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TRE QUESITI REFERENDARI

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: TRE QUESITI REFERENDARI

Messaggioda pagheca il 14/06/2009, 10:03

I Quesito - modulo colore verde:
Premio di maggioranza alla lista più votata - Camera
Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, titolato “Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei Deputati”, limitatamente alle seguenti parti:
art. 14-bis, comma 1: “I partiti o i gruppi politici organizzati possono effettuare il collegamento in una coalizione delle liste da essi rispettivamente presentate. Le dichiarazioni di collegamento debbono essere reciproche.”;
art. 14-bis, comma 2: “La dichiarazione di collegamento è effettuata contestualmente al deposito del contrassegno di cui all’articolo 14. Le dichiarazioni di collegamento hanno effetto per tutte le liste aventi lo stesso contrassegno.”;
art. 14-bis, comma 3, limitatamente alle parole: “I partiti o i gruppi politici organizzati tra loro collegati in coalizione che si candidano a governare depositano un unico programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come unico capo della coalizione.”;
art. 14-bis, comma 4, limitatamente alle parole “1, 2 e”;
art. 14-bis, comma 5, limitatamente alle parole: “dei collegamenti ammessi”;
art. 18-bis, comma 2, limitatamente alle parole: “Nessuna sottoscrizione è altresì richiesta per i partiti o gruppi politici che abbiano effettuato le dichiarazioni di collegamento ai sensi dell’art. 14-bis, comma 1, con almeno due partiti o gruppi politici di cui al primo periodo e abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo, con contrassegno identico a quello depositato ai sensi dell’art. 14.”;
art. 24, numero 2), limitatamente alle parole: “alle coalizioni e”;
art. 24, numero 2), limitatamente alle parole: “non collegate”;
art. 24, numero 2), limitatamente alle parole: “, nonché per ciascuna coalizione, l’ordine dei contrassegni delle liste della coalizione”;
art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “delle liste collegate appartenenti alla stessa coalizione”;
art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “di seguito, in linea orizzontale, uno accanto all’altro, su un’unica riga”;
art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “delle coalizioni e”;
art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “non collegate”;
art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “di ciascuna coalizione”;
art. 83, comma 1, numero 2): “2) determina poi la cifra elettorale nazionale di ciascuna coalizione di liste collegate, data dalla somma delle cifre elettorali nazionali di tutte le liste che compongono la coalizione stessa, nonché la cifra elettorale nazionale delle liste non collegate ed individua quindi la coalizione di liste o la lista non collegata che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi;”;
art. 83, comma 1, numero 3), lettera a): “a) le coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 10 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano nazionale almeno il 2 per cento dei voti validi espressi ovvero una lista collegata rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute, presentata esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbia conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione;”;
art. 83, comma 1, numero 3), lettera b), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “non collegate”;
art. 83, comma 1, numero 3), lettera b), limitatamente alle parole: “, nonché le liste delle coalizioni che non hanno superato la percentuale di cui alla lettera a) ma che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi ovvero che siano rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione”;
art. 83, comma 1, numero 4), limitatamente alle parole: “le coalizioni di liste di cui al numero 3), lettera a), e”;
art. 83, comma 1, numero 4), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;
art. 83, comma 1, numero 4), limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;
art. 83, comma 1, numero 5), limitatamente alle parole: “la coalizione di liste o”;
art. 83, comma l, numero 6): “6) individua quindi, nell’àmbito di ciascuna coalizione di liste collegate di cui al numero 3), lettera a), le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 2 per cento dei voti validi espressi e le liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione, nonché la lista che abbia ottenuto la maggiore cifra elettorale nazionale tra quelle che non hanno conseguito sul piano nazionale almeno il 2 per cento dei voti validi espressi;”;
art. 83, comma 1, numero 7): “7) qualora la verifica di cui al numero 5) abbia dato esito positivo, procede, per ciascuna coalizione di liste, al riparto dei seggi in base alla cifra elettorale nazionale di ciascuna lista di cui al numero 6). A tale fine, per ciascuna coalizione di liste, divide la somma delle cifre elettorali nazionali delle liste ammesse al riparto di cui al numero 6) per il numero di seggi già individuato ai sensi del numero 4). Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente così ottenuto. Divide poi la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista ammessa al riparto per tale quoziente. La parte intera del quoziente così ottenuta rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle liste per le quali queste ultime divisioni hanno dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, alle liste che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale nazionale; a parità di quest’ultima si procede a sorteggio. A ciascuna lista di cui al numero 3), lettera b), sono attribuiti i seggi già determinati ai sensi del numero 4);”;
art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole: “varie coalizioni di liste o”;
art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole: “per ciascuna coalizione di liste, divide il totale delle cifre elettorali circoscrizionali di tutte le liste che la compongono per il quoziente elettorale nazionale di cui al numero 4), ottenendo così l’indice relativo ai seggi da attribuire nella circoscrizione alle liste della coalizione medesima. Analogamente,”;
art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;
art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizioni di liste o”;
art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole: “coalizioni o”;
art. 83, comma 1, numero 9): “9) salvo quanto disposto dal comma 2, l’Ufficio procede quindi all’attribuzione nelle singole circoscrizioni dei seggi spettanti alle liste di ciascuna coalizione. A tale fine, determina il quoziente circoscrizionale di ciascuna coalizione di liste dividendo il totale delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste di cui al numero 6) per il numero di seggi assegnati alla coalizione nella circoscrizione ai sensi del numero 8). Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente. Divide quindi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista della coalizione per tale quoziente circoscrizionale. La parte intera del quoziente così ottenuta rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono assegnati alle liste seguendo la graduatoria decrescente delle parti decimali dei quozienti così ottenuti; in caso di parità, sono attribuiti alle liste con la maggiore cifra elettorale circoscrizionale; a parità di quest’ultima, si procede a sorteggio. Successivamente l’Ufficio accerta se il numero dei seggi assegnati in tutte le circoscrizioni a ciascuna lista corrisponda al numero dei seggi ad essa attribuito ai sensi del numero 7). In caso negativo, procede alle seguenti operazioni, iniziando dalla lista che abbia il maggior numero di seggi eccedenti, e, in caso di parità di seggi eccedenti da parte di più liste, da quella che abbia ottenuto la maggiore cifra elettorale nazionale, proseguendo poi con le altre liste, in ordine decrescente di seggi eccedenti: sottrae i seggi eccedenti alla lista in quelle circoscrizioni nelle quali essa li ha ottenuti con le parti decimali dei quozienti, secondo il loro ordine crescente e nelle quali inoltre le liste, che non abbiano ottenuto il numero di seggi spettanti, abbiano parti decimali dei quozienti non utilizzate. Conseguentemente, assegna i seggi a tali liste. Qualora nella medesima circoscrizione due o più liste abbiano le parti decimali dei quozienti non utilizzate, il seggio è attribuito alla lista con la più alta parte decimale del quoziente non utilizzata. Nel caso in cui non sia possibile fare riferimento alla medesima circoscrizione ai fini del completamento delle operazioni precedenti, fino a concorrenza dei seggi ancora da cedere, alla lista eccedentaria vengono sottratti i seggi in quelle circoscrizioni nelle quali li ha ottenuti con le minori parti decimali del quoziente di attribuzione e alle liste deficitarie sono conseguentemente attribuiti seggi in quelle altre circoscrizioni nelle quali abbiano le maggiori parti decimali del quoziente di attribuzione non utilizzate.”;
art. 83, comma 2, limitatamente alle parole: “la coalizione di liste o”;
art. 83, comma 2, limitatamente alle parole: “coalizione di liste o”;
art. 83, comma 2, limitatamente alle parole: “di tutte le liste della coalizione o”;
art. 83, comma 3, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste e”;
art. 83, comma 3, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;
art. 83, comma 3, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;
art. 83, comma 4: “L’Ufficio procede poi, per ciascuna coalizione di liste, al riparto dei seggi ad essa spettanti tra le relative liste ammesse al riparto. A tale fine procede ai sensi del comma 1, numero 7), periodi secondo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo.”;
art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “numero 6),”;
art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “e 9)”;
art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “coalizione di liste o”;
art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;
art. 84, comma 3: “Qualora al termine delle operazioni di cui al comma 2, residuino ancora seggi da assegnare alla lista in una circoscrizione, questi sono attribuiti, nell’àmbito della circoscrizione originaria, alla lista facente parte della medesima coalizione della lista deficitaria che abbia la maggiore parte decimale del quoziente non utilizzata, procedendo secondo un ordine decrescente. Qualora al termine di detta operazione residuino ancora seggi da assegnare alla lista, questi sono attribuiti, nelle altre circoscrizioni, alla lista facente parte della medesima coalizione della lista deficitaria che abbia la maggiore parte decimale del quoziente già utilizzata, procedendo secondo un ordine decrescente.”;
art. 84, comma 4, limitatamente alle parole: “e 3”;
art. 86, comma 2, limitatamente alle parole: “, 3”?».
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Re: TRE QUESITI REFERENDARI

