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G20, piano per crescita e lavoro

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: G20, piano per crescita e lavoro

Messaggioda ranvit il 19/06/2012, 12:44

Non ho detto che la crisi sia colpa delle formiche, nè che le cicale non abbiano sbagliato...

Ho detto che per uscire dalla crisi bisognerebbe che la Germania (gli altri Paesi citati contano poco...) fosse piu' lungimirante! E che siccome sono dei testoni, per la terza volta in un secolo stanno sfasciando l'Europa. Dove era la Germania quando si è fatto l'euro? Non sapevano forse delle cicale? Chi ha guadagnato di piu' dalla situazione?
Come pensano di avere la leadership di una Europa ridotta a brandelli?


Certo che le cicale hanno esagerato....ma affamare mezzo continente è forse la soluzione?
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Re: G20, piano per crescita e lavoro

Messaggioda franz il 19/06/2012, 12:48

Opps, ho editato il messaggio dopo la risposta di Ranvit ed è rimasto tutto nella pagina precedente.
Aggiungo qui le considerazioni aggiunte


Ma veniamo all'idea (berlusconiana e grillesca) di stampare carta.
Non è un modo per prendere tempo ma è un modo per aggravare la crisi.
Per prima cosa non basta stampare ma occorre anche capire a chi dare quei soldi.
Se li dai alle famiglie, li spenderanno facendo la spesa e alimenteremo l'inflazione. E faremo perdere potere d'acquisto a chi lavora.
Se li diamo alla banche perché li prestino a chi vuole fare business, alimenteremo bolle immobiliari o simili. Bolle che poi scoppieranno coinvolgendo banche che dovranno essere salvate.
Se li diamo ai governi ... dipende. Se li diamo a governi seri, come quello tedesco, danese, svedese, oalndese faranno buone cose ma non ne hanno bisogno perché già le fanno. Se li diamo a certi governi dei PIIGS c'è da scommetterci che elimenteremo corruzione, mafie, malaffare, voti di scambio.
Insomma in tutti e tre i casi proprio il contrario di quello che vorremmo.
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Re: G20, piano per crescita e lavoro

Messaggioda ranvit il 19/06/2012, 12:59

1) Ricordiamo come è nato il nazismo? La Germania schiacciata da un debito di guerra enorme ed umiliata dalle altre potenze europee...

2) Altri Paesi che si sono "ribellati" ai signori della finanza mondiale non hanno avuto la necessità di ricorrere a forme di nazismo e tutto sommato se la sono cavata abbastanza bene...vedi Argentina ed Islanda.
(Anche l'Italia nel '92 ebbe grossi problemi....ma se la cavo', o no?)



A chi dare i soldi? Con un po' di grano salis vista la situazione non credo che le istituzioni europee non saprebbero gestire la situazione.

Del resto qual'è l'alternativa? Far sfasciare mezza Europa?
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Re: G20, piano per crescita e lavoro

Messaggioda franz il 19/06/2012, 13:55

ranvit ha scritto:1) Ricordiamo come è nato il nazismo? La Germania schiacciata da un debito di guerra enorme ed umiliata dalle altre potenze europee...

Appunto. Ieri come oggi qualcuno si chiede quanto sangue si puo' cavare dalla germania ma dovrebbe aver capito che troppo è controproducente.
Comunque se pensiamo che in Argentina ed islanda si stia bene si puo' andare tutti là.
A me pare che i flussi emigratori siano ben diversi.
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Re: G20, piano per crescita e lavoro

Messaggioda ranvit il 19/06/2012, 16:11

Alla Germania nessuno sta chiedendo soldi ma solo un po' di buonsenso (allentamento della cieca osservanza del rigore e un po' piu' di tempo per mettersi in regola)!

Oggi ad essere "schiacciati" sono: Grecia...nazisti in Parlamento, Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia....forte aumento di populismi vari con connotazioni xenofobe e/o destrorse.

