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La vulgata

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Re: La vulgata

Messaggioda pierodm il 07/08/2010, 11:27

Non è per niente vero che "siamo tutti abbastanza d'accordo": le differenze che si manifestano all'interno del PD, o più modestamente all'interno di questo forum, sarebbero sufficienti a distinguere due poli quasi opposti e conflittuali.
Quindici anni di berlusconismo hanno prodotto, tra l'altro, anche la sensazione che basti avere un millilitro in più di buon gusto e di consistenza culturale per essere assimilabili politicamente, essere appunto "abbastanza d'accordo".
Non è così. Naturalmente. Evidentemente.

Quando - come in uno dei messaggi precedenti di Franz - si dice che di base pero' solo l'imprenditore rischia del suo (tramite l'investimento privato) e rischia di fallire si esplicita un punto di vista che non è assolutamente compatibile con una visione liberal-socialista o genericamente progressista: innanzi tutto perché in questa visione l'unico valore preso in considerazione è il capitale, cioè i soldi, in secondo luogo perché gli unici soldi, gli unici interessi economici considerati sono quelli del capitalista investitore, e il "fallimento" sociale, esistenziale, politico, umano connesso ad altre dimensioni del fenomeno economico e lavorativo non viene nemmeno preso in considerazione.
Una concezione della democrazia su queste basi non è di sinistra, non è di "centro", ma è semplicemente di destra: una vecchia, esplicita destra capitalista e aziendalista.

Ovviamente anche altri concetti che discendono da questo genere d'impostazione confermano la natura di una tale posizione politica: l'impatto sociale delle scelte capitalistiche e imprenditoriali, che determina probabilmente più della politica vera e propria la qualità e le scelte della vita dell'intera società, non viene nemmeno preso in considerazione - se non quando si tratta di tessere elogi, qualche volta non esattamente giustificati ma invece ampiamente discutibili.
Tutto ciò non è cosa nuova, e nemmeno politicamente e ideologicamente assurda: ci conviviamo da più di duecento anni, e sotto altri aspetti da molti secoli. Ha una sua logica e una sua coerenza, e una sua efficacia.
Basta però chiarire di che cosa si tratta: dire che è "destra capitalistica e aziendalistica" non serve a crocifiggerne i sostenitori, ma a far rifletteere sul fatto che non c'è nessun bisogno di creare un "polo progressista" per applicarne i principi, e che anzi una formazione politica fondata su tali basi non solo non è "di sinistra" ma nemmeno di centro-sinistra.
Che cosa sia, in realtà, non saprei definire, ma sicuramente non mi trova "abbastanza d'accordo".
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Re: La vulgata

Messaggioda ranvit il 07/08/2010, 12:17

Effettivamente tra gli elettori dell'attuale Pd ci sono due poli....in altro 3d dico :
> Riprendendo il mio post precedente, desidero far notare che la mia impostazione si rifà all'Ulivo dei primi tempi ....assolutamente in linea quindi con questo forum.
Sono semmai altri che devono chiedersi cosa ci fanno qui....

Francamente....di "sinistri" ancorati alle logiche masochistiche (nel senso di desiderio inconscio di eterna opposizione) di un'epoca passata (le condizioni sociali e politiche erano profondamente diverse), ne abbiamo le scatole piene, anzi pienissime!<


D'altra parte quando ho scritto che siamo tutti abbastanza d'accordo mi riferivo al desiderio di giustizia sociale etc etc....mica al fatto che la pensiamo tutti allo stesso modo su tutto.
Il punto è che spesso le parole non corrispondono ai contenuti...e soprattutto che le "ricette" sono poi alquanto diverse.
Un esempio : a rischiare in una impresa è soltanto l'imprenditore. Non è un'affermazione di destra ma semplicemente una constatazione delle leggi e regole dell'economia liberale....o capitalistica se si preferisce. Ma ne esiste forse qualcun altra?
Va subito ricordato infatti che la salvaguardia del diritto ad un reddito minimo di sopravvivenza non è un compito dell'imprenditore, ma dello Stato.
E' anche lo Stato che deve imporre le regole dell'esercizio d'impresa....è qui che si vede (per chi ha occhi non coperti dalle fette di prosciutto delle ideologie) se la gestione della cosa pubblica è di destra o di sinistra. Per quanto oggigiorno le differenze si sono ampiamente attenuate....non siamo piu' all'inizio dell'industrializzazione; in particolare il XX secolo è finito da un bel po'.