Messaggioda pagheca il 14/06/2009, 10:04

II Quesito - modulo colore bianco:
Premio di maggioranza alla lista più votata - Senato
Volete voi che sia abrogato il Decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, titolato “Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica”, limitatamente alle seguenti parti:
art. 1, comma 2, limitatamente alle parole: "di coalizione";
art. 9, comma 3, limitatamente alle parole: "Nessuna sottoscrizione è altresì richiesta per i partiti o gruppi politici che abbiano effettuato le dichiarazioni di collegamento ai sensi dell'art. 14-bis, comma 1, del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, con almeno due partiti o gruppi politici di cui al primo periodo del presente comma e abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo, con contrassegno identico a quello depositato ai sensi dell'art. 14 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957.";
art. 11, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: "alle coalizioni e";
art. 11, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: "non collegate";
art. 11, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: ", nonché, per ciascuna coalizione, l'ordine dei contrassegni delle liste della coalizione";
art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: "delle liste collegate appartenenti alla stessa coalizione";
art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: "di seguito, in linea orizzontale, uno accanto all'altro, su un'unica riga";
art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: "delle coalizioni e";
art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: "non collegate";
art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: "di ciascuna coalizione";
art. 16, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: ". Determina inoltre la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna coalizione di liste, data dalla somma delle cifre elettorali circoscrizionali di tutte le liste che la compongono";
art. 16, comma 1, lettera b), numero 1): “1) le coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano regionale almeno il 20 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano regionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi;”;
art. 16, comma 1, lettera b), numero 2), limitatamente alle parole: "non collegate";
art. 16, comma 1, lettera b), numero 2), limitatamente alle parole: "nonché le liste che, pur appartenendo a coalizioni che non hanno superato la percentuale di cui al numero 1), abbiano conseguito sul piano regionale almeno l'8 per cento dei voti validi espressi";
art. 17, comma 1, limitatamente alle parole: "le coalizioni di liste e";
art. 17, comma 1, limitatamente alle parole: "coalizioni di liste o";
art. 17, comma 1, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: "coalizione di liste o";
art. 17, comma 2, limitatamente alle parole: "la coalizione di liste o";
art. 17, comma 3: “Nel caso in cui la verifica di cui al comma 2 abbia dato esito positivo, l'ufficio elettorale regionale individua, nell'àmbito di ciascuna coalizione di liste collegate di cui all'articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1), le liste che abbiano conseguito sul piano circoscrizionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi. Procede quindi, per ciascuna coalizione di liste, al riparto, tra le liste ammesse, dei seggi determinati ai sensi del comma 1. A tale fine, per ciascuna coalizione di liste, divide la somma delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste ammesse al riparto per il numero di seggi già individuato ai sensi del comma 1, ottenendo così il relativo quoziente elettorale di coalizione. Nell'effettuare tale divisione non tiene conto dell'eventuale parte frazionaria del quoziente. Divide poi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista ammessa al riparto per il quoziente elettorale di coalizione. La parte intera del quoziente così ottenuta rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle liste per le quali queste ultime divisioni hanno dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, alle liste che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale circoscrizionale; a parità di quest'ultima si procede a sorteggio. A ciascuna lista di cui all'articolo 16, comma 1, lettera b), numero 2), sono attribuiti i seggi già determinati ai sensi del comma 1.”;
art. 17, comma 4, limitatamente alle parole: "alla coalizione di liste o";
art. 17, comma 5, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: "coalizioni di liste o";
art. 17, comma 5, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: "coalizione di liste o";
art. 17, comma 5, limitatamente alle parole: "alle coalizioni di liste e";
art. 17, comma 6: “Per ciascuna coalizione l'ufficio procede al riparto dei seggi ad essa spettanti ai sensi dei commi 4 e 5. A tale fine, per ciascuna coalizione di liste, divide il totale delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste ammesse al riparto ai sensi dell'articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1), per il numero dei seggi ad essa spettanti. Nell'effettuare tale divisione non tiene conto dell'eventuale parte frazionaria del quoziente così ottenuto. Divide poi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista per quest'ultimo quoziente. La parte intera del risultato così ottenuto rappresenta il numero dei seggi da attribuire a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alla lista per la quale queste ultime divisioni abbiano dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, a quelle che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale circoscrizionale.”;
art. 17, comma 8: “Qualora una lista abbia esaurito il numero dei candidati presentati nella circoscrizione regionale e non sia quindi possibile attribuire tutti i seggi ad essa spettanti, l'ufficio elettorale regionale assegna i seggi alla lista facente parte della medesima coalizione della lista deficitaria che abbia la maggiore parte decimale del quoziente non utilizzata, procedendo secondo un ordine decrescente. Qualora due o più liste abbiano una uguale parte decimale del quoziente, si procede mediante sorteggio.”;
art. 17-bis, limitatamente alle parole: “e 6”;
art. 19, comma 2: “Qualora la lista abbia esaurito il numero dei candidati presentati in una circoscrizione e non sia quindi possibile attribuirle il seggio rimasto vacante, questo è attribuito, nell'àmbito della stessa circoscrizione, ai sensi dell'articolo 17, comma 8."».
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Re: TRE QUESITI REFERENDARI

