Annalu - che ha, come Stefano, capito perfettamente la questione - ha esagerato: ha parlato perfino di "scelta etica", che agli occhi di Franz è una pura e semplice provocazione.
Ovviamente Annalu ha ragione, e il suo richiamo corrisponde a quello di cui parlavo - quando si punta una luce verso il modello pragmatico mitteleuropeo, e perfino anglosassone, si considera solo l'atto finale, per così dire consequenziale, trascurando l'antefatto, il background culturale idealistico ..., dal quale, avrei potuto agevolemente aggiungere, derivano le scelte etiche.
Poiché Franz insiste, nonostante la chiarezza di Annalu, analizziamo la sua risposta.
Basta porsi il problema: la realtà è questa. In questa realtà c'è un problema o va bene cosi'?
Se non va bene, c'è una soluzione (da solo o con altri)?
Primo - Chiedersi se "va bene" o non va bene significa porsi un problema etico. Anche chiedersi se una cosa è utile o inutile (rispetto ad uno scopo, evidentemente), giusta o ingiusta. "Andare bene" non è molto diverso dal "considerare che una cosa è bene", mentre un'altra è "male".
Certamente ci sono livelli diversi, per cui esiste un'etica dei Grandi Valori e un'etica individuale che si spende su dimensioni quotidiane e su scelte personali, ma sempre di etica si tratta. O è una parolaccia, una malattia dalla quale bisogna tenersi immuni? Cos'è tutta questa paura di farsi sorprendere nel fare una "scelta etica"?
Secondo - L'ha già detto Annalu, ma ci riproviamo.
Basta porsi il problema: mi hanno chiesto il pizzo, devo ingraziarmi il capobastone sennò mio figlio non trova lavoro.
Va bene cosi'?: no, non va bene - sì va bene. Giudizio etico.
C'è una soluzione (da solo o con altri)?: mi rifiuto di pagare e vado a denunciare il ricatto - pago il pizzo e me ne sto zitto, e mando al capobastone un regalo per il matrimonio della figlia. Scelte entrambe pragmatiche: la prima è coerente con il primo giudizio etico, e pragmaticamente persegue il fine di combattere per vie legali il ricatto, la seconda non è contraddetta né dal primo né dal secondo dei giudizi etici, ma pragmaticamente persegue il fine che mi sembra più raggiungibile, ossia quello di non avere guai e anzi ottenere il lavoro per mio figlio.
Se abbiamo bene inteso tutto questo, risulta più chiaro il senso di quanto dicevo sul "pragmatismo" della mafia, 'ndrangheta e compagnia bella: ciò non significa che lo accosto solo a cose nagative, ma significa semplicemente che [può essere accostato a cose che sono sia negative che positive: è un metodo, uno strumento,no?, e dunque è come un'arma che può essere usata sia dallo sceriffo sia dal bandito.
La mafia e la criminalità, anche politica, con il pragmatismo non c'èntra un fico secco. Il loro fine non è modificare la realtà per migliorarla ma estorcere denaro, mantenere il potere.
Modificare la realtà per migliorarla è una scelta etica, e il fatto che sia un fine significa che è una scelta che viene fatta prima e non dopo, come tu affermi.
Inoltre, la realtà sulla quale pragmaticamente si vuole incidere non è data solo da uno stato di cose, materiale o relazionale, ma anche da un sistema di comportamenti: per esempio, quelli di cittadini che potrebbero ribellarsi, o di uno stato che potrebbe far valere la sua forza legalitaria.
Bene. Più e meglio di così non riesco a spiegarmi.
Ah, un'ultima cosa.
Il pragmatismo in questo segue una strada diversa dall'idealismo (che è piu' affine al tuo pensiero) e forse questa concorrenzialità spega il rifiuto da parte tua di un pericoloso concorrente.
Rispondere che sarebbe meglio evitare queste sciocchezze è considerato una polemica personale, vietata dal regolamento?