Quoto Franz e Vittorio e non riprendo il merito dei vari punti che sono stati ben evidenziati da Franz. Voglio però fare una considerazione più generale per quanto riguarda i diritti, il welfare, le leggi sul lavoro.
Che l'Italia viva una fase di grande difficoltà sul tema del lavoro è fuori discussione: abbiamo sotto gli occhi l'evidenza di un mercato del lavoro che costringe al precariato intere generazioni, mentre, come è già stato detto, abbiamo una fetta importante di protetti, pubblici e privati. Ebbene, per quanto riguarda il privato tutto nasce dallo Statuto dei lavoratori e dall'art. 18. Grande conquista del periodo d'oro del sindacalismo italiano. Ma siamo proprio sicuri che sia stata una grande conquista? Ecco, anche se ho fatto parte di quel sindacato (quello dei consigli, dell'unità sindacale ecc.) e ho contribuito nel mio piccolo ruolo a dare forza e significato (appunto di grande conquista) allo Statuto sono molti anni che ho intravvisto in quella politica sindacale un forte contributo ad ingessare il paese. Non voglio farla lunga, ma quando negli anni novanta si è iniziata a porre il tema della "flessibilità" la risposta della CGIL e dei DS (non voglio parlare di Rifondazione che durante il primo governo Prodi alzava la bandiera delle 35 ore!) è stata (guarda caso) di difesa strenua dell'esistente. Poco importava che il mondo, i sistemi produttivo fossero investiti da una rivoluzione epocale: la globalizzazione, la più grande rivoluzione tecnologica hanno cambiato letteralmente il modo. I DS di fronte a questo scenario hanno assunto la solita posizione equivoca: da un lato con la CGIL per la difesa dello Statuto e dell'art.18 dall'altro è stata costretta a riconoscere i cambiamenti e la "flessibilità" come problema. Il risultato è stato l'appiattimento sulla CGIL nella difesa dell'art. 18, ma contemporaneamente si è avviata una revisione delle leggi sul lavoro: il pacchetto Treu è stato il risultato. In altre parole la coazione della CGIL (indisponibilità assoluta a rivedere, aggiornare gli strumenti di tutela dei lavoratori) e quella dei DS e del c.s. (disponibilità a rivedere la legislazione di regolazione dei rapporti di lavoro) ha necessariamente prodotto una situazione che ha pochi paragoni nei paesi avanzati. Mea culpa! Viene da dire, ma non è così. Dopo aver "liberalizzato il mercato del lavoro" grazie alla quarantina di tipologie di contratti, il PD e la CGIL insiste nel voler mantenere le rigidità che hanno contribuito a fare dell'Italia un paese bloccato pieno di contraddizioni. A fronte del fatto che i nodi sono venuti al pettine per cui il paese "o cambia o muore" (tanto per parafrasare un motto di Fassino al congresso dei DS del 2001) si continua a non dire la verità, a non voler affrontare il tema di una legislazione del lavoro e del welfare che fa acqua da tutte le parti. Allora ci si nasconde dietro a slogan a parole d'ordine come la "difesa dei diritti indisponibili" . Con un effetto certo: questa sinistra lotta per la "conservazione" e per le rendite di posizione. Intanto il paese è sull'orlo del baratro e i lavoratori saranno quelli che più pagheranno. La sinistra ha la grande responsabilità di far mancare al paese una forza nazionale di governo, di trasformazione e di progresso. Mentre accade questo anche uno come Monti è visto come innovatore e riformatore: quindi meglio lui che una sinistra che deve ancora decidere che fare da grande.