lingue con gli auguri natalizi, ha provveduto a farle rimuovere per poi reinstallarle dopo pochi giorni in seguito alle diffuse proteste dei residenti stessi... il tutto a spese dei contribuenti, naturalmente.

Il multiculturalismo è un modello che si contrappone, in antropologia, al modello assimilazionista francese, che parte da una concezione universale, quindi da estendere a tutti, del modello nazionale (o, in genere, occidentale). La Germania è stata caratterizzata da un altro modello per cui il lavoratore straniero era considerato 'ospite' temporaneo destinato a tornarsene al paese d'origine al termine del periodo produttivo, per cui si è considerata marginale ogni politica di integrazione. Il modello inglese giustappone più culture tra loro senza ricercare, secondo alcuni, una vera integrazione ma piuttosto dei mini 'ghetti' o comunque una logica in cui ogni comunità vive separata dalle altre e si fa 'i fatti suoi'. Forse da qui nasce l'equivoco del nostro eroe.

Il nostro buon Sartori, secondo l'onnipresente Wikipedia, conferisce giustappunto una connotazione negativa al multiculturalismo contrapponendolo al pluralismo dei valori. Per conto mio questa connotazione negativa impedisce un'analisi scevra da pregiudizi e per questo mi sento di contestarla

...Un significativo contributo al dibattito è stato dato dal celebre politologo Giovanni Sartori. Nel suo saggio sulla società multietnica ('Pluralismo, Multiculturalismo ed estranei') sostiene una forte distinzione tra il pluralismo dei valori ed il multiculturalismo. Il primo, inteso come valore fondato in primis sulla tolleranza, garantisce la coesistenza pacifica e democratica di ambiti socio-culturali differenti; il secondo, visto come una commistione caotica di valori e culture dissenzienti. C'è da dire, tuttavia, che mentre per Sartori il multiculturalismo produce inevitabilmente disgregazione, molti altri studiosi sono convinti di una eccessiva categorizzazione da parte dello studioso fiorentino...

Altri distinguono, secondo la stessa wikifonte, tra multiculturalismo (con un'accezione più positiva) e multicomunitarismo, cioè l'appartenenza e la totale fedeltà di un individuo ad una certa comunità e cultura., vista come una sorta di moderna segregazione. Secondo me è qui che Sartori fa confusione.

http://it.wikipedia.org/wiki/Multiculturalismo


...Il termine multiculturalismo, quindi, sta ad intendere la libertà degli individui di poter scegliere il proprio stile di vita a seconda della propria estrazione socio-culturale in contrapposizione al multicomunitarismo, cioè l'appartenenza e la totale fedeltà di un individuo ad una certa comunità e cultura.

Secondo Zygmunt Bauman, finché queste due filosofie si confonderanno: "il multiculturalismo “farà il gioco della globalizzazione priva di freni politici”. “Le forze globalizzatrici hanno mano libera con tutte le loro devastanti conseguenze, di cui la più diffusa è la montante ineguaglianza intersociale e intrasociale.”

Il sociologo polacco inoltre, afferma che “l’antica […] consuetudine di giustificare l’ineguaglianza con l’inferiorità di determinate razze è stata sostituita dall’immagine, all’apparenza più umana, di una fortissima disuguaglianza di condizioni umane dovuta all’inalienabile diritto di ciascuna comunità di perseguire il tipo di vita desiderato."

Nella nuova formula multiculturalista, sempre secondo Bauman invece, questa accettazione è mirata a trovare “forme di coabitazione soddisfacenti o quanto meno accettabili: se non appare possibile alcuna revisione dell’ordinamento sociale […] allora appare logico che chiunque abbia diritto di cercare il proprio posto nel fluido ordine della realtà e di accettare le conseguenze di tale scelta”.


Evidentemente non è affatto pacifico che il multiculturalismo corrisponda alla definizione, viziata da un pregiudizio negativo, che Sartori riporta nel suo articolo: Per la teoria-ideologia del multiculturalismo ogni cultura si dovrebbe separare dalle altre creando così «identità mono-culturali».

A parte le - pessime - premesse, l'articolo di Sartori mi sembra anche deludente in quanto cita come argomento un falso storico: l'Europa come terra di partenza di migranti piuttosto che destinazione dei flussi migratori. Ciò che poteva esser vero nel Settecento è ormai anacronistico. A parte che anche in passato alcuni paesi europei hanno accolto migranti da altri paesi europei (le migrazioni dall'Italia sono ovviamente note a tutti noi, ed anche da altri paesi del Sud Europa e dell'Est), oggi ci sono circa sei milioni di musulmani in Francia, ovvero immigrazione di seconda e terza generazione.