Non mi risulta che Argentina ed Islanda abbiano i problemi che abbiamo noi Pigs oggi...e non parliamo di emigrazione: dall'Italia emigrano una valanga di giovani laureati! Al Sud poi, la stragrande maggioranza...



http://tg24.sky.it/tg24/mondo/2011/12/2 ... chner.html

Argentina, 10 anni dopo il default. Così rinasce un Paese
27 dicembre 2011

Nel 2001 lo Stato sudamericano affrontava il tracollo economico. Oggi il Pil cresce del 7-8% l'anno e i disoccupati sono dimezzati. E nel guardare alla crisi dell'Europa, Buenos Aires rivive il suo passato. Ma ha qualcosa da insegnare...
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di Emiliano Guanella

Faceva un caldo infernale in quei giorni di dicembre di dieci anni fa e Buenos Aires stava per esplodere da un momento all’altro. Ed esplose. Ma un decennio dopo il Paese vive una nuova stagione e racconta una storia che anche in Italia va ascoltata con attenzione.

L’Argentina del 2001 aveva un debito estero che cresceva spaventosamente e riceveva da tempo le missioni del Fondo Monetario Internazionale che imponevano tagli pesantissimi al debolissimo governo di Fernando de la Rua, lasciato solo un anno prima dal suo vicepresidente Chacho Alvarez e in balia dei mercati che non si fidavano più dei cosiddetti “tango bonds”. La scure dell’austerità chiesta dagli organismi di credito si era abbattuta prima sui lavoratori pubblici, poi sui pensionati; infine, il colpo di grazia, il blocco di tutti i conti correnti decisi dal ministro dell'Economia Domingo Cavallo.

Il corralito, termine che viene usato in spagnolo per identificare i recinti per gli animali al pascolo o, con molta più immaginazione, i box per far giocare per i bambini, diventava invece la gabbia con la quale i risparmi accumulati da milioni di argentini venivano bloccati in banche sull’orlo del fallimento. La crisi era totale; politica, sociale, economica, istituzionale. Per mesi l’Argentina navigò a vista, il paese in default, la cessazione del pagamento del debito estero, con la gente in strada a gridare "que se vayan todos", "fuori tutti".

Arrivò allora il pompiere Duhalde, peronista capace di placare la piazza dopo aver contribuito a infiammarla. Poi, nel 2003, Nestor Kirchner, un altro peronista ma molto più pragmatico ed eterodosso. Assieme al suo ministro d’economia Lavagna, Kirchner decide di ristrutturare il debito a modo suo, il governo avrebbe pagato solo una parte, il resto non era proprio possibile saldarlo. Buenos Aires decise di fare da sola, non avrebbe più accettato i "consigli" di Banca Mondiale e Fmi, non avrebbe più legato il suo destino a quello degli organismi di credito.

Oggi l’Argentina è cambiata, la situazione economica è consolidata, il Pil cresce del 7-8% all’anno, cifre da tigre asiatica. I poveri e i disoccupati sono meno della metà rispetto allo spaventoso 50% di allora, i consumi sono aumentati notevolmente, anche se l’inflazione viaggia al 20% all’anno. Tutto il sistema si regge sulle grandi esportazioni agricole verso i mercati asiatici, Cina in testa, ma nel frattempo sta rinascendo una rete di industrie nazionali, mentre lo Stato ha nazionalizzato i fondi pensionistici, la compagnia di bandiera Aerolineas Argentinas e numerose altre imprese strategiche.

Ironia della storia, oggi è il Sudamerica a guardare a crisi lontane, come quella che sta colpendo diversi paesi europei, tra cui l’Italia. "C’è una vita dopo la ristrutturazione del debito estero – ha affermato in una sua recente visita a Buenos Aires il premio Nobel dell’economia Joseph Stiglitz – la lezione argentina lo dimostra. Le misure recessive distruggono i paesi in crisi, sono il punto di grazia, perché producono più disoccupati, più poveri e più recessione proprio quando invece si dovrebbe stimolare la produzione, il consumo e la mobilità sociale".

