da pierodm il 09/12/2008, 14:16
Pagheca mi solleva dall'obbligo - intellettuale e logico - di ragionare nel dettaglio, portando argomenti di merito sull'ideologia di cui la "religione" è portatrice nella scuola. Sottoscrivo - l'avevo già detto? - tutto quello che Pagheca afferma, con molta chiarezza e anche molta pazienza.
Rimango libero quindi di spigolare qua e là.
- Il primo pensierino è per Franz, naturalmente, il quale dice: "appare evidente che una gran parte degli oppositori al finanziamento della scuola privata hanno in realtà motivazioni anticlericali. Chi non ha queste motivazioni appare piu' possibilista ".
Un tempo questa si sarebbe definita tautologia. Un archetipo di tautologia, per così dire un gioiello.
Viene da chiedersi: chissà perché uno è anti-clericale?
O magari, grattandosi il mento: se uno fosse contrario perché ama andare in bicicletta, ossia è un cicloamatore, sarebbe certamente uno scoop interessante, e anche piuttosto carico di mistero. Ma poiché il rapporto tra l'argomento, il clericalismo, la religione, il laicismo, l'anticlericalismo, etc, è del tutto evidente, anzi totalmente intrinseco al discorso, dove sta la scoperta?
Ma va be'.
Su questo argomento - lo dico a Pagheca, ma soprattutto ad Annalu, non so nemmeno bene perché - una discussione serena, o almeno civile, è assai difficile, almeno nel nostro paese.
Per quello che ne so, in altri paesi ci sono difficoltà serie solo quando sono coinvolte persone di scarsa cultura o politicamente molto a destra. In Italia no, la nebbia clericalista sale anche ai piani alti, e in zone che sarebbe lecito immaginare progressiste.
Ma non voglio rischiare di ripetere cose già dette, o cose che - nonostante la mia malvagità da infedele - e meglio non dire, o non è necessario.
Due parole invece su questo me-stesso, dopo che mi sono dichiarato convintamente anti-clericale.
- Uno degl'insegnanti che ricordo con più ammirazione e affetto, al liceo, era un prete. Un uomo giovane, che non parlava mai di religione, ma ci raccontava di sé, e dei suoi dubbi, le sue fantasie.
- Ho un ricordo strano ma buono dei miei primi due anni di elementari, dalle suore spagnole: ma forse sono influenzato dalla maestra, una ragazza bellissima che profumava di violette e aveva le mani chiare e sottili, e sempre una camicetta candida, e passava spesso a prendermi o a riaccompagnarmi a casa, dato che abitava vicino.
- La mia famiglia era comunista, o almeno lo era mio padre, ma con una forte amorevolezza sentimentale verso la religione, le chiese e la Chiesa: la sua grandiosità storica, la bellezza degli edifici, che confluivano nell'amore per Roma.
Nella biblioteca di casa, che ho cominciato a frequentare fin da piccolo, non era presente il Manifesto, ma c'erano gli autori illuministi e i romanzieri francesi, oltre ai volumi delle due opere monumentali che mi sono sorbito con avidità: la Storia di Roma del Mommsen e quella della Città Eterna nel Medioevo, del Gregorovius.
Nessuno si preoccupi: leggevo anche Salgari e Dumas, e pure Topolino, l'Intrepido e Tex Willer.
Quello che so, tuttavia, per certo è che la scuola pubblica - dalla terza elementare in poi - mi dava un gran senso di disordine, a cominciare dal grembiule blu savoia con il "fiocco" perennemente slacciato, ma mi ha regalato l'opportunità di mescolarmi con una miriade di ragazzini e poi ragazzi di ogni condizione sociale, di ogni provenienza regionale, dei più diversi livelli culturali, e di ascoltare i dialetti di mezza Italia, di apprendere parolacce che non esistevano nel vocabolario romano (ci sono, poche ma ci sono) e di imparare a distinguere i segni dello stupore, e del dolore, su fisionomie assai distanti tra loro. E a rispettare tutti, anche e soprattutto quando capitava che non mi piacessero.