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...che mangino le brioches!

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Re: ...che mangino le brioches!

Messaggioda pagheca il 03/04/2009, 15:10

in tutto questo discorso mi sembra si dimentichi che il valore aggiunto di un prodotto dipende anche dal numero di esemplari venduti e dalle economie di scala.

Se vendo un milione di stracci a 1 euro, ma dietro c'e' stata la capacita' di economizzare la produzione attraverso un uso intelligente delle risorse e l'innovazione, il guadagno puo' essere molto maggiore anche se il prodotto vale poco. Non si tratta di discorsi teorici, e' proprio il modo attraverso il quale certe ditte sopravvivono e si espandono e altre no. IKEA ha fatto i miliardi con l'innovazione, non con il lusso.

Ricordiamoci inoltre che c'e' molto piu' investimento in R&D in una Toyota Corolla che in una Ferrari Enzo, perche' mentre di Enzo se ne vendono 100 (e quindi anche se 100.000 euro ad esemplare andassero fossero di investimento il totale sarebbe ridotto), di Corolla se ne vendono 10.000.000 e quindi per ogni euro risparmiato nel produrla con una tecnologia innovativa vi sara' un risparmio di dieci milioni di euro.

Il caso del Corriere non e' troppo diverso. Qui c'e' un giornale che ha una fetta enorme dell'informazione italiana e le cui pagine web vengono cliccate da milioni di lettori ogni giorno. Se la pagina e' attraente e ben mantenuta puo' valere centinaia di migliaia di euro in piu', anche se il prodotto di per se sembra valere poco.

Quindi non e' solo una questione di prodotti di lusso o no.

saluti
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Re: ...che mangino le brioches!

Messaggioda franz il 03/04/2009, 18:03

pagheca ha scritto:in tutto questo discorso mi sembra si dimentichi che il valore aggiunto di un prodotto dipende anche dal numero di esemplari venduti e dalle economie di scala.
...
IKEA ha fatto i miliardi con l'innovazione, non con il lusso.
...
Ricordiamoci inoltre che c'e' molto piu' investimento in R&D in una Toyota Corolla che in una Ferrari Enzo
...
Quindi non e' solo una questione di prodotti di lusso o no.

Si, sono d'accordo tuttavia non mi pare che questo aspetto (lusso) sia stato sollevato da me o altri.
Si parlava di qualità, non di lusso.
Per me la qualità necessita di innovazione costante, in presenza di competizione (concorrenza). Il lusso no.
Senza concorrenza e senza mercato non c'è necessità di innovazione, anche se sei in presenza di un grande progresso scientifico. Un buon esempio è URSS. Ottima scienza. Erano riusciti a bruciare sui tempi IBM, producendo una EPROM da 1MB alcuni anni prima dell'occidente. Ho visto il prototipo 20 anni fa all'accademia delle scienze. Ne ho visti tantissimi, incredibili. Ma erano rimasti tali. Non sapevano cosa farsene. Non sapevano trasformare la scienza (il laser) in tecnologia (il CD, la stampante laser) perché non c'era alcun stimolo di mercato per farlo, nessuna competizione.

Il lusso rappresenta un fattore completamente diverso.
E' uno "status symbol". Ovviamente per pochi.
Quel 5% di ricchi che esiste è giusto che paghi a caro prezzo le cose di lusso. Le vuole, per distinguersi, e che paghi.
Li' non interessa tanto l'innovazione ma piuttosto l'uso di materiale raro, pregiato e costoso.
La qualità del lusso quindi è nel materiale e nelle lavorazioni manuali raffinate, non nell'innovazione tecnologica.
Mi pare infatti che il lusso sia sempre esistito, dai tempi dei faraoni, direi.

Quanto a fare i soldi, posso vendere un milione di stracci da un euro o 10 orologi d'oro zeppi di diamanti a 100'000 oppure 1000 computer da 1000 euro. Nei tre casi si trovano diversi livelli quantitavi di lusso e di innovazione.
Diciamo pero' che è probabile che l'operaio che fa i 10 orologi in un anno, sia pagato meglio della squadra che fa i 1000 computer e di chi fa il milione di stracci.

