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Immoralità della morale

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Re: Immoralità della morale

Messaggioda pierodm il 12/12/2008, 18:35

Non sono d'accordo con Pino sul fatto che sia "immorale" il meccanismo di nomina dei dirigenti sanitari da parte della politica: inefficiente, assurdo, pericoloso, sbagliato, magari, ma non immorale.
Non lo dico per fare il pignolo, ma perché una definizione del genere ci porta fuori strada.
Anzi, già che ci sono, vorrei precisare: questo non è un discorso sulla moralità, ma sul "giudizio di moralità".

L'applicazione del giudizio di immoralità ai fenomeni politici non individuali, a mio parere, vale quando il contenuto, ovvero gli effetti, di questi fenomeni provoca direttamente situazioni dannose che equivalgono ad azioni che - se commesse da singoli individui - sarebbero inequivocabilmente definite "immorali", o delittuose, ovvero sarebbero giudicate sintomo di scarsa umanità.
Ho portato l'esempio dell'omicidio premeditato, messo in relazione alle politiche, alle strategie e alle tattiche di guerra: in un caso e nell'altro l'effetto è la sofferenza e la morte di esseri umani, e nascono entrambi da una scarsa considerazione per la vita umana, o dalla prevalenza d'interessi diversi dalla vita umana.
Se è immorale l'omicidio, specialmente se premeditato, dev'essere giudicato immorale anche la guerra, e chi la fa.
Come negli altri esempi citati: se è immorale chi ruba al vecchietto, o al bambino, o chi ruba in generale, è altrettanto immorale chi si arricchisce sfruttando, illudendo o prevaricando migliaia di persone tra cui vecchietti e bambini.
Se è immorale che sia premiato - in uno sport, in una qualunque competizione, nella vita - chi non merita, a danno di chi meriterebbe di più per competenza o bravura, è altrettanto immorale un meccanismo come quello del "mercato", quando premia i cretini o chi ha semplicemente speculato senza dare alcun contributo al miglioramento della vita della comunità, dalla quale trae i suoi profitti e il suo premio.
Io meglio di così non sono capace di spiegarmi.
pierodm
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Re: Immoralità della morale

Messaggioda franz il 12/12/2008, 19:35

pierodm ha scritto:Ho portato l'esempio dell'omicidio premeditato, messo in relazione alle politiche, alle strategie e alle tattiche di guerra: in un caso e nell'altro l'effetto è la sofferenza e la morte di esseri umani, e nascono entrambi da una scarsa considerazione per la vita umana, o dalla prevalenza d'interessi diversi dalla vita umana.
Se è immorale l'omicidio, specialmente se premeditato, dev'essere giudicato immorale anche la guerra, e chi la fa.

Guarda che e obiezioni contro l'omicidio sono morali solo in senso religioso, vedi 10 comandamenti.
Sul piano del diritto moderno va notato che proprio in questi giorni si celebra il sessantennale dei diritti dell'uomo, tra cui si parla anche del diritto alla vita. Quei diritti pero' non sono su base morale (da qui le lamentele del papa che avete letto ieri sui giornali) ma su base civile, impuntate sui diritti di libertà (i classici diritti liberali, per dirla in soldoni).
Uccidere non è reato perché atto immorale e perché nei comandamenti sta scritto che non si deve uccidere ma perché si viola un diritto inalienabile della persona, una sua libertà. Quella di vivere.
Dalle basi quindi di tutti i diritti civili umani noi possiamo intrapprendere azioni politiche (leggi) che sono totalmente svincolate dalla morale (o dalle morali che ci sono in vari posti sul pianeta) ma che sono ancorate ai concetti di libertà ed al loro rispetto. Chiaro quindi che il precedente papa tuoni contro la mafia con una condanna morale e ma alla politica compete l'azione politica, non il giudizio morale. Di conseguenza vi è anche la graduale sparizione nei codici penali degli "atti contro la morale" che vengono trasformati in "reati contro la persona".

