da pierodm il 31/08/2008, 0:00
Parliamo di elezioni.
Prodi ha vinto due volte, sostanzialmente in ragione del sistema elettorale, o meglio del sistema bipolare: o si votava il centro-sinistra, o Berlusconi.
Perfino lo stesso Rutelli, che invece ha perduto, ha comunque "raccolto intorno a sé" milioni e milioni di voti.
Nel passato - in una situazione a suo modo anch'essa bipolare nella sostanza, ponendo agl'italiani la scelta di stare dalla parte della sinistra, o da quella della DC - personaggi della più varia e diversa natura, e tutt'altro che carismatici, hanno avuto adesioni esaltanti sul piano numerico.
Questo per dire che, purtroppo, i voti non testimoniano un granché sulla qualità, e nemmeno sull'effettivo gradimento di qualcuno.
Anzi, direi perfino che il criterio dei voti può facilmente essere visto come una testimonianza negativa, un po' come quello che avviene per certe trasmissioni televisive qualitativamente scalcinate, eppure con un'audience altissima.
In particolare, il fatto di raccogliere adesioni da parti diversissime e opposte, significa che non c'è un messaggio chiaro, che non ci sono proposte riformistiche forti che possano spaventare qualcuno, che si è insomma abbastanza anonimi da adattarsi ai gusti di tutti, specialmente di coloro che non hanno tante pretese.
Mi rendo conto che un discorso del genere va ben al di là di Prodi, della situazione italiana e delle nostre piccole faccende, ma investe quella che è una vera e propria crisi della democrazia, ovvero uno dei suoi punti deboli, che si è reso evidente soprattutto negli ultimi venti, venticinque anni - e che non è messo in evidenza soltanto da certi "estremisti" oggi, ma è stato analizzato e previsto in tempi non sospetti dalla sociologia politica, prima che la sociologia stessa diventasse uno strumento ad uso del marketing commerciale.
Del resto, come si potrebbe pensare che una società di consumatori e di telespettatori, che ingoiano le peggiori fregature, che comprano in milioni di copie giornali-spazzatura, che formano la massa gagliarda del turismo sporcaccione più demenziale, diventino improvvisamente cittadini capaci di scelte credibili e responsabili in materia politica?
O vogliamo dire che l'approssimazione o l'ammasso delle menti e dei gusti, della capacità di giudizio, alimenti soltanto l'elettorato berlusconiano?
Fare del marketing elettorale - oltre tutto, spesso mal fatto - e basarsi su questo per la valutazione politica è un disastro: è una caricatura della democrazia, che riduce il sistema politico ad uno straccio, o ad una solenne e certificata fregatura.
Tanto per dirne una: il criterio del "gradimento" porta a che come Presidente di stato diventi un ex-culturista, in California, o un ministro-velina, come in Italia.
A questo punto, vediamo che presidente e ministro "governano" decentemente, o comunque non peggio degli avvocaticchi o degli economisti professionisti della politica. Cosa francamente curiosa, anche se teoricamente non impossibile.
Viene allora il sospetto che il governo effettivo, nel succedersi delle cariche elettive, non stia nelle mani degli avvocaticchi, degli economisti o delle veline, ma di altri. Nelle mani di chi? Non lo sappiamo. Certamente non in quelle di chi viene eletto, con tutta la grancassa elettorale e le elucubrazioni sui programmi, etc etc.
Ora, tutto ciò dovrebbe indurre a pensare che, quando si parla di riforma della politica, il problema di gran lunga più essenziale è quello del "potere", oltre all'analisi della società, ossia della natura e della consapevolezza del "sovrano", vale a dire di quel popolo al quale ci si appella elettoralmente.
Invece, sembra che tutta la grande riforma consista nel fondare nuove sigle e nuovi partiti: se, poi, alle elezioni si vince, gloria al leaderino di turno; se si perde, la colpa è sempre degli altri, tutti contro tutti.