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Roberto Sommella
Direttore Relazioni Esterne Antitrust, fondatore de La Nuova Europa
I cinque indizi che dicono come Berlino può strangolare l'Italia
Pubblicato: 23/04/2016 17:04 CEST Aggiornato: 50 minuti fa ANGELA MERKEL
Proviamo a capire cosa hanno in testa i tedeschi, rileggendo un loro concittadino? Lo studioso Jorg Huffschmid ammonì come il problema delle società avanzate fosse il "finanzcapitalismo" e non la crisi. La finanza al cubo ha infatti completamente rovesciato il concetto di capitale. C'è quello classico, che produce valore, quando si costruisce una scuola, un ponte, si creano posti di lavoro. Insomma, oggi è quasi un'utopia. Poi c'è il capitale contemporaneo, che il valore invece lo estrae, imponendo costi di salvataggio, manipolando tassi, erogando prestiti a chi non può chiederli, rovesciando sulla collettività i debiti degli altri. In Europa viviamo nel regime dell'estrazione di valore ma ci servirebbe piuttosto crearlo.
Questa premessa serve per capire le mosse, alla luce del sole e non, che si stanno per compiere intorno al paese più indebitato dell'Unione, l'Italia, leader nella tradizionale costruzione di valore ma certo non efficiente nel finanzcapitalismo. A prescindere dalle lettere e dalle condivisioni dei piani di riforma che il governo Renzi sta presentando presso le istituzioni europee, un nodo scorsoio si sta stringendo intorno alla nostra gola. Cinque indizi possono fare una prova, che per il nostro paese potrebbe essere durissima. Analizziamoli in vista dei vertici internazionali, quali quello del 25 aprile ad Hannover con Obama e il meeting sull'immigrazione e la Brexit del 28 giugno.
1) Salvataggi bancari. Nonostante le reiterate pressioni della Banca d'Italia e del ministero dell'Economia, Bruxelles non modificherà la normativa sul bail in, che tanto sta costando (insieme ad altri fattori come la sottocapitalizzazione) alle banche tricolori: per avere un'idea, nel primo trimestre del 2016 i nove principali istituti della penisola hanno perso in borsa oltre 48% del loro valore. In caso di necessità, per evitare che il salvataggio lo paghino azionisti, obbligazioni e correntisti sopra i 100.000 euro, ci dovrà quindi pensare Atlante, con una potenza di fuoco tutta da decifrare. Meglio sarebbe aumentare la sua leva finanziaria, altrimenti lo sforzo titanico non sarà sufficiente.
2) È ormai evidente che la Germania non vuole la garanzia comune dei depositi. Nonostante essa sia la base dell'Unione bancaria, Berlino sta facendo di tutto per convincere ad ogni Ecofin (compreso quello di questo fine settimana) il presidente di turno olandese a mettere sul piatto questo scambio del tutto irricevibile: tutela Ue dei conti correnti contro tetto al possesso dei titoli di stato nei bilanci bancari, con conseguente eliminazione del risk free. In soldoni significa che circa 1.600 miliardi di euro di bond sovrani potrebbero dover trovare altre allocazioni in Europa. Per l'Italia il conto si aggira intorno ai 100 miliardi di euro che finirebbero sul mercato con conseguente aumento dello spread (ricordate il 2011?). Nessuno ha avuto la forza di chiedere ad Angela Merkel se crede ancora nell'Europa, perché questa operazione che i suoi saggi, d'intesa col ministro delle Finanze, Wolgang Schauble, hanno messo a punto, sa tanto di scissione finale: Europa solida del Nord da una parte, Europa indebitata del Sud dall'altra.
3) Tutti o quasi concordano che senza un ministro del Tesoro europeo la confederazione resterà tale. Un ministro unico può emettere debito e farselo comprare alla bisogna dalla Banca centrale europea. La proposta è arrivata in primis dalla Francia e dalla Germania, ma anche in questo caso sembra che Parigi e Berlino pensino piuttosto ad un Direttorio dei bei tempi andati e non certo ad un tesoro dei 19 paesi dell'euro. Anche perché questa scelta - cruciale e importantissima - sarebbe il via libera alla successiva emissione di eurobond, uno strumento che la Germania vede come il diavolo, come ha dimostrato nel bocciare i Migration Bond proposti dall'esecutivo Renzi. Dunque attenzione: quando Merkel, Hollande e i loro stretti collaboratori parlano di ministro unico, forse pensano al ''loro ministro unico'', una tavola apparecchiata per quattro o cinque paesi nordici al massimo, che non prevede l'Italia. Salvo non assegnarli compiti e poteri di veto fortissimi nelle finanze pubbliche dei paesi più indebitati, il che equivale a dire la stessa cosa. Berlino non vuole alcuna condivisione dei rischi e delle spese (conti correnti, banche, migranti) e nessun debito comune. Pensar male è un peccato ma a volte ci si azzecca.
