lodes ha scritto:Ho letto con interesse questa interessante discussione e devo dire che sono d'accordo con Vittorio. Non c'è possibilità di sintesi se i punti di partenza sono analisi fatte con strumenti di cultura politica completamente divergenti. Io resto convinto che bisognerebbe abbandonare i (pre)giudizi più o meno ideologici e partire dalla realtà. E la realtà, a proposito del lavoro e della condizione economica, del paese ci parla di una situazione disastrosa. Se siamo d'accordo su questo e sul fatto che le responsabilità sono in capo alle classi dirigenti (dal padronato al sindacato, dalla politica alla burocrazia ecc.) serve a poco cercare di tirare la corda dalla propria parte. Serve, piuttosto, vedere quali possono essere le scelte da fare per raddrizzare la barca: allora per fare un esempio concreto, serve cambiare/riformare radicalmente la legislazione del lavoro e del welfare? Io penso di sì e penso che per farlo si debbano abbandonare gli strumenti di tutela fin qui usati e utilizzarne dei nuovi, cioè dalla difesa del posto a quello del lavoratore. Come fanno ovunque. Saranno dei pirla e noi dei furbi? Ed ancora, come proponeva Ichino la famose regole perchè devono essere contenute nella biblioteca di Alessandria e non in un piccolo libro traducibile in inglese?
se vuoi partire dalla realtà allora bisogna cominciare a prendere atto che:
- difendere il lavoratore costa di più che difendere il posto di lavoro
- una riforma di questo tipo prima che coinvolgere i lavoratori dipendenti deve avere il consenso del lavoro autonomo e della classe imprenditoriale, visto che per che tale sistema funzioni non si possono certo giustificare livelli di evasione come quelli attuali
- gli imprenditori (tutti a prescindere dalla dimensione) dovrebbero accettare di passare da un sistema di tutela in cui la maggioranza non sostiene particolare costi di tutela del posto di lavoro a un sistema in cui dovrebbero farsi carico del ricollocamento del personale che lasciano a casa (perchè che lo scambio sia equo le imprese qualcosa devono pagare. o con contributi o tramite imposte, ma gratis non può essere)
- andrebbe rimesso in discussione il modello competitivo che questo paese ha scelto. si dovrebbe cercare di incentivare le imprese a spostarsi verso produzioni con un maggiore valore aggiunto, ma perchè questo accada è necessaria una politica industriale (in un paese che solo a nominarla trovi persone che ti tirano fuori i piani quinquennali di sovietica memoria...) e imprese che siano disposte a investire (cosa che hanno smesso da fare da ben prima della crisi). perchè non ci possiamo permettere di competere in produzioni a basso valore aggiunto con paesi che hanno costi di produzione "naturalmente" più bassi dei nostri, cercando di stressare al massimo le condizioni di lavoro. i risultati sono sotto gli occhi di tutti. basta volerli vedere.
sembra che chieda uno sforzo maggiore alle imprese che ai lavoratori? certamente, visto che negli ultimi vent'anni le imprese si sono tirate fuori da qualunque responsabilità sul funzionamento del sistema e tutto è stato scaricato sul lavoro dipendente (subordinato o parasubordinato che sia).
si sono ritagliate il ruolo delle vittime, di quanto sia difficile fare impresa in Italia (cosa che non nego sia vera)
ma chiedersi di quanto sia difficile fare il dipendete del settore privato, mai?
tartassati sicuramente più degli imprenditori, stipendi infimi, servizi scarsi, precarietà, prospettiva pensionistica da fame e ci manca poco che siano descritti come dei privilegiati.
vogliamo riformare radicalmente la legislazione del lavoro e del welfare? benissimo, nulla in contrario in linea di principio. poi bisogna vedere in che direzione concreta si vuole andare. perchè forse assieme alla legislazione sul rapporto di lavoro andrebbe poi inseriti una serie di ammortizzatori sociali e indicata una serie di paletti (anche salariale) al di sotto dei quali non si può scendere. contemporaneamente, non dopo. non solo se le condizioni economiche lo consentono. assieme. si fa l'uno e si fa l'altro. se uno viene meno viene meno anche l'altro.
perchè questo discorso non è mai stato fatto in Italia e ha rappresentato uno dei limiti, forse il maggiore, della Commissione Onofri ai tempi del primo governo Prodi, unico vero tentativo serio di riforma degli ultimi vent'anni o forse più.
vogliamo riformare radicalmente la legislazione del lavoro e del welfare cambiando il nostro modello di competizione o lasciandolo inalterato? perchè chi sono i clienti (imprese e lavoratori) della nostra flexsecurity, le loro caratteristiche e le loro esigenze non è un fattore trascurabile per modellarla con successo.