Ciao,
Franz
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Re: ...che mangino le brioches!

Messaggioda pierodm il 04/04/2009, 1:14

Sì, il lusso è tutt'altra cosa, che qualche volta c'entra con la qualità, altre volte no.

Tuttavia, il fattore innovazione è stato evocato da Pagheca molto giustamente: ma questo è ciò che consideriamo come parte integrante del concetto di "qualità".
Tra l'altro, personalmente ho sempre considerato di grandissimo valore produttivo le buone utlitarie, rispetto allle super-car quali Aston Martin e Ferrari: fare una Renault4 o una 2Cv o una Fiesta come quelle che sono state progettate e costruite in milioni di esemplari, che hanno percorso tutte le starde del mondo, in ogni condizione, costando poco e consumando poco, è molto più difficile.
Il discorso cambia - ma non completamente - se consideriamo prodotti speciali in un momento speciale, investendo un aspetto diverso della "qualità" intellettuale e industriale: per esempio, l'Aston Martin DB4 Zagato, o la Giulietta spider, o l'Austin Healey, o la Lancia Aurelia B24 sono veri e propri capolavori di design e d'innovazione, che pochissimo hanno a che fare con il marketing e con la ricerca del lusso come status symbol.

Il tempo in cui dall'Italia uscivano designer e stilisti, ingegneri e progettisti, capaci di quelle meraviglie - tre su quattro di quelle citate portano firma italiana - appare ormai lontano, ma non tanto lontano da impedire che si abbia la pericolosa illusione che quel "genio" italico sia una dote per così dire innata e acquisita una volta per tutte.
Si tratta invece di un know how che si è lentamente depositato nel tempo, frutto di studio, applicazione, competenza, che formano una tradizione e generano la famosa "qualità": se questa catena s'interrompe, quello che si è accumulato in cent'anni si dissolve in dieci, e forse anche meno.

Certamente, questo discorso investe pesantemente anche la scuola, nella quale si è fatta strada l'idea piuttosto stupida che la "creatività" s'incentiva tramite una libertà appesa al nulla: si mette un pennarello in mano ad un ragazzino e si lascia che faccia i suoi meravigliosi scarabocchi, "esprimendo se stesso", invece d'insegnargli a disegnare, insegnare gli elementi base della tecnica, insegnare insomma che la fantasia senza competenza non serve assolutamente a niente. Anzi, probabilmente non esiste nemmeno: è la conoscenza che produce gli elementi che stimolano la fantasia, ed è la cultura che indirizza la fantasia e la tecnica a produrre innovazione.

In Italia abbiamo - e diffondiamo - invece la convinzione che tutto sia dovuto a qualcosa di "magico", come una specie di "ispirazione" che scende ad illuminare il dilettante allo sbaraglio, anche se è un povero stronzo: recentemente questa idea demenziale sta dilagando attraverso la moltiplicazione dei reality, dei teatrini della De Filippi e cose dello stesso genere, ma si tratta dell'esasperazione grottesca di una "cultura" che ha radici antiche.
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Re: ...che mangino le brioches!

Messaggioda Stefano'62 il 04/04/2009, 13:20

pierodm ha scritto:In Italia abbiamo - e diffondiamo - invece la convinzione che tutto sia dovuto a qualcosa di "magico", come una specie di "ispirazione" che scende ad illuminare il dilettante allo sbaraglio, anche se è un povero stronzo: recentemente questa idea demenziale sta dilagando attraverso la moltiplicazione dei reality, dei teatrini della De Filippi e cose dello stesso genere, ma si tratta dell'esasperazione grottesca di una "cultura" che ha radici antiche.

Vero,
in poche parole la sublimazione del nulla.

Ciao
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Re: ...che mangino le brioches!

Messaggioda franz il 04/04/2009, 14:29

pierodm ha scritto:Il tempo in cui dall'Italia uscivano designer e stilisti, ingegneri e progettisti, capaci di quelle meraviglie - tre su quattro di quelle citate portano firma italiana - appare ormai lontano, ma non tanto lontano da impedire che si abbia la pericolosa illusione che quel "genio" italico sia una dote per così dire innata e acquisita una volta per tutte.

