Sono d'accordo sul coro a troppe voci e su una certa inconsistenza. Però questo secondo me è un valore. Il confronto tra opinioni diverse di uomini liberi può produrre effetti positivi. Non credo che sia positivo il pensiero unico inculcato dal capo ai suoi sostenitori, soldatini allineati e coperti, incapaci di analisi critica.
Hai assolutamente e totalmente ragione, se applichiamo questo concetto all'intera società.
Ma, quando si tratta di un partito, bisogna intendersi meglio.
Un partito esiste, ha un senso, se ha (se è) un insieme di idee e di valori comuni a tutti coloro che ne fanno parte: differenze possono e devono esistere sul piano tattico, sulla scelta eventualmente dei dirigenti, sui tempi, su valutazioni non dico marginali ma certamente non fondamentali - o meglio, è fisiologica una divisione su questioni fondamentali in via eccezionale, di fronte ad eventi eccezionali.
Quando dico "questioni fondamentali" non penso necessariamente a questioni di vita o di morte, o a catastrofi epocali che impongono un reset generale.
Penso a questioni che si usa considerare dirimenti in tutte le democrazie occidentali: la laicità, l'interventismo bellico, la scelta se guardare all'economia dal punto di vista dei lavoratori o del capitale, l'assetto istituzionale, etc.
Naturalmente non è detto che esista una posizione chiara, netta e univoca fin dalla formazione iniziale del partito, dato che le cose si possono mettere a punto in corso d'opera attraverso quel confronto di cui tu parlavi, su uno o l'altro dei temi sul tappeto. Ma sempre se si tratta di cercare il modo migliore di concretizzare sul piano politico quei presupposti comuni che formano il background del partito.
Non credo, invece, che sia possibile che un partito si definisca tale se in esso convivono coloro che vorrebbero la monarchia con quelli che desiderano il presidenzialismo, e con quelli che sono per un rigido parlamentarismo, e quelli che credono nello stato centrale con i federalisti, chi mette al centro l'appartenenza cattolica con gli atei, i laici, i clericali, chi crede nelle "guerre sante" e chi è pacifista, chi guarda all'economia dal punto di vista dei lavoratori e chi da quello delle banche e dei capitali, chi da quello dei ricchi, chi dei poveri, chi della classe media, chi pensa che Mani pulite sia stato un bene e chi pensa che sia stato uno scandalo, etc
Queste sono contrapposizioni che possono e debbono essere conciliate nell'arco dell'intera scena politica, non all'interno di uno stesso partito: tut'al più è bene accettabile che ci siano correnti di pensiero che mettono a fuoco un problema essenziale e spingano perché il partito faccia sua la visione che tale corrente giudica più giusta.
Ma una cosa del genere non può riguardare l'intera gamma dei problemi e delle scelte del partito, come avviene in questo PD, dove francamente ci si trova di tutto: e poi, se fosse un fenomeno di tanto valore, non si spiegherebbe come mai il partito/coalizione è in così grave crisi da quindici anni in qua.
E infine una considerazione molto soggettiva.
Nel vecchio PCI non mi sono mai sentito "vincolato" e tanto meno "represso" nella mia libertà di pensiero, ma è anche vero che non mi sono mai proposto nemmeno come segretario di sezione, in quanto sapevo bene che non avrei mai potuto esercitare il ruolo di interprete della "linea" del partito: intendo dire che la libertà intellettuale è troppo importante e troppo personale per misurarla sui tempi e sui modi della politica.