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(...) Ovvero cosa l'economia non è

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Re: (...) Ovvero cosa l'economia non è

Messaggioda trilogy il 02/03/2016, 11:50

Parlavo di "ricicciare l'organicismo" perchè la mia osservazione veniva dopo il pezzo che riporto sotto...
Poi è vero, come osservate, che ci sono anche riferimenti al marginalismo. L'autore si riprende vari aspetti del pensiero degli economisti classici.

franz ha scritto:
.... Cosa credete che siano in biologia i rituali di accoppiamento, che permettono agli individui di scegliere ed essere scelti in base a certe caratteristiche "codificate" prima di procreare? Oppure cosa sono tutti gli istinti codificati geneticamente? Sono sistemi di regolazione, concettualmente non diversi da quello che oggi facciamo con le leggi. Ovvio che c'è differenza concreta tra regola geneticamente impressa e legge socialmente determinata, ma la natura, questo intendo, arriva ad equilbri grazie e leggi "hard coded" (DNA) e negli ultimi due o tre milioni di anni, anche grazie a leggi "soft coded" (cultura).
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Re: (...) Ovvero cosa l'economia non è

Messaggioda franz il 02/03/2016, 11:54

mariok ha scritto:Sarebbe troppo facile domandare: ma in quale mondo tutto ciò accade? Ma allora da dove vengono gli sprechi e la vera e propria dilapidazione di risorse alla quale assistiamo?

Accade per via delle cosiddette "esternalità". La possibilità cioè che non tutti i costi rientrino nel gioco economico ed alcuni vengano scaricati su altri ... o nel futuro. Ma qui la cosa si fa complessa.
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Re: (...) Ovvero cosa l'economia non è

Messaggioda gabriele il 02/03/2016, 11:54

mariok ha scritto:A me sembra che il punto sia se è vero o no che l'economia di mercato da sola abbia la capacità di ritrovare sempre il suo equilibrio.


E' una domanda che non avrà mai risposta. L'economia di mercato deve convivere con lo Stato e da esso ne sarà sempre influenzata. A chi di dovere, resta il compito di decidere come e quanto
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Re: (...) Ovvero cosa l'economia non è

Messaggioda franz il 02/03/2016, 13:20

gabriele ha scritto:E' una domanda che non avrà mai risposta. L'economia di mercato deve convivere con lo Stato e da esso ne sarà sempre influenzata. A chi di dovere, resta il compito di decidere come e quanto

Vero. Anche il contrario e che cioè lo Stato deve convivere con l'economia di mercato capendo cosa fare per ottimizzarla e cosa non fare per ucciderla.
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Re: (...) Ovvero cosa l'economia non è

Messaggioda franz il 02/03/2016, 13:47

Direi di concludere con la terza ed ultima puntata!


Perle ai porci e monetine agli sciocchi. Ovvero, che cosa l’economia non è. / III
Franco Cazzaniga· Sabato 27 febbraio 2016

Eccoci (finalmente!) all’ultima puntata: se esaminiamo la moneta secondo quello che dicono i manuali ci accorgiamo immediatamente che tutto ruota intorno al termine “valore”. Eppure, come ci aveva mostrato l’episodio del cappuccino, il “valore” non è altro che l’utilità, e le utilità, un po’ come le monadi leibnitziane, possono osservare il mondo, ma non essere osservate.

Facciamo quindi un passo a lato, e prendiamo in considerazione una delle pietre miliari della teoria economica: l’Equilibrio Generale. In parole molto povere, la Teoria dell’Equilibrio Generale ci dice che in un mondo ideale dove ognuno sa perfettamente ciò che ha e ciò che desidera esiste in linea di principio un modo di redistribuire e produrre i beni che massimizzerà il benessere di tutti. Non che in tale mondo qualcuno non possa desiderare di stare meglio, ma non potrà farlo se non a spese del benessere di qualcun altro.