Veramente a me pare molto lontano.
Dopo il 1600 chi mai abbiamo presentato sulla scena internazionale dell'arte e della cultura?
Tutti i nostri "illustri" appartengono al periodo precedente mentre a livello internazionale, se pensiamo alla pittura, alla scultura, a tutte le arti figurative ed alla letteratura c'è stata l'esplosione europea, con i fiamminghi, i russi, quella degli anglosassoni, degli americani, degli spagnoli. Abbiamo avuto un picasso, un van gogh, decine di francesi. Anche nel campo del cinema e della grafica non è che l'italia abbia brillato. Anche se noi ci gloriamo con fellini, pasolini, visconti, all'estero ci sono stati 100 nomi piu' illustri e non tanto pensando al botteghino ma alla qualità.
A partire dal 1600, finito il rinascimento fiorentino, è iniziato il declino culturale, qualitativo ed economico dell'Italia e sono apparse nuove stelle in europa ed oltre oceano. La stessa lingua italiana, di converso, è stata via via abbandonata, in quanto non era piu' il centro della cultura come era stato tra il quattordicesimo e quindicesimo secolo.
Abbanondata perchè non avevamo nulla da dire e non c'era nulla di interessante da leggere.

Anche qui quindi l'illusione del genio italico (tema attorno al quale vale la pena di fare una riflessione piu' profonda) è veramente una illusione che già Mussolini durante il ventennio cerco' di rinfrescare e che poi anche durante il boom degli anni '60 si cerco' di accreditare.

Ciao,
Franz
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Re: ...che mangino le brioches!

Messaggioda pierodm il 05/04/2009, 12:00

Grazie a dio siamo sostanzialmente d'accordo tutti su questo tema, anche se non conveniamo sui secoli: fino alla fine del '700 l'Italia aveva ancora un notevole prestigio, ben meritato.
Vero è che il declino era cominciato anche prima del '600, con il progressivo spostamento del baricentro economico-politico dal Mediterraneo all'area atlantica - ma la posizione di eccellenza italiana era talmente consolidata che sono occorsi secoli per disgregarla, con il gagliardo aiuto dell'opera contro-riformistica.

E' nell'800 che la situazione si è manifestata in tutta la sua crudezza. C'è da dire però che in questo secolo le dimensioni del mondo politicamente attivo si sono nettamente allargate, in un primo assaggio di "globalizzazione".
Come dice Franz, è comunque interessante approfondire il tema del "genio italico", che è tanto un falso (e un po' patetico) mito attuale, quanto è un dato storicamente inoppugnabile, se ci riferiamo a tempi appena un po' meno recenti - anche se è meglio sgombrare subito il campo da un'interpretazione "genetica" o solo vagamente "razziale".
Anzi, per la verità, è opportuno riconoscere che lo stesso termine "italico" è puramente simbolico, nella misura in cui l'Italia è stata per moltissimo tempo il fortunato crocevia di innumerevoli percorsi e culture diverse.

Tutto nasce, infatti, con Roma e l'Impero, che è stato il tramite della diffusione della civiltà greca e di quelle mediorientali nel nord europeo.
Da questo momento in poi, due sono state le caratteristiche che hanno segnato la civiltà europea e mediterranea da altre - anche grandissime, ma relativamente "uniformi": la conflittualità e l'estrema diversificazione.
Il teatro nel quale tutto ciò si è svolto si allarga a tutta l'Europa e al bacino mediterraneo, ma - grazie all'eredità geo-politica di Roma - per lungo tempo l'Italia è rimasta il polmone culturale attraverso il quale tutto veniva filtrato e rimesso in circolo.
Se andiamo ad osservare da vicino le vicende italiche ci accorgiamo che, a stretto rigore, di "italiano" c'è assai di meno di quanto si pensi, a meno di non cambiare il senso di questo aggettivo: un po' quello che avviene, oggi, con il concetto di "americano", laddove la gran parte di ciò che definiamo in questo modo proviene dalla tradizione inglese, o da quella spagnola, italiana, polacca, tedesca, africana, musulmana, ebrea, irlandese, etc.
A differenza dall'illusione britannica, di rappresentare il nuovo "Impero Romano", la situazione americana è quella che più ci somiglia, dato che gli USA - come fu Roma - sono un "paese nuovo", nel quale è stato più semplice che si riversassero "tutte le storie del mondo".