Messaggioda pagheca il 14/06/2009, 10:05

III Quesito - modulo colore rosso:
Abrogazione candidature multiple
Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, titolato “Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei Deputati”, limitatamente alle seguenti parti:
art. 19, limitatamente alle parole: “nella stessa”,
art. 85.

Tutto chiaro, no???
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Re: TRE QUESITI REFERENDARI

Messaggioda franz il 14/06/2009, 10:34

pagheca ha scritto:Tutto chiaro, no???

Il dramma è che tutta la legislazione italiana (o il 99%) è scritta cosi' ed è quindi incomprensibile per i cittadini.
Scritta da azzeccagarbugli (anche della nostra parte politica) e comprensibile solo a loro, con annesse dispute interpretative.
E non sono poche leggi, si parla di decine di migliaia. Nessuno sa bene quante: si dice tra 70'000 e 150'000.

Per eliminare il referendum abrogativo (totale o parziale) ed introdurre le forme piu' democratiche di referendum propositivo e confermativo occorre cambiare la Costituzione. Quindi campa cavallo .... ma visto che ci siamo occorrerebbe un articolo costituzionale che impone al legislatore di produrre testi di legge comprensibili a tutti.

Dei tre questiti comunque il terzo ha un minimo di comprensibilità.
Segnalo questo sito http://www.referendumelettorale.org/

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Undici risposte ad undici obiezioni

Messaggioda franz il 14/06/2009, 10:36

da http://www.referendumelettorale.org/det ... referendum

- Il referendum è inutile perché non cancella le liste bloccate.
E’ vero che non cancella questo sconcio. Purtroppo non è possibile farlo con un referendum. Ma questo è il referendum contro la "legge-porcata” di Calderoli, e se passerà il suo significato politico sarà questo: il Parlamento sarà costretto a fare le riforme che oggi non vuole fare. Sarà una scossa che rimetterà in moto le cose. A suo tempo neanche l'elezione diretta del sindaco era tra i quesiti (anche quella non poteva esserci), ma la vittoria del sì nel '92 obbligò il Parlamento a vararla. Della “porcata” il referendum cancella invece un’altra vergogna, la possibilità di candidature multiple.
Piuttosto la domanda da fare è questa: c’è qualcuno che crede che, se il referendum fallisse, i partiti farebbero le riforme? No, se il referendum fallirà tutto resterà come prima. Qualcuno andrà in tv e dirà: “Vedete? Gli italiani sono contenti di questo sistema elettorale e di questa politica”

- Il referendum non serve, perché dopo i partiti cambiano tutto.
A volte è capitato. La legge sul finanziamento dei partiti è stata scippata in modo vergognoso dal Parlamento, e la stessa legge Calderoli ha stravolto vergognosamente il referendum del '93, anche se ha comunque dovuto rispettare almeno il principio del bipolarismo, proprio perché quella scelta gli elettori l'avevano voluta e la vogliono ancora fortemente. Per il resto l'attuale legge è una porcheria. Consente ad un partitino di mettere la maggioranza con la schiena al muro e di minacciare continuamente le crisi di governo. Non dobbiamo arrenderci a questa situazione. Questo è un referendum proprio contro quello “scippo”. Del resto la storia d’Italia è stata fatta molto dai referendum, e la maggior parte delle volte il risultato è stato rispettato. La elezione diretta del sindaco è sempre lì.

- Con le elezioni il quadro politico è stato semplificato, e il referendum è dunque superato.
Quando abbiamo raccolto le firme non esistevano né il PD né il PDL, ed è stata proprio la campagna referendaria a spingere i partiti a fare queste aggregazioni. Ma la politica italiana è ancora instabile. Se vince il sì questi partiti rimarranno uniti e ci avvieremo al bipartitismo. Se il referendum perde si può sfasciare tutto.
E poi l’instabilità c’è con qualsiasi coalizione, anche di tre partiti. Basta ricordare il ricatto della lega per non fare l’election day con il referendum il 6 e 7 giugno.
Ma si possono immaginare Obama, Sarkozy o Zapatero andare in televisione e dire “io vorrei fare questa cosa per il bene del paese, ma se la faccio gli alleati mi fanno la crisi di governo. E quindi non la faccio”? È proprio quello che Berlusconi ha dovuto ammettere soltanto poche settimane fa di fronte al ricatto della Lega sulla questione dell'abbinamento del referendum all'election day.
Quello che cambierebbe è che nessun partito delle coalizioni di governo potrebbe ricattare gli alleati. Non ci sarebbero stati i diktat dei Mastella e dei Giordano della scorsa legislatura nel centro-sinistra, e dei Bossi e dei Maroni nel centrodestra in questa.
Una cosa deve essere chiara: IN NESSUN PAESE CHE CONTA UNA MINORANZA PUÒ FAR CADERE IL GOVERNO. PER QUESTO L’ITALIA NON CONTA

- Le leggi elettorali deve farle il Parlamento.
In linea di principio ciò è giusto, ma in Italia le uniche riforme, come il maggioritario e la elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia e del governatore, sono state fatte, a furor di popolo, dai referendum degli anni '90. Il Parlamento parla di riforme da trent’anni, ma è bloccato perché controllato dai partiti che non le vogliono. Soltanto i cittadini possono cambiare e dare un scossa perché si facciano le riforme.