Un altro argomento debole di Sartori è citare Milano (e via Padova, culo e quaranta la gallina canta, come si dice?) come esempio a sfavore del multiculturalismo. E' evidente che nei quartieri più degradati è più difficile cogliere elementi di integrazione e di buon vicinato, ma è altrettanto evidente che se esiste un tale degrado è frutto di un'assenza di politiche sociali degne e che il multiculturalismo non si basa sulla spontaneità dell'interazione tra culture, religioni e concezioni tradizionali della vita, della società e della famiglia, ma va costruito con azioni politiche, intenzionalità, lavoro costante e meticoloso. A Milano i primi finanziamenti che si sono tagliati, nel mondo del sociale, sono proprio stati quelli a favore delle politiche di integrazione e di sostegno alle famiglie di immigrati extracomunitari. Sartori, se c'era, forse dormiva. E il suo giornale pure...

--------------

http://www.infomedi.it/adel_jabbar_mult ... alismo.htm

Multiculturalismo:
LA CULTURA DELLE DIFFERENZE
di Adel Jabbar*

La storia dell’umanità è caratterizzata dal movimento e dalla creazione continua di reti e intrecci tra persone provenienti da contesti geografici diversi.

Ci sono stati periodi storici particolarmente fertili per questi scambi: il medioevo islamico, con gli arabi che interpretavano il ruolo di mediatori culturali (preceduti da altre popolazioni semitiche) facendo del sud del Mediterraneo una “piattaforma girevole” di collegamento tra diverse aree geografiche; poi, il rinascimento europeo con le sue progressive inclusioni di popolazioni di altri continenti che ha inaugurato il “sistema-mondo” con il quale ci confrontiamo ancora oggi.

Le culture, infatti, sono fluide e gli individui interpretano attivamente le loro tradizioni rinnovandole per poter gestire i cambiamenti che le relazioni con gli altri inevitabilmente comportano.

Oggi viviamo una fase di mondializzazione: da una parte prevale il modello occidentale , sia sul piano economico che culturale; dall’altra crescono le rivendicazioni identitarie e neocomintariste.

Che cosa si intende allora per “multiculturalismo”?

Alcune considerazioni possono aiutarci ad utilizzare criticamente questo termine.

In primo luogo è bene sottolineare che ogni cultura è “multiculturale” perchè in essa sono riscontrabili sedimenti provenienti da luoghi e da popoli diversi. Ad esempio, il cristianesimo è un elemento significativo nella costruzione dell’identità italiana ed europea, però va ricordato che questo insegnamento religioso ha “radici” nel Vicino Oriente, un’area abitata da una popolazione prevalentemente semitica.

In secondo luogo, con il termine “multiculturalismo” possiamo indicare la coabitazione tra diversi gruppi linguistici, culturali, religiosi che vivono nel medesimo spazio territoriale. Pensiamo alla zona alpina dell’Italia: dall’est all’ovest troviamo diversi gruppi come, ad esempio, quello sloveno, il friuliano, il cimbro, il ladino, il tirolese, il provenzale, l’occitano… Questa pluralità è più evidente nelle zone di confine, ma esiste anche altrove. Ricordiamo ad esempio la minoranza arberesch in Calabria, Sicilia e Basilicata. Per quanto riguarda la dimensione religiosa, pensiamo alla presenza ebraica o cristiana ortodossa a Venezia e a Trieste, oppure ai protestanti luterani nelle zone dell’Alto Adige, o ancora ai valdesi in Piemonte o alla presenza diffusa dei testimoni di Geova.

E’ necessario ripristinare una “memoria plurale” per saper leggere la complessità di contesti che spesso vengono ideologicamente ridotti ad entità monolitiche e omogenee.

Infatti, se il confine statuale è rigido, quello culturale è fluido: gruppi separati da confini statuali possono avere consuetudini culturali simili , mentre altri che vivono nello stesso stato possono avere tra di loro più differenze che similitudini. La memoria non può vincolarsi all’ideologia degli stati-nazione ma oggi più che mai bisogna allenarsi a riconoscere la pluralità e la dinamicità degli elementi che contribuiscono alla formazione delle identità.