4) L'Italia ha meritoriamente presentato a febbraio scorso una proposta per rivedere i Trattati e principalmente il Fiscal Compact. Nato lustri fa quando non si ipotizzava nemmeno il fallimento della Lehman Brothers e la deflazione, il Patto di stabilità e di crescita alla fine non ha centrato né l'una né l'altra. La flessibilità che serve davvero è quella legata allo scomputo delle opere pubbliche dal deficit e di tutte le spese che i paesi devono affrontare - in assenza di una politica comune europea - per fronteggiare l'immigrazione e il terrorismo jihadista. Altrimenti si dovranno varare manovre da decine di miliardi di euro per raggiungere target che non hanno più senso in questo contesto. Purtroppo, nessuna di queste istanze sembra essere appoggiata da Berlino, che preferisce andare avanti sul rigore in beata solitudine.
5) Il Quantitative Easing della Bce, portato sopra la soglia dei 2.000 miliardi, ha avuto l'indubbio vantaggio di ridurre il cambio euro-dollaro, favorendo le esportazioni e azzerando i tassi (e Draghi ha confermato che a zero rimarranno fino al 2017). Allo stesso modo, il bazooka di Francoforte ha fatto virare in negativo i rendimenti dei titoli di stato di moltissimi paesi emittenti, ma questo comporta che la Germania, che ha le sue assicurazioni scoperte sul fronte dei rendimenti promessi ai propri clienti, prima o poi dirà stop. È difficile indicare una data, ma è molto probabile che essa cadrà ben prima della fine del mandato di Mario Draghi, previsto per il 2019. In questi tre anni sono previste elezioni cruciali in Germania, Francia, Italia e Unione Europea e il referendum sulla Brexit. Berlino si muoverà in anticipo per avere un tedesco alla guida dell'Eurotower, una delle poche cose che potrebbe sopravvivere alla fine dell'Unione, che imponga il rialzo dei tassi e la fine della politica monetaria accomodante salva-spread.
Lo schema teutonico è dunque questo: nessuna condivisione dei rischi, salvataggi a carico dei paesi, fine degli acquisti di bond sovrani da parte della Banca centrale e delle stesse banche nazionali. Autarchia finanziaria totale: chi ce la fa da solo, vivrà. Noi italiani possiamo dirci al sicuro?
flaviomob ha scritto:Se l'Italia combattesse la corruzione e l'evasione, cosa succederebbe al suo debito pubblico?
UNIONE
Le proposte dell’Italia
e la lezione di Ciampi
Alcuni ministri finanziari condividono in privato le nostre proposte sui migranti e il patto di Stabilità, ma non sono pronti a sottoscriverle, se il primo firmatario è Roma Bisogna far emergere l’idea e poi infilarsi nella breccia
di Federico Fubini
Quando era ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi concludeva certi scambi di idee sempre con le stesse parole. Annuiva, sorrideva con saggezza e troncava il discorso: «Sì, ma non possiamo dirlo noi». Ciampi voleva dire che esistono soluzioni di politica europea preferibili a quelle dominanti, ma se l’Italia vuole farle vincere non deve esporsi. Aveva capito che ogni proposta presentata da un Paese così letargico e indebitato rischiava di finire uccisa dallo stesso sospetto che circonda il suo sponsor. Dunque la tattica preferita del ministro italiano di vent’anni fa era far avanzare le buone idee sotto insegne altrui, e poi infilarsi nella breccia.