- Il referendum è pericoloso: aiuta Berlusconi.
Qualunque sia la posizione politica che si ha, questa è comunque una grandissima balla. Dicono che se passa il referendum Berlusconi e il suo PdL, con il 40% dei voti, prende il 55% dei seggi in parlamento. Attenzione, può avvenire già oggi con l'attuale legge-porcellum. Per fare questo Berlusconi non ha alcun bisogno del referendum che su questo punto non cambia niente (i cambiamenti sono altri). Tutto questo è un effetto della legge elettorale oggi in vigore, la quale già prevede che alla lista più votata venga attribuita anche la maggioranza assoluta dei seggi in palio.

- E’ antidemocratico che un partito del 40% abbia il 55% dei seggi.
No, questo non è vero. Nei paesi anglosassoni, la culla della democrazia, ciò accade spesso. Thatcher e Blair hanno sempre governato con queste percentuali, e nel 2005 Tony Blair, con il 35,3% dei voti, ha preso il 55 % dei seggi ed ha eletto 360 deputati contro i 260 di tutte le opposizioni. Il maggioritario è questo: chi vince governa, chi perde controlla.

- Ma addirittura con il 20% dei voti si può prendere la maggioranza assoluta dei seggi.
Ancora una volta occorre ricordare che questo può accadere anche oggi, proprio con la legge che combattiamo, e non sarebbe un effetto del referendum. Se una coalizione prende il 20%, la seconda il 19%, la terza il 18% e le altre ancora meno, la prima ha la maggioranza assoluta in Parlamento. In realtà però si tratta di un’ipotesi teorica, sostanzialmente impossibile a realizzarsi. Già oggi i due principali partiti hanno più del 20%! E poi il desiderio di vincere spinge a fare aggregazioni vaste, per battere l’avversario. Nel 2006 questo ha portato ad aggregazioni enormi, 16 partiti da una parte e 17 dall’altra. Se passa il referendum chi vuole aggregarsi per vincere dovrà fare una lista unica, con grande vantaggio per la stabilità e la chiarezza.

- Il referendum rafforza soltanto chi ha la maggioranza.
Non è vero. Aiuta anche l’opposizione, anzi forse ancora di più. Quando ci sono le elezioni la maggioranza va al governo ed è unita dall’esigenza di non perdere il governo, mentre l’opposizione tende a sfasciarsi, a litigare, e ciascun partito va per conto suo. Lo vediamo già oggi con la rissa continua tra PD e Italia dei valori. Litigano perché vogliono rubarsi reciprocamente i voti per essere più forti quando si tratterà di contrattare la formazione della coalizione elettorale. Se ci fosse il bipartitismo il partito di opposizione rimarrebbe unito e dovrebbe pensare soltanto a fare delle proposte serie che gli consentano di vincere le elezioni la volta successiva.

- Il referendum fa spendere soldi.
La democrazia ha i suoi costi. Vogliamo rinunciare alla democrazia per risparmiare qualcosa? Mussolini diceva che le elezioni costano caro, e infatti per vent’anni non le ha più fatte. Ma attenzione, se si fosse accolta la nostra richiesta di votare nello stesso giorno, il 6 e il 7 giugno, europee, amministrative e referendum, si sarebbero risparmiati ben 400 milioni di euro. E’ stata la Lega a impedire questo e ad addossare alla collettività un costo enorme.

- Il referendum porterebbe ad un bipartitismo forzato.
E’ vero, il referendum spingerebbe al bipartitismo. Questo è il suo valore politico, questo è l’obiettivo che ci prefiggiamo. Ed è un obiettivo importantissimo e positivo. Tutte le grandi democrazie si fondano su due grandi partiti. Negli USA i democratici e i repubblicani, in Gran Bretagna i laburisti e i conservatori, in Spagna e in Germania i popolari i socialisti, in Francia o socialisti e il partito di Sarkozy. Questo non significa che non vi siano altri partiti più piccoli, ma che ciascuno dei due poli ruota attorno a un grande partito. Ma questa è la garanzia di stabilità e di efficienza di quelle democrazie: e questo è ciò che il referendum ci darebbe anche in Italia. E poi non ci sarebbe nessuna forzatura. Gli italiani che hanno votato per i due principali partiti sono più del 70 %. Più di quanto abbiano ottenuto insieme i due principali partiti in Inghilterra nel 2005 (67,6%).

- Ci sarebbe meno pluralismo.
Non è vero. I partiti che superano il 4 % sarebbero comunque rappresentati. E poi la frammentazione estrema non porta pluralismo: porta a inefficienza, paralisi, e anzi immobilismo. Il vero pluralismo ha bisogno dell' alternanza, del ricambio. Solo questo mette al riparo dalla cosa più soffocante che ci sia, il consociativismo. Noi non vogliamo colpire il sano pluralismo. Vogliamo colpire il potere di ricatto dei partiti dentro le coalizioni. Vogliamo eliminare l’idea della coalizione. Che è una contraddizione in termini: si sta insieme, ma ci si combatte anche per rosicchiarsi reciprocamente voti. Un assurdo. E il tempo si spreca nei negoziati tra i partiti, anziché pensare al bene del paese.
Noi ci ispiriamo ai modelli anglosassoni. Ti pare che in quei paesi non ci sia pluralismo?

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Re: TRE QUESITI REFERENDARI

Messaggioda pagheca il 14/06/2009, 10:48

l'anomalia italiana (o forse solo il ritardo... di qualche secolo) e' anche questo: l'assenza del diritto di comprendere quello che stiamo facendo. Per leggere una busta paga, o una bolletta (qui almeno le cose sono migliorate), o il modulo delle tasse, in Italia ci vuole un diploma da ragioniere e spesso una laurea in giurisprudenza, economia etc. In Italia non esiste un "diritto di comprensione", esistente invece in qualsiasi paese civilizzato.

