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"Fassina se ne deve andare!"

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: "Fassina se ne deve andare!"

Messaggioda lodes il 24/11/2011, 21:06

Quoto Franz e Vittorio e non riprendo il merito dei vari punti che sono stati ben evidenziati da Franz. Voglio però fare una considerazione più generale per quanto riguarda i diritti, il welfare, le leggi sul lavoro.

Che l'Italia viva una fase di grande difficoltà sul tema del lavoro è fuori discussione: abbiamo sotto gli occhi l'evidenza di un mercato del lavoro che costringe al precariato intere generazioni, mentre, come è già stato detto, abbiamo una fetta importante di protetti, pubblici e privati. Ebbene, per quanto riguarda il privato tutto nasce dallo Statuto dei lavoratori e dall'art. 18. Grande conquista del periodo d'oro del sindacalismo italiano. Ma siamo proprio sicuri che sia stata una grande conquista? Ecco, anche se ho fatto parte di quel sindacato (quello dei consigli, dell'unità sindacale ecc.) e ho contribuito nel mio piccolo ruolo a dare forza e significato (appunto di grande conquista) allo Statuto sono molti anni che ho intravvisto in quella politica sindacale un forte contributo ad ingessare il paese. Non voglio farla lunga, ma quando negli anni novanta si è iniziata a porre il tema della "flessibilità" la risposta della CGIL e dei DS (non voglio parlare di Rifondazione che durante il primo governo Prodi alzava la bandiera delle 35 ore!) è stata (guarda caso) di difesa strenua dell'esistente. Poco importava che il mondo, i sistemi produttivo fossero investiti da una rivoluzione epocale: la globalizzazione, la più grande rivoluzione tecnologica hanno cambiato letteralmente il modo. I DS di fronte a questo scenario hanno assunto la solita posizione equivoca: da un lato con la CGIL per la difesa dello Statuto e dell'art.18 dall'altro è stata costretta a riconoscere i cambiamenti e la "flessibilità" come problema. Il risultato è stato l'appiattimento sulla CGIL nella difesa dell'art. 18, ma contemporaneamente si è avviata una revisione delle leggi sul lavoro: il pacchetto Treu è stato il risultato. In altre parole la coazione della CGIL (indisponibilità assoluta a rivedere, aggiornare gli strumenti di tutela dei lavoratori) e quella dei DS e del c.s. (disponibilità a rivedere la legislazione di regolazione dei rapporti di lavoro) ha necessariamente prodotto una situazione che ha pochi paragoni nei paesi avanzati. Mea culpa! Viene da dire, ma non è così. Dopo aver "liberalizzato il mercato del lavoro" grazie alla quarantina di tipologie di contratti, il PD e la CGIL insiste nel voler mantenere le rigidità che hanno contribuito a fare dell'Italia un paese bloccato pieno di contraddizioni. A fronte del fatto che i nodi sono venuti al pettine per cui il paese "o cambia o muore" (tanto per parafrasare un motto di Fassino al congresso dei DS del 2001) si continua a non dire la verità, a non voler affrontare il tema di una legislazione del lavoro e del welfare che fa acqua da tutte le parti. Allora ci si nasconde dietro a slogan a parole d'ordine come la "difesa dei diritti indisponibili" . Con un effetto certo: questa sinistra lotta per la "conservazione" e per le rendite di posizione. Intanto il paese è sull'orlo del baratro e i lavoratori saranno quelli che più pagheranno. La sinistra ha la grande responsabilità di far mancare al paese una forza nazionale di governo, di trasformazione e di progresso. Mentre accade questo anche uno come Monti è visto come innovatore e riformatore: quindi meglio lui che una sinistra che deve ancora decidere che fare da grande.
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Re: "Fassina se ne deve andare!"

Messaggioda matthelm il 24/11/2011, 21:42

Analisi condivisibile.
Aspettiamo segnali innovativi e non voci personali(!?) alla Fassina.
C'è un bisogno estremo di una voce forte riformista e moderna.
Su questo si era scommesso alla nascita del PD.
"L'uomo politico pensa alle prossime elezioni. Lo statista alle prossime generazioni".
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Re: "Fassina se ne deve andare!"