All’estremo opposto si trova una certa visione impersonata, molto approssimativamente, da Wolfgang Schäuble. Ecco alcune delle più recenti posizioni e uscite del ministro delle Finanze tedesco: se la Grecia non accetta tutte le condizioni imposte su di essa, incluse le più manifestamente irrealistiche e nocive, è pregata di accomodarsi fuori dall’area euro; se le banche non si disfano dei loro titoli di Stato, Berlino impedirà di completare e consolidare l’unione bancaria anche a costo di stendere un’ombra sulla stabilità finanziaria faticosamente riconquistata in Europa; e la Banca centrale europea è colpevole dell’ascesa della destra radicale in Germania semplicemente perché fa il suo mestiere: cerca di riportare l’inflazione verso livelli meno malsani.
Da un lato c’è un Paese che pensa — pensava — di dover tenere un profilo basso per non screditare le proprie idee con la propria reputazione. Dall’altro c’è il ministro delle Finanze di un Paese talmente convinto della propria credibilità da cercare di iniettarla anche dentro iniziative che, fossero venute da altri, nessuno avrebbe mai preso sul serio. La domanda che pongono gli eventi di queste settimane è se un simile teorema di politica europea resta pienamente vitale e, se non lo è, quali ne sono le conseguenze. La risposta d’istinto è chiaramente positiva: questo modello politico funziona ancora. Gli indizi in questo senso non mancano. In queste settimane alcuni ministri finanziari del «nucleo duro» dell’euro stanno confermando esattamente i vecchi sospetti di Ciampi. Condividono in privato le proposte del governo di Roma su come finanziare l’emergenza migranti o come rileggere in modo più duttile le regole di bilancio dell’area euro; ma non sono pronti a sottoscriverle, se il primo firmatario è l’Italia. Può dispiacere a noi italiani ma questa è una realtà che, come il debito pubblico, non possiamo pretendere di non vedere.
Una seconda lettura della cronaca recente suggerisce però una realtà più complessa e in movimento. Non c’è dubbio che la Germania sia emersa come l’àncora del sistema negli anni della crisi e tale resta, come proprio ieri ha ricordato Barack Obama parlando di Angela Merkel: sono orgoglioso di essere suo amico, ha detto il presidente degli Stato Uniti, perché la Cancelliera crede in quello che fa e fa quello che dice. Eppure è meno ovvio di prima che certi errori siano accettabili solo perché li ispira il ministro di un Paese senza deficit. La presa di Schäuble sul sistema politico europeo non è mai parsa debole come in questi giorni. Erano anni che non si registrava una reazione così diffusa dei governi dell’Unione contro una sua proposta, come l’altro ieri sul caso dei titoli di Stato nei bilanci delle banche. Sulla Grecia, il Fondo monetario sta guidando una campagna del buon senso che finalmente porta un sollievo sui termini di rimborso del debito di Atene. E l’ultimo attacco del ministro delle Finanze alla Bce è stato sconfessato persino dal presidente della Bundesbank Jens Weidmann il quale poi, secondo il quotidiano tedesco Handelsblatt, avrebbe persino ricevuto per questo una telefonata di congratulazioni dalla cancelliera.
Non siamo più all’apice dello stress finanziario, quando i tassi d’interesse di un Paese dicevano tutto quel che c’è da sapere sul potere del suo ministro delle Finanze. Certe cattive idee ormai appaiono tali anche se vengono da un Paese ben governato con debito calante, disoccupazione bassa e distorsioni del sistema bancario per ora rimaste fuori dal radar europeo. Questa nuova realtà, che inizia ad emergere, può avere implicazioni ben precise: tutti accettano più di prima nell’area euro che occorre un po’ di spinta alla crescita anche dalle politiche di bilancio dei governi, perché la Bce non può più far molto per contrastare la cronica debolezza dei consumi e degli investimenti. Attorno ai vecchi dogmi incarnati da Schäuble non si sono mai avvertiti in Europa tanti dubbi come in questi ultimi giorni.
L’errore per l’Italia adesso però sarebbe illudersi di aver vinto, o di poter già giocare un ruolo da leader europeo a parte intera. E non solo perché sono altri i governi davvero in grado di ridurre le tasse o aumentare gli investimenti pubblici in deficit. La verità è che Ciampi ha dimostrato di avere la vista lunga: un Paese fragile resta poco credibile anche nelle sue buone idee, se prima non comincia a trasformarle in crescita economica sana e sostenibile in casa propria.
23 aprile 2016 (modifica il 24 aprile 2016 | 08:55)
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