Se leggi bene l'articolo di Sartori fino in fondo, noterai garbatamente che è il Sartori stesso ad introdurre il discorso su via Padova (a Milano), con il solito leitmotiv vittimista (sì, la ex capitale morale d'Italia oggi è un covo di vittimisti, perché ha ben imparato, tramite Lega, che 'chi chiagne fotte a chi ride') sulla svalutazione degli appartamenti. La realtà invece è quella di una speculazione sempre più cinica, capillare e malavitosa.
L'amministrazione comunale, dopo che in via Padova in dicembre commercianti e residenti avevano ottenuto di appendere luminarie in diverse lingue con gli auguri natalizi, ha provveduto a farle rimuovere per poi reinstallarle dopo pochi giorni in seguito alle diffuse proteste dei residenti stessi... il tutto a spese dei contribuenti, naturalmente.
Il multiculturalismo è un modello che si contrappone, in antropologia, al modello assimilazionista francese, che parte da una concezione universale, quindi da estendere a tutti, del modello nazionale (o, in genere, occidentale). La Germania è stata caratterizzata da un altro modello per cui il lavoratore straniero era considerato 'ospite' temporaneo destinato a tornarsene al paese d'origine al termine del periodo produttivo, per cui si è considerata marginale ogni politica di integrazione. Il modello inglese giustappone più culture tra loro senza ricercare, secondo alcuni, una vera integrazione ma piuttosto dei mini 'ghetti' o comunque una logica in cui ogni comunità vive separata dalle altre e si fa 'i fatti suoi'. Forse da qui nasce l'equivoco del nostro eroe.
Il nostro buon Sartori, secondo l'onnipresente Wikipedia, conferisce giustappunto una connotazione negativa al multiculturalismo contrapponendolo al pluralismo dei valori. Per conto mio questa connotazione negativa impedisce un'analisi scevra da pregiudizi e per questo mi sento di contestarla
...Un significativo contributo al dibattito è stato dato dal celebre politologo Giovanni Sartori. Nel suo saggio sulla società multietnica ('Pluralismo, Multiculturalismo ed estranei') sostiene una forte distinzione tra il pluralismo dei valori ed il multiculturalismo. Il primo, inteso come valore fondato in primis sulla tolleranza, garantisce la coesistenza pacifica e democratica di ambiti socio-culturali differenti; il secondo, visto come una commistione caotica di valori e culture dissenzienti. C'è da dire, tuttavia, che mentre per Sartori il multiculturalismo produce inevitabilmente disgregazione, molti altri studiosi sono convinti di una eccessiva categorizzazione da parte dello studioso fiorentino...
Altri distinguono, secondo la stessa wikifonte, tra multiculturalismo (con un'accezione più positiva) e multicomunitarismo,
cioè l'appartenenza e la totale fedeltà di un individuo ad una certa comunità e cultura., vista come una sorta di moderna segregazione. Secondo me è qui che Sartori fa confusione.
http://it.wikipedia.org/wiki/Multiculturalismo
...Il termine multiculturalismo, quindi, sta ad intendere la libertà degli individui di poter scegliere il proprio stile di vita a seconda della propria estrazione socio-culturale in contrapposizione al multicomunitarismo, cioè l'appartenenza e la totale fedeltà di un individuo ad una certa comunità e cultura.
Secondo Zygmunt Bauman, finché queste due filosofie si confonderanno: "il multiculturalismo “farà il gioco della globalizzazione priva di freni politici”. “Le forze globalizzatrici hanno mano libera con tutte le loro devastanti conseguenze, di cui la più diffusa è la montante ineguaglianza intersociale e intrasociale.”
Il sociologo polacco inoltre, afferma che “l’antica […] consuetudine di giustificare l’ineguaglianza con l’inferiorità di determinate razze è stata sostituita dall’immagine, all’apparenza più umana, di una fortissima disuguaglianza di condizioni umane dovuta all’inalienabile diritto di ciascuna comunità di perseguire il tipo di vita desiderato."
Nella nuova formula multiculturalista, sempre secondo Bauman invece, questa accettazione è mirata a trovare “forme di coabitazione soddisfacenti o quanto meno accettabili: se non appare possibile alcuna revisione dell’ordinamento sociale […] allora appare logico che chiunque abbia diritto di cercare il proprio posto nel fluido ordine della realtà e di accettare le conseguenze di tale scelta”.Evidentemente non è affatto pacifico che il multiculturalismo corrisponda alla definizione, viziata da un pregiudizio negativo, che Sartori riporta nel suo articolo:
Per la teoria-ideologia del multiculturalismo ogni cultura si dovrebbe separare dalle altre creando così «identità mono-culturali».A parte le - pessime - premesse, l'articolo di Sartori mi sembra anche deludente in quanto cita come argomento un falso storico: l'Europa come terra di partenza di migranti piuttosto che destinazione dei flussi migratori. Ciò che poteva esser vero nel Settecento è ormai anacronistico. A parte che anche in passato alcuni paesi europei hanno accolto migranti da altri paesi europei (le migrazioni dall'Italia sono ovviamente note a tutti noi, ed anche da altri paesi del Sud Europa e dell'Est), oggi ci sono circa sei milioni di musulmani in Francia, ovvero immigrazione di seconda e terza generazione.
