Concordo con quanti affermano che di tutto abbiamo bisogno in questo disperato Paese tranne che di una nuova guerra tra Guelfi e Ghibellini, ma molte volte quanti fanno questa affermazione sono anche quelli che tentano di distinguere tra laicità e laicismo e questo lo trovo davvero stucchevole.
Non esiste nella lingua italiana questa distinzione. De Mauro li ritiene sinonimi. Il fatto di ritenerli due cose diverse già di per sé contribuisce ad alimentare quel fuoco di guerra che si vorrebbe scongiurare.
Sono i credenti che fanno questa distinzione tentando forse con ciò di far confondere i laicisti con gli atei e dare, di conseguenza, allo stesso significato di laico una caratura di per se negativa, almeno nell’immaginario di un credente, che ha evidentemente difficoltà a confrontarsi in termini paritari con atei e diversamente credenti.
Un’altra cosa fastidiosa è che siano i credenti – di massima – a sentenziare che il crocifisso non costituisca motivo di offesa e fastidio per nessuno. Non è un atteggiamento positivo, è arrogante pensare di poter interpretare il pensiero di altri, anche se ciò che pensiamo ci sembra scontato. Se una cittadina presenta un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è di tutta evidenza che quel “nessuno” è palesemente un pio desiderio, ma non corrisponde ad una realtà che, invece, va capita ed è ampia.
Natalia Ginsburg, intellettuale e per altro di origine ebrea, scriveva nel lontano 1988 che
“il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino allora assente. [...] prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti”. Una riflessione anche condivisibile – almeno la seconda parte –, ma anche l'idea che non debba esistere lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo è altrettanto condivisibile ed è un'ulteriore specificazione del perché gli uomini debbano essere considerati uguali. Il simbolo che ha veicolato questa idea nel secolo scorso è stata "la falce e il martello" simboli del lavoro... andiamolo a dire ai tedeschi dell'est e ai cittadini romeni, slovacchi, polacchi... insomma di tutto l'est che è quello un simbolo che non da fastidio a nessuno.
Io credo che gli aztechi sentissero l'esigenza di sentirsi uguali, ma avrebbero sinceramente evitato di scoprire quel simbolo per merito di Cortez. La loro ultima scoperta, andrebbe detto. Credo che non abbiano avuto la stessa percezione dell'unico messaggio di cui Natalia Ginsburg era convinta fosse portatore il crocifisso.
Non è forse meglio partire dalla sentenza della Corte Europea e cercare di capirne il pieno significato invece di avventurarsi in discussioni da “dopo partita”?
La Corte Europea, andrebbe osservato, non fa nient’altro che ribadire concetti già espressi dalla nostra Corte Costituzionale per cui ritenerla avulsa dal contesto nazionale è un’assurdità tanto quanto abominevole è che politici al rango di Ministri affermino che la Corte Europea è un finto organismo che non conta nulla. In sfregio a impegni internazionali di questo nostro Paese e a trattati firmati proprio qui e di cui siamo stati i promotori.
Nella sentenza della Corte Costituzionale n. 203/1989 (conosciuta come come "pietra miliare" sulla giurisprudenza in materia di "laicità dello Stato"), la Consulta afferma che:
«dinanzi ad un insegnamento di una religione positiva impartito <in conformità alla dottrina della Chiesa>, secondo il disposto del punto 5, lettera a), del Protocollo addizionale, lo Stato laico ha il dovere di salvaguardare che non ne risultino limitate la libertà di cui all'art. 19 della Costituzione e la responsabilità educativa dei genitori di cui all'art. 30», in pratica lo stesso rilievo della Corte Europea riguardo al crocifisso che rimane un simbolo religioso indipendentemente dalle acrobazie relative alla tradizione di cui comunque dirò dopo.
Sarebbe da chiarire che non esiste in questo Paese una Legge (come erroneamente forse si crede) che impone il crocifisso nei luoghi pubblici. Sarebbe da domandarsi perché non c’è visto che una maggioranza politica “bulgara” potrebbe realizzarla in un “amen”. Il motivo è semplice, una Legge così concepita non passerebbe il vaglio della Consulta che la annullerebbe al primo ricorso.