Messaggioda franz il 25/11/2011, 0:49

chango ha scritto:il fatto che gli ammortizzatori siano universali presume, a rigor di logica, che siano pagati attraverso la fiscalità generale. Si accede in quanto cittadini/residenti e non in quanto lavoratori.

Cose che non accade, credo, in nessun paese del mondo.
I finanziamento degli ammortizzatori sociali legati alla perdita di lavoro (dipendente) è dato dal mondo del lavoro ed il tratto piu' comune è un prelievo sulla busta paga suddiviso in parti uguali che finanzia un'assicurazione obbligatoria.
Per gli indipendenti è un'assicurazione facoltativa, pagata solo dall'indipendente, solo per cause di malattia ed infortunio.

Per l'assistenza sociale (che non è un ammortizzatore collegato ad un'assicurazione) è giusto che sia pagato (ovunque) dalla fiscalità generale ma faccio notare che è una caratteristica comune che gli importi versati a titolo sussidiario siano solo un prestito. Se il povero esce, grazie all'aiuto, dalla poverà ed ottiene un lavoro stabile e redditizio (o vince al lotto) deve restituire, gradualmente, quei soldi che la collettività gli ha prestato.

Non bisogna quindi confondere gli ammortizzatori legati alla perdita di lavoro (un rischio, quindi un'assicurazione) con l'assistenza sociale vera e propria. Infatti un sussidio di disoccupazione NON è assistenza. E' un diritto a fronte di un'assicurazione per cui si pagano premi, anno dopo anno.
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Re: "Fassina se ne deve andare!"

Messaggioda chango il 25/11/2011, 10:24

franz ha scritto:
chango ha scritto:il fatto che gli ammortizzatori siano universali presume, a rigor di logica, che siano pagati attraverso la fiscalità generale. Si accede in quanto cittadini/residenti e non in quanto lavoratori.

Cose che non accade, credo, in nessun paese del mondo.
I finanziamento degli ammortizzatori sociali legati alla perdita di lavoro (dipendente) è dato dal mondo del lavoro ed il tratto piu' comune è un prelievo sulla busta paga suddiviso in parti uguali che finanzia un'assicurazione obbligatoria.
Per gli indipendenti è un'assicurazione facoltativa, pagata solo dall'indipendente, solo per cause di malattia ed infortunio.

Per l'assistenza sociale (che non è un ammortizzatore collegato ad un'assicurazione) è giusto che sia pagato (ovunque) dalla fiscalità generale ma faccio notare che è una caratteristica comune che gli importi versati a titolo sussidiario siano solo un prestito. Se il povero esce, grazie all'aiuto, dalla poverà ed ottiene un lavoro stabile e redditizio (o vince al lotto) deve restituire, gradualmente, quei soldi che la collettività gli ha prestato.

Non bisogna quindi confondere gli ammortizzatori legati alla perdita di lavoro (un rischio, quindi un'assicurazione) con l'assistenza sociale vera e propria. Infatti un sussidio di disoccupazione NON è assistenza. E' un diritto a fronte di un'assicurazione per cui si pagano premi, anno dopo anno.


ripeto, a rigor di logica, se l'accesso deve essere universale il pagamento dovrebbe avvenire con la fiscalità generale.
invece che pagare un premio assicurativo paghi un imposta o se preferisci una tassa specifica . il diritto è comunque garantito, ma viene esteso a tutti i contribuenti.
Ovvimanete la persona per accedervi deve dichiarare il proprio stato di disoccupazione, la propria disponibilità a lavorare e essere disponibili ad accettare il percorso che il CPI o l'APL prevedono per lui (corso di formazione, lavori segnalati, ecc.).
il fatto che in Europa non si faccia non implica che non si possa fare (ovviamente con contestuale riduzione del carico contributivo).
anche perchè in Europa un abuso così consistente di forme di lavoro autonomo per svolgere attività subordiante non si verifica.
quando si modella un sistema di welfare va bene guardare esperienze di altre realtà, ma non bisogna mai dimenticarsi delle caratteristiche del proprio paese.
per es. il modello di flexicurity danese è un modello affascinante, ma il fatto che funzioni così bene in Danimarca non è merito del modello, ma della Danimarca.
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Re: "Fassina se ne deve andare!"

