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Deriva autoritaria

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Deriva autoritaria

Messaggioda flaviomob il 12/10/2016, 23:37

Già. Meglio Renzi, Verdini, la P2 e la mafia (sfrucugliata con le roboanti dichiarazioni ad hoc sul ponte).


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Re: Deriva autoritaria

Messaggioda flaviomob il 13/10/2016, 0:02

Referendum, Onida: “Una riforma né bella né condivisa, ma inutile e dannosa”
REFERENDUM, ONIDA: “UNA RIFORMA NÉ BELLA NÉ CONDIVISA, MA INUTILE E DANNOSA”
6 OTTOBRE 2016
di Emanuele Rebuffini

«Il problema è che questa riforma non è né bella né condivisa. E il nostro Paese merita di più che non riforme pasticciate, usate per dare dimostrazioni di forza o per inseguire l’antipolitica all’insegna della riduzione dei costi di funzionamento delle istituzioni»: così si conclude “Perché è saggio dire no. La vera storia di una riforma che ha cambiato verso” (Rubbettino), prezioso volumetto in cui uno dei più autorevoli costituzionalisti italiani, Valerio Onida, smonta alcune delle narrazioni un po’ furbesche del fronte del sì, dialogando con Gaetano Quagliariello, già ministro delle riforme nel governo Letta. Valerio Onida, Presidente emerito della Corte Costituzionale, già Presidente della Scuola Superiore della Magistratura e dell’Associazione Italiana Costituzionalisti, ha fatto parte prima del gruppo dei “saggi” che nel marzo 2013 il Presidente Giorgio Napolitano chiamò per tentare di individuare i possibili punti di convergenza tra le forze politiche, e successivamente della Commissione per le riforme istituzionali voluta dal premier Enrico Letta e presieduta proprio dal ministro Quagliariello, ovvero i 42 “parrucconi” secondo la narrazione renziana.

librosaggiodireno

Presidente, la riforma Renzi-Boschi dovrebbe migliorare il funzionamento delle istituzioni, razionalizzare e velocizzare il procedimento legislativo, dare voce alle autonomie. Perché dire no?

Essenzialmente per due ragioni di metodo e per due ragioni di merito. Partiamo dal metodo: è una riforma potpourri. La legge di revisione costituzionale interviene su oggetti molto diversi, anche eterogenei, e sottoporre ad un voto unico un testo così variegato va contro la libertà di voto dell’elettore, che dovrebbe essere in grado di poter dire sì o no su ciascun punto della riforma e non su di un unico pacchetto. Inoltre, pur partendo da un intento originario di ricerca di larghi consensi, si è ridotta ad essere una riforma di maggioranza e questo rischia di indebolire il senso della Costituzione come terreno comune, una ‘casa’ che esprime le basi comuni della convivenza civile e politica. Per cui domani ciascuna maggioranza si sentirà autorizzata a incidere sulla Carta costituzionale, che è invece una delle poche cose che bisognerebbe scrivere insieme.

Veniamo alle obiezioni di merito…

Mi limito ai due aspetti più importanti: la riforma del bicameralismo e quella dei rapporti tra Stato e Regioni. Non sono per nulla affezionato al bicameralismo paritario, ma la trasformazione del Senato in una Camera espressione delle Regioni richiederebbe che le istituzioni regionali possano esprimere realmente la loro voce in quell’assemblea, intervenendo efficacemente nella deliberazione delle leggi che abbiano particolare rilevanza per le autonomie. Invece la composizione del Senato prevede una elezione da parte del consiglio regionale di alcuni suoi membri e di un Sindaco per Regione, che non si sa chi rappresenti. Essendo eletti con un sistema proporzionale, i senatori porteranno la voce del loro partito e non la voce della Regione.

