Maduro come Modi: via i 100 bolivar. E i venezuelani assaltano le banche
Per fermare inflazione e corruzione il governo ritira i tagli più grandi. Popolazione ridotta alla fame, scontri in strada e negozi saccheggiati
Pubblicato il 23/12/2016
Ultima modifica il 23/12/2016 alle ore 13:36
EMILIANO GUANELLA
RIO DE JANEIRO
Hai praticamente distrutto l’economia del tuo Paese, non sai come fronteggiare un’inflazione incontrollabile, la gente scende in piazza per protestare e allora, come se fosse un colpo di magia, ricorri ad uno dei «trucchi» più vecchi del mondo; stampi nuove banconote per evitare che il tutto crolli. È successo in Egitto, in India, nell’Argentina dei Kirchner e sta succedendo, nel mezzo di una gravissima crisi, nel Venezuela di Nicolas Maduro. Strategie che possono servire come una soluzione tampone, anche se quasi sempre si rivelano fallimentari.
A Caracas la situazione è ormai fuori controllo. L’inflazione del 2016, secondo la stima del Fmi, è al 475% e la gente da almeno 3 anni deve fare i conti con un triplice cambio; quello ufficiale, per il quale un euro vale poco più di 700 bolivares, quello della strada (un euro a 2.900 bolivares) e quello dei prodotti alimentari più comuni, venduti al mercato nero e che sovente non si trovano nemmeno pagandoli oro. I prezzi, così, volano e le banconote non bastano mai; una Coca-Cola costa l’equivalente di 6 euro, un paio di jeans oltre 700. Solo nell’ultima settimana è triplicato il prezzo dell’harina pan, la farina con la quale si fanno le arepas, il pane locale, oltre a quello del caffè e dell’olio. Considerando che il taglio più grande in circolazione è di 100 bolivares (3 centesimi di euro), per fare anche una piccola spesa quotidiana oggi ci si deve riempire il portafoglio di banconote. Per risolvere il problema, Maduro ha deciso di toglierle dalla circolazione e di introdurne di nuove, con tagli da 500 fino a 20.000 bolivares, ma lo ha fatto dando appena 4 giorni di tempo per la transizione, causando un assalto alle banche da parte di cittadini timorosi di trovarsi con carta straccia in mano.
Le nuove banconote, nel frattempo, non sono mai arrivate, mentre la protesta è cresciuta in tutto il Paese, con scontri ed assalti a supermercati, tre morti e centinaia di arresti. Il Presidente è dovuto tornare sui suoi passi, prorogando la deadline per i 100 bolivares al due gennaio prossimo. Nel farlo, ha rispolverato il suo discorso preferito, quello del complotto internazionale orchestrato da Washington. «I gringos - ha detto - ci stanno sabotando; hanno bloccato gli aerei con le nuove banconote e aiutano i delinquenti che assaltano i negozi». La bagarre sui bolivar, del resto, è l’ultima dimostrazione del collasso. L’erede di Chavez è sempre più chiuso su se stesso, evidentemente incapace di affrontare la crisi economica e con l’opposizione, che controlla il Parlamento, che punta a farlo cadere nei prossimi mesi. Lo scontro è totale, ogni decisione del Congresso contro l’esecutivo viene di fatto congelata dalla Corte Suprema, al punto che ormai è difficile pensare al Venezuela come un paese pienamente democratico. «Giocare» con la valuta locale, del resto, è una pratica molto comune.
È successo anche con Cristina Kirchner in Argentina. Nonostante a Buenos Aires si viaggiasse ad un’inflazione intorno al 30% e con un cambio parallelo del peso col dollaro che duplicava quella ufficiale, la presidente peronista si è sempre rifiutata di emettere banconote di tagli superiori ai classici 100 pesos. Il suo successore Mauricio Macri ha invece eliminato subito il cambio blindato e ha fatto stampare banconote da 200 e 500 pesos. Il problema, per lui, è che in un anno l’inflazione è aumentata invece che diminuire e la ripresa che aveva promesso sarebbe arrivata dopo un semestre di sofferenze, non è mai arrivata.
Oggi è proprio a Buenos Aires che si registra il tasso d’inflazione più alto (40%) al mondo dopo quello stratosferico di Caracas e il governo traballa. Bolivares venezuelani, pesos argentini, rupie indiane, lire turche, grivnie dell’Ucraina; la lista delle monete andate in picchiata negli ultimi mesi è lunga. E ovunque sia, la svalutazione «pilotata» non porta mai a nulla di buono.