Secondo me va analizzata questa ondata di moralismo, che vedo come passo indietro rispetto all'avanzare di uno stato laico. Comprendo che scandali e ruberie pubbliche indignino i cittadini (non tutti, direi) ma la risposta non deve essere morale. La risposta morale non serve a nulla. L'assassinio è moralemente condannato da millenni. Vi pare che questo abbia per caso attenuato il fenomeno? No, la risposta deve essere politica e laica.

Dovremmo quindi dire che la questione morale è un falso problema.
Il vero problema è che diritti di libertà di alcuni cittadini vengono sistematicamente violati da altri che che lo Stato fa poco o niente per cambiare la situazione e mentre i partiti si dilettano di disquisire di questione morale e su chi ha i titoli morali per affrontarla.

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Re: Immoralità della morale

Messaggioda annalu il 12/12/2008, 20:52

Mi spiace, ma ho come l'impressione che ci si stia incartando su una definizione di morale che abbia valore universale.
Personalmente tendo al concreto, e quindi per me è "morale" ciò che tende al bene comune, con ovviamente confini non sempre esattamente definiti e sempre perfettibili.
Quindi in politica è"morale" ogni comportamento in cui chi agisce lo fa pensando all'interesse della collettività, anche a scapito dei propri interessi personali e di gruppo.
Nominare direttori sanitari sulla base dell'appartenenza politica e non della competenza professionale è profondamente immorale ed illegale, perché non tiene in alcun conto la funzionalità della struttura sanitaria, che è il vero interesse dei cittadini.

Uccidere è lecito quando si tratta di legittima difesa. Non so se in questo caso si possa parlare di azione morale, ma mi sembra irrilevante.
Lo stesso discorso lo applicherei alle guerre: mi sta bene il dettato costituzionale che ripudia la guerra come strumento di offesa e come mezzo per la soluzione delle controversie, ma in alcune circostanze può avere un valore difensivo. Anche in quel caso però i mezzi e l'ampiezza del conflitto dovrebbero essere ben calibrati sui rischi, perché l'eccesso di legittima difesa è un reato per i singoli, ancor più dovrebbe esserlo per gli stati.

Quanto al fatto che il concetto di morale (o di etica) sia di origine religiosa, mi permetto di dissentire totalmente.
L'etica è un concetto biologico innato in tutti gli animali sociali, uomo compreso. La religione è solo un modo semplice e schematico per spiegare e codificare i comportamenti leciti e quelli illeciti.
Il problema della morale religiosa è quello di essere codificata in modo rigido e poco adattabile al mutare delle condizioni storiche e sociali, mentre un'etica laica si mette continuamente in discussione per adeguarsi alla realtà.
E lo stesso dovrebbe avvenire per le leggi, di modo che legalità ed etica laica siano sempre il più possibile sovrapponibili.

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Re: Immoralità della morale

Messaggioda ranvit il 13/12/2008, 13:26

Brava annalù!

Condivido totalmente.

Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Immoralità della morale

Messaggioda franz il 13/12/2008, 13:42

pierodm ha scritto:Anzi, già che ci sono, vorrei precisare: questo non è un discorso sulla moralità, ma sul "giudizio di moralità".

Si, lo avevo inteso. Ed infondo potremmo concludere "che ce ne cale"?
Una legge è sbagliata, un sistema è fallace , un comportamento è nocivo perché crea piu' danni che vantaggi.
Qui possiamo avere un giudizio abbastanza oggettivo, perché danni e vantaggi sono calcolabili, quantificabili. O possiamo tentarci.

Il giudizio morale, piuttosto che quello sostanziale, è altra cosa ed è tipico delle persone che preferiscono dare quel tipo di giudizio, forse perché non sono attrezzati per darne altri o perché, per convincimento morale, ritengono importante dover dare un giudizio morale. Il giudizio morale quindi è un indicatore della persona che lo emette. Di quello che è (ed a volte di quello che vuole apparire). Ma la Polis, puo' emettere giudizi morali? Servono? Un giudizio morale è interno, mentale, viene emesso da una autorità, che o sta dentro nella nostra mente o assume la forma di una autorità esterna molto forte.

