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Gli errori dei sindacati...ultimo caso.

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Gli errori dei sindacati...ultimo caso.

Messaggioda chango il 19/08/2013, 16:47

lodes ha scritto:Ho letto con interesse questa interessante discussione e devo dire che sono d'accordo con Vittorio. Non c'è possibilità di sintesi se i punti di partenza sono analisi fatte con strumenti di cultura politica completamente divergenti. Io resto convinto che bisognerebbe abbandonare i (pre)giudizi più o meno ideologici e partire dalla realtà. E la realtà, a proposito del lavoro e della condizione economica, del paese ci parla di una situazione disastrosa. Se siamo d'accordo su questo e sul fatto che le responsabilità sono in capo alle classi dirigenti (dal padronato al sindacato, dalla politica alla burocrazia ecc.) serve a poco cercare di tirare la corda dalla propria parte. Serve, piuttosto, vedere quali possono essere le scelte da fare per raddrizzare la barca: allora per fare un esempio concreto, serve cambiare/riformare radicalmente la legislazione del lavoro e del welfare? Io penso di sì e penso che per farlo si debbano abbandonare gli strumenti di tutela fin qui usati e utilizzarne dei nuovi, cioè dalla difesa del posto a quello del lavoratore. Come fanno ovunque. Saranno dei pirla e noi dei furbi? Ed ancora, come proponeva Ichino la famose regole perchè devono essere contenute nella biblioteca di Alessandria e non in un piccolo libro traducibile in inglese?



se vuoi partire dalla realtà allora bisogna cominciare a prendere atto che:
- difendere il lavoratore costa di più che difendere il posto di lavoro
- una riforma di questo tipo prima che coinvolgere i lavoratori dipendenti deve avere il consenso del lavoro autonomo e della classe imprenditoriale, visto che per che tale sistema funzioni non si possono certo giustificare livelli di evasione come quelli attuali
- gli imprenditori (tutti a prescindere dalla dimensione) dovrebbero accettare di passare da un sistema di tutela in cui la maggioranza non sostiene particolare costi di tutela del posto di lavoro a un sistema in cui dovrebbero farsi carico del ricollocamento del personale che lasciano a casa (perchè che lo scambio sia equo le imprese qualcosa devono pagare. o con contributi o tramite imposte, ma gratis non può essere)
- andrebbe rimesso in discussione il modello competitivo che questo paese ha scelto. si dovrebbe cercare di incentivare le imprese a spostarsi verso produzioni con un maggiore valore aggiunto, ma perchè questo accada è necessaria una politica industriale (in un paese che solo a nominarla trovi persone che ti tirano fuori i piani quinquennali di sovietica memoria...) e imprese che siano disposte a investire (cosa che hanno smesso da fare da ben prima della crisi). perchè non ci possiamo permettere di competere in produzioni a basso valore aggiunto con paesi che hanno costi di produzione "naturalmente" più bassi dei nostri, cercando di stressare al massimo le condizioni di lavoro. i risultati sono sotto gli occhi di tutti. basta volerli vedere.

sembra che chieda uno sforzo maggiore alle imprese che ai lavoratori? certamente, visto che negli ultimi vent'anni le imprese si sono tirate fuori da qualunque responsabilità sul funzionamento del sistema e tutto è stato scaricato sul lavoro dipendente (subordinato o parasubordinato che sia).
si sono ritagliate il ruolo delle vittime, di quanto sia difficile fare impresa in Italia (cosa che non nego sia vera)
ma chiedersi di quanto sia difficile fare il dipendete del settore privato, mai?
tartassati sicuramente più degli imprenditori, stipendi infimi, servizi scarsi, precarietà, prospettiva pensionistica da fame e ci manca poco che siano descritti come dei privilegiati.

