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Effetto Jobs act: cosa dicono i dati*

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Re: Effetto Jobs act: cosa dicono i dati*

Messaggioda Robyn il 28/03/2018, 15:01

Prima era il contrario era la working class che aveva più potere rispetto ai datori di lavoro ma adesso la cosa si è invertita.In ambedue i casi non và bene perche da un lato si irrigidisce troppo l'ingresso e l'uscita,dall'altro si rende precario il mercato del lavoro e sappiamo che la precarietà ha costi immensi da un punto di vista sociale e danneggia la competitività.Diciamo che il pendolo nelle sue oscillazioni deve tornare a riequilibrarsi.Ma chi sono i mainstream?sono quelli che attaccano il lavoro e poi cercano la raccomandazione e dei privilegi del tipo lei è un maleducato ma come si permette lei non sa chi sono io
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Re: Effetto Jobs act: cosa dicono i dati*

Messaggioda Robyn il 28/03/2018, 19:37

Il contratto a tutele crescenti và tolto perche ha scaricato interamente la flessibilità sui nuovi assunti e bloccato la mobilità.Infatti un lavoratore che lavora con le vecchie regole non cambierà mai lavoro per non andare con le tutele crescenti e il datore di lavoro licenzierà quelli con le nuove regole che cambieranno di continuo lavoro perche costa meno.Quindi bisogna togliere il contratto a tutele crescenti trasformando i contratti in essere a tutele crescenti nelle vecchie regole.Poi l'indennità per i motivi economici "gmo" può essere in relazione alla grandezza aziendale da 2,5 a 24 mensilità e la prova può arrivare a 12 mesi anziche 6
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Re: Effetto Jobs act: cosa dicono i dati*

Messaggioda trilogy il 29/03/2018, 18:32

Questi dati mi sembrano interessanti, anche se non direttamente collegati al jobs act, perchè fotografano un problema strutturale del mercato del lavoro e dell'economia nazionale. Problema complesso da risolvere concretamente.

L’avanzata delle basse qualifiche
–di Francesco Seghezzi

Da settimane ormai ci interroghiamo sulle cause che hanno portato al risultato elettorale che ci ha consegnato un’Italia diversa da quella che molti immaginavano. Un tassello in più nel comprendere quella che è spesso è una distanza tra dato macroeconomico e risultati elettorali viene da alcuni dati Istat appena diffusi. Si tratta di dati relativi agli anni 2015 e 2016 che approfondiscono l’andamento dell’occupazione suddividendolo per qualifica professionale e per propensione al cambiamento digitale.

L’indicatore
Sappiamo da molte ricerche che sia la qualifica che il livello di competenze digitali è oggi profondamente connesso da un lato al salario e, dall’altro, al rischio o della scomparsa di quella determinata professione o di una profonda mutazione e trasformazione delle sue mansioni. Due elementi che possono facilmente essere messi in relazione con quel sentimento di disagio sociale, di esclusione e di paura per il futuro che potrebbe aver condotto a un voto anti-sistema. Secondo le elaborazioni dell’Istat tra il 2015 e il 2016 in Italia il flusso di occupati ha portato a 17mila posizioni lavorative in meno con qualifica alta, mentre ne abbiamo guadagnate 137mila con qualifica media e 170mila con qualifica bassa. Una forte crescita complessiva quindi del dato di flusso, ma concentrata interamente nella fascia media e in particolare bassa. L’aumento di quest’ultima (+86mila) è localizzato in particolare nel settore manifatturiero nel quale si sono perse in un anno oltre 68mila posizioni lavorative con alta qualifica e 13mila con media qualifica. Scenario simile nei servizi di mercato, settore nel quale però crescono anche, in misura inferiore alle altre, anche le posizioni a elevata qualifica.

Mentre questo non avviene nel commercio, in cui si nota una diminuzione proprio della bassa qualifica a vantaggio della media e della alta. Una buona parte del calo dell’occupazione ad alta qualifica è data da una diminuzione delle figure dirigenziali, mentre l’aumento è determinato da quelle professioni tecniche che hanno una elevata propensione alla trasformazione digitale, a conferma del fatto che l’occupazione ad alta qualifica viene oggi valorizzata da processi di innovazione delle proprie competenze nella direzione della complementarietà con le nuove tecnologie. Al contrario, se analizziamo le posizioni lavorative a bassa qualifica quelle che crescono maggiormente sono proprio quelle nelle quali la componente digitale è assente.