Quindi il Senato disegnato dalla riforma Renzi-Boschi non sarà una vera Camera delle Autonomie, un luogo di compensazione legislativa tra livello nazionale e regionale. Altro che Bundesrat tedesco…

Nel Bundesrat votano i vari Länder, cioè gli Stati. I senatori dovrebbero essere espressi dalle Regioni ed essere portatori della voce unitaria della Regione di appartenenza, invece essendo eletti proporzionalmente, la loro sarà la voce dei singoli partiti. E non è neppure prevista la presenza dei presidenti delle Regioni! Le competenze del nuovo Senato sono deboli, sono poche, e sulle leggi più importanti il Senato potrà solo chiedere delle modifiche sulle quali la Camera si pronuncerà poi definitivamente.

Ma in questo modo non si renderà più rapido ed efficiente l’itinerario legislativo?

Dal punto di vista tecnico una qualche accelerazione del procedimento legislativo potrebbe esserci, dal momento che si evitano ripetuti rimpalli tra una Camera e l’altra. Al tempo stesso, però, ai fini della produttività dei lavori parlamentari, le due Camere possono talvolta rappresentare un vantaggio, infatti quando ci sono più provvedimenti legislativi da esaminare e approvare, le due Camere procedono separatamente ad esaminare provvedimenti diversi che poi si scambiano, il che consente di portare contemporaneamente all’esame del Parlamento più testi e argomenti. Ma la qualità e la quantità delle leggi, che oggi sono persino troppe, non dipendono dall’itinerario parlamentare, ma dal come vengono proposte e confezionate già in sede governativa. Il vero tema è la cattiva fattura delle leggi. Qualche anno fa si disse che si doveva delegificare in modo massiccio, ma non si è dato seguito a quell’indirizzo e così continuiamo a produrre molte leggi di scarsa qualità e comprensibilità. Anche gli addetti ai lavori fanno spesso fatica a ricostruire la disciplina legislativa di una materia. La qualità del procedimento legislativo nulla guadagna da questa riforma, mentre servirebbe ridurre lo spazio in cui intervengono dettagliate norme di legge, evitando anche che il Parlamento sia sempre meno consapevole di ciò che approva.

I sostenitori del Sì sostengono che il bicameralismo perfetto sia fonte di instabilità politica

È improprio addebitare al bicameralismo paritario la causa dello stallo politico-istituzionale in cui è incorso il Paese, come se la difficoltà di dare vita a una maggioranza dipendesse dall’esistenza delle due Camere. Nel 2013 per la prima volta le due Camere non sono riuscite ad esprimere la stessa maggioranza. La stabilità non è frutto dell’unicità della Camera, ma richiede dei presupposti politici perché nel sistema parlamentare le maggioranze si formano e vengono meno per ragioni politiche. Può dipendere in parte dal meccanismo elettorale, ma questo non ha a che fare con la Costituzione. Abolire il Senato come Camera politica non incide di per sé sulla stabilità del governo e della sua maggioranza.

Veniamo all’altra critica di merito, ovvero la riforma del Titolo V. Il centro sinistra ha sempre voluto valorizzare le autonomie territoriali, ora invece si assiste a un’impronta di tipo statalista.

L’ispirazione di fondo della riforma è una forte ricentralizzazione, quindi un completo rovesciamento dell’impostazione autonomistica seguita dal legislatore nel 2001. Allora sono stati commessi errori, ma anziché limitarsi a correggerli si è preferito riportare alla competenza esclusiva dello Stato tutte le più tipiche materie che interessano direttamente la Regione, dal governo del territorio alla salute all’istruzione professionale, sopprimendo le competenze concorrenti ovvero quelle in cui lo Stato ha il compito di dettare i principi e le Regioni il compito di legiferare in dettaglio. L’Ulivo nel 2001 fece una riforma fortemente autonomista e la fece, sbagliando, a stretta maggioranza. Sono passati 15 anni, non 70, e oggi lo stesso centro sinistra propone l’opposto, e ancora una volta con una maggioranza ristretta. Il più grave errore di questa riforma sta proprio nel voler ridimensionare fortemente lo spazio delle autonomie territoriali, svuotando le Regioni di ogni significativa competenza legislativa, anche in ambiti che tradizionalmente ricadono nella loro sfera di intervento, e ricorrendo a una formula ambigua, quella secondo cui lo Stato detterà “disposizioni generali e comuni”. Cosa vuol dire? In sostanza che l’autonomia delle Regioni sarà quella e solo quella che lo Stato riterrà opportuno lasciare loro. Quindi, una competenza integrativa, meramente attuativa, e le Regioni cessano di esistere come enti politici. La ricentralizzazione operata con il Titolo V e la configurazione del Senato come Camera ‘debole’ rendono questa riforma non solo inutile, ma dannosa, e mi sorprende che le Regioni non si siano fatte sentire con l’energia che il tema richied