Messaggioda Robyn il 25/11/2011, 12:11

Per Franz Il fatto che in Italia ci sia il reintegro e in altri paesi europei no è dovuta al fatto che nel resto d'Europa il licenziamento c'è non perchè quello non mi è simpatico,ha idee diverse dalle mie o altre cause ma è più che altro legato ad altre cose,alla competitività per esempio.Infatti un modo In Italia per impedire la modifica dell'articolo 18 può derivare dagli stessi industriali che ne possono fare un'uso distorto.Diciamo che il problema può essere di natura <culturale>.Fassina perchè si deve dimettere?Perchè è troppo di sinistra?Per le sue idee?Bene siamo già sulla strada sbagliata ciao robyn
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Re: "Fassina se ne deve andare!"

Messaggioda franz il 25/11/2011, 13:03

Robyn ha scritto:Per Franz Il fatto che in Italia ci sia il reintegro e in altri paesi europei no è dovuta al fatto che nel resto d'Europa il licenziamento c'è non perchè quello non mi è simpatico,ha idee diverse dalle mie o altre cause ma è più che altro legato ad altre cose,alla competitività per esempio.Infatti un modo In Italia per impedire la modifica dell'articolo 18 può derivare dagli stessi industriali che ne possono fare un'uso distorto.Diciamo che il problema può essere di natura <culturale>.Fassina perchè si deve dimettere?Perchè è troppo di sinistra?Per le sue idee?Bene siamo già sulla strada sbagliata ciao robyn

Sulla prima parte, nel resto d'europa non si va a sindacare perché uno licenzia un lavoratore, a meno che esso non sia un rappresentante sindacale. Se io ho in organico un mediocre tornitore e voglio assumere al suo posto un ottimo tornitore, lo posso fare senza dovere giustificare nulla. In Italia il mediocre fa causa e magari la vince (e viene reintegrato) e l'ottimo tornitore rimane fuori dal mercato del lavoro oppure emigra. Questo è classico nella logoca della raccomandazione ne contrario alla logoca del merito. Sull'altra parte, premesso che io non ho chiesto le dimissioni di Fassina e non essendo del PD non avrei nessun titolo per chiederle, cio' che ho letto delle varie cose scritte da Fassina me lo fanno individuare come un ottimo rappresentante di idee economiche apprezzate in area SEL, molto meno in area PD, soprattutto quella piu' liberal. Quindi capisco (comprendo) i motivi della richiesta. Non mi piaccono le richieste di dimissioni ma penso che Fassina sarà piu' cauto ed in futuro non confonderà le sue opinioni con quelle del partito.
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Re: "Fassina se ne deve andare!"

Messaggioda Robyn il 25/11/2011, 15:45

Bene
Io sono favorevole al sistema DANESE per i nuovi assunti.A seguito di ricorso l'azienda ha cinque giorni di tempo o per reintegrare il lavoratore pagando una multa da 2 a 6 mensilità o dargli subito l'indennità.Trascorso questo lasso di tempo automaticamente scatta il reintegro che il lavoratore può rifiutare.Inoltre l'indennità deve essere in funzione della grandezza aziendale non essere di ostacolo all'ingresso e allo stesso tempo essere da argine all'uscita.Infatti man mano che la grandezza aziendale cresce il costo del lavoro diventa ininfluente per cui se l'indennità rimane costante diventa ininfluente anch'essa per cui serve l'ordine progressivo 16,24,36.Inoltre quattro anni per la flessicurity mi sembrano troppi.Un anno fino a cinquanta anni dopodichè c'è lo spartiacque a due anni.Per il resto basta con i complessi da ambo le parti lavoratore,azienda.Pensa a laorar ciao robyn
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Re: "Fassina se ne deve andare!"