Il bello della Teoria dell’Equilibrio Generale è che in quel mondo non c’è bisogno di moneta: gli scambi avvengono in natura: tot chilogrammi di riso valgono n biciclette o m bottiglie di vino, eccetera: è grazie all’Equilibrio Generale che alcuni economisti possono dire che la moneta è un velo che nasconde i reali rapporti di scambio fra le merci.
Eppure, è anche evidente che il nostro mondo non è fatto così. Della moneta non possiamo fare a meno, anzi, le economie più o meno pianificate nelle quali i prezzi vengono dettati dall’alto soffrono di gravissime distorsioni e inefficienze. Dove comincia e dove finisce il rapporto fra questi due mondi?

Andiamo per ordine: il mondo ideale sopra è fatto di certezze. Ognuno in esso conosce esattamente i propri desideri, non solo quelli attuali, ma anche quelli futuri. In quel mondo io “so” che il tre giugno 2025 alle 19:30 vorrò mangiare un piatto di tagliolini all’astice serviti nel ristorante “Il pescatore” accompagnati da una bottiglia di Vermentino di Gallura del 2023, e così via. Nel mondo reale io non so nulla di tutto questo. Al massimo so che stasera mi piacerebbe mangiare del pesce, ma devo ancora decidere in quale ristorante farlo e che pesce scegliere.

Quindi nel mondo reale esistono due fattori di cui siamo obbligati a tenere conto: le incertezze e il tempo. In pratica questo significa che da un lato siamo obbligati a scommettere e, dall’altro, che dobbiamo trovare un modo per costringere gli altri (e noi stessi) a mantenere gli impegni che ci siamo assunti in un mondo incerto.
Guardiamo un po’ più da vicino quali sono le caratteristiche di ciò che serve da moneta: deve essere difficile da falsificare, deve essere facile da scambiare e deve essere il più possibile priva di uso pratico. Un tempo l’oro era ciò che più si avvicinava a questi requisiti. Oggi la cosiddetta “moneta fiat”, specialmente nella sua forma elettronica, è lo strumento più efficace.

Attenzione, quindi: la moneta non è altro che una forma speciale di “pagherò” emessa dalle banche centrali. In pratica la moneta funge da mezzo di trasferimento di promesse di pagamento in natura: supera il baratto permettendo agli scambi di superare i limiti spaziali e temporali della necessità reciproca fra coloro che scambiano beni: è una sorta di titolo di credito trasferibile da un creditore a un altro.

Nella pratica la moneta ha anche un altro paio di caratteristiche e requisiti: il suo “valore”, ovvero il rapporto di scambio con la maggior parte dei beni deve fluttuare poco nel tempo perché sarebbe complicato dover usare gli euro per comprare il pane se il prezzo del filone oggi fosse un euro, domani due, e dopodomani ancora uno, eccetera. Inoltre deve poter fungere anche da merce, ovvero poter essere comprata e venduta: tutto il credito si basa su questa caratteristica, anzi, senza il sistema creditizio, ovvero le tanto vituperate banche, l’economia moderna non funzionerebbe affatto. Grazie a tutte queste caratteristiche la moneta ci permette di gettare un ponte fra le certezze e le incertezze, e dal presente verso il futuro.

Se andiamo a guardare da vicino il sistema creditizio scopriamo che il suo compito è quello di produrre la liquidità necessaria al sistema per sopravvivere. Il ciclo inizia con l’emissione di debito, cioè moneta, da parte della banca centrale. Se questa è ben gestita ed è capace di difendere il suo ruolo dalle richieste dei politici le cose non vanno poi così male.

Supponiamo per semplicità che la Banca D’Italia, su mandato della BCE, decida di emettere un milione di euro. Stamparli non è un problema, ma il vero punto è come metterli in circolazione: se si comportasse come quella dello Zimbabwe di alcuni anni fa o come quella tedesca del primo dopoguerra, consegnerebbe le banconote al governo (ovvero, per dirla con tutta chiarezza, gliele regalerebbe). Siccome le banconote sono una passività per la B.d.I. nel suo bilancio il milione passerebbe nelle perdite e, quando il mercato scoprirà il malaffare, il risultato sarà una perdita di valore di scambio della moneta tutta, ovvero, inflazione.