http://www.nuovasocieta.it/politica/ref ... e-dannosa/


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Re: Deriva autoritaria

Messaggioda pianogrande il 13/10/2016, 0:47

mariok ha scritto:Le fondazioni Magna Carta e Italianieuropei hanno presentato ieri la loro iniziativa congiunta per una riforma della costituzione alternativa a quella del ddl Boschi.

Il conte Massimo D'Alema nel suo intervento ha affermato
«Per il Sì c’è uno schieramento abbastanza vasto» e «capita di avvertire un clima di paura e intimidazione per il quale chi non è d’accordo si deve sentire colpevole di spingere il Paese verso il baratro»

Con lui schierati Gianfranco Fini, Lamberto Dini, Paolo Cirino Pomicino, Stefano Rodotà, Gaetano Quagliariello, Antonio Ingroia, Maurizio Gasparri, Anna Maria Bernini, Paolo Romani e Lucio Malan di Forza Italia, Massimiliano Fedriga e Giancarlo Giorgetti della Lega.

Una vera e propria santa alleanza.

Meno male che ci sono loro ad assicurare un futuro migliore a questo paese :lol: :lol: :lol: :lol:


Certo che "mandare a casa Renzi" può anche essere ipotizzabile ma tutta da ridere (per non piangere) l'idea che quella accozzaglia di falliti di destro sinistra possa costituire una alternativa politica per il paese.
Forse è il destino dei paesi tripolari.
Pars destruens pienamente efficiente e poi ancora tutti contro tutti con buona pace delle aspettative di nuovo e, meno che mai, di meglio.
Insomma l'allegra macchina da guerra si sfascerebbe il 5-12 e si riparte dal via.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Deriva autoritaria

Messaggioda flaviomob il 13/10/2016, 0:55

Mandare a casa Renzi è una benemerita minch**** che ha inventato lui stesso. Qui si vota per un referendum, non si cerca una maggioranza politica.


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Re: Deriva autoritaria

Messaggioda mariok il 13/10/2016, 8:32

L'obbiettivo dichiarato dell'iniziativa sarebbe quello di proporre una riforma alternativa.

Cosa c'è di più politico di una riforma costituzionale?

Sono proprio curioso di vedere cosa partoriranno Rodotà con Gasparri, Ingroia con Pomicino Quagliariello e Dini, Civati con i leghisti Giorgetti e Fedigra.

Ma per favore, siamo seri. A questi della costituzione gliene frega come a me del grande fratello.
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Re: Deriva autoritaria

Messaggioda Robyn il 13/10/2016, 18:24

Infatti si potevano lasciare le materie di competenza concorrente perche la corte costituzionale in queste materie aveva ridefinito tutte le competenze per via dei conflitti stato regioni che c'erano stati,poi è normale che una strada a scorrimento veloce e di interesse nazionale sia dello stato.Poi al senato la rappresentanza poteva essere paritetica.Però una volta passata la riforma nulla impedisce di ridefinirla meglio.La regola di supremazia c'è nei paesi federali come Usa e Germania.La costituzione federale prevale sù quella dei singoli stati in Usa e nei singoli land in Germania
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Re: Deriva autoritaria

Messaggioda mariok il 14/10/2016, 9:44

I titolari di quasi tutte le più alte cariche dello Stato dialogano quotidianamente con molti dei duemila organismi regolatori universali. Sono questi che funzionano da contrappesi agli organismi nazionali.