Leggevo tempo fa che e' legale per la Polizia fare multe anche in assenza di un cartello stradale. Se per esempio il manto stradale e' stato fatto di recente, la segnaletica orizzontale non e' stata completata, e si sorpassa in un punto in cui non vi sono strisce ma dove qualche oscuro regolamento municipale prevede il divieto di sorpasso, si puo' essere multati. La legge quindi si aspetta che prima di entrare in una zona del paese il cittadino vada in comune (a piedi naturalmente) e richieda il plico con tutti i regolamenti comunali, perche' "la legge non ammette ignoranza". Quando leggo una busta paga italiana, che rende impossibile di fatto al lavoratore di capire se l'importo e' giusto o sbagliato, mi chiedo se questo non nega un diritto fondamentale del cittadino: quello di essere messo in grado di curare i propri diritti contro un banale errore di contabilita'.

Questa dovrebbe essere una piccola ma importante battaglia da affrontare: se il cittadino medio non lo capisce, non e' ammissibile, sempre e ovunque. Referendum, comunicato o bolletta che sia. Ma gli italiani sono nati in questo ambiente e praticamente lo considerano normale, mentre in altri paesi c'e' uno sforzo di anni per rendere le comunicazioni sempre piu' comprensibili. Addirittura in alcuni paesi (USA per esempio) i moduli da riempire riportano il tempo medio che ci vuole per farlo, in modo da permettere al cittadino di preventivare quanto tempo gli occorrera'.

Io nel mio piccolo ho detto basta a questo. Se non lo capisco, lo rifiuto. Se c'e' il rischio che non abbia valutato le conseguenze di un gesto, quel gesto non lo faccio. Vale anche per i referendum. E' una questione di serieta'.

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I QUESITI IN PILLOLE

Messaggioda franz il 14/06/2009, 11:09

Ovviamente il comitato promotore illustra bene (con cognizione di causa) cosa accade votando si, come propongono.

da: http://www.referendumelettorale.org/cosasuccede/

Se vincono i Sì, scompariranno le coalizioni di partiti e si eviterà che questi si uniscano il giorno delle elezioni e si dividano subito dopo imponendo veti, mediazioni e verifiche continue a maggioranza e governo. Si realizzerà anche in Italia il bipartitismo, così come negli Usa, in Inghilterra, in Francia e in Spagna. Senza coalizioni, la soglia di accesso a Camera (4%) e Senato (8%) diventerà uguale per tutti e il premio di maggioranza non potrà più andare alla coalizione ma solo alla lista che avrà ottenuto più voti.

Ecco i pdf che illustrano gli esempi di come cambia il testo di legge con le parole o frasi abrogate.
Testo su due colonne: attuale e dopo l'eventuale vittoria del SI
http://www.referendumelettorale.org/all ... e64485.pdf
http://www.referendumelettorale.org/all ... a64486.pdf
In pratica nei primi due quesiti si eliminano i riferimenti alle coalizioni lasciando solo quelli alle liste.
Poichè i riferimenti sono tanti, diventano anche lunghi i quesiti referendari.

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Re: TRE QUESITI REFERENDARI

Messaggioda franz il 14/06/2009, 16:59

pagheca ha scritto:Io non ho votato. Perche' mi rifiuto d'ora innanzi di votare per qualcosa che per essere compresa necessita delle spiegazioni di qualcun altro, sottoponendomi al rischio di essere strumentalizzato

Riprendo questo tuo intervento.
Sotto un certo punto di vista hai ragione e in prima battuta non ho trovato obiezioni.
Riflettendo un attimo devo dire che la tua posizione pero' è molto debole ed hai una certa quota di torto.

Nessun uomo è un isola. Tutti noi per capire, per comprendere, abbiamo bisogno di informarci, di leggere, con confrontarci con altri. Col rischio di essere influentati e strumentalizzati. Ma non è possibile diversamente.
Nessuno di noi sa tutto. Dipendiamo dagli altri. Sempre. Discussioni verbali o testi scritti sono espressione di un pensiero altrui, di una spiegazione di un qualcun altro. Devi saper accedere a queste informazioni, saperle analizzare criticamente.
Sapere come gestirle, farle diventare parte di te in modo oggettivo ma distaccato, dividendo emozioni e razionalità.
Cosa non facile ma forse tu, per l'oggettività scientifica che hai, puoi farcela piu' di altri.

Anche se il quesito fosse semplice ("vuoi tu eleggere solo liste o anche coalizioni") non per questo la tua decisione sarebbe svincolata dal confronto dialettico con migliaia di altre persone, che ti inflenzano e che puoi influenzare.

Se la democrazia fosse solo un ricevere un quesito comprensibile e rispondere SI / NO in solitudine, senza un confronto con altri, senza che il demos possa essere parte di te e tu parte del demos, sarebbe cosa ben misera.

Che poi i quesiti dei referendum italiani siano particolarmente insulsi ed ostici è vero ed è assolutamente deplorevole ma in fondo basta un minimo sforzo in rete per capire cosa vogliano dire. Non dirmi che ora fai parte anche tu della classe di telespettatori obesi (vedi il filmato di Aldo Grasso sul corriere on line) fruitori passivi con telecomando, che se non capiscono subito cambiano canale.

Puoi informarti, discuterne qui e votare con calma, visto che sei all'estero.
Puoi votare si, no o scheda bianca evitando che altri, come in cechia, inseriscano schede prevotate in sostituzione di quelle dei non votanti (immagino che sia andata cosi').

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DOCUMENTI/ 3 SI AL REFERENDUM!!!!!(contenuti)

Messaggioda borghinolivorno il 15/06/2009, 21:41

1. Un mio intervento su "Adista" Perché rifiutare l’astensione, perché votare Sì


di Stefano Ceccanti



1. La prima scelta è quella tra voto e non voto. Le grandi culture politiche che hanno dato vita alla Costituente ci hanno trasmesso l’importanza del voto libero e segreto come dovere prima che come diritto. Siamo sicuri che sia un progresso sbarazzarcene? Prima che per i singoli cittadini il problema si pone per coloro che hanno un ruolo di orientamento educativo, a partire da vescovi, costituzionalisti e parlamentari. Legittimare autorevolmente l’astensione è sempre sbagliato, anche per i referendum abrogativi per i quali è previsto un quorum molto elevato, pensato in una società in cui votava più del 90% degli elettori. I referendum, come ricordava Moro alla Costituente, sono un importante strumento contro le possibili prevaricazioni di una maggioranza parlamentare ai danni dell’elettorato. Se accettiamo il trucco per cui chi è contrario al risultato anziché fare una battaglia limpida per il No, gioca ad annettersi l’astensionismo cronico, quello che va ormai oltre il 30%, perché è più facile vincere spingendo solo un altro 20% al non voto, svuotiamo uno dei pochi contrappesi che esistono. Né è accettabile criticare tale atteggiamento a giorni alterni: aderendo per i referendum che si vogliono osteggiare e criticandolo per i referendum che si vogliono sostenere. Su questa Agenzia molte voci si levarono a criticare la scelta del cardinale Ruini sulla procreazione assistita. Spero che, per coerenza, quelle stesse persone mantengano la critica al machiavellismo dell’astensionismo e, se contrarie, si schierino francamente per il No. Per di più, in questi ultimi giorni, dopo un incontro privato, Bossi e Berlusconi hanno concordato uno scambio tra astensione al referendum e sostegno al ballottaggio: merita di andare a votare anche contro questo ennesimo episodio di uso privatistico delle istituzioni, elle regole comuni, da parte dell'attuale maggioranza.