vogliamo riformare radicalmente la legislazione del lavoro e del welfare? benissimo, nulla in contrario in linea di principio. poi bisogna vedere in che direzione concreta si vuole andare. perchè forse assieme alla legislazione sul rapporto di lavoro andrebbe poi inseriti una serie di ammortizzatori sociali e indicata una serie di paletti (anche salariale) al di sotto dei quali non si può scendere. contemporaneamente, non dopo. non solo se le condizioni economiche lo consentono. assieme. si fa l'uno e si fa l'altro. se uno viene meno viene meno anche l'altro.
perchè questo discorso non è mai stato fatto in Italia e ha rappresentato uno dei limiti, forse il maggiore, della Commissione Onofri ai tempi del primo governo Prodi, unico vero tentativo serio di riforma degli ultimi vent'anni o forse più.

vogliamo riformare radicalmente la legislazione del lavoro e del welfare cambiando il nostro modello di competizione o lasciandolo inalterato? perchè chi sono i clienti (imprese e lavoratori) della nostra flexsecurity, le loro caratteristiche e le loro esigenze non è un fattore trascurabile per modellarla con successo.
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Re: Gli errori dei sindacati...ultimo caso.

Messaggioda lodes il 19/08/2013, 19:32

Devo ammettere che sono un po' in difficoltà a rispondere a chango. Io ho invitato a partire dalla realtà perchè le divisioni ideologiche fanno da schermo alla possibilità di trasformare il paese. Il dato di realtà è che così come è messo il nostro sistema di regolazione e di tutela del lavoro non va. Caro chango tu fai riferimenti di varia natura che non chiariscono il dato di fondo e cioè se si vuole andare sulla strada della trasformazione e non quella degli aggiustamenti. Certo le responsabilità dell'esistente (pagata dai lavoratori e da chi non riesce ad entrare nel mercato del lavoro) e di tutti i soggetti sociali. Ma è proprio da questa situazione che dobbiamo uscire combattendo con l'innovazione le rendite di potere, i parassitismi, le collusioni affari/politica e per fare questo è necessario uscire dagli ideologismi, dalle culture politiche che hanno segnato il novecento. In altre parole serve che le forze produttive, quelle che giorno dopo giorno lavorano si confrontano con i mercati, prendano in mano il futuro del paese. Allora la difesa del lavoro anzichè del posto deve diventare il segno che si vuole cambiare il paese, chiamando all'assunzione di responsabilità tutti i protagonisti sociali. Cambiare il paese vuol dire cambiare il modello produttivo, abbandonare le produzioni a basso contenuto e puntare sulla conoscenza, qualità e alla produzione ad alto valore. Insomma o la sinistra torna ad essere progressista o non avrà più alcun ruolo. Infatti basta guardare che fino hanno fatto quei rivoluzionari/conservatori così detti antagonisti.
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Re: Gli errori dei sindacati...ultimo caso.

Messaggioda franz il 19/08/2013, 23:56

chango ha scritto:
lodes ha scritto:Ed ancora, come proponeva Ichino la famose regole perchè devono essere contenute nella biblioteca di Alessandria e non in un piccolo libro traducibile in inglese?

se vuoi partire dalla realtà allora bisogna cominciare a prendere atto che:
- difendere il lavoratore costa di più che difendere il posto di lavoro
- una riforma di questo tipo prima che coinvolgere i lavoratori dipendenti deve avere il consenso del lavoro autonomo e della classe imprenditoriale, visto che per che tale sistema funzioni non si possono certo giustificare livelli di evasione come quelli attuali
- gli imprenditori (tutti a prescindere dalla dimensione) dovrebbero accettare di passare da un sistema di tutela in cui la maggioranza non sostiene particolare costi di tutela del posto di lavoro a un sistema in cui dovrebbero farsi carico del ricollocamento del personale che lasciano a casa (perchè che lo scambio sia equo le imprese qualcosa devono pagare. o con contributi o tramite imposte, ma gratis non può essere)
- andrebbe rimesso in discussione il modello competitivo che questo paese ha scelto. si dovrebbe cercare di incentivare le imprese a spostarsi verso produzioni con un maggiore valore aggiunto,...