La presidenta Cristina Fernandez, vedova di Nestor Kichner ha appena vinto le elezioni ed inaugurato il suo secondo mandato alla Casa Rosada. Nei suoi discorsi cita spesso e volentieri il caso europeo. "Stanno commettendo gli stessi errori che fecero con noi, la storia non insegna nulla", riferendosi ai grandi organismi internazionali dell’economia. Nel frattempo, anche i cicli migratori cambiano rotta. Prima erano i giovani argentini ad andarsene in Europa a cercare lavoro, oggi è in atto una migrazione al contrario e centinaia di ricercatori tornano in patria grazie al programma Raices, radici, che punta a recuperare quanto perduto con la fuga di cervelli degli anni drammatici.

A Buenos Aires, in quest'estate australe 2012 che sta per iniziare, fa sempre caldo, ma questa volta gli animi sono molto più sereni e pure il decimo anniversario dei tragici fatti del 2001, che lasciarono trentanove morti in piazza, son ricordati come un tempo lontano, che nessuno vuole vedere di nuovo.


L'Argentina, intanto, si appresta a vivere un altro momento di transizione. Il prossimo 4 gennaio, infatti, la presidente Cristina Fernandez de Kirchner, 58 anni, sarà sottoposta ad un intervento chirurgico a causa di un cancro della tiroide: lo ha reso noto il portavoce della Casa Rosada, Alfredo Scoccimarro, escludendo "una metastasi".
Dopo l'intervento, la Fernandez prenderà "un permesso medico per 20 giorni", ha aggiunto il portavoce, precisando che in tale periodo la Fernandez sarà sostituita dal vicepresidente Amado Boudou.






http://www.ilpost.it/2012/05/22/si-e-ripresa-lislanda/


Si è ripresa l’Islanda
Anche se il futuro è ancora da sistemare, ci sono lezioni sullo stare dentro o fuori dall'euro
22 maggio 2012


Ieri il Wall Street Journal ha pubblicato un lungo reportage dall’Islanda che racconta la ripresa economica del paese dopo la grave crisi finanziaria del 2008. Oltre a descrivere la situazione attuale, il Wall Street Journal prova a capire quanto potrà durare questa ripresa e soprattutto la paragona alla crisi dei paesi europei attualmente più in difficoltà come Grecia e Spagna e a quella dei paesi che già avrebbero già superato le difficoltà più grandi, come l’Irlanda. Tutti paesi che, a differenza dell’Islanda, hanno adottato negli anni scorsi l’euro.

Fonte: The Wall Street Journal (Il PIL dell'Islanda negli ultimi anni)

I problemi dell’Islanda sono cominciati tra 2008 e 2009, quando c’è stato il crollo a catena di tre grandi banche, la Kaupthing, la Glitnir e la Landsbanki, che ha provocato un’implosione finanziaria, le dimissioni dell’ex premier Geir Hilmar Haarde (che è stato anche processato per “negligenza” nella crisi, poi assolto) e la conseguente crisi economica nel paese, caratterizzata da una forte inflazione e perdita di posti di lavoro. Dopo il prestito del Fondo Monetario Internazionale (FMI) da 2,1 miliardi di dollari, tuttavia, oggi l’Islanda sembra essere sulla strada del risanamento, soprattutto grazie alla svalutazione della sua moneta, la corona.

Secondo stime dell’OCSE il PIL islandese crescerà del 2,4 per cento nel 2012, dopo il 2,9 per cento dell’anno scorso che ha interrotto la recessione. La disoccupazione dovrebbe scendere al 6,1 per cento nel 2012 – l’anno scorso era al 7 – e al 5,3 nel 2013. Anche l’emigrazione all’estero è in calo. L’Islanda, scrive il Wall Street Journal, “grazie alla sua banca centrale autonoma, alle sue decisioni autonome e alla sua valuta ha avuto margini di manovra che i paesi dell’euro possono solo sognarsi. Il suo successo è un grande esempio per capire a cosa hanno rinunciato questi paesi per entrare nell’unione monetaria. E forse è un esempio di cosa potrebbero fare se la abbandonassero”.