Una precisazione, di passaggio, per annalu. Nessuno qui credo abbia sostenuto, nemmeno io, che la morale ha una origine religiosa. Possiamo pero' dire che oggi forse sono proprio le religioni ad essere (o voler apparire) come portatori di profondi messagi etici e morali. Sull'origine della morale invece non mi esprimo piu' di tanto, anche se intuisco che tra i due fenomeni (morale e religione) vi sono probabilmente legami profondi anche nella notte dei tempi. Che tuttavia non credo interessino nel vivo questo thread.

Non credo nemmeno che il bene individuale o in bene comune siano il fattore discriminante per individuare azioni morali o immorali. Qui invece potremmo parlare di oggettività della azione o del comportamento (rispetto ad un fine) ma non di morale. Come sostenevo all'inizio.

In soldoni la morale è data da una elencazione di cose che si possono e non possono fare.
È un elenco semplice, tato che anche un bambino deve poterlo assimilare. In questo è un fatto molto positivo.
Quando sei da solo e non puoi leggere codici e libri, chiedere ai genitori, consulti la "morale".
Puo' essere una elencazione scritta, puo' essere frutto interno dell'osservazione del comportamento altrui.
A volte ci puo' essere conflitto tra le cose. Uno che ha ricevuto dai genitori una educazione basata sul rispetto della vita e dei beni altrui (non rubare) potrebbe trovarsi inserito in un tessuto sociale in cui si fa il contrario. E viceversa.

La valutazione di vantaggi e svantaggi invece è compito molto piu' difficile e solo un adulto, meglio se in gruppo con altri, puo' fare.

E se scoprissimo che una azione, da secoli giudicata immorale, è invece qualcosa che oggettivamente porta vantaggio alla maggioranza (il famoso bene comune)? O viceversa, se scoprissimo che un mandato morale, utile ed accettato tempo fa, oggi è dannoso e lesivo dei diritti di qualcuno, cosa dovremmo fare?

In sostanza se c'è conflitto tra morale e ragione (non c'è dubbio che possa capitare) a chi diamo la precedenza?

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Re: Immoralità della morale

Messaggioda pinopic1 il 13/12/2008, 14:28

In sostanza ogni comportamento può essere morale o immorale o indifferente all'interno di un sistema di valori accettato. Così nell'ambito della stessa società può essere immorale l'omicidio e morale la guerra e perfino il saccheggio, la riduzione in schiavitù e gli spettacoli dei gladiatori.
Comportamenti questi che possono essere utili alla collettività, coincidere con il bene comune, ove non sia riconosciuto e accettato il valore della "dignità umana" indipendentemente dalla cittadinanza. Ma conosciamo grandi civiltà del passato in cui questo accadeva.
Il rapporto di vassallaggio e anche la servitù della gleba erano fondamento del regime feudale e non potevano essere considerati immorali se si accettava il regime feudale. In regime democratico contrastano non con la legge ma con i valori sui quali poggia un regime democratico. E' immorale, secondo me, che chi ha il potere politico e quindi fa le leggi costruisca e tenga in piedi un sistema che prevede il rapporto di vassallaggio.

Per tornare alla "questione morale", questa è invocata da opinionisti e uomini politici, solo quando nel sistema qualcuno commette un errore o una imprudenza, o quando accadono fatti collaterali che evidenziano non la immoralità del sistema ma la sua inefficienza. O quando si porta all'onore delle cronache una situazione per iniziativa di un magistrato particolarmente zelante o in conseguenza di faide interne, o di complotti esterni.

Se in Campania ci fossero stati gli inceneritori come in Lombardia, non ci sarebbe stata l'emergenza che abbiamo conosciuto, Bassolino sarebbe stato considerato un ottimo e onestissimo amministratore (almeno da noi di CS). Il sistema però che è venuto alla luce perché si è andati a curiosare in conseguenza dell'emergenza, sarebbe stato tale e quale.
Quindi non si tratta di moralizzare la politica ma di costruire istituzioni coerenti con i valori liberali e democratici sui quali si fonda la nostra società. Altrimenti riparleremo (riparleranno) di questione morale ogni sei mesi mediamente per tutto il tempo che verrà.
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Re: Immoralità della morale

Messaggioda franz il 13/12/2008, 14:36

pinopic1 ha scritto:Quindi non si tratta di moralizzare la politica ma di costruire istituzioni coerenti con i valori liberali e democratici sui quali si fonda la nostra società. Altrimenti riparleremo (riparleranno) di questione morale ogni sei mesi mediamente per tutto il tempo che verrà.