2. La seconda scelta è quella tra Sì e No. Essa deve prendere le mosse dall’attuale legge elettorale, la cosiddetta “porcata” (il Ministro Calderoli, uno dei principali sponsor dell’astensionismo). L’obiettivo politico dei quesiti è quello di rimettere in discussione quella bruttissima legge. I quesiti non sono dei fini in sé, sono gli strumenti per raggiungere quegli obiettivi e si devono muovere secondo gli orientamenti della Corte costituzionale, limitandosi a sottrarre norme che lascino comunque operativa la legge. Coi quesiti si poteva proporre di togliere le candidature plurime, che fanno scegliere gli eletti anche dopo il voto, ma non si poteva reintrodurre il collegio uninominale. Non a caso in Parlamento abbiamo presentato varie iniziative per raggiungere quell’obiettivo, a cominciare dall’idea semplice di una legge di un solo articolo per ripristinare la legge Mattarella. E’ poi infondata l'accusa secondo cui con la vittoria del Sì verrebbe data la maggioranza assoluta dei seggi al partito che ha ottenuto una maggioranza solo relativa di voti, perché questo è già possibile con la legge in vigore. Anche al fine di mantenere la scelta diretta dei governanti da parte dei cittadini arbitri sarebbe certo preferibile il collegio uninominale anziché il premio di maggioranza, ma ciò è possibile solo dopo un successo del Sì. Dal punto di vista politico, al di là dei tecnicismi, il successo dell’astensione o del No portano sicuramente al mantenimento della legge Calderoli; dopo un risultato del genere nessuno riuscirebbe a sollevare di nuovo la questione di una sua riforma. Chi si astiene o vota No non venga quindi poi a lamentarsi ancor della legge vigente. Al contrario, proprio perché una forza importante della maggioranza, la Lega Nord , in caso di successo sarebbe radicalmente contraria alla legge che risulterebbe dai quesiti, proprio questo fatto costituirebbe una polizza di assicurazione per una successiva riforma parlamentare.





2. Panebianco sul Corriere della Sera


Sistema elettorale

Referendum, antidoto ai troppi partiti

Gli italiani saranno chiamati il 21 giugno a votare per un referendum che propone di modificare la legge elettorale in vigore. Come risulta dai sondaggi, tanti italiani sono ancora disinformati, non sanno nulla dei quesiti referendari. E, inoltre, una gran parte delle forze politiche li incita alla astensione. Anche in queste sfavorevoli circostanze è però giusto continuare a discuterne.


La mia prima osservazione è che diversi criti­ci del referendum hanno avanzato una obiezio­ne che non sembra leale. Hanno sostenuto che quello che uscirebbe da una vittoria dei «sì» nel referendum non sarebbe comunque un buon si­stema elettorale. L'obiezione non mi pare leale perché in Italia non esiste l'istituto del referen­dum propositivo. Non si può dunque sottoporre al voto popolare il sistema elettorale che si prefe­risce (io, per esempio, preferisco di gran lunga i sistemi elettorali maggioritari, con collegi uni­nominali). Col referendum abrogativo si può so­lo incidere su leggi esistenti. Il referendum ten­ta semplicemente di migliorare quella che in tanti giudichiamo una pessima legge elettorale. Non può fare nulla di più. Per onestà nei con­fronti dei lettori devo precisare che mentre scri­vo questo articolo mi trovo in flagrante conflitto di interessi. Faccio parte del comitato promoto­re del referendum e certamente intendo difen­dere, insieme al referendum, la coerenza e la va­lidità della mia scelta.


Che cosa intendevano (intendevamo) fare i proponenti del referendum, soprattutto con il quesito più importante, quello che chiede di spostare dalla coalizione di partiti alla singola lista il premio di maggioranza? Intendevano (in­tendevamo) contrastare l'aspetto più grave e pe­ricoloso della legge elettorale in vigore: il fatto che essa non contiene alcun anticorpo contro la frammentazione partitica (e ricordo che fra tutti i pericoli che può correre una democrazia quelli che vengono da un eccesso di frammentazione partitica sono di gran lunga i più gravi). Ma, si obietterà: alle ultime elezioni, nonostante la leg­ge in vigore, la frammentazione partitica è stata drasticamente ridotta. E’ vero ma la causa è sta­ta esclusivamente una decisione politica: la scel­ta di Walter Veltroni di sbarazzarsi dell'antica co­alizione di centrosinistra e di puntare sul «parti­to a vocazione maggioritaria».


Fu quella decisione che , ricompattando la si­nistra (anche se non del tutto: Veltroni commi­se poi il gravissimo errore di allearsi con Di Pie­tro), obbligò anche la destra a un analogo ricom­pattamento (con la nascita del Popolo della Li­bertà). Ma ora Veltroni è fuori gioco e anche il partito a vocazione maggioritaria è stato messo in soffitta.


Alle prossime elezioni il Partito democratico tornerà , presumibilmente, a una più tradiziona­le politica delle alleanze (ed è plausibile che, per diretta conseguenza, si manifestino tendenze di­sgregative anche a destra). La legge elettorale in vigore tornerà allora a sviluppare le sue letali tossine, alimenterà di nuovo la frammentazione partitica. Se non si fa qualcosa (e l'unico «qual­cosa » possibile è, al momento, il referendum) il sistema politico italiano sarà di nuovo tra pochi anni, come è stato negli ultimi decenni (fino al 2008), il più frammentato dell'Europa occidenta­le.