Pit stop, qui.
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Re: ...che mangino le brioches!

Messaggioda incrociatore il 05/04/2009, 12:41

pierodm ha scritto:Grazie a dio siamo sostanzialmente d'accordo tutti su questo tema, anche se non conveniamo sui secoli: fino alla fine del '700 l'Italia aveva ancora un notevole prestigio, ben meritato.
Vero è che il declino era cominciato anche prima del '600, con il progressivo spostamento del baricentro economico-politico dal Mediterraneo all'area atlantica - ma la posizione di eccellenza italiana era talmente consolidata che sono occorsi secoli per disgregarla, con il gagliardo aiuto dell'opera contro-riformistica.


non voglio fare il solito "mangiapreti", ma il declino italiano inizia a metà del 1500 con il Concilio di Trento, con l'opera di controriforma che doveva contrastare le spinte rivoluzionarie del calvinismo e di Lutero che si erano evidenziate nel nord europa.

Esempio mirabile di questo declino sono le "mutande" ai capolavori di Michelangelo nella Cappella Sistina...

Il declino culturale e quindi sociale, in Italia ha sempre un solo padre... o madre... se preferite.
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Re: ...che mangino le brioches!

Messaggioda pianogrande il 05/04/2009, 13:00

Mi associo al "mangiapreti".
L'Italia è entrata da secoli, e non è ancora uscita, in quella che potrei definire la fascia cattolica del mondo: Spagna, Portogallo e quindi Sud America.
Il progresso dei paesi che si sono ribellati in tempo al potere dei papi è stato di tutt'altro tenore.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: ...che mangino le brioches!

Messaggioda lucameni il 05/04/2009, 13:44

non lo dico io ma come ulteriore conseguenza (e non troppo indiretta) anche la cultura italiana nei secoli ha sofferto della sindrome del cortigiano.
Ne vediamo gli effetti più che mai oggi.
Sul fatto del progresso (anche se bisognerebbe chiarire in che termini se ne parla) è difficile dare torto a chi lamenta gli effetti collaterali perniciosi del Concilio di Trento, sopratutto come impatto sui "fedeli" e sulla crescita civile della cittadini dello stivale.
Ma non credo che questo "declino" o critica sia interpretata negli stessi termini da dei laici (isti?) e da dei cattolici (laici) comunque consapevoli dei limiti della Chiesa come istituzione.
"D' Alema rischia di passare alla storia come il piu' accreditato rivale di Guglielmo il Taciturno" (I. Montanelli, 1994)
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Re: ...che mangino le brioches!

Messaggioda pierodm il 05/04/2009, 23:43

Non sono molto d'accordo nel far risalire la decadenza alla causa prima della Controriforma - sebbene sia indiscutibile l'effetto perverso e oscurantista che questa ha avuto nel mondo latino.
La controriforma - o meglio ancora, la sua capacità di permeare le società latine - fu una conseguenza del degrado politico-economico, che già si stava lentamente manifestando.
Società già deboli sono state facilmente preda dell'oscurantismo controriformistico.
L'esempio più clamoroso è la Spagna di Filippo II, il cui regno marciò parallelo all'età controriformistica, e pesantemente minato da una crisi sociale, economica e politica che esplose in forma plateale con il disastro dell'Invincibile Armata.
Si potrebbe dire, insomma, che la cultura controriformistica si presenta come la cultura di una società recessiva: il classismo e la visione censoria e autoritaria che scatursce dal Concilio Tridentino sono l'espressione di un conservatorismo che ha paura dei fermenti nuovi, perché si accorge che questi sfiorano ma non coinvolgono la vecchia società post-medievale.
Una società che avesse avuto una borghesia più potente e più fiorente - con tutto ciò che questo comporta in termini di sistema - difficilemente avrebbe accettato di essere dominata dalla cultura controriformistica, e forse in un simile contesto questa cultura non sarebbe nemmeno stata partorita.
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