Vedi un po' come s'intrecciano gli argomenti.
La questione dell'acqua è una di quelle che sembrano fatte su misura per una politica locale, diciamo almeno su base regionale e interregionale.
Quindi, se un problema esiste nella gestione dell'acqua, significa che le amministrazioni locali non funzionano poi così bene: peccano di omissione, come minimo, e la cosa non può meravigliare chi appena conosce il nido di vipere che è il mondo politico-amministrativo della grande provincia italiana.
Ma, come dicevo, in questo groviglio di serpenti i più velenosi sono i miopi e squallidi interessi privati, che cercano la protezione e la complicità con il pubblico, disposti tranquillamente a segare il ramo sul quale sono seduti pur di ottenere guadagni rapidi, ricchi ed immediati. Del futuro, anche come imprenditori, non frega niente a nessuno, nemmeno quello dell'azienda, verso la quale coltivano affezione soltanto i piccoli imprenditori e gli artigiani, e non certo i medi e grossi affaristi che acquisiscono partecipazioni e diritti di sfruttamento a suon di milioni (prestati da banche compiacenti, e mai rischiati di tasca propria, ovviamente).
Dico questo - paradossalmente in apparenza - per venire incontro alla tesi (però, diciamolo, un po' smaniosa) di Franz: la privatizzazione potrebbe essere presa in considerazione con una cauta fiducia. Potrebbe. Potrebbe se...
Il fatto è, purtroppo, che molto si parla della politica e della P.A. italiane, in senso negativo, mettendo in fila nequizie vere o presunte, malefatte accertate e potenziali, e ogni genere di giudizi indignati e sconsolati. Tutto vero, tutto legittimo.
Ma poco, pochissimo si parla dello stato vergognoso nel quale versa l'imprenditoria italiana, il nostro capitalismo un po' ladro e un po' straccione: miliardario nelle cifre, straccione nella mentalità e nella "cultura" dei suoi protagonisti.
Non manca soltanto la politica - quella di vertice - ma manca anche la pressione sociale, sia verso la politica, sia verso i grossi imprenditori e le grosse aziende. Stesso atteggiamento della gente, stessa origine sia dei pubblici amministratori sia degli affaristi "privati", stessa "cultura".
La gente, quella che è capace di piantare un casino se trova l'impronta di un dito sul bicchiere al ristorante, ma non fa una piega se legge che la Primaria Ditta Nazionale fabbricava formaggi con escrementi di topo e mozzarelle scadute da dieci anni.
Quella che si fa venire la bava alla bocca di fronte alle malefatte "romane" del vicesegretario del PD o dell'UDC, ma vota e si prende a pacchere sulle spalle con il sindaco o l'assessore del paesello che è notoriamente un filibustiere, che ha il figlio geometra al quale ha piazzato l'appalto per cementificare l'area del campo sportivo.
Quella che ha tirato le monetine a Craxi, e che adesso canta "meno male che l'amico di Craxi c'è".
E' da questo serbatoio di gente - impietosa con i deboli e leccaculo con i potenti - che vengono fuori sia i politici, sia gli affaristi, e spesso la scelta della carriera dipende dal caso o dalle parentele.
Negli anni recenti ho frequentato la Sanità pubblica, ed è un percorso istruttivo.
Si apprende, facilmente, visibilmente, quanto e come e cosa sarebbe migliorabile di questa sanità.
Nelle attese e nei corridoi talvolta affollati dei laboratori la gente sbuffa e s'incazza.
Ma tutti i medici appena avveduti raccomandano, a chi deve partorire un bambino o fare un'operazione chirurgica delicata (sono tutte delicate, in fondo): non andare in una clinica privata, vai nell'ospedale pubblico. Anche se non starai in una stanza con l'aria condizionata e il telefono sul comodino.
Se poi vai ad indagare sulle proprietà e le identità dei proprietari delle "cliniche", e su come funziona il business, capisci il perché è meglio affrontare l'ospedale, dove le infermiere sono un po' nervose perché devono fare la pipì.
Io capisco che questo quadro sia sconfortante per chi vuole disperatamente avere un punto sicuro sul quale appoggiare un progetto, o una tesi ragionevole sulle "privatizzazioni". Si tratta davvero di una perfida tenaglia, di una brace che rosseggia sotto la padella.
Ma, se non fosse così, non si spiegherebbe perché l'Italia è ridotta in questo stato.