Fonte: The Wall Street Journal (da sinistra il valore della corona islandese rispetto al dollaro e la bilancia commerciale islandese negli ultimi anni)

La svalutazione della corona ha facilitato decisamente le esportazioni e il turismo (+16 per cento del 2010, +51 per cento rispetto al 2005). Inoltre, i consumi sono rimasti più o meno stabili. Questo è stato possibile anche grazie a politiche di espansione della spesa, soprattutto per le persone più in difficoltà, per non far calare i consumi e la loro capacità di acquisto. In più, le banche in Islanda, a differenza dell’Irlanda, per esempio, sono state fatte fallire e il costo del loro crollo è stato pagato, almeno per ora, dagli investitori stranieri, non dai cittadini islandesi. Inoltre, c’è stato il blocco dei capitali imposto dallo Stato (misura a cui si oppone l’Europa) che dura ancora oggi e che ha evitato fughe di denaro pericolose.

Un’uscita della Grecia dall’euro, sottolinea però il Wall Street Journal, avrebbe comunque effetti traumatici per il paese, nonostante i benefici e l’aumento delle esportazioni che potrebbe causare il ritorno e dunque la svalutazione della dracma. Questo perché, per esempio, se le esportazioni hanno rappresentato l’anno scorso circa il 59 per cento del PIL dell’Islanda, in Grecia hanno rappresentato il 24 per cento del PIL. Se l’Islanda produce energia elettrica e riscaldamento grazie alla sua energia geotermica, la Grecia dovrà continuare a importare energia principalmente dall’estero, come ha fatto sinora, e con una moneta svalutata i costi sarebbero altissimi.

Fonte: The Wall Street Journal (GDP = PIL, Unemployment rate = tasso di disoccupazione)

Certo, l’Islanda è tuttora più povera rispetto a prima del 2008, c’è stato un calo negli investimenti e c’è chi dice che questa ricetta di risanamento non eviterà un declino a lungo termine, tanto che si parla sempre più della necessità di entrare in futuro in una moneta unica, soprattutto per stabilizzare la corona deprezzata e combattere l’inflazione ancora alta, che sia l’euro (per cui ci sono negoziati con l’Europa da tempo) o addirittura il dollaro canadese. Ma altre nazioni in crisi che hanno già adottato l’euro non hanno un futuro così rassicurante come l’Islanda, che tra l’altro ha cominciato a ripagare le rate del prestito ricevuto dal Fondo Monetario Internazionale già lo scorso marzo, ossia prima del previsto.
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Re: G20, piano per crescita e lavoro

Messaggioda franz il 19/06/2012, 17:29

ranvit ha scritto:Alla Germania nessuno sta chiedendo soldi ma solo un po' di buonsenso (allentamento della cieca osservanza del rigore e un po' piu' di tempo per mettersi in regola)!

No, veramente alla germania si chiedono soldi, per finanziare eurobond ed altre misure di sostegno.
per quanto riguarda l'argentina bisogna vedere se la cresita è nominale o reale, visto il tasso di infalzione
http://www.indexmundi.com/it/argentina/ ... mo%29.html
Idem per l'islanda http://www.indexmundi.com/it/islanda/ta ... mo%29.html
Guardndo i dati procapite (reali, considerata l'inflazione) e PPP l'argentina cresce meno dell'Italia. Il che è tutto dire.
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Re: G20, piano per crescita e lavoro

Messaggioda ranvit il 19/06/2012, 18:39

Alla Germania si sta chiedendo, sintetizzo, di consentire investimenti fuori dal fiscal compact, di accettare eurobond comunitari, e ad unificare il debito pubblico, garantito da tutti, ma con interessi a carico del singolo Paese che lo apporta....
Su Argentina e Islanda....ognuno ha il suo parere...
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Re: G20, piano per crescita e lavoro

Messaggioda ranvit il 19/06/2012, 19:44

D'altra parte non è che la Germania puo' pretendere di prendersi solo il buono dell'euro...per esempio, l'impossibilità per i Paesi deboli di svalutare e conquistare quote di mercato a danno dei piu' forti.

La politica da sola fa danni....ma anche il tecnicismo da solo fa danni. E' necessario trovare i giusti equilibri.
La bozza che segue sembrerebbe un passo avanti.


http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/associata/2012/06/19/Bozza-futuro-Unione-Ue-come-dovra-cambiare_7061164.html

Bozza: su futuro Unione Ue, come dovrà cambiare
19 giugno, 15:57


BERLINO - Come dovrà essere l'Unione europea del futuro: più integrata, più efficace, più visibile. In una bozza del 'gruppo informale di lavoro' dei ministri degli Esteri di 10 paesi europei, si leggono le proposte per i cambiamenti di medio e lungo termine che l'Unione dovrà affrontare per essere all'altezza delle sfide del tempo.