E' una giusta osservazione sulla quale non mi ero mai soffermato: la funzione di contrappeso degli organismi sovranazionali come l'Unione Europea.

Farebbero bene a rifletterci anche molti seguaci dei populismi anti-europei.


Federica Fantozzi @federicafan · 23 maggio 2016

Cassese: “Nessun rischio autoritario giuste le modifiche alla Carta”

Il giudice emerito della Consulta: “Già i migliori costituenti volevano il monocameralismo. L’Italicum? Non vedo perché opporsi”


Professor Sabino Cassese, in un recente convegno Giuliano Amato ha definito un fatto positivo il solo riformare la Costituzione, dopo decenni. Condivide questa premessa?

«La Costituzione italiana è stata riformata 15 volte, quella tedesca, che ha una data di nascita simile, 58 volte. Meuccio Ruini, il presidente della Commissione dei 75 che scrisse la Costituzione, poi approvata dall’i n te r a Assemblea costituente, nel discorso finale, prima dell’approvazione, dichiarò più volte che la Costituzione non era perfetta, che diversi punti avrebbero dovuto essere rivisti alla luce dell’espe – rienza. Infatti, nella Costituzione fu introdotto un articolo che prevede la procedura di revisione costituzionale. La sola forma repubblicana non può essere soggetta a revisione. La Costituzione tedesca ha molte più disposizioni protette da quella che viene chiamata clausola dell’eternità. Eppure è stata soggetta a modificazioni quattro volte superiori a quella italiana».

Perché, in ogni caso, riformare la Costituzione?

« L’esigenza di riforma è stata avvertita circa quaranta anni fa. Sono stati fatti molti tentativi, tutti abortiti. La ragione sta nel mutamento del contesto istituzionale generale. Nel 1947, quando la Costituzione fu approvata, non esisteva l’Unione Europea e non si era neppure avviata la globalizzazione. Oggi governi e parlamenti nazionali debbono rispettare standard sovranazionali. I titolari di quasi tutte le più alte cariche dello Stato dialogano quotidianamente con molti dei duemila organismi regolatori universali. Sono questi che funzionano da contrappesi agli organismi nazionali. Insomma, il mondo è cambiato; non dovrebbe quindi cambiare anche la Costituzione? A questi cambiamenti esterni si aggiungono quelli interni: qui, da noi, il potere pubblico è diviso tra Stato e venti regioni, tutte dotate di poteri legislativi. E l’esercizio del potere legislativo da parte di Stato e regioni è sottoposto al vaglio di costituzionalità e a quello di compatibilità comunitaria».

Il Senato delle Regioni come forma di addio al bicameralismo perfetto può funzionare? Magari sul modello tedesco?

«Le migliori menti tra i costituenti erano favorevoli o al monocameralismo o a un bicameralismo differenziato. Cito solo Massimo Severo Giannini, l’uomo che preparò il lavoro dei costituenti e aiutò Ruini e Basso, e Mortati, la mente più lucida tra i democristiani. I timori di De Gasperi, ai quali poi si sommarono quelli di Togliatti, indussero a scegliere il bicameralismo paritario, per la sua funzione “ritardatrice” (il termine fu usato da Mortati). L’esperienza concreta, in quella che Scoppola ha chiamato “la Repubblica dei partiti”, ha mostrato che le due camere hanno operato –salvo pochi periodi – come un doppione, con maggioranze simili. La funzione di riequilibrio, di bilanciamento, di condizionamento che si vorrebbe svolta dalla doppia rappresentanza è molto meglio svolta oggi dal Parlamento europeo e dai consigli regionali. La semplificazione del procedimento legislativo ordinario consentirà anche di evitare l’abuso della decretazione d’urgenza e di rimettere su basi più corrette il rapporto tra governo e Parlamento».