In terzo luogo, ogni società è multiculturale anche perché coesistono diversi sistemi valoriali. In Italia, ad esempio, c’è chi aderisce o meno a determinate visioni della famiglia (basta pensare al modello contrattuale o a quello sacramentale e alle controversie sulle famiglie di fatto o sulle unioni omosessuali) e troviamo posizioni contrapposte anche sui temi della pace e della guerra e perfino si può riscontrare la presenza di organizzazioni politiche che fanno riferimento a modelli ed esperienze non-democratiche. E’ interessante notare che, al di là della retorica dominante sulla laicità, la religione continua ad essere presente nella sfera pubblica: il calendario scolastico è scandito da festività religiose e l’inaugurazione dell’anno scolastico e accademico avviene spesso con una messa; durante le feste dei patroni delle città non solo i negozi ma anche gli enti pubblici restano chiusi; per non parlare poi dell’influenza della religione su alcune leggi (ad esempio le diatribe sul divorzio, sull’aborto o sulla procreazione assistita) o della richiesta di introdurre riferimenti cristiani nella costituzione europea. Inoltre, pensiamo alla figura dell’insegnante di religione nella scuola: un dipendente pubblico che agisce sotto un controllo normativo di tipo religioso riguardo all’orientamento sessuale e allo stato civile.

Multiculturalismo e immigrazione

I rapporti tra culture sono spesso caratterizzati da asimmetrie di potere. Il mondo che conosciamo oggi è fatto di un centro dominante e sterminate periferie subalterne. Queste ultime hanno scarso potere contrattuale in ambito economico, politico e culturale. Gli immigrati arrivano prevalentemente da queste aree periferiche con il desiderio di intraprendere un percorso di emancipazione sociale, cioè di accedere al centro leggendo la propria affermazione in base ai parametri del modello vincente. Le “ibridazioni” cominciano già nel paese di origine attraverso una socializzazione anticipatoria del modello vincente.

E’ bene ricordare che il multiculturalismo non è creato dalla presenza degli immigrati. Essi aggiungono altre differenziazioni a quelle già esistenti in ogni società e contribuiscono casomai a renderle più visibili.


Le trasformazioni sociali in atto richiedono un metodo di intervento innovativo che definiamo con il termine “intercultura”. Non intendiamo dunque un principio etico né un traguardo da raggiungere ma l’impostazione di una prassi di lavoro in grado di aiutarci a ripristinare una memoria plurale esplorando i nostri contesti multiculturali.

La prassi interculturale implica considerare gli immigrati non tanto rappresentanti di una cultura quanto di un progetto sociale di emancipazione. Gli immigrati vivono un complicato processo di aggiustamento identitario finalizzato a trovare un’ “unità combinatoria” tra elementi appartenenti sia al nuovo contesto sia al contesto di origine. In questo processo non incide solo la cultura ma anche il genere, la provenienza sociale, il livello istruzione, il tipo di occupazione, la politica di accoglienza sul territorio, il tipo di progetto migratorio ecc.

L’intercultura innesca un processo di estensione dei confini della democrazia attraverso una cultura della partecipazione basata sul riconoscimento delle differenze. L’obiettivo è quello di stabilire un nuovo patto di cittadinanza in grado di ristabilire la simmetria necessaria per creare spazi di negoziazione e gestire le trasformazioni sociali in atto garantendo la coesione sociale.

Questo processo intende includere nuove soggettività e non “comunità” (sta a queste soggettività decidere come organizzarsi in termini collettivi: se sul piano religioso, linguistico, o su quello dell’appartenenza statuale o professionale, oppure sulla base di organizzazioni associative o sindacali autoctone ecc.).

Incrementare la partecipazione democratica significa superare il modello di “integrazione subalterna” che vede negli immigrati una mera forza lavoro e riconoscere la complessità delle relazioni che queste persone intraprendono con il territorio dove risiedono.

L’intercultura ha bisogno della mediazione socio-culturale che è innanzi tutto una strategia di parificazione di opportunità con lo scopo di ricostruire reti sociali, creare nuove competenze e ripristinare l’autostima dei cittadini immigrati riconoscendo anche quegli aspetti legati ai vissuto culturali e religiosi.

La mediazione socio-culturale mira a lavorare insieme a questo nuovo segmento della società perché possa partecipare attivamente contribuendo a ricostruire una prospettiva condivisa.

Qui non sono in gioco solo i servizi sociali perché si tratta di una strategia complessiva del territorio e non può essere solo una prerogativa del mediatore socio-culturale.

La questione dell’immigrazione non riguarda solo l’immigrato, nè è solo un intervento di politica sociale di contenimento del disagio e neppure una politica securitaria per arginare il pericolo.