E allora perché il crocifisso persiste nelle aule scolastiche e nei tribunali? Perché illegittimamente e con la solita tecnica tutta italiana si sta facendo valere con effetto di Legge ciò che Legge non è. In pratica una circolare ministeriale, la 157/1988, che riprende un parere del Consiglio di Stato che interpreta una Legge addirittura sabauda che prevede, ovviamente, anche l’effige del Re al posto del Presidente della Repubblica. Ma il Consiglio di Stato non ha in questo Paese la potestà legislativa che la Costituzione prevede solo per il Parlamento e per le Regioni per quanto di loro competenza ed inoltre si è espresso antecedentemente alla sentenza della Corte Costituzionale citata e quindi quanto meno non è aggiornato al pronunciamento della Consulta (che infatti ha decretato
"la scelta confessionale dello Statuto albertino, ribadita nel Trattato lateranense del 1929, [...] formalmente abbandonata nel Protocollo addizionale all'Accordo del 1985”)
Va notato che se ci fosse un obbligo la stessa Consulta lo avrebbe violato sostituendo nel 2001 il crocifisso nella sua stessa sede (per restauro) con un dipinto... sarebbe concepibile che la Corte Costituzionale violasse la Legge? Evidentemente no. Nessuna violazione perché non c’è nessuna Legge in vigore che contempla l’obbligo.
Ma la questione crocifisso è davvero solo una questione giuridica? Io credo di no, ma ai principi Costituzionali nemmeno il crocifisso può derogare.
Io credo che tra tutte le osservazioni inopportune sulla sentenza di Strasburgo quella che ascrive il crocifisso alla tradizione sia la più assurda e, se fossi un credente, da ritenersi fin blasfema. Come si fa a derubricare a tradizione un simbolo come il crocifisso al pari delle calze appese sul camino per la Befana, la pizza e il mandolino?
Cercare di sostenere la validità della presenza del crocifisso con le radici culturali del Paese è un’operazione monca. È vero che il crocifisso è parte della tradizione culturale e storica italiana, ma parte, appunto, non esaustivo di essa.
Con l’affermarsi di una società multietnica e, di conseguenza, l’estendersi di un variegato mondo di diversamente credenti, la storia si modifica e appare ancora più evidente l’eterogeneità delle culture che era già ben presente in un tutt’altro che trascurabile numero di non credenti ben prima dell’inizio dei flussi migratori in entrata.
La presenza oggi, del resto, di una comunità di atei e agnostici stimata in Italia da un minimo del 6% ad un massimo del 15% della popolazione in un contesto europeo ancora più rilevante (Francia 43÷54%; Gran Bretagna 31÷44%; Germania 41÷49%; Svizzera 17÷27%; Spagna 15÷24%; Austria 18÷26%... il 16% su base planetaria, la metà dei cristiani nella somma di tutte le confessioni e quasi quanto i musulmani. fonte:
http://www.adherents.com) segnala quanto fuorviante sia la pretesa di assumere l’univocità delle radici culturali e religiose del nostro Paese e dell’Europa tutta.
L’idea stessa di “identità e radici” con caratteristiche assolute è stata la causa di tragici scivolamenti della civiltà europea: con le crociate, le conquiste in america, africa, oriente, l'inquisizione, ma anche di tutte le visioni assolutistiche che con la religione c’entrano solo marginalmente o non c’entrano affatto come le iperboli deliranti della rivoluzione francese o della successiva russa fino alle demenziali ideologie fasciste e naziste. La confluenza di molteplici culture è stata invece per l’Europa, e lo è per ogni realtà, l’incontro di tradizioni e popoli diversi a smentire l’immutabilità e solidità di presupposte “radici” e a confermare che le culture si mescolano e confondono continuamente. Le stesse “componenti” (romane, arabe, ebraiche, cristiane, “barbare” del nord…) dell’Europa di 2000 anni fa e di oggi, non erano, a loro volta, entità definite una volta per tutte, ma stati culturali “liquidi” in continua evoluzione per l’incrocio con culture “altre”.
Sui temi religiosi e culturali, ancora una volta, la Corte Costituzionale è estremamente chiara e conferma l’idea di una tradizione “liquida” e non di “radici immutabili”: «
Il principio di laicità, quale emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale». Pluralismo confessionale e culturale, non c’è spazio per interpretazioni.
La Consulta conferma che la tradizione cristiana non è esaustiva delle culture che formano la società (parla espressamente di culture, non solo di religioni). Del resto, un simbolo forte come il crocifisso di straordinario e preminente significato religioso come si può pensare che non possa confliggere con la garanzia di pluralità che nei luoghi pubblici dovrebbe soddisfare i principi di laicità così come sentenziati dalla Consulta e che si fondano sulla libera scelta e non sugli obblighi? Non è possibile. Infatti nessuno prova a fare una Legge che contempli l’obbligo di affissione. Una Legge simile non sarebbe scrivibile in aderenza ai principi costituzionali... c’è poco da fare.