Messaggioda franz il 25/11/2011, 18:18

Robyn ha scritto:Bene
Io sono favorevole al sistema DANESE per i nuovi assunti.

Io sono favorevole al sistema danese per tutti. Perché solo i nuovi assunti?
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La lettera di Pietro Ichino al PD

Messaggioda franz il 26/11/2011, 12:35

... lettera in cui non si chiedono dimissioni ma si sottolineano le differenze tra la posizione del PD e dei gruppi parlamentari, nel loro divenire, e le resistenze di alcuni pezzi interni, ancorati a vecchie logiche superate.


PERCHÉ È INDISPENSABILE AGGIORNARE LA LINEA DEL PARTITO IN MATERIA DI POLITICA DEL LAVORO

Lettera aperta al Partito Democratico, pubblicata su l’Unità del 22 novembre 2011

All’inizio di questa legislatura erano due i grandi temi caldi della politica del lavoro individuati dal manifesto programmatico del Partito Democratico, sotto il titolo Per dare valore al lavoro. Il primo era quello dello spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso i luoghi di lavoro, anche per aprire il Paese agli investimenti stranieri e ai piani industriali più innovativi che essi sovente portano con sé. Il secondo era quello del superamento del dualismo del nostro mercato del lavoro, del regime attuale di feroce apartheid fra lavoratori protetti e non protetti, attraverso il nuovo disegno di un diritto del lavoro capace di applicarsi in modo davvero universale a tutti, conciliando il massimo possibile di flessibilità delle strutture produttive con il massimo possibile di sicurezza economica e professionale per i lavoratori nel mercato del lavoro.

Nel 2009 i due punti programmatici vengono tradotti in altrettanti disegni di legge, rispettivamente n. 1872 e n. 1873, presentati da 55 senatori (la maggioranza del nostro Gruppo al Senato). Il primo dedicato alla riforma del sistema delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva, con la previsione della derogabilità del contratto nazionale da parte di quello aziendale, nell’ambito di regole precise di democrazia sindacale. Il secondo dedicato al disegno di un nuovo diritto del lavoro capace di applicarsi in modo universale, ricomprendendo davvero tutti i nuovi rapporti di lavoro dipendente destinati a costituirsi da qui in avanti, voltando pagina rispetto al dualismo attuale. Entrambi i disegni di legge, però, a seguito della conferenza programmatica del partito del maggio 2010, sono stati accantonati dalla nuova maggioranza nata dall’ultimo congresso.

Per quel che riguarda la prima questione, la critica rivolta nel 2010 dai responsabili del Lavoro e dell’Economia al d.d.l. n. 1872 è quella di attentare al ruolo centrale e insostituibile del contratto collettivo nazionale di lavoro, riducendo la sua inderogabilità. Senonché, collocandosi su questa posizione, il Pd si trova impreparato di fronte alla vicenda degli accordi Fiat di Pomigliano e Mirafiori (poi anche Grugliasco), contenenti alcune deroghe al contratto nazionale; basti ricordare, in proposito, il commento imbarazzato e inadeguato dei vertici del partito al primo dei tre accordi: “Sì, purché sia un’eccezione”. Quella stessa vicenda sindacale è destinata, però, a determinare nel giro di un anno, una svolta epocale nell’evoluzione del nostro sistema delle relazioni industriali, con la firma – anche da parte della Cgil – dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011. L’elemento di maggiore novità in questo accordo è costituito proprio dal rilevantissimo ampliamento della possibilità di deroga al contratto nazionale ad opera del contratto aziendale, nel rispetto di regole precise di democrazia sindacale (altro che “eccezione”!): sostanzialmente, si tratta della stessa riforma che è prevista nel d.d.l. n. 1872/2009. A me sembra evidente che, se il Pd nel 2009 e 2010 avesse confermato la linea cui si ispira quel disegno di legge, la vicenda degli accordi Fiat nel 2010 si sarebbe svolta in modo molto meno lacerante. Il Pd ci arriva, invece, solo dopo l’accordo del giugno 2011.

