da annalu il 15/09/2015, 16:40
Quando ero giovane io ... lo so che non è bello questo tipo di esordio, però è pertinente.
Dunque, in quel periodo remoto in cui la DC era sempre al governo, e la legge elettorale per la Camera era proporzionale con le preferenze, i due partiti maggiori avevano regole interne molto diverse.
Il Partito Comunista pretendeva una osservanza ferrea della "Linea" del partito, in base al famigerato principio del "Centralismo Democratico", cioè si poteva discutere una posizione solo finché la Direzione o il Comitato Centrale non avevano deciso; dopo di ché tutti, anche coloro che notoriamente erano contrari, dovevano seguire e propagandare "La Linea" che il Partito aveva stabilito.
Tra le conseguenze più "buffe" di un tale regolamento c'era il fatto che, quando "La Linea" era stata stabilita a stretta maggioranza (interna al gruppo dirigente) poteva accadere che dopo poco prevalesse una Linea diversa, con il conseguente e famoso "Contrordine Compagni", perché "la linea" era cambiata.
I parlamentari del PCI dovevano tutti rigorosamente seguire le regole del centralismo democratico, pena l'espulsione dal partito, e solo un piccolo gruppo di parlamentari, i cosidetti "indipendenti di sinistra" non iscritti al partito ma eletti nelle sue liste, mantenevano una certa autonomia.
La Democrazia Cristiana invece aveva regole ben diverse. La DC era suddivisa in Correnti, ognuna con i suoi leader e le sue opinioni. In Parlamento spesso le varie correnti si esprimevano e votavano in modo differenziato, pur restando tutti all'interno del partito, che così continuava ad essere partito di maggioranza relativa pur mantenendo al proprio interno una diversificazione a vlte abbastanza significativa.
Adesso il Partito Democratico, voluto e fondato frettolosamente a partire da una parte del PCI ed una parte dela DC, non sa ancora che tipo di regolamentazione interna darsi, ed i vari capi e capetti si regolano ognuno a modo proprio, a seconda dellle circostanze.
Ovviamente regole tipo "Centralismo Democratico" non hanno più ragione e possibilità di esistere, mentre al contempo si nega la possibilità di formalizzare le correnti. Eppure prima o poi qualche decisione la si dovrà pur prendere, perché un minimo di coerenza interna in un partito è necessaria, se si vuole mantenere la ragion d'essere del partito stesso. Se non si accetta l'idea dell'esistenza di correnti o gruppi interni con regole certe, che significato finisce con l'avere l'appartenenza ad un partito? Sembra che tutto si riduca alla spartizione del potere, e questo è ignobile.
"Quando ero giovane io" i politici, sia democristiani che comunisti che altro (MSI escluso) avevano partecipato alla lotta partigiana, erano vissuti in tempi in cui manifestare le proprie opinioni politiche poteva costare il posto di lavoro, il carcere, a volte persino la vita. Non era tanto una questione di ideologie, quanto di ideali e di speranze, che è ben altro.
Adesso il mondo - per fortuna - è cambiato, ma non vedo perché dall'evoluzione della storia debba derivarne, soprattutto in Italia, che i politici facciano politica in modo tanto autoreferenziale.
Spero che le cose cambino.
Annalu