Già con l’ora di religione la Consulta modifico l’iniziale interpretazione della Legge che voleva obbligatoria l’ora alternativa per coloro che non ritenevano di avvalersi di quella di religione cattolica adducendo che: «
Per quanti decidano di non avvalersene l'alternativa é uno stato di non-obbligo. La previsione infatti di altro insegnamento obbligatorio verrebbe a costituire condizionamento per quella interrogazione della coscienza, che deve essere conservata attenta al suo unico oggetto: l'esercizio della libertà costituzionale di religione». Anche per il crocifisso ci si pone su un piano molto simile di garanzia.
Il luogo deputato per il crocifisso è nei cuori dei credenti e nella loro capacità di esternarne il messaggio – quello che gli riconosciamo oggi, di pace, non quello brandito per sottomettere quando non cancellare interi popoli, visto che si parla di radici – nelle varie espressioni del pensiero, della creatività e dell’azione. Nella letteratura, nelle arti, nel comportamento quotidiano e in tutti i luoghi nei quali il bisogno di comunità dei credenti può esprimersi senza toccare sentimenti e sensibilità diverse. Lo Stato laico ha il compito di garantirlo. Questo dice la nostra Costituzione.
Il comune sentire è maggioritario, si sente dire, ma davvero una questione di diritti si pensa di poterla considerare con la forza della maggioranza? I diritti sono diritti e valgono anche se portatore di diritto fosse un solo singolo cittadino. La civiltà ci insegna questo e, per chi crede, il messaggio evangelico stesso ce lo insegna.
Compiono un grave errore quei credenti che senza umiltà non si mettono nei panni dell’altro e non provano a capirne le ragioni anche quando queste appaiono ai loro occhi assolutamente lontane o inconsistenti.
Non lascino i credenti che un simbolo che comprensibilmente è a loro caro, anzi proprio per questo, sia merce in mano a truffatori che ne fanno moneta di scambio o da spendere per pure mire di potere e interesse. Lo facciano pienamente loro, è il solo modo di preservarlo e di dargli significato.
Vedo nel “possono morire!” gridato con gli occhi fuori delle orbite un furore allucinato, più un’esigenza di “marcare il territorio” che affermare dei valori. Un integralismo diverso dal passato solo perché oggi, per adesso almeno, non produce morti. Perché anche questo, e soprattutto questo – i morti, ahimé – ha significato il crocifisso nella storia.
E che la storia abbia creato solchi e diffidenza tra le coscienza degli uomini sarebbe stupido negarlo e ancor più stupido farlo attraverso la conferma di un metodo che è stato proprio la premessa di tante tragedie.
Nello scorso maggio, a Cannes, il regista cileno Alejandro Amenabar ha presentato il suo film “Agorà” che ho avuto la fortuna di vedere. Racconta la storia di Hypatia di Alessandria d’Egitto. Una matematica e filosofa greca che la storia ha voluto cancellare e della quale rimangono poche testimonianze scritte di suoi contemporanei come Socrate, ma che raccontano di una donna straordinaria che sviluppando gli insegnamenti di Platone si dice riuscì, 1200 anni prima di Galileo e 300 prima di Maometto a intuire che non era il Sole che girava attorno alla Terra, ma il contrario.
Cosa c’entra Hypatia con il crocifisso? C’entra per due motivi. La sua straordinaria esperienza e conoscenza ebbe fine perché in un’area che dopo 1700 anni dimostra ancora di avere gli stessi problemi di allora, la sua intelligenza si scontrò con l’integralismo religioso di un persistente e conservatore paganesimo, con un non meno scuro ebraismo e un violento e aggressivo nascente cristianesimo. Fu proprio il patriarca cristiano Cirillo ad accusarla di essere un’eretica e formulare sostanzialmente la sua condanna a morte.
Ad ucciderla furono i monaci predicatori della nuova religione, i “parabalani”. Nel nome e nei modi non dissimili ai “talebani” che abbiamo imparato a conoscere di recente, tragica assonanza di una storia che si ripete sempre uguale. I cristiani che da vittime nei circhi romani, alla vigilia dell’imminente caduta dell’impero si trasformano in carnefici e mantengono il profilo di un Dio vendicativo e terrorizzante per centinaia d’anni.
Questo è il primo motivo per cui Hypatia c’entra con il crocifisso. Ne fu vittima, ma solo una delle prime. Oggi quindi parlare di radici cristiane dovrebbe essere un’azione cauta, che non occulta cioè le problematiche di una storia che non ha solo luci e che si porta dietro infinite tragedie e questioni irrisolte. Oggi i credenti festeggiano quel Cirillo elevato al rango di Santo, assassino di Hypatia e si sono dimenticati di quest’ultima che avrebbe, invece, potuto davvero cambiare il mondo in meglio. Lei è sparita, la storia la scrivono sempre i vincitori e questa è proprio una brutta storia.