Come sempre quando si ragiona di sistemi elettorali le critiche più serie e argomentate alla proposta referendaria sono state avanzate da Giovanni Sartori. Sartori fa due obiezioni. La pri­ma: con il sistema elettorale che uscirebbe dal referendum un partito che raggiungesse, ponia­mo, solo il trenta per cento dei voti potrebbe ag­giudicarsi il premio di maggioranza conquistan­do la maggioranza assoluta dei seggi. La secon­da: poiché il premio di maggioranza va alla lista più votata la legge verrebbe aggirata con la for­mazione di liste-arlecchino formate da tanti par­titi che si metterebbero insieme solo per conqui­stare il premio di maggioranza e si dividerebbe­ro di nuovo il giorno dopo le elezioni. Si tratta di obiezioni serie ma mi permetto di fare due osservazioni. La prima è che, certamente, è in teoria possibile che un partito con solo il trenta per cento dei voti conquisti il premio di maggio­ranza e quindi la maggioranza assoluta dei seg­gi. Però, questo è vero anche nel caso dei siste­mi maggioritari: nulla vieta, in teoria, che un partito si aggiudichi la maggioranza dei collegi (e quindi la maggioranza dei seggi) ottenendo però, su scala nazionale, un numero di voti limi­tato. In un sistema maggioritario ciò può accade­re se nei collegi sono presenti molti partiti. Più in generale, nei sistemi maggioritari, è quasi sempre la minoranza elettorale più forte che si aggiudica la maggioranza dei seggi.


In pratica, però, non credo che se si votasse con il sistema elettorale che uscirebbe dal refe­rendum correremmo questo rischio: gli elettori sarebbero portati a concentrare i loro voti sulle due formazioni più forti (è l'effetto del cosiddet­to «voto utile» o strategico). Mi azzardo addirit­tura a fare una previsione: se si votasse con il sistema elettorale proposto dal referendum ci sarebbe un duello all'ultimo voto fra Popolo del­la Libertà e Partito democratico, e il partito che fra i due uscisse perdente supererebbe comun­que la soglia del quaranta per cento dei voti (per effetto, appunto, del «voto utile»).


E vengo al problema delle liste-arlecchino . Sartori ha ragione: molti piccoli partiti si aggre­gherebbero al carro dei due partiti più grandi. Però, la loro libertà d'azione dopo il voto verreb­be compromessa. Una cosa, per un piccolo parti­to, è disporre di un proprio simbolo e di autono­mo finanziamento pubblico. Una cosa completa­mente diversa è rinunciare al simbolo (e, con es­so, a un rapporto diretto, non mediato, col pro­prio elettorato) e dover per giunta fare i conti, per la spartizione dei finanziamenti, con il grup­po dirigente del grande partito a cui ci si è aggre­gati. Non credo che, dopo le elezioni, quei picco­li partiti disporrebbero ancora di molta libertà d'azione. Se così non fosse, d'altra parte, perché mai la Lega dovrebbe essere, come è, così feroce­mente contraria al referendum? E perché mai Di Pietro (oggi politicamente molto più forte ri­spetto a quando vennero raccolte le firme del referendum) si sarebbe ora schierato per il «no» dopo avere sostenuto per tanto tempo il «sì»?


I nemici di Berlusconi temono che , con il nuo­vo sistema, egli possa rafforzarsi ulteriormente. Osservo che è sbagliato giudicare i sistemi elet­torali alla luce di preoccupazioni politiche con­tingenti. Prima o poi, Berlusconi dovrà comun­que lasciare il campo. Invece, il rischio, esaspe­rato dall'attuale legge elettorale, di un'eccessiva frammentazione partitica peserà a lungo su di noi. Se non riusciremo, con il referendum, ad aiutare la classe politica a porvi rimedio.



Angelo Panebianco

13 giugno 2009



3.da www.nelmerito.com


AGGIORNARE – E NON AGGIRARE – LO STRUMENTO REFERENDARIO


Parlamento e Istituzioni

di Francesco Clementi

05 giugno 2009

1. Anche sulla scia di quanto scritto di recente per nelMerito dall’economista Guido Ortona – che ravvisa grandi pericoli per la democrazia con l’approvazione del referendum elettorale proposto dai proff. Guzzetta e Segni – forse è opportuno alcune puntualizzazioni, di tipo propriamente giuridico, rispetto al lungo e assai dettagliato intervento che si conclude con un appello all’astensione.


Da un lato, per non disperdere un patrimonio prezioso che ormai si è costruito nel tempo intorno al tema dei referendum elettorali e che, talvolta, rischia di essere utilizzato in maniera, forse, impropria. Dall’altro, perché tale confusione a volte può determinare forme di generalizzazione davvero eccessive, come l’attribuzione che si evince nell’intervento di Ortona (ad esempio al punto 5), rispetto al fatto che la vittoria dei sì al referendum " avrebbe effetti deleteri sulla qualità della vita di tutti, in termini di emarginazione, di immiserimento, di corruzione diffusa, di perdita di cultura, di asservimento ai potenti ". Davvero un’affermazione dura, a maggior ragione perché non si dice nulla nell’intervento per evitare che tutto ciò venga inusitatamente attribuito, in primis , proprio ai promotori del referendum (oltre che agli oltre seicentomila cittadini–elettori che li hanno sottoscritti); i quali – almeno per quanto mi riguarda, di certo – non vogliono favorire per nulla quanto scritto da Guido Ortona nel virgolettato. Anzi! Pertanto, proprio in ragione del fatto che le parole utilizzate sono – come si dice – anche pietre, forse è meglio ripartire da alcune pietre salde, ossia quanto prevede la nostra Costituzione e poi ha previsto, via via, la Corte costituzionale.



2. Il referendum è uno strumento di democrazia diretta che rientra nell’ambito delle votazioni alle quali liberamente è chiamato qualsiasi cittadino ai sensi dell’art. 48 Cost. In particolare, rientra nelle votazioni di tipo c.d. deliberativo (a differenza di quelle di tipo elettivo). Il nostro ordinamento costituzionale configura, ai sensi dell’art. 75 Cost., il referendum esclusivamente come uno strumento non propositivo ma soltanto, appunto, abrogativo. Ed in questo senso, proprio in tema di referendum elettorali, fin dal 1991, la Corte costituzionale, nella nota sentenza 47 del 1991, (già, in modo diverso, anticipata con una decisione sul referendum sul CSM nel 1987), ricordava chiaramente l’importanza che i quesiti fossero chiari per gli elettori ma soprattutto che la normativa di risulta – ossia quella derivante dall’esito positivo dell’intervento del voto degli elettori – dovesse comunque risultare auto–applicativa. E questo proprio per mantenere, in qualsiasi momento, la funzionalità delle istituzioni.