La questione si può guardare da un punto di vista puramente contabile: supponiamo (per semplicità, ma qui è irrilevante) che la B.d.I. non faccia utili. In tal caso le sue passività (la moneta in circolazione) devono bilanciare esattamente le sue attività (qualunque cosa esse siano). Se aggiungiamo un milione alle passività senza aggiungerlo anche alle attività il risultato sarà quello di diluire il valore (di scambio) dei titoli che rappresentano le passività delle prime, cioè delle banconote. Per esempio, se la B.d.I. avesse delle attività e delle passività di un milione prima dell’emissione (il totale algebrico è zero perché non ci sono utili) e fossero in circolazione centomila banconote da dieci euro (10.000 x 100 = un milione), il valore nominale della banconota corrisponderebbe esattamente alle attività.

Se ora aggiungiamo le banconote regalate, le attività restano di un milione, ma le banconote in circolazione diverrebbero duecentomila. Siccome l’equazione “attività + passività = 0” deve essere rispettata (non si può creare “valore” più di quanto si possa creare energia dal nulla) ecco che ora le banconote rappresentano un credito nei confronti della B.d.I di cinque euro, non più di dieci. Ahi, ahi, ahi! Qualcuno (i precedenti possessori) ci ha rimesso, ovvero l’ha preso in quel posto. Se queste cose le fanno i privati, finiscono in galera, ma se le fanno i politici nelle peste ci finiscono i risparmiatori.
Quindi la B.d.I., che è una banca virtuosa, non può stampare denaro per poi regalarlo: per metterlo in circolazione dovrà rivolgersi al mercato, acquistando degli asset, oppure per prestarlo.

A questo punto chi ha acquisito quel milione può fare molte cose. Supponiamo che lo depositi in banca. La banca può a sua volta prestarlo qualcun altro, che lo depositerà in banca, e così via. Dopo molti giri quel milione finirebbe con il generare un numero molto grande di depositi bancari (che sono crediti), a loro volta bilanciati da un numero pari di debiti verso le banche coinvolte.
In pratica il milione iniziale di banconote si è “moltiplicato” come i pani e i pesci del Vangelo, ma, attenzione, non senza generare borbottii e brontolii nel sistema bancario.

I vari possessori dei depositi useranno il denaro ricevuto per le proprie attività economiche: supponiamo che il fattore di moltiplicazione del milione iniziale sia eguale a mille (è un numero di comodo per fare conti veloci). Allora la somma totale dei crediti (e anche dei debiti) generati sarà di un miliardo, che non è una cifra disprezzabile. In altre parole, la liquidità iniziale di un milione immessa nel sistema ha generato una liquidità finale di un miliardo. L’economia, che vive di credito, ringrazia.

C’è però una differenza fra i miracoli del Vangelo e quelli del sistema bancario. I primi sono robusti: una volta entrati nella pancia dei fedeli i pani e i pesci ci restano per farsi digerire tranquillamente. Al contrario, la liquidità del sistema bancario è fragile: se il sistema subisce uno shock di qualsiasi natura questa può contrarsi e i vari attori, che sono al contempo creditori e debitori potrebbero vedere le loro pance/depositi svuotarsi perché il credito per sostenerli potrebbe scomparire. (Ricordiamoci che a ogni deposito bancario corrisponde sia un credito sia un debito, e che la loro somma algebrica resta comunque di un milione.)

I dettagli di questo fenomeno sono piuttosto complicati e descriverli qui porterebbe via tempo e pazienza ai lettori, quindi non lo farò. Mi limiterò invece a sottolineare che proprio per la natura delicata ed elusiva del fenomeno, non esistono scorciatoie o soluzioni semplici al problema della gestione del credito.

Ci sono, invece, tecniche di controllo e di gestione messe a punto dai banchieri centrali durante gli anni, e ci sono, purtroppo, anche irresponsabili richieste di mettere la gestione del credito nelle mani dei politici (o dei banchieri “nazionali”, che sono la stessa cosa). Ma questa è la solita vecchia e pericolosa storia dei ciarlatani e dei mascalzoni che aspirano al potere. Ne parleremo altrove.
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