Un punto a cui i cittadini sono sensibili è il taglio dei costi. Va bene ridurre i senatori e abolire enti come il Cnel o era meglio abbassare il numero parlamentari? O piuttosto agire con altri strumenti?

«Quello della riduzione dei costi diretti (ad esempio, attraverso l’eliminazione delle indennità dei senatori) non è l’argomento principale a favore della riforma costituzionale. Lo è piuttosto la riduzione dei costi indiretti, quelli che paghiamo per la lentezza del procedimento legislativo con due camere-doppione ».

Tra le critiche alla riforma c’è quella di ricentralizzare molte materie, sottraendole alle Regioni. Il governo, invece, sostiene che così si ridurranno i conflitti di attribuzione dei poteri. Quale è la sua opinione?

«Il punto di partenza per rispondere a questa domanda non è solo la riforma del Titolo quinto della seconda parte della Costituzione, fatta nel 2001, bensì anche la giurisprudenza quindicennale della Corte costituzionale su tale riforma. Ora, la Corte, dinanzi alle violazioni costituzionali delle Regioni, ha dovuto fortemente contenere l’espan – sione regionale in aree di interesse nazionale e ridefinire i confini relativi alle materie sulle quali legislazione regionale e legislazione nazionale concorrono. La riforma costituzionale fa una scelta, quella di eliminare le materie di legislazione concorrente. Per farlo, stabilisce che lo Stato adotta le norme generali e comuni, le Regioni quelle differenziate e locali. Questo non vuol dire riaccentrare, significa solo distinguere meglio, senza lasciare il difficile compito tutto nelle mani della Corte Costituzionale. Poi, l’esperienza ha mostrato che alcune materie erano state trasferite alle Regioni senza tener conto del loro carattere nazionale (penso a quelle attinenti alle grandi reti). Dunque, la riforma ridefinisce la linea di confine tra centro e periferia anche sulla base dell’esperienza degli ultimi quindici anni».

Molti critici, da Eugenio Scalfari a Gustavo Zagrebelsky, da Stefano Rodotà a partiti di opposizione come Forza Italia e Cinquestelle lanciano un allarme democratico leggendo la riforma in combinato con la legge elettorale, l’Italicum. Anche nella minoranza Pd ci sono perplessità su questo versante. Altri come l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non vedono rischi. Questa tesi ha fondamento?

«La riforma costituzionale riguarda due punti del sistema costituzionale: Senato e Regioni. Non tocca il sistema parlamentare, che rimane immutato. Né tocca la formula elettorale, che è rimessa a una legge ordinaria. Non si può giudicare la riforma costituzionale prendendo in considerazione qualcosa che è estraneo ad essa. Detto questo, debbo aggiungere che non vedo ragioni per opporsi così radicalmente alla legge elettorale. La sua caratteristica principale consiste nel premio di maggioranza dato alla forza politica che raggiunge il 40 per cento dei voti o che si aggiudica il ballottaggio. Questa scelta è criticata perché – si dice – così governerà una minoranza. Ma quasi tutte le democrazie sono governate da minoranze (Cameron e Obama governano con un consenso elettorale inferiore al 40 per cento). Gli esperti della materia, infatti, dicono che la democrazia non è il governo della maggioranza, bensì quello della più forte minoranza».

Ha senso l’ipotesi di spacchettare il quesito come vorrebbero, tra gli altri, i Radicali?

«I proponenti di questa singolare idea si sono resi conto della sua inattuabilità. Bisognerebbe, infatti, dividere articolo da articolo e non si sa chi sarebbe intitolato a farlo. E – se anche si facesse – si potrebbero avere poi risultati contraddittori: il Senato in un articolo scompare, in un altro rimane. Il disegno di legge è stato approvato dal Parlamento con un voto unitario e con un voto unitario va sottoposto al giudizio popolare».