La posta in gioco è rivitalizzare la democrazia attraverso una cittadinanza attiva che coinvolga tutti gli attori sociali del territorio. Gli enti formativi ed educativi, il mondo dell’associazionismo svolgono un ruolo chiave nel diffondere questa consapevolezza delle trasformazioni sociali in atto e facilitando la creazione di un nuovo protagonismo tra i vari soggetti. Naturalmente è indispensabile che ci sia un indirizzo politico in grado di comprendere che l’immigrazione è un tema centrale per la democrazia.

1) L'occidente a cui ci riferiamo non è un'area geografica ma un sistema che ingloba tutte le popolazioni del pianeta.

2) Ad esempio, le comunità linguistiche possono avere una continuità territoriale al di là del confine statuale e in questo caso si parla di "penisole linguistiche" (come nel caso sloveno o in quello tirolese).

* sociologo Università Ca' Foscari di Venezia


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Re: Il multiculturalismo è fallito

Messaggioda lucameni il 08/02/2011, 9:48

Premesso che ho scritto subito che Sartori ha proposto un esempio poco felice, e quindi me ne ero accorto che è stato il primo a citare via Padova, il dormiente su questo argomento c'ha scritto un saggio, contestabile finchè si vuole ovviamente, ma proprio per questo gli articoli di fondo, strutturalmente poco approfonditi, non possono che essere meri spunti di discussione. Poi si deve ragionarci su.
E fino ad ora non ho trovato motivi, con buona pace di wikipedia, per considerare privo di problemi il multiculturalismo come fino ad ora inteso (e contestato da Sartori). Mi pare diventi come un surrogato dell'incapacità di implementare una decente politica dell'immigrazione e dell'accoglienza.
Non a caso ho citato l'etica dei principi e quella della conseguenze. Anche secondo me tanti problemi nascono da lì e non mi fa piacere affattol
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Re: Il multiculturalismo è fallito

Messaggioda flaviomob il 09/02/2011, 16:19

Vorrei capire allora che cosa intendi tu esattamente per multiculturalismo e quali critiche, puntuali, muovi a questo approccio. Io credo che tra tutti i modelli di cui ho parlato sopra, l'autentico multiculturalismo (che poi è il motore d'Europa da cinquecento anni, a partire dal Rinascimento che nacque anche dalla contaminazione tra intellettuali e artisti in fuga da Costantinopoli verso l'Italia) mi pare la migliore costruzione possibile (e ben lontana dalla definizione ambigua che ne dà Sartori)...


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Re: Il multiculturalismo è fallito

Messaggioda pierodm il 09/02/2011, 18:51

Io francamente non ho capito un granché di ciò che hanno detto alcuni amici del forum, che sono di solito molto più chiari - parlo soprattutto di Luca.
Concordo invece con le posizioni di Stefano e Flavio, e, tra tante citazioni, quella più condivisibile e lineare mi sembra quella di Jabbar.

La convivenza o la fusione tra etnie, culture e tradizioni diverse non è scritto da nessuna parte che debba essere "facile" o che abbia uno "scopo", in seguito al quale si possa decidere che abbia "fallito" o meno.
Come fa notare Jabbar, e come è semplice da riscontrare per ciascuno di noi, la mescolanza e l'interazione di popoli e culture - anche all'interno di ciascuna nazione - non solo è la norma nella storia, ma è il motore stesso della storia.
Potremmo dire, anzi, che la rappresentazione di "una cultura" determinata è come la fissazione di un fotogramma di un film: un singolo momento di un divenire continuo. Un'astrazione, una convenzione.
Quello che possiamo definire come "fallito" è semmai il tentativo, l'illusione di tenere fermo un "attimo fuggente" della storia in nome di un'ipotetica "integrità culturale".
Quello che possiamo giudicare come fallimento è l'incapacità di un popolo, di una storia, di riuscire a confrontarsi e ad interagire - anche in modo conflittuale, competitivo - con culture e con popoli emergenti: un'incapacità che è sempre segno di declino, ossia un rifiuto che non è mai stato nella storia un segno di forza, ma semmai di tracotanza che nasconde debolezza e incertezza.