"Nonostante gli intensi sforzi di stabilizzazione e consolidamento, la crisi del debito non è finita - si legge nel documento, di cui L'ANSA è in possesso -. Conseguenze di vasta portata sui mercati finanziari e sull'economia reale restano una minaccia molto concreta". In questo scenario in cui "nazionalismo e populismo crescono mentre solidarietà e senso di appartenenza all'Europa sono in calo", l'Europa deve ripensare procedure e istituzioni. Il documento riflette il 'confronto' in corso fra i ministri di Austria, Belgio, Danimarca, Italia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo e Spagna.
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Re: G20, piano per crescita e lavoro

Messaggioda franz il 19/06/2012, 21:27

ranvit ha scritto:Alla Germania si sta chiedendo, sintetizzo, di consentire investimenti fuori dal fiscal compact, di accettare eurobond comunitari, e ad unificare il debito pubblico, garantito da tutti, ma con interessi a carico del singolo Paese che lo apporta....
Su Argentina e Islanda....ognuno ha il suo parere...

Scusa ma "accettare eurobond" significa accettare che chi ha i soldi sicuri li finanzi.
Cosa che solo i paesi a tripla A possono fare.
Se lo potessero fare i PIIGSlo avrebbero già fatto. ;)
Parere per parere, non vedo milioni di italiani o tedeschi o americani emigrare in argentina.
In compenso molti investitori (anche pensionati italiani) hanno perso i loro investimenti quando l'argentina ha fatto dafault ma chi se ne frega :lol:
Se vogliamo seguire anche noi questa strada (default e ritorno alla Lira) basta dirlo apertamente altrimenti è inutile ammiccare a soluzioni di tipo argentino.
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Re: G20, piano per crescita e lavoro

Messaggioda flaviomob il 20/06/2012, 1:07

Krugman: la Grecia è una vittima dell’euro, può salvarsi solo se cambia qualcosa a Berlino e Francoforte

di Paul Krugman, dal New York Times del 18 giugno 2012.

Da quando la Grecia ha iniziato a colare a picco, se ne sono sentite tante su cosa c’è che non va nel Paese ellenico e in tutto ciò che lo riguarda. Alcune delle accuse sono fondate, altre prive di fondamento, ma nessuna coglie nel segno. Sì, l’economia, la politica e senza dubbio anche la società greca sono caratterizzate da gravi mancanze. Ma non sono quelle mancanze ad aver causato la crisi che sta devastando la Grecia, e che minaccia di estendersi all’Europa intera.

No, l’origine di questo disastro è da ricercarsi molto più a nord, a Bruxelles, Francoforte e Berlino, laddove i funzionari hanno creato un sistema monetario profondamente – e forse inevitabilmente – imperfetto, e hanno poi aggravato i problemi di quel sistema sostituendo all’analisi il moralismo. E la soluzione alla crisi, se esiste, dovrà venire dagli stessi luoghi.


Dunque, tornando alle mancanze della Grecia: è vero che in Grecia ci sono parecchia corruzione ed evasione fiscale, e che il governo greco era solito vivere al di sopra dei propri mezzi. Oltre a questo, la produttività della manodopera in Grecia è bassa rispetto agli standard europei: all’incirca il 25% in meno della media. Vale la pena di sottolineare, però, che la produttività della manodopera, ad esempio in Mississippi, è analogamente bassa rispetto agli standard statunitensi, e in misura più o meno uguale.

D’altra parte, molte delle cose che sentite dire sulla Grecia semplicemente non sono vere. I greci non sono pigri – al contrario, lavorano più ore di quasi tutti gli altri popoli europei e, in particolare, molto di più dei tedeschi. E non è vero che la Grecia ha un sistema di welfare fuori controllo, come i conservatori amano ripetere; il rapporto tra spesa sociale e prodotto interno lordo, che è il criterio standard con cui si misura il peso della spesa sociale in un Paese, è considerevolmente più basso in Grecia di quanto non lo sia, ad esempio, in Svezia o Germania, due Paesi che fino ad oggi hanno resistito piuttosto bene alla crisi europea.

