La sentenza sul crocifisso: verso un effetto domino?
Natalino Ronzitti*
09/11/2009
La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 3 novembre relativa all’ostensione del crocifisso nelle aule scolastiche ha sollevato un coro di commenti negativi, che in genere sono stati poco documentati e frutto di una grande confusione tra le varie istituzioni europee di cui l’Italia è membro. Sotto il cappello unificante “Europa” non si è distinto tra Consiglio d’Europa e Unione Europea o tra Corte europea dei diritti dell’uomo (con sede a Strasburgo) e Corte di giustizia dell’Unione Europea (con sede a Lussemburgo).
Addirittura vi è stato chi ha proposto di abolire la Corte europea dei diritti dell’uomo, dimenticando le sue numerose sentenze che hanno contribuito ad ammodernare i nostri codici. Si è detto che l’Italia non poteva far parte di organismi di cui è membro pure il Kazakistan, senza ricordare che quel paese ha fatto domanda per diventare membro del Consiglio d’Europa, ma è in lista d’attesa e non potrà entrare fino a che non avrà messo a punto le necessarie riforme istituzionali.
Una sentenza unanime
Coloro i quali vorrebbero che l’Italia si ritirasse dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo non tengono conto del fatto che il Trattato di Lisbona impone all’Unione Europea di aderire alla Convenzione e che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea diventerà uno strumento giuridico vincolante con l’entrata in vigore di quel Trattato.
Anche chi ha meritoriamente messo in luce le differenze tra le diverse istituzioni europee, ha dimostrato di avere una conoscenza approssimativa della materia, poiché ha ammonito che i 47 giudici di Strasburgo avrebbero fatto meglio a riflettere di più prima di emettere la sentenza. In verità questa è stata emessa da una Camera di 7 giudici. La Grande Camera, cui probabilmente sarà deferita la sentenza della Camera, si compone di 17 giudici. La Corte, che si compone di 47 giudici, tanti quanti sono i membri del Consiglio d’Europa, si riunisce in seduta plenaria solo per questioni amministrative e non ha funzioni giurisdizionali. Occorre inoltre dire che i sette giudici, membri della Camera che ha emesso la sentenza, hanno deciso all’unanimità. Nessuno ha votato contro o si è astenuto, formulando un’opinione dissidente.
Preme inoltre sottolineare come la Corte sia sempre stata composta da personalità eminenti. Per riferirmi al passato e a persone che sono ormai scomparse, basti citare, per quanto riguarda l’Italia, i nomi di studiosi del calibro di Giuseppe Sperduti (Commissione europea dei diritti dell’uomo) e Giorgio Balladore Pallieri (Corte europea dei diritti dell’uomo).
Il principio della neutralità confessionale
È comprensibile il disappunto di chi, cattolico, vede nella sentenza di Strasburgo un grave colpo inferto al sentimento religioso della maggioranza degli italiani o anche di chi, laico, considera il Cristo un simbolo che testimonia il comune essere della civiltà europea. Ma le critiche, che ciascuno è libero di fare, non devono travisare i fatti ed esentare da un esame sereno della motivazione della sentenza.
I fatti sono noti. Il ricorrente, dopo aver esaurito i ricorsi interni italiani (Tar Veneto, Consiglio di Stato), ha investito della questione la Corte europea dei diritti dell’uomo, lamentando che l’esposizione del Crocefisso in classe violasse l’art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, relativo alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, e l’art. 2 del Protocollo n. 1, relativo al diritto all’istruzione, che obbliga lo Stato a rispettare il diritto dei genitori a provvedere all’educazione e all’insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche.
La Corte ha affermato che l’ostensione di un simbolo religioso poteva essere facilmente identificata con la condivisione da parte dello Stato di una particolare religione e che questo era contrario al principio della neutralità confessionale e, aggiungeremo noi, della laicità dello Stato.
Novità della sentenza e potenziale effetto domino
La Corte richiama un certo numero di precedenti, ma è la prima volta che essa si esprime sulla conformità alla Convenzione della mera esposizione di un simbolo religioso, cioè su un comportamento meramente passivo, non coniugato con una condotta concreta, quale l’insegnamento di una religione. Nella sentenza Folgoro ed altri c. Norvegia (2007), che pure viene richiamata nel caso italiano, la Corte ha imputato alla Norvegia una violazione della Convenzione poiché nel programma di cristianesimo, religione e filosofia di vita impartito nella scuola primaria l’insegnamento della religione luterana era preponderante e perché il diritto di chiedere l’esenzione per i propri figli di quella parte del programma avrebbe esposto i genitori al rischio di vedere indebitamente esposta la loro vita privata.
Questo è un punto essenziale e la sentenza del 3 novembre rischia di avere un effetto domino sia per quanto riguarda l’ora facoltativa di religione sia per quanto riguarda la presenza dei relativi insegnanti agli scrutini. La Santa Sede, che è peraltro solo osservatore presso il Consiglio d’Europa e non ha ratificato né la Convenzione europea dei diritti dell’uomo né il Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966, non si è espressa ufficialmente, ma autorevoli esponenti del clero non hanno mancato di manifestare la loro posizione nettamente contraria.
Il governo italiano non ha formulato nessuna riserva o dichiarazione al momento della ratifica della Convenzione europea dei diritti dell’uomo o del Protocollo n. 1. Ora è troppo tardi. Riserve tardive non sono ammesse. Ma siamo certi che il Governo abbia assicurato un’efficace difesa tecnica dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo? Dubbi sono stati espressi da più parti. Da quello che è dato capire leggendo il dispositivo della sentenza uno dei principali argomenti è stato quello secondo cui il Cristo non rappresenta un simbolo religioso, ma l’espressione della civiltà e del sentimento dei popoli europei. Ma questa argomentazione è stata criticata da molti commentatori perché ritenuta estranea all’ottica della Convenzione. Piuttosto, invece di ripetere a Strasburgo le argomentazioni del Consiglio di Stato che aveva confermato la sentenza del Tar Veneto, occorreva far riferimento al principio di sussidiarietà e margine di apprezzamento che spettano agli ordinamenti nazionali.
Futuri sviluppi
La sentenza del 3 novembre non è definitiva. Lo diverrà solo se entro tre mesi ciascuna delle parti non chieda di rinviare il caso alla Grande Camera. Tecnicamente non si tratta di un giudizio di appello, poiché due giudici della Camera che ha emesso la sentenza dovranno far parte del collegio dei 17 membri della Grande Camera (il Presidente della Camera che ha emesso la sentenza e il giudice nazionale, cioè, in questo caso, il giudice italiano). Vi è comunque un filtro procedurale. Un collegio di cinque giudici della Grande Camera dovrà decidere se la questione oggetto del ricorso sollevi gravi problemi di interpretazione o di applicazione della Convenzione o dei suoi protocolli o comunque un’importante questione di carattere generale. È da presumere che la Grande Camera accolga il ricorso e si pronunci sul caso, sia perché viene in considerazione una questione di grande rilievo politico, sia perché quella dell’ostensione nella scuola di un simbolo religioso è questione assolutamente nuova.
*Natalino Ronzitti è professore ordinario di Diritto Internazionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Luiss “Guido Carli” di Roma e consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali.
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