Si tratta di dati che confermano un andamento dell’occupazione italiana divergente rispetto alla tendenza dei maggiori Paesi sviluppati. Paesi in cui la gara è quella per posizionarsi ai primi posti delle catene globali del valore, attraverso sviluppo di capitale umano e investimenti che attirino talenti e la crescita delle competenze dei lavoratori.

Anche in questi Paesi emerge con forza il tema delle disuguaglianze, e non si può pensare che una mano invisibile possa risolvere tutto con la sola spinta degli investimenti, ma il caso italiano sembra avere problemi sia sul fronte alto (in calo) che su quello basso (in crescita).L’obiettivo principale di un Paese moderno dovrebbe invece essere quello di generare il più possibile lavoro di qualità, e oggi la qualità passa inevitabilmente dalle competenze e dall’innovazione tecnologica. Ma lo scenario che questi dati ci mostrano non è questo.

Lo spostamento delle posizioni lavorative verso i livelli più bassi, e parallelamente meno digitalizzati, ci pone a un bivio tra i Paesi in grado di cavalcare l’onda della trasformazione e quelli che possono esserne spazzati via per adagiarsi su altri lidi in compagnia di quei Paesi che abbiamo sempre considerato dietro di noi, ritrovandoceli a fianco. La sfida resta quindi quella di creare valore, valore che oggi passa da una innovazione che abbia al centro la persona, perché l’innovazione che volontariamente distrugge lavoro ha già di per sé una visione a breve termine, senza futuro.

fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti ... d=AEY0DdOE
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Re: Effetto Jobs act: cosa dicono i dati*

Messaggioda franz il 30/03/2018, 9:19

L'avanzata delle basse qualifiche è il risultato di più fattori.

Il principale è legato all'emigrazione, costante ma in forte incremento dalla crisi del 2008, che vede partenti sia giovani formati e ben qualificati, sia lavoratori adulti dotati di skill medio-alto e che conoscono bene almeno una lingua.
Se l'emorragia è stata contenuta (50-80mila annuali da 2000 al 2008) a partire dal 2011 le medie annuali sono tra i 100 e 140mila. La stima di massima è di un milione e mezzo negli ultimi 15-18 anni.

Secondo diversi indizi però i dati ISTAT dovrebbero essere aumentati di 2.5 volte.
Fosse vero l'esodo sarebbe addirittura imponente.

Tornando alla fuga dei cervelli, sono tuttavia venuti a mancare non solo lavoratori in senso stretto ma anche piccoli e medi imprenditori, artigiani, chiunque sia in grado di fare bene un determinato lavoro e che puo' essere fatto ovunque se si conosce la lingua. Chiaro che un Ing, un chimico, un matematico, in fisico, un informatico, un tecnico qualificato sono subito impiegabili in un altro a paese. Altrettanto non si può dire per un avvocato, per esempio.

Altro fattore è l'immigrazione, che risulta portare casi di bassa se non inesistente qualifica. Tra l'altro anche nel caso in cui le qualifiche siano adeguate, c'è tutto un sistema di proetezione di casta per cui occorre essere iscritti ad albi professionali e questo è possibile solo se si è italiani oppure cittadini UE.

Mi sembra strano che chi ha scritto quell'articolo sul sole24ore non legga il suo stesso giornale.

http://www.repubblica.it/cronaca/2017/1 ... 178510095/
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Re: Effetto Jobs act: cosa dicono i dati*

Messaggioda Robyn il 01/04/2018, 0:37

Il mercato del lavoro nel nostro paese funziona male perche ha molte discrasie che creano disuguaglianze al suo interno perche è stato riformato da chi ha preferito la propaganda al riformismo.La prima cosa da fare per permettere a tutti l'accesso è fare la prova massimo di un'anno.Superata la prova c'è per i disciplinari i tre warning e per i motivi economici l'indennità senza reintegrazione in relazione alla grandezza aziendale da 2,5 a 24 mensilità come argine e l'indennità è indipendente dall'età di servizio,quindi basta con il contratto a tutele crescenti che non può essere più stipulato.Per evitare bassi redditi dei giovani e l'espulsione dei cinquantenni dal mercato del lavoro bisogna togliere gli scatti di anzianità e sostituirli con una parte premiale.I giovani con poca formazione inizialmente non saranno molto produttivi,l'età media è la più produttiva e sopraggiunta l'età dei cinquanta anni la produttività scenderà ed anche il premio scenderà ma ci sarà sempre un premio legato alla qualità perche con gli anni si è accumulata molta formazione.La parte premiale si compone di due parti,una parte che riguarda il volume e un'altra riguardante la qualità.La produttività è una parabola che in funzione degli anni sale raggiunge un massimo per poi ridiscendere
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