E allora com’è che la Grecia si è ridotta in questo stato? La colpa è dell’euro.

Quindici anni fa la Grecia non era un paradiso ma non era nemmeno in crisi. La disoccupazione era alta ma non a livelli catastrofici, e il Paese più o meno se la cavava sui mercati mondiali, guadagnando da esportazioni, turismo, spedizioni ed altre fonti abbastanza da riuscire a coprire il costo delle proprie importazioni.

Poi la Grecia è entrata nell’euro, ed è successa una cosa terribile: la gente ha iniziato a credere che si trattasse di un buon posto per investire. Capitali stranieri si sono riversati sulla Grecia, in parte a finanziare il debito pubblico; l’economia è esplosa; l’inflazione è salita; e la Grecia è diventata sempre meno competitiva. Certo, i greci hanno scialacquato molto se non quasi tutto il denaro che era rapidamente affluito nel Paese, ma è la stessa cosa che hanno fatto tutti coloro che si sono trovati coinvolti nella bolla dell’euro.

E poi la bolla è scoppiata, e a quel punto i difetti intrinseci dell’intero sistema euro sono divenuti fin troppo evidenti.

Chiedetevi perché l’area del dollaro – nota anche come Stati Uniti d’America – più o meno funziona, senza quel tipo di gravi crisi regionali che ora affliggono l’Europa. La risposta è che negli Stati Uniti abbiamo un governo centrale forte, le cui attività di fatto offrono un salvataggio automatico a quegli Stati che finiscono per essere in difficoltà.

Pensate, per esempio, a cosa starebbe avvenendo adesso in Florida se, a seguito dello scoppio dell’enorme bolla immobiliare, lo Stato della Florida dovesse trovare le risorse per coprire la spesa sociale prendendole dai propri introiti, ora ridotti. Per fortuna della Florida, è il governo di Washington e non quello locale di Tallahassee che sta pagando il conto, il che vuol dire che la Florida sta a tutti gli effetti ricevendo un salvataggio di dimensioni che nessun Paese europeo potrebbe sperare di ricevere.

Oppure, per fare un esempio più lontano nel tempo, pensate alla crisi del risparmio e dei prestiti degli anni ’80, che colpì principalmente il Texas. I contribuenti finirono per pagare un bel po’ di soldi per risolvere il problema, ma la maggior parte di loro si trovavano in Stati diversi dal Texas. Anche in questo caso, lo Stato del Texas ricevette un salvataggio automatico di dimensioni inconcepibili nell’Europa di oggi.

Quindi la Grecia, che pure non è senza peccato, è nei guai soprattutto grazie all’arroganza dei funzionari europei, che provengono in gran parte dai Paesi più ricchi, che si sono convinti di poter far funzionare una moneta unica senza avere un governo unico. E questi stessi funzionari hanno persino peggiorato la situazione insistendo, nonostante l’evidenza, che tutti i problemi della moneta unica sono dovuti al comportamento irresponsabile di quei popoli dell’Europa meridionale, e che tutto si risolverebbe se solo la gente fosse disposta a soffrire un po’ di più.

E arriviamo fino alle elezioni greche di domenica, che hanno finito per non risolvere nulla. La coalizione di governo potrebbe essere riuscita a rimanere al potere, anche se non è chiaro nemmeno quello (il partner di minoranza minaccia di tirarsi indietro dalla coalizione). Ma i greci non possono comunque risolvere la crisi.

L’unico modo in cui si potrebbe – sottolineo potrebbe – salvare l’euro sarebbe che i tedeschi e la Banca Centrale Europea si rendessero conto che sono loro a dover cambiare approccio, spendere di più e, sì, accettare un tasso d’inflazione più alto. Se questo non avviene, allora per farla breve la Grecia resterà nei libri di storia come la vittima della superbia di altri.

http://keynesblog.com/2012/06/19/krugma ... #more-1600


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