E' esattamente cio' che vado sostenendo in tutto questo thread.
La domanda è ..... esistono forze politiche in grado di condurre questo progetto "liberal-democratico"?
E se esistono, riusciranno ad essere maggioranza nel paese?

Ciao,
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Re: Immoralità della morale

Messaggioda pierodm il 13/12/2008, 23:14

Cara Annalu, qui chi si è davvero incartato è Franz, preso dal suo desiderio - sistematico, direi - di portare la torcia della Ragione nelle caverne oscure in cui brancolano i selvaggi, alle prese con losche pitture rupestri e pentole ribollenti di code di lucertole.

Seguendo questa vocazione di tedoforo, Franz non si accorge, per esempio, che dà ragione a Pino, il quale però dice esattamente l'opposto di quello che Franz intende fargli dire.
"Così nell'ambito della stessa società può essere immorale l'omicidio e morale la guerra e perfino il saccheggio, la riduzione in schiavitù e gli spettacoli dei gladiatori. Comportamenti questi che possono essere utili alla collettività, coincidere con il bene comune, ove non sia riconosciuto e accettato il valore della "dignità umana" indipendentemente dalla cittadinanza." - afferma Pino
Dignità umana espressamente posta a fondamento della Dichiarazione del '48, richiamata da Franz.


Ma c'è una frase di Annalu che ha una simmetrica corrispondenza con un'altra di Pino, sulle quali è necessario soffermarsi.
"Quindi in politica è"morale" ogni comportamento in cui chi agisce lo fa pensando all'interesse della collettività, anche a scapito dei propri interessi personali e di gruppo." - Annalu
"Ma conosciamo grandi civiltà del passato in cui questo accadeva " - Pino
Nelle grandi, o meno grandi, civiltà del passato, violenza, sterminio e prevaricazione erano tollerati, praticati e ammessi secondo un concezione cinica e - diremmo modernamente - machievellica, ma nient'affatto considerati "morali", o desiderabili, o semplicemente degni di approvazione: antichi sì, ma per niente coglioni, se così possiamo dire.
Una minima conoscenza delle letterature antiche - unita ovviamente alla voglia di concedere loro un certo credito - ci dà una larga conferma della sanità mentale di queste "civiltà" - da Seneca ad Orazio, da Tacito a Marco Aurelio, risalendo perfino ai poemi omerici: era assai chiara a tutti la differenza tra un generale utile alla res publica, e un uomo generoso e degno di ammirazione personale, e quella tra una vittoria militare ottenuta con lealtà e con decoro, e una accompagnata da stragi e crudeltà gratuite.
Questo, tra l'altro, ci aiuta a mettere in modo assai diverso la questione della "religiosità" della morale, sollevata da Franz in modo piuttosto curioso.
Oggi - dopo una massaggio mentale di venti secoli - tendiamo a confondore la religiosità con la religione cristiana, in particolare cattolica.
Ma nei venti secoli precedenti sono esistite religiosità - tra le quali quella greco-romana - che non dettavano comportamenti, ma si limitavano tutt'al più a metterli in relazione con una generica pietas, con il senso della "rettitudine" e con il rispetto della sacralità del mondo, della vita e della comune appartenenza al genere umano, ad una civitas, ad un corpo sociale.
Nel mondo omerico, per esempio, non sono gli dei - che oggi identificheremmo come titolari della "religione" - a giudicare e dirigere gli uomini tramite dettami morali, ma sono gli uomini che sistemano e muovono le divinità, e ne fissano le caratteristiche e ne classificano i comportamenti, secondo riferimenti estetici e morali che nascono da un'esperienza e una condizione assolutamente "laica".
In civiltà tribali, o comunque più ataviche, la religione era niente di più di un mezzo per inculcare per vie brevi alcuni principi di vita e di comportamento che l'esperienza aveva elaborato come utili alla vita comune, e al mantenimento del sistema sociale - a cominciare dalla sacralità del capo, del re, del "faraone" di turno.
Si tratta di società nelle quali la distinzione tra pubblico e privato è assai limitata, o inesistente, e dunque è difficile distinguere l'utilità sociale dalla moralità come valore individuale.
Il problema comincia seriamente con la società romana, e successivamente con la religione cristiana che si sovrappone all'ordinamento imperiale.
Si verifica allora la divaricazione tra morale cristiana - ossia una serie di "leggi" date da un'autorità diversa da quella dello stato - e morale laica, diretta discendente della morale precedente all'avvento della Chiesa, che aveva radici filosofiche o pragmatiche, e che si esprimeva attraverso il mos e lo jus, ossia i costumi e le leggi.
Una questione di potere, soatanzialmente, nella quale ciò che distingueva la "morale religiosa" non era tanto il suo contenuto, ma il fatto che pretendeva di discendere da un volere divino e dunque superiore - manifestato ovviamente tramite i buoni uffici della Chiesa e dei suoi operatori.
Del resto, è connaturato alle religioni monoteiste il concetto che non possano esistere diarchie, e di conseguenza differenti visioni del mondo e diverse "moralità": questa rigidezza monocratica, però, si trasforma - come sempre, in tutte le concezioni autoritarie - in una larga concessione all'esistenza di diversi "piani" o livelli di moralità.
Cioè, la morale è unica, ma non vale sempre, non vale per tutti, e dipende dalle circostanze.
In termini ancora diversi: la morale è unica, vista dal potere di vertice che la usa come instrumentum regni, ma è doppia o tripla o quadrupla, se vista da uno dei livelli più bassi.