Meglio tardi che mai. D’accordo. Ma non sarebbe stato inutile che qualcuno dei protagonisti della linea precedentemente tenuta, i quali oggi fanno propria come Bibbia la linea sancita dall’accordo interconfederale di giugno, riconoscesse almeno la bontà dell’idea che era alla base del progetto contenuto nel d.d.l. n. 1872/2009. Desse atto, cioè, ai 55 senatori che lo avevano sostenuto di aver visto giusto. Di questo non si è sentita, invece, neppure mezza parola.

Qualche cosa di strettamente analogo sembra ora destinato ad accadere anche sul secondo versante, quello del superamento del regime di apartheid fra lavoratori protetti e non protetti. Perché il progetto flexsecurity contenuto nel d.d.l. n. 1873, il secondo della coppia proposta due anni fa dalla maggioranza dei senatori del Pd, ha raccolto in questi ultimi mesi il consenso della quasi totalità degli altri gruppi parlamentari; e giovedì scorso è stato inequivocabilmente indicato come base per la riforma da Mario Monti nel primo atto del suo nuovo Governo, cui il Pd ha promesso pieno sostegno. La proposta uscita, su questo terreno, dalle ultime due assemblee programmatiche del Pd (2010 e 2011) – cioè quella di aumentare i contributi previdenziali degli “atipici” – è già stata prontamente attuata dalla “legge di stabilità”, ultimo atto del Governo Berlusconi; e con tutta evidenza non basta per affrontare incisivamente il problema. Il Pd – come ciascuna delle altre forze politiche che fanno parte della nuova maggioranza – ora può proporre delle modifiche o integrazioni al progetto che il Governo indicherà come base di discussione; ma è difficile pensare che possa schierarsi contro un’iniziativa mirata a riunificare progressivamente il mondo del lavoro allineandolo ai migliori standard europei, e che comunque non pregiudica in alcun modo la posizione di chi un rapporto di lavoro stabile regolare già oggi ce l’ha. Non può davvero essere il partito che si qualifica come “fondato sul lavoro” a chiedere al nuovo Governo di restare fermo su questo terreno.

http://www.pietroichino.it/?p=18212
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Re: "Fassina se ne deve andare!"

Messaggioda Robyn il 26/11/2011, 19:19

Possiamo argomentare quanto vogliamo ma alla fine dovremmo accettare le decisioni che Mario Monti prenderà,perchè è lui che conosce bene le complesse dinamiche dell'economia.Per quando riguarda il sistema danese questo porta ad un'allocazione pareto-efficente del capitale umano la cui flessibilità può essere alta nei primi anni di lavoro ma poi tende a stabilizzarsi perchè si impara a fare qualcosa e per fare questo bisogna entrare in un campo specifico di lavoro.Più che la capacità fisica e la velocità umana conta sempre di più la formazione e l'innovazione.Infatti non siamo più ai tempi di una volta in cui per esempio le barre di ferro si tagliavano manualmente,ma esiste la tagliatrice automatica,esistono oggi le presine e le calamite per caricare sulle punzonatrici le lamiere in ferro o in alluminio e i torni a cnc.Più che altro bisogna saper programmare sapere attrezzare.In merito alla formazione questa è di due tipi.Quella informativa che dà nozioni sù principi e criteri generali,quella formativa che è più specifica.L'idea di Marchionne sulla restrizione delle pause e l'aumento dei ritmi mi sembra più corrispondere ad un'economia di tipo primitiva.Se invece parliamo della flessibilità dell'orario di lavoro nei giorni infrasettimanali può andare bene per accompagnare gli alti e i bassi della produzione.Fatte le grandi riforme strutturali bisognerà occuparsi della grande nebulosa rappresentata dall'economia finanziarizzata che indebolisce quella reale,cioè capire come regolarla limitarla nei suoi aspetti negativi ciao robyn
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