Ma qual’è il secondo motivo per il quale Hypatia c’entra con il crocifisso? È contemporaneo, non fonda le sue radici nella notte dei tempi. C’entra con il “furore” che pervade questo momento. Non vedrete probabilmente mai, in Italia, “Agorà”.
In tutto il mondo civile questo film è in distribuzione in queste settimane, in Italia nessun distributore se l’è sentita di acquistarlo. Solo un problema di mercato? Forse, anche se questa risposta non è di per sé tranquillizzante... perché in Italia un film del genere non dovrebbe avere mercato? Senza andare all’estrema considerazione che l’Italia non sia un Paese civile è facile intuire che certi messaggi qui non trovano possibilità facile di veicolazione. Io non lo trovo un fatto di cui andar fieri; radici o no.
Certo è che può risultare almeno comprensibile che ci siano persone che reclamano di avere o volerne altre di radici, ancorché molti le ritrovino in altrettante storie ugualmente problematiche.
Nel 1955 quello di mio nonno paterno fu uno dei primi funerali con rito “civile” all’inizio dell’ultimo dopoguerra. Di tradizione repubblicana e anticlericale fin dagli albori del risveglio illuminista, alla mia famiglia tutto si può attribuire tranne di avere radici culturali che si fondano in una tradizione che vede il crocifisso come simbolo. Al di là di essere “bollati” come “laicisti” con evidente intento di spregio, la nostra adesso è una posizione quanto meno “tollerata”, ma nel 1955 si era a 5÷6 anni dal decreto della Congregazione del Sant’Uffizio che scomunicava per apostasia i comunisti e quel funerale non mancò di essere commentato in Chiesa con un invito esplicito ai fedeli a non parteciparvi. Dovrà arrivare Giovanni XXIII per riportare un minimo di raziocinio e tolleranza nella Chiesa romana.
Stante i fatti, penso che per un credente non dovrebbe risultare difficile capire che a persone come mio padre non si possa andare a dire con semplicità che il crocifisso non da fastidio a nessuno. È di tutta evidenza che il problema esiste. Ciò non vuol dire che sia giusto che continui ad esistere, ma certo negarlo non aiuta a superarne le conseguenze.
Un laico, ma diciamolo pure, un anticlericale (come lo sono, ad esempio, tutti coloro che in Iran combattono contro uno Stato confessionale che impedisce la libera circolazione delle idee in base ai precetti stabiliti da un’autorità religiosa), vede la questione crocifisso non tanto come un fastidio per il simbolo in sé, ma proprio perché chi, anche giustamente dico io, lo ritiene un simbolo meritevole, lo vuole esporre in forza di un diritto che il non credente o diversamente credente ritiene lui non abbia (se il luogo interessa anche a lui... è ovvio). Questo è vissuto dai non credenti e dai diversamente credenti come una prepotenza.
Io penso che lo sforzo, anche in questo caso, sia di provare a mettersi nei panni dell’altro. A me risulta di tutta evidenza che un musulmano che si ritrova non tanto in un’aula scolastica, ma in un tribunale ad essere giudicato (e ce ne sono a migliaia tutti i giorni) e vede un crocefisso sopra alla scritta “La legge è uguale per tutti” possa avere una percezione di giustizia che non lo tutela. Sarebbe uguale per un cattolico che si ritrovasse in un tribunale turco e ad analoga scritta ne vedesse un altra aggiunta del tono: “Allah akbar”... Allah è più grande di ogni cosa.
Proprio in riferimento a quest’ultima osservazione vorrei ulteriormente fare notare che la nostra abitudine di tradurre le cose come sempre riferite al nostro orticello e con spirito un po’ “provincialotto” ci fa perdere di vista un valore di peso della sentenza di Strasburgo. La Corte di Strasburgo non è un organo della UE. Ad essa aderiscono molti Paesi oltre a quelli UE. Svizzera, Russia, Turchia, ad esempio. Essa estende i suoi effetti sulle norme di tutti i Paesi che hanno sottoscritto l'autorità della Corte, quindi anche la Turchia, ad esempio. E visto che si parla di integrazione europea di un Paese a maggioranza islamica, forse anche i cattolici potrebbero dare alla questione un taglio diverso e considerare la sentenza di Strasburgo con una prospettiva migliore.