La nostra discussione, in definitiva, verte esattamente sul punto di rottura, di divaricazione nel quale si moltiplicano le diverse "morali", non sul fatto (ovvio) che esistano, né sul loro divenire nel tempo (fatto altrettanto ovvio).
La nostra discussione verte sul fatto che ciascuna di queste morali serva a ordinare e reggere un sistema o sotto-sistema, fornendo ad alcuni comportamenti una legittimazione "superiore", a costo di porsi in stridente contraddizione con gli altri livelli della morale, o con la morale applicata ad altri soggetti che fanno parte dello stesso corpo sociale.
Perché il punto è proprio questo: lo stesso corpo sociale. Se non si tiene conto di questo, non si capisce di che cosa stiamo parlando.

Quando Franz si addanna l'anima per convincerci che tutte queste sarebbero chiacchiere, perché è necessario che ogni bella cosa si trasformi in leggi e organizzazione politica, sfonda una porta aperta: chi ha mai detto il contrario, anzi chi ha mai posto la questione in modo da far pensare che non fosse convinto di questa ovvia verità?
Così come corretta, ma fuori tema, appare la notazione che riguarda la Dichiarazione del 48: non è un'Enciclica papale, né un documento che emana da un Concilio, ma un documento politico che ipotizza comportamenti politici, ispirati ad un'etica che - se pure avesse tra le sue radici ideologiche un insieme di provenienze religiose - è oggettivamente laica, proprio in quanto ascrive una serie di valori nella categoria dei "diritti" invece che tra le "virtù", perché solo i diritti possono essere oggetto della politica, e non le virtù.
Ma rimane francamente difficile considerare la dignità umana come un diritto, scisso da ogni valore morale, e come valore che possa sussistere isolatamnete, al di fuori di un contesto organico di valori ad esso omogenei - o, secondo quanto si diceva prima, in un contesto di doppia o tripla morale.