Un altro argomento debole di Sartori è citare Milano (e via Padova, culo e quaranta la gallina canta, come si dice?) come esempio a sfavore del multiculturalismo. E' evidente che nei quartieri più degradati è più difficile cogliere elementi di integrazione e di buon vicinato, ma è altrettanto evidente che se esiste un tale degrado è frutto di un'assenza di politiche sociali degne e che il multiculturalismo non si basa sulla spontaneità dell'interazione tra culture, religioni e concezioni tradizionali della vita, della società e della famiglia, ma va costruito con azioni politiche, intenzionalità, lavoro costante e meticoloso. A Milano i primi finanziamenti che si sono tagliati, nel mondo del sociale, sono proprio stati quelli a favore delle politiche di integrazione e di sostegno alle famiglie di immigrati extracomunitari. Sartori, se c'era, forse dormiva. E il suo giornale pure...
--------------
http://www.infomedi.it/adel_jabbar_mult ... alismo.htmMulticulturalismo:
LA CULTURA DELLE DIFFERENZEdi Adel Jabbar*
La storia dell’umanità è caratterizzata dal movimento e dalla creazione continua di reti e intrecci tra persone provenienti da contesti geografici diversi.
Ci sono stati periodi storici particolarmente fertili per questi scambi: il medioevo islamico, con gli arabi che interpretavano il ruolo di mediatori culturali (preceduti da altre popolazioni semitiche) facendo del sud del Mediterraneo una “piattaforma girevole” di collegamento tra diverse aree geografiche; poi, il rinascimento europeo con le sue progressive inclusioni di popolazioni di altri continenti che ha inaugurato il “sistema-mondo” con il quale ci confrontiamo ancora oggi.
Le culture, infatti, sono fluide e gli individui interpretano attivamente le loro tradizioni rinnovandole per poter gestire i cambiamenti che le relazioni con gli altri inevitabilmente comportano.
Oggi viviamo una fase di mondializzazione: da una parte prevale il modello occidentale , sia sul piano economico che culturale; dall’altra crescono le rivendicazioni identitarie e neocomintariste.
Che cosa si intende allora per “multiculturalismo”?
Alcune considerazioni possono aiutarci ad utilizzare criticamente questo termine.
In primo luogo è bene sottolineare che ogni cultura è “multiculturale” perchè in essa sono riscontrabili sedimenti provenienti da luoghi e da popoli diversi. Ad esempio, il cristianesimo è un elemento significativo nella costruzione dell’identità italiana ed europea, però va ricordato che questo insegnamento religioso ha “radici” nel Vicino Oriente, un’area abitata da una popolazione prevalentemente semitica.
In secondo luogo, con il termine “multiculturalismo” possiamo indicare la coabitazione tra diversi gruppi linguistici, culturali, religiosi che vivono nel medesimo spazio territoriale. Pensiamo alla zona alpina dell’Italia: dall’est all’ovest troviamo diversi gruppi come, ad esempio, quello sloveno, il friuliano, il cimbro, il ladino, il tirolese, il provenzale, l’occitano… Questa pluralità è più evidente nelle zone di confine, ma esiste anche altrove. Ricordiamo ad esempio la minoranza arberesch in Calabria, Sicilia e Basilicata. Per quanto riguarda la dimensione religiosa, pensiamo alla presenza ebraica o cristiana ortodossa a Venezia e a Trieste, oppure ai protestanti luterani nelle zone dell’Alto Adige, o ancora ai valdesi in Piemonte o alla presenza diffusa dei testimoni di Geova.
E’ necessario ripristinare una “memoria plurale” per saper leggere la complessità di contesti che spesso vengono ideologicamente ridotti ad entità monolitiche e omogenee.
Infatti, se il confine statuale è rigido, quello culturale è fluido: gruppi separati da confini statuali possono avere consuetudini culturali simili , mentre altri che vivono nello stesso stato possono avere tra di loro più differenze che similitudini. La memoria non può vincolarsi all’ideologia degli stati-nazione ma oggi più che mai bisogna allenarsi a riconoscere la pluralità e la dinamicità degli elementi che contribuiscono alla formazione delle identità.