Con ordine:
1) @lodes: se fosse tutto in un piccolo libro, poi i consulenti del lavoro cosa fanno? I disoccupati?
2) @chango:
- siamo ancora alla logica protezionistica del "difendere". Il problema non è "difendere" ma predisporre dei meccanismi di supporto e tutela. Non siamo in guerra. C'è solo un contratto che si interrompe. Certo che se lo si pensa in funzione di "difesa" il costo, come in guerrà, è enorme sia che si difenda il posto sia che si difenda il lavoratore. E non so quale dei due costi sia il maggiore. So che se si impostano ammortizzatori sociali di un certo tipo il "costo" puo' essere una certa quota del PIL o del costo del lavoro. Ma poi vado a vedere anche i vantaggi.
- sul coinvolgimento sono d'accordo ma l'evasione non c'entra. Chi lavora alla luce del sole ha il sussidio (e la pensione) e chi lavora in nero non ha il sussidio (e la pensione). Qualcuno è in grado di dimostrare che se ci fosse meno lavoro nero le pensioni sarebbero piu' alte o diverse? No, se il sistema (come si favoleggia) è in equilibrio. Un lavoratore che dovesse emergere pagherà i contributi ma prenderà la pensione ed i sussidio di disoccupazione. Se i sistemi sono in pari, piu' entrate comporta piu' uscite.
- farsi carico del ricollocamento non spetta ai datori di lavoro ma ad agenzie specializzate (governative o private). Il costo è suddiviso in parti uguali tra datori di lavoro e lavoratori ma se vogliamo fare alla danese, la mitica danimarca, mi pare sia totalmente a carico dei lavoratori (ed è l'8%).
- se parliamo di sussidi di disoccupazione, il tema è neutro rispetto alla mole di valore aggiunto prodotto. produco 2000, guadagno 1000 avro' un sussidio basato su una % di quel 1000. produco 100'000, guadagno 50'000, avro' un sussidio proporzionale. Solitamente i sussidi di disoccupazione sono finanziati con prelievi proporzionali, e danno prestazioni proporzional, quindi poco importa il valore aggiunto. Quello conta molto in casi di prelivi progressivi. Piu' produco VA, piu' guadagno, piu' alte sono le imposte progressive. naturalmente sono d'accordo che noi si debba andare in questa direzione ma non per problemi di finanziamento degli ammortizzatori sociali (ammesso e non concesso di avare capito bene).

Per chiudere, noto la solita discussione sui modelli: "vogliamo riformare radicalmente la legislazione del lavoro e del welfare cambiando il nostro modello di competizione o lasciandolo inalterato? " Santo cielo, facciamo la riforma ed il nostro modello cambierà, di conseguenza. E come se no? Non è che prima si cambia modello (primavera-estate, Prêt-à-porter) e poi si fanno le riforme, dopo le sfilate di moda!
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Re: Gli errori dei sindacati...ultimo caso.

Messaggioda flaviomob il 26/08/2013, 11:53

Questo thread è davvero paradossale.
Un sindacato chiede il rispetto delle norme di legge? Il sindacato sbaglia, è brutto e cattivo, va immediatamente bruciato nel rogo.
Le norme di legge sono sbagliate? E' comunque colpa del sindacato. A prescindere.

Ora, se è ancora possibile ragionare con tanta ideologia liberista di mezzo, è palese che se una norma di legge dice A, l'imprenditore deve fare A. Può anche essere l'imprenditore più bello e buono del mondo, ma se non compie l'azione prevista dalla norma (che può essere la norma la più abbietta) commette un illecito.
Quindi, se la legge dice di convocare i sindacati, s'ha dda fa'. Non credo che i sindacati si facciano pagare per questo, quindi il costo è zero. Tranquilli.

