Quando scalzò Letta dal governo, una motivazione c'era: quella dell'immobilismo in cui era impantanato il promesso processo di riforme e che era l'unica giustificazione di un governo "di larghe intese".
Era quindi necessario dare un'accelerazione a tale processo, che effettivamente c'è stata anche se in buona parte, con il referendum, finita male.
Ma oggi, quale sarebbe il motivo di un suo ritorno al governo? Qual è la proposta politica in base alla quale rivendicare un ritorno alla guida del paese?
Onestamente non c'è e rischia di lasciar solo lo spazio alle ambizioni personali, che pure servono, ma se finalizzate a chiari obbiettivi nell'interesse del paese.
FENOMENOLOGIA DELL’EX PRE MIER
La voglia di rilancio e la proposta che ancora non c’è
Renzi e il suo destino politico
di Gian Antonio Stella
«Se perdo c’è la vita, fuori, ed è fantastica! Vorrei gridarlo a tutti i politici: uscite dal Palazzo, godetevi la vita!». Quattro anni dopo aver sventolato quel proclama alle primarie del centrosinistra perse al ballottaggio con Pier Luigi Bersani, Matteo Renzi pare non avere alcuna voglia di cogliere quella (apparentemente) agognata opportunità. Anzi. Ha perso male, quindi rilancia.
Ma «come» rilanciare? Coltivando l’anima del giocatore d’azzardo pareva ieri che fosse deciso a tagliar corto per andare prima possibile al congresso a far la conta dei propri fedelissimi e fare i conti con gli avversari interni. Avversari peraltro uniti nell’ostilità e nel rancore contro l’aspirante asfaltatore asfaltato ma divisi su tutto il resto non meno dei nostri anarchici che un secolo fa a Paterson, nel New Jersey, arrivarono ad avere una dozzina di giornali portatori ciascuno della propria verità: «L’Agitazione», «Agitatevi per il Socialismo Anarchico», «Agitiamoci per il Socialismo»…
Non è detto però che vada così. Allo scontro. All’ultimo istante l’ex premier potrebbe cambiare strategia per imboccare un’altra «#svolta». Certo, la scelta non è facile. Lo sbocco di una accelerazione sulla conta congressuale, da più parti sconsigliata al segretario dopo la botta del referendum perso il 4 dicembre, non è chiaro
Stando a sondaggi riservati il leader attuale del partito sembrerebbe oggi poter vincere largo, tra il 65 e il 70 per cento, contro ogni contendente. Oggi, però. E solo sulla carta. Perché ogni giorno che passa fa emergere nuovi dubbi, distinguo, insofferenze. E nel cozzo di una contesa vera, la storia insegna, può succedere di tutto…
Perfino fedelissimi come Ermete Realacci, che su linkiesta.it si sono spinti a canzonare il titolo dell’Unità sulla fiducia alla Camera a Gentiloni («Finalmente il Pd non si spacca») scrivendo d’un «trionfo dell’onanismo», spiegano che sì, va bene «l’assunzione piena e coraggiosa di responsabilità per la sconfitta della riforma costituzionale» ma senza una riflessione sugli errori (dall’ambiente alla lotta alle diseguaglianze) «rischia di essere troppo e troppo poco» e «non è da qui che può ripartire una rinnovata proposta politica al Paese». Men che meno da una «nuova» segreteria renziana al posto dell’attuale renzianamente imbastita a fine 2013 con la prima riunione alle 7 di mattina («ci diamo questa linea: le segreterie si fanno dalle 7.30 alle 9») ma poi abbandonata nel dimenticatoio tanto che «l’ultima è del luglio 2015, un anno e mezzo fa».
Il punto, spiegano gli amici, è che dopo essersi sentito così forte da lanciare sfide spavalde (si ricordi il discorso agli ambasciatori: «La mia tesi molto arrogante è che siamo in presenza di una stagione di riforme inedita nella storia del Paese») Matteo Renzi ha patito nel profondo lo sfilacciamento d’un consenso enorme. Sfilacciamento che addossa, a ragione o a torto, al quotidiano logorio delle sue svelte promesse elettorali. Ed è assillato dal timore di fare, per dirla alla veneta, la fine del «bovoeto». La lumachina che va lasciata nell’acqua fredda finché si rilassa e esce dal guscio per accorgersi del fuoco acceso sotto quando ormai è bollita.
Da lì la tentazione sullo sfondo: meglio giocarsi tutto subito. Oggi. In direzione. Per poi giocarsela al congresso e infine alle elezioni il più possibile anticipate. Nella speranza di riuscire là, nella gara in campo aperto e senza la «scomodità» dei contestatori interni (ammesso restino) a recuperare quella trasversalità che agli esordi gli procurò slanci di fervore inimmaginabili. Uno per tutti, quello d’un berlusconiano come Carlo Rossella: «Renzi? Oh, beh, personaggio formidabile: un magnifico incrocio tra Pico della Mirandola e Niccolò Machiavelli». Tempi passati…
Ma anche ammesso che l’ammaccato giovane leader, forzando, spezzi una volta per tutte le catene della minoranza cui attribuisce buona parte dei suoi recenti rovesci, non rischierà di dare consapevolmente o no il «morso dello scorpione» (il copyright è di Giuliano Ferrara quando parlava di Massimo D’Alema) al «suo» secondo presidente del Consiglio? Ma soprattutto: quale sarebbe la proposta nuova intorno alla quale pensa di poter recuperare i consensi via via perduti? Rottamata la rottamazione, cosa intende proporre agli italiani delusi che in troppi lo hanno voluto castigare?
Certo, la storia delle democrazie racconta di rimonte straordinarie. Di uomini sconfitti che parevano finiti e al contrario sono riusciti a recuperare. Si pensi a François Mitterrand che prese l’Eliseo per restarci due mandati dopo essere stato battuto per ben due volte prima da Charles De Gaulle e poi da Valéry Giscard d’Estaing. O a Richard Nixon che vinse le presidenziali americane del ‘68 e del ‘72 dopo aver perso non solo la sfida con John Kennedy nel 1960 ma addirittura le elezioni per il governatore della California del 1962.
Ci vollero anni, però. E come loro (lasciamo stare la «lunga marcia» di Mao: altra faccenda) hanno saputo riprendersi da sconfitte pesanti, da noi, Amintore Fanfani, Silvio Berlusconi e altri. Lo stesso ex-Cavaliere però parlò di una «lunga marcia nel deserto». E aveva dalla sua un partito compatto che lo seguiva come una specie di messia azzurro, larghi mezzi finanziari, le televisioni. Riuscirebbe Matteo Renzi a vincere la sua sfida assai più complicata in un sistema tripolare e senza una legge elettorale amica? Auguri.
Sarebbe bene, però, che non dimenticasse il match per il titolo tra l’immenso Primo Carnera e Max Baer. Il gigante friulano andò al tappeto undici volte, prima di arrendersi. Max lo buttava giù e lui subito, roso dall’orgoglio, si tirava su e partiva a testa bassa per finire di nuovo abbattuto. Eroico, ma perse. Chissà, se si fosse fermato a riprendere fiato e lucidità…
12 febbraio 2017 (modifica il 12 febbraio 2017 | 22:51)
« Dopo aver studiato moltissimo il Corano, la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche religioni altrettanto letali per l'uomo di quella di Maometto» Alexis de Tocqueville