Per inciso. E' assurdo rappresentare gli USA come un esempio di melting pot per così dire "naturale", contrapponendolo all'Europa: è invece il nostro continente che in due o tremila anni è stato un fenomenale mixer di popoli, culture, civiltà, religioni ed etnie diverse.
Ho l'impressione che spesso molti dimenticano questo aspetto essenziale della nostra storia, che ha fatto del Meditterraneo e dei mari del nord i bacini di civiltà più fertili del pianeta.
Ho l'impressione che molti pensano alla loro/nostra cultura come il quadretto di una sorta di "età dell'oro" domestica, fatta di villaggi e di borgomastri, o di paeselli arroccati sulle colline, di campanili, di parroci, asinelli e marescialli dei carabinieri - un Pane, Amore e Fantasia in versione storica, insomma.
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Re: Il multiculturalismo è fallito

Messaggioda lucameni il 09/02/2011, 19:36

In genere in queste discussioni, se così si possono chiamare, ci si sfida a suon di citazioni e - ovviamente - ognuno fa riferimento alle sue piuttosto che replicare nel merito di quanto afferma l'altro (cosa anche complicata se poi si parla appunto di citazioni).
Mi pare, ma posso sbagliarmi, che la vostra idea di multiculturalismo comprenda anche il pluralismo e così contestazioni non avrebbero ragion d'essere.
Ho citato Sartori perchè non si è limitato ad uno sbrigativo e provocatorio editoriale di fondo ma ha scritto un saggio ad hoc di cui non a caso ho citato l'etica della responsabilità e dei principi; in cui la società aperta auspicata è una società pluralistica fondata sulla tolleranza e sul riconoscimento del valore della diversità. Sartori non la vede nella cosiddetta società multietnica, considerandola la sua negazione, parlando di balcanizzazione della società pluralista (esagerato?). Non considera arricchimento una diversità radicale. Cito: "Pluralismo è sì vivere assieme in differenza e con differenza, ma lo è se c’è contraccambio. Entrare in una comunità pluralistica è, congiuntamente, un acquisire e un concedere".
Ad esempio, visto che la polemica nacque in relazione all'integrazione di chi professa una fede in modo fanatico, secondo Sartori dare troppo peso a tali referenti religiosi,si possono creare comunità ancora più chiuse e contrapposte in grado di soffocare le identità degli individui.
Quindi nulla di "pluralista" nell'incentivare, disinteressandosi degli effetti e senza regole, una società chiamata, con una certa superficialità, multietnica.
Se poi si ritiene un successo il semplice incontro tra diversità senza appunto porsi il problema pratico delle conseguenze, ma paghi a prescindere della propria posizione virtuosa (mi pare il succo del discorso sia tutto qui) è inevitabile che non ci si intenda tra "sartoriani" e "antisartoriani".
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Re: Il multiculturalismo è fallito

Messaggioda flaviomob il 09/02/2011, 22:26

Proprio per evitare fredde citazioni di definizioni e conseguenti costruzioni basate su presupposti concettuali che evidentemente non per tutti hanno lo stesso significato, ero interessato alle tue opinioni in merito, che mi trovano d'accordo. Nel senso pluralista e positivo del termine, il multiculturalismo è una costruzione a cui bisogna dedicare molta cura, che va sviluppata con politiche sociali e culturali attente e complesse, difficile da realizzare in una società sempre più superficiale e disgregata, oltre che male organizzata, come quella italiana.


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Re: Il multiculturalismo è fallito

Messaggioda Stefano'62 il 10/02/2011, 12:24

lucameni ha scritto:Mi pare, ma posso sbagliarmi, che la vostra idea di multiculturalismo comprenda anche il pluralismo e così contestazioni non avrebbero ragion d'essere.

Nel mio caso è così.
Io li intendo come le due facce di uno stesso orientamento in linea di principio,nel senso che se uno è pluralista (in senso politico) deve per forza anche essere multiculturalista,altrimenti vorrebbe dire che è razzista e il suo concetto di pluralismo è ipocrita,perchè concede la libertà di pensiero solo all'interno di un certo ambito culturale ed esclude gli altri.
Nella mia accezione (cioè la mia personale interpretazione dei termini) dunque il multiculturalismo è la valutazione positiva del fatto oggettivo e storicamente dimostrato che le culture non sono immote ma si evolvono influenzandosi a vicenda.
Qualcun altro invece che multiculturalista non è,lo valuta negativamente e cerca di combattere questo naturale corso della storia,tanto è vero che esistono culture che cercano di resistere alle influenze esterne,e guarda caso sono quelle che non sono pluraliste;si pensi per esempio alla Chiesa del medioevo o all'islam degli ayatollah.
Invece il pluralismo è la scelta politica di libera circolazione delle idee,che ove applicata permette un migliore confronto anche tra le diverse culture.
Stefano'62
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