Un'altra norma fissa il limite per i lavoratori a termine. E' sbagliata? L'azienda ha un'autorizzazione "temporanea"?
Anche questa norma sarà sbagliata ma va rispettata. Se l'autorizzazione scadrà dopo sei mesi, l'azienda dovrà comunque lasciare a casa il personale: ma se i lavoratori hanno un contratto da dipendenti, dopo sei mesi (e un giorno, mi pare) avranno diritto alla disoccupazione, mentre ciò non succederà come temporanei. E' una enorme differenza.

Ora se qualcuno dovesse denunciare un'assurdità, questa sta proprio nella macroscopica follia della possibilità di dare un'autorizzazione "temporanea" a un'azienda che assume 160 lavoratori!!! Ma ci pensate cosa succederebbe se - che so - uno stabilimento FIAT avesse un'autorizzazione ad operare che dura solo un semestre?
E di fronte a questo grado di follia amministrativa, come al solito buona parte di questo forum con chi se la prende?
Coi soliti "indiani". I sindacati.

Davvero pazzesco! :lol:


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
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Re: Gli errori dei sindacati...ultimo caso.

Messaggioda chango il 01/09/2013, 17:22

franz ha scritto:
chango ha scritto:
lodes ha scritto:Ed ancora, come proponeva Ichino la famose regole perchè devono essere contenute nella biblioteca di Alessandria e non in un piccolo libro traducibile in inglese?

se vuoi partire dalla realtà allora bisogna cominciare a prendere atto che:
- difendere il lavoratore costa di più che difendere il posto di lavoro
- una riforma di questo tipo prima che coinvolgere i lavoratori dipendenti deve avere il consenso del lavoro autonomo e della classe imprenditoriale, visto che per che tale sistema funzioni non si possono certo giustificare livelli di evasione come quelli attuali
- gli imprenditori (tutti a prescindere dalla dimensione) dovrebbero accettare di passare da un sistema di tutela in cui la maggioranza non sostiene particolare costi di tutela del posto di lavoro a un sistema in cui dovrebbero farsi carico del ricollocamento del personale che lasciano a casa (perchè che lo scambio sia equo le imprese qualcosa devono pagare. o con contributi o tramite imposte, ma gratis non può essere)
- andrebbe rimesso in discussione il modello competitivo che questo paese ha scelto. si dovrebbe cercare di incentivare le imprese a spostarsi verso produzioni con un maggiore valore aggiunto,...

Con ordine:
1) @lodes: se fosse tutto in un piccolo libro, poi i consulenti del lavoro cosa fanno? I disoccupati?
2) @chango:
- siamo ancora alla logica protezionistica del "difendere". Il problema non è "difendere" ma predisporre dei meccanismi di supporto e tutela. Non siamo in guerra. C'è solo un contratto che si interrompe. Certo che se lo si pensa in funzione di "difesa" il costo, come in guerrà, è enorme sia che si difenda il posto sia che si difenda il lavoratore. E non so quale dei due costi sia il maggiore. So che se si impostano ammortizzatori sociali di un certo tipo il "costo" puo' essere una certa quota del PIL o del costo del lavoro. Ma poi vado a vedere anche i vantaggi.
- sul coinvolgimento sono d'accordo ma l'evasione non c'entra. Chi lavora alla luce del sole ha il sussidio (e la pensione) e chi lavora in nero non ha il sussidio (e la pensione). Qualcuno è in grado di dimostrare che se ci fosse meno lavoro nero le pensioni sarebbero piu' alte o diverse? No, se il sistema (come si favoleggia) è in equilibrio. Un lavoratore che dovesse emergere pagherà i contributi ma prenderà la pensione ed i sussidio di disoccupazione. Se i sistemi sono in pari, piu' entrate comporta piu' uscite.
- farsi carico del ricollocamento non spetta ai datori di lavoro ma ad agenzie specializzate (governative o private). Il costo è suddiviso in parti uguali tra datori di lavoro e lavoratori ma se vogliamo fare alla danese, la mitica danimarca, mi pare sia totalmente a carico dei lavoratori (ed è l'8%).
- se parliamo di sussidi di disoccupazione, il tema è neutro rispetto alla mole di valore aggiunto prodotto. produco 2000, guadagno 1000 avro' un sussidio basato su una % di quel 1000. produco 100'000, guadagno 50'000, avro' un sussidio proporzionale. Solitamente i sussidi di disoccupazione sono finanziati con prelievi proporzionali, e danno prestazioni proporzional, quindi poco importa il valore aggiunto. Quello conta molto in casi di prelivi progressivi. Piu' produco VA, piu' guadagno, piu' alte sono le imposte progressive. naturalmente sono d'accordo che noi si debba andare in questa direzione ma non per problemi di finanziamento degli ammortizzatori sociali (ammesso e non concesso di avare capito bene).