Pertanto, su questo perimetro di regole definite dalla Costituzione e dalla Corte costituzionale, da tempo si sono mossi (e saranno ancora costrette a muoversi probabilmente) le richieste referendarie di abrogazione dei sistemi elettorali in Italia: sistemi che – è utile ricordare – non sono dalla dottrina divisi in blocchi monolitici, rigidamente tra proporzionali e maggioritari, ma sono invece ripartiti in assetti più dinamici, al punto tale che esistono sistemi proporzionali con effetti selettivi (come, ad esempio, nel caso spagnolo) o sistemi maggioritari tendenzialmente meno selettivi (come, ad esempio, nel caso francese). E non da ultimo, più recentemente, la dottrina classifica anche l’esistenza di sistemi elettorali di tipo misto.


Peraltro, il diritto costituzionale comparato (oltre che la politologia) insegnano che non esiste un sistema elettorale ideale in termini assoluti. Ciò che distingue le famiglie di sistemi elettorali è, sostanzialmente, la proiettività degli esiti del voto (proporzionali o meno); esistono, dunque, sistemi proiettivi e sistemi selettivi e la scelta tra l’una o l’altra famiglia dipende dal particolare contesto politico–istituzionale a cui essi si applicano. Né mi pare ci sia sufficiente evidenza scientifica per affermare che la maggior parte degli studiosi siano contrari a leggi elettorali proporzionali.



3. Sia come sia, in questo quadro, è evidente a tutti che il vero tema che emerge dalla sollecitazione referendaria è quello dello svilimento della rappresentanza che c’è oggi in Italia. Svilimento che è evidentemente innanzitutto ricollegabile alla legge elettorale c.d. porcellum (di certo non voluta dai referendari!) ma che – come da tempo tutta la dottrina, almeno costituzionalistica, rileva – non può essere limitato ad essa, trovando cause importanti anche nella mancanza di una seria disciplina pubblicistica dei partiti politici (che tenga conto anche della loro democrazia interna e della necessaria trasparenza) e della mancata regolazione degli aspetti economici della politica e del suo finanziamento tout court (temi che si licet – da tempo – accomunano, nel loro percorso professionale, molti dei giuristi che fanno parte del comitato referendario). Quindi le ragioni, ahimé, anche questa volta – sono molto più complesse.


Al di là comunque dei toni utilizzati nell’intervento, tuttavia, vorrei semplicemente sottolineare, tra i tanti, tre punti di merito che non condivido dell’intervento di Guido Ortona:



a) si dice che l’innalzamento della soglia di sbarramento determinerebbe un aumento della possibilità di maggioranze differenti tra le due Camere. In realtà non né è esatto né attribuibile ad una eventuale vittoria del referendum questo effetto, in quanto questa possibilità dipende esclusivamente dal diverso modo di attribuzione – previsto dalla legge elettorale – del premio di maggioranza tra le due Camere, a livello regionale al Senato e a livello nazionale alla Camera. Da questo punto di vista, il referendum non muta alcunché, le probabilità che si concretizzino due maggioranze differenti sarebbe uguale sia nel caso in cui la legge rimanga così com’è, sia che il referendum dia esito positivo.


b) si dice che l’esito riproporrebbe la fascista legge Acerbo. Capisco l’utilizzo dialettico della legge Acerbo – richiamata immagino perché rende più esplicito in molti il parallelismo tra Mussolini e Berlusconi – e tuttavia questa prevedeva un premio consistente nei 2/3 dei seggi, non nel 55%. Non da ultimo la legge Acerbo venne approvata un anno dopo la Marcia su Roma e, nelle prime elezioni in cui essa trovò applicazione, il PNF le vinse utilizzando – come noto – metodi violenti e repressivi.


c) si dice che, all’esito positivo, vi sarebbero dubbi di costituzionalità sugli articoli 56, 57, 58. In realtà, quegli articoli chiariscono che le Camere devono essere elette con il metodo del suffragio universale diretto. "L’essere eletti" non è una dote naturale ma è "l’effetto" di un meccanismo che permette vengano convertiti – insomma si trasformino – dei voti in seggi, secondo una determinata formula numerica, nonché l’esercizio di un diritto (elettorato passivo). Altre interpretazioni non sono – mi pare – dai più condivise.



4. Infine, l’astensione. Questo mi sembra più un tentativo di aggiramento del merito piuttosto che quello di voler accettare un chiaro confronto. Infatti, la scelta del Costituente riguardo al quorum, allora, era una garanzia ed una tutela del circuito rappresentativo introdotta nel conflitto – confronto tra democrazia rappresentativa–democrazia diretta (basta rinviare alle pagine di Costantino Mortati o del dibattito weimariano, noto a molti dei nostri costituenti). Ma mi chiedo se oggi il senso dell’astensione nell’ambito dell’istituto referendario rappresenti ancora questo? Non lo credo. A me l’astensione appare più come uno strumento utilizzato per far fallire la proposta (v. ad esempio il recente referendum sulla fecondazione assistita) senza offrire credibili –perché argomentate pubblicamente e responsabilmente nel voto contrastate – proposte alternative.


In un sistema democratico, la responsabilità a mio avviso è un valore, tra i supremi del nostro ordinamento. Da tutelare e preservare. Per cui mi sentirei meglio a ragionare su come aggiornare lo strumento referendario, anche nel suo quorum, piuttosto che gridare alle derive e ai pericoli della democrazia, attribuendo peraltro parole dure ad altri. Chi è contrario, non scelga semplicistiche vie brevi: si confronti, votando no.


In fondo, è la legge vigente – che il referendum si propone di cambiare anche con un successivo intervento parlamentare – che mortifica la democrazia, non i quesiti, che invece cercano di rimetterla in discussione. L'astensione e il No significano una conferma della legge, ovvero quello che tutti sostengono che sia il male peggiore. E allora quale è migliore servizio alla democrazia: confermare questa legge, astenendosi, o piuttosto combatterla votando?


documenti x http://borghino.ilcannocchiale.it/?r=73549
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Re: TRE QUESITI REFERENDARI

Messaggioda mauri il 17/06/2009, 19:34

in questo art è abbastanza chiaro, finalmente
http://it.notizie.yahoo.com/4/20090617/ ... 02f96.html

ma comunque dopo questo del due maroni
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=359042

non avrò dubbi a votare 3 si 3
almeno un risultato lo otteniamo, lega a casa
poi si vedrà
ciao, mauri
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