In terzo luogo, ogni società è multiculturale anche perché coesistono diversi sistemi valoriali. In Italia, ad esempio, c’è chi aderisce o meno a determinate visioni della famiglia (basta pensare al modello contrattuale o a quello sacramentale e alle controversie sulle famiglie di fatto o sulle unioni omosessuali) e troviamo posizioni contrapposte anche sui temi della pace e della guerra e perfino si può riscontrare la presenza di organizzazioni politiche che fanno riferimento a modelli ed esperienze non-democratiche. E’ interessante notare che, al di là della retorica dominante sulla laicità, la religione continua ad essere presente nella sfera pubblica: il calendario scolastico è scandito da festività religiose e l’inaugurazione dell’anno scolastico e accademico avviene spesso con una messa; durante le feste dei patroni delle città non solo i negozi ma anche gli enti pubblici restano chiusi; per non parlare poi dell’influenza della religione su alcune leggi (ad esempio le diatribe sul divorzio, sull’aborto o sulla procreazione assistita) o della richiesta di introdurre riferimenti cristiani nella costituzione europea. Inoltre, pensiamo alla figura dell’insegnante di religione nella scuola: un dipendente pubblico che agisce sotto un controllo normativo di tipo religioso riguardo all’orientamento sessuale e allo stato civile.
Multiculturalismo e immigrazione
I rapporti tra culture sono spesso caratterizzati da asimmetrie di potere. Il mondo che conosciamo oggi è fatto di un centro dominante e sterminate periferie subalterne. Queste ultime hanno scarso potere contrattuale in ambito economico, politico e culturale. Gli immigrati arrivano prevalentemente da queste aree periferiche con il desiderio di intraprendere un percorso di emancipazione sociale, cioè di accedere al centro leggendo la propria affermazione in base ai parametri del modello vincente. Le “ibridazioni” cominciano già nel paese di origine attraverso una socializzazione anticipatoria del modello vincente.
E’ bene ricordare che il multiculturalismo non è creato dalla presenza degli immigrati. Essi aggiungono altre differenziazioni a quelle già esistenti in ogni società e contribuiscono casomai a renderle più visibili.Le trasformazioni sociali in atto richiedono un metodo di intervento innovativo che definiamo con il termine “intercultura”. Non intendiamo dunque un principio etico né un traguardo da raggiungere ma l’impostazione di una prassi di lavoro in grado di aiutarci a ripristinare una memoria plurale esplorando i nostri contesti multiculturali.
La prassi interculturale implica considerare gli immigrati non tanto rappresentanti di una cultura quanto di un progetto sociale di emancipazione. Gli immigrati vivono un complicato processo di aggiustamento identitario finalizzato a trovare un’ “unità combinatoria” tra elementi appartenenti sia al nuovo contesto sia al contesto di origine. In questo processo non incide solo la cultura ma anche il genere, la provenienza sociale, il livello istruzione, il tipo di occupazione, la politica di accoglienza sul territorio, il tipo di progetto migratorio ecc.
L’intercultura innesca un processo di estensione dei confini della democrazia attraverso una cultura della partecipazione basata sul riconoscimento delle differenze. L’obiettivo è quello di stabilire un nuovo patto di cittadinanza in grado di ristabilire la simmetria necessaria per creare spazi di negoziazione e gestire le trasformazioni sociali in atto garantendo la coesione sociale.
Questo processo intende includere nuove soggettività e non “comunità” (sta a queste soggettività decidere come organizzarsi in termini collettivi: se sul piano religioso, linguistico, o su quello dell’appartenenza statuale o professionale, oppure sulla base di organizzazioni associative o sindacali autoctone ecc.).
Incrementare la partecipazione democratica significa superare il modello di “integrazione subalterna” che vede negli immigrati una mera forza lavoro e riconoscere la complessità delle relazioni che queste persone intraprendono con il territorio dove risiedono.
L’intercultura ha bisogno della mediazione socio-culturale che è innanzi tutto una strategia di parificazione di opportunità con lo scopo di ricostruire reti sociali, creare nuove competenze e ripristinare l’autostima dei cittadini immigrati riconoscendo anche quegli aspetti legati ai vissuto culturali e religiosi.
La mediazione socio-culturale mira a lavorare insieme a questo nuovo segmento della società perché possa partecipare attivamente contribuendo a ricostruire una prospettiva condivisa.
Qui non sono in gioco solo i servizi sociali perché si tratta di una strategia complessiva del territorio e non può essere solo una prerogativa del mediatore socio-culturale.
La questione dell’immigrazione non riguarda solo l’immigrato, nè è solo un intervento di politica sociale di contenimento del disagio e neppure una politica securitaria per arginare il pericolo.
La posta in gioco è rivitalizzare la democrazia attraverso una cittadinanza attiva che coinvolga tutti gli attori sociali del territorio. Gli enti formativi ed educativi, il mondo dell’associazionismo svolgono un ruolo chiave nel diffondere questa consapevolezza delle trasformazioni sociali in atto e facilitando la creazione di un nuovo protagonismo tra i vari soggetti. Naturalmente è indispensabile che ci sia un indirizzo politico in grado di comprendere che l’immigrazione è un tema centrale per la democrazia.
1) L'occidente a cui ci riferiamo non è un'area geografica ma un sistema che ingloba tutte le popolazioni del pianeta.
2) Ad esempio, le comunità linguistiche possono avere una continuità territoriale al di là del confine statuale e in questo caso si parla di "penisole linguistiche" (come nel caso sloveno o in quello tirolese).
* sociologo Università Ca' Foscari di Venezia