Per chiudere, noto la solita discussione sui modelli: "vogliamo riformare radicalmente la legislazione del lavoro e del welfare cambiando il nostro modello di competizione o lasciandolo inalterato? " Santo cielo, facciamo la riforma ed il nostro modello cambierà, di conseguenza. E come se no? Non è che prima si cambia modello (primavera-estate, Prêt-à-porter) e poi si fanno le riforme, dopo le sfilate di moda!


se con un sistema di ammortizzatori sociali di un certo tipo intendiamo qualcosa di simile alla flexsecurity, il sistema costa di più dell'attuale sistema italiano e nel contesto italiano ha scarsi vantaggi, se non accompagnato da interventi in altri ambiti e effettuati con una visione più globale e meno frammentata con cui di solito si affrontano questi temi. Basta vedere che i Paesi che nella UE presentano dei buoni sistemi di ammortizzatori sociali sono anche i Paesi più competitivi.
Per quanto riguarda l'evasione fiscale non è un aspetto secondario, dal momento che un sistema di flexsecurity ha nella sostenibilità fiscale il suo principale difetto (che in periodi di crisi economica prolungata tende ad accentuarsi/aggravarsi). Dal momento che le imprese vogliono un sistema che le permetta di licenziare più facilmente è il caso che partecipino in maniera più consona alla sforzo fiscale collettivo (questo vale anche per l'elusione fiscale ovviamente).
Così come la sostenibilità fiscale è il principale difetto di un sistema di flexsecurity, così la qualità delle virtù civiche e il basso livello di conflitto tra le parti sociali ne costituiscono dei presupposti per il funzionamento. comportamenti di moral hazrd possono essere tollerati se marginali non certo se diffusi e considerati come strategie legittime. e il caso Firem è un esempio. per questo sostengo che le imprese di devono fare carico dei costi del ricollocamento del loro personale. In che misura se ne può discutere, ma l'exit strategy dell'impresa non può essere a costo zero: quando l'impresa fa le sue valutazione deve sapere che ci sono dei vincoli/costi da considerare.
perchè per me se si vuole si può fare come in Danimarca, però senza dimenticarsi che siamo in Italia e che partiamo da una condizione di contesto diverso e che diverso è anche il materiale a disposizione.

Per quanto riguarda il valore aggiunto, non è una questione di sussidio di disoccupazione, ma di sopravvivenza del Paese. In particolare, se guardiamo sempre la Danimarca, è vedere come il suo sistema di flexsecurity sia al servizio di un'economia orientata all'innovazione. Uno tiene l'altro.
L'Italia ( e le sue regioni) stanno perdendo competitività, in quanto rimangono aggrappate a produzioni rispetto alle quali altri Paesi hanno vantaggi competitivi che noi non abbiamo più. invece che investire in innovazione, formazione del personale, ecc. la strategia che si è scelto è quella di stressare in modo assurdo il lavoro (inteso come fattore di produzione).
E no franz, non basta riformare la legislazione del mercato del lavoro perchè cambi il modello competitivo. sono altre riforme, altre politiche che devono essere fate e altri soggetti (imprese su tutti) che devono essere coinvolti, chiamati causa.
non basta certo una riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali per passare per esempio dalla produzione di magliette bianche di cotone alla produzione di macchinari che producono magliette bianche di cotone.
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