Vede il rischio che da referendum sul merito l’appuntamento di ottobre si trasformi in un plebiscito sul premier Renzi e dunque sul governo?

«Lo strumento referendario è un classico esempio di “single issue politics”: il popolo decide su un solo quesito. Il referendum su cui dovremo pronunciarci ci chiede di dire la nostra sulla modifica di alcuni articoli della Costituzione. Giuridicamente, il mancato passaggio non comporta dimissioni del governo, così come il passaggio non comporta fiducia al governo».

Alla fine, quale valutazione complessiva dà della riforma costituzionale e del dibattito in corso?

«Gli oppositori evocano pericoli autoritari che mi paiono inesistenti. Riaffiorano il timore del tiranno e la preoccupazione per il sistema parlamentare. Si mettono insieme lo stile decisionista del governo con la riforma costituzionale, che sono due cose diverse. Circa quello che ho definito stile decisionista del governo, osservo che non ci si può lamentare un giorno che l’Italia è il Paese dei rinvii e il giorno dopo che il governo decide troppo sollecitamente. Se – come credo –va giudicata la riforma costituzionale in quanto tale, penso che l’abbandono del bicameralismo perfetto o paritario, già auspicato –lo ripeto – da molti costituenti, e più volte proposto nel lungo processo più che trentennale di discussione sulla Costituzione, sia da approvare».
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Re: Deriva autoritaria

Messaggioda pianogrande il 14/10/2016, 15:54

Per inciso ma mica troppo, ecco un esempio di come una campagna propagandistica possa toccare il fondo più oscuro dell'abiezione.
Questa non è più neanche politica.

http://www.ilfattoquotidiano.it/il-fatt ... e-di-oggi/

Ormai è una gara a chi scende più in basso; a chi fa più schifo.
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Re: Deriva autoritaria

Messaggioda trilogy il 15/10/2016, 11:15

:mrgreen:
mariok ha scritto:
Federica Fantozzi @federicafan · 23 maggio 2016

Cassese: “Nessun rischio autoritario giuste le modifiche alla Carta”

(...)Circa quello che ho definito stile decisionista del governo, osservo che non ci si può lamentare un giorno che l’Italia è il Paese dei rinvii e il giorno dopo che il governo decide troppo sollecitamente. Se – come credo –va giudicata la riforma costituzionale in quanto tale, penso che l’abbandono del bicameralismo perfetto o paritario, già auspicato –lo ripeto – da molti costituenti, e più volte proposto nel lungo processo più che trentennale di discussione sulla Costituzione, sia da approvare».


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Re: Deriva autoritaria

Messaggioda Robyn il 15/10/2016, 12:07

Infatti sono d'accordo governa il partito di maggioranza relativa.Non si può un giorno criticare l'assenza di decisioni e il giorno dopo un'eccesso di decisionismo non si può passare da un'estremo all'altro.L'unica cosa che contempera le decisioni prese e un'analisi preventiva delle scelte è che il parlamento fà le leggi e che l'esecutivo è influenzato nelle sue scelte dal partito a cui fà riferimento e non può avvenire il contrario cioè che il governo detta l'agenda al suo partito di riferimento,ma è il partito che influenza le scelte dell'esecutivo.Questo avviene attraverso un recupero dei corpi intermedi dei partiti con la quale il popolo esprime la volontà popolare nei limiti della costituzione"art 1 costituzione" e nella quale i partiti agiscono da filtri cioè scatano tutti i pericoli per la democrazia provenienti dal basso in sintesi selezionano.Per avere tutto ciò ,serve una democrazia parlamentare rinnovata e funzionante non è certo il parlamentarismo è l'eccessivo frazionismo che può salvare la democrazia rappresentativa e che per regola legifera
Queste cose le diceva Piero Calamandrei ad una lezione universitaria
"Sono per una democrazia che sappia decidere ma temo anche l'eccesso di decisionismo"
Quindi queste due esigenze vanno contemperate e il modello westminser è il più adatto a farlo
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