PS
Insisto nel dire che la nomina dei presidenti delle ASL può essere classificata in tutti le categorie più nefande, ma poco c'entra con la "morale", se non vogliamo fare tutto un pastone indistinto.
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Re: Immoralità della morale

Messaggioda pinopic1 il 13/12/2008, 23:47

"Nelle grandi, o meno grandi, civiltà del passato, violenza, sterminio e prevaricazione erano tollerati, praticati e ammessi secondo un concezione cinica e - diremmo modernamente - machievellica, ma nient'affatto considerati "morali", o desiderabili, o semplicemente degni di approvazione: antichi sì, ma per niente coglioni, se così possiamo dire.
Una minima conoscenza delle letterature antiche - unita ovviamente alla voglia di concedere loro un certo credito - ci dà una larga conferma della sanità mentale di queste "civiltà" - da Seneca ad Orazio, da Tacito a Marco Aurelio, risalendo perfino ai poemi omerici: era assai chiara a tutti la differenza tra un generale utile alla res publica, e un uomo generoso e degno di ammirazione personale, e quella tra una vittoria militare ottenuta con lealtà e con decoro, e una accompagnata da stragi e crudeltà gratuite."

La differenza era assai chiara a Seneca, Orazio, Tacito, Marco Aurelio e altri "illuminati". Il popolo romano si divertiva a vedere i cristiani sbranati dai leoni e i duelli tra gladiatori. La schiavitù era fondamentale per l'economia. Per molto tempo nessuno ha sollevato una questione morale. La dignità umana era riconosciuta ai cittadini romani, non agli altri, tanto meno se sconfitti in guerra. Il saccheggio e la riduzione in schiavitù erano la ricompensa, forse lo stipendio, per i soldati vincitori.
Che poi i romani riconoscessero e apprezzassero anche qualità umane come la generosità, la lealtà, il senso di giustizia, non cambia molto.
Anche Omero trovava forse immorale la schiavitù? Crudele forse, poteva scrivere versi di pietà per la schiava o lo schiavo, ma non la considerava immorale. Oggi consideriamo immorale la schiavitù, non ci fa soltanto pena la condizione dello schiavo e non pensiamo che sia vittima del fato avverso. L'uomo che lasciava andare libera la sua schiava dimostrava grande generosità, grande nobiltà d'animo degna appunto di un eroe omerico. Invece per noi è normale che un uomo non possa avere una schiava. O no?

Naturalmente puoi dirmi che la schiavitù era tollerata solo perché utile all'economia, che Thomas Jefferson era proprietario di schiavi eppure scriveva la Costituzione americana, che la borghesia doveva inventarsi i principi liberali e la democrazia per dare un fondamento al suo potere non potendolo fare discendere da Dio o dalla tradizione. Può darsi che i nostri valori non siano che convenienze che mutano con la storia e la geografia.
Però il (primo) Cristianesimo ha posto la "questione morale" in tempi e luoghi non sospetti. Anticonformisti?


"Insisto nel dire che la nomina dei presidenti delle ASL può essere classificata in tutti le categorie più nefande, ma poco c'entra con la "morale", se non vogliamo fare tutto un pastone indistinto."

Non la nomina, ma l'esistenza dell'"istituto". Se esiste e lo accettiamo allora la nomina non è un fatto immorale. Ma non dovrebbe esistere.
Ma guarda che non sono io che voglio parlare di questione morale. Sono i giornali e vari esponenti politici.
Però io non trovo nessuna categoria nella quale classificarla se stabiliamo che è una cosa non buona. Non è un reato se prevista per legge. Non è una biricchinata. E' una pratica deprecabile perché causa inefficienze? Certo, come la servitù della gleba in una economia industriale.
Ultima modifica di pinopic1 il 14/12/2008, 0:18, modificato 1 volta in totale.
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Re: Immoralità della morale

Messaggioda pierodm il 14/12/2008, 0:09

Pino, abbi pietà.
Certi amici miei ebbero anni fa una baby-sitter alla pari, danese.
Ci rimase poco: mangiava Jocca, schifava la pizza, e diceva che "gli antichi romani erano crudeli".
La cosa realmente grave era che mangiava Jocca, naturalmente, ma pure la sua concezione storicistica non era male.

Comunque sia, anche in questa discussione sono arrivato al punto che penso di aver detto quello che potevo dire, nel modo migliore che mi è possibile.
Di più non riesco a fare, anche perchè ho l'impressione che io parlo di una cosa, mentre i miei amici parlano di un'altra, che non riesco a capire cosa sia.
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