Vittorio
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Re: La vulgata

Messaggioda franz il 07/08/2010, 14:06

pierodm ha scritto:Quando - come in uno dei messaggi precedenti di Franz - si dice che di base pero' solo l'imprenditore rischia del suo (tramite l'investimento privato) e rischia di fallire si esplicita un punto di vista che non è assolutamente compatibile con una visione liberal-socialista o genericamente progressista: innanzi tutto perché in questa visione l'unico valore preso in considerazione è il capitale, cioè i soldi, in secondo luogo perché gli unici soldi, gli unici interessi economici considerati sono quelli del capitalista investitore, e il "fallimento" sociale, esistenziale, politico, umano connesso ad altre dimensioni del fenomeno economico e lavorativo non viene nemmeno preso in considerazione.
Una concezione della democrazia su queste basi non è di sinistra, non è di "centro", ma è semplicemente di destra: una vecchia, esplicita destra capitalista e aziendalista.

E invece ti sbagli di grosso. Non è vero affatto (se non nella tua particolare e personale visione) che "l'unico valore preso in considerazione è il capitale" perché chi sa fare impresa sa che i soldi non bastano ma occorre anche un "saper fare impresa" che è know-how non a disposizione di tutti ed è un valore importantissimo. E non è questa una conoscenza del solo mega industriale ma si ritrova parallelamente nell'artigiano, il semplice calzolaio, falegname, idraulico fino al grande imprenditore di successo. Pur essendo estesa a qualche milione di persone, non si puo' pretendere che tutti, per indole o per cultura, abbiano le competenze necessarie per fare impresa. Vero quindi che serve il saper fare impresa e che servono i soldi. Un cosa così nota ed evidente che ho ritenuto inutile specificarla, cosi' come ho dimenticato di chiarire che ogni tanto l'imprenditore deve, come tutti, respirare e battere le ciglia. Ma sapendo che dando un milione di euro ad un incapace non sapra' certo fare impresa e che uno capace rimane al palo se non ha soldi, rimane il fatto che uno che abbia entrambe le condizioni (capacità d'impresa e capitali) rischia del suo, e solo lui, come ho detto. E questa non è una pericolosa visione di destra (salvo che nell' URSS di una volta, ora in Russia e Cina hanno cambiato idea) ma è la visione corrente che ormai tutti danno per acquisita tranne alcuni dinosauri in pre-estinzione.

Sul fatto che poi i rischi degli altri soggetti non siano stati menzionati è perché normalmente questi rischi sono assorbiti (nei paesi diversi da Italia, Portogallo e Grecia) da un ampio ed articolato sistema di garanzie sociali, fatto di ammortizzatori sociali, leggi severe per prevenire i fallimenti a catena (come il fallimento quando i debiti superano la metà del capitale sociale) ed assicurazioni, private e/o sociali, che servono appunto a mettersi al riparo da certi rischi.
E questa visione della tutela dei rischi sociali a sua volta non èesclusiva della visione della sinistra ma è, nei paesi dell'europa continentale, patrimonio comune delle visioni liberali, cristiane e di quelle socialdemocratiche.
Una rapida verifica puo' invece confermare chiunque che il rischio d'impresa non è assicurabile in alcun modo.
Uno puo' assicurarsi per le malattie, gli infortuni, la perdita di guadagno o del lavoro, la vita, danni, furto ed incendio a beni e materiali, ma a parte un'assicurazione inerente i rischi del commercio intrnazionale non esiste chi assicuri il rischio d'impresa. Vero è che se il reddito d'impresa diventa esiguo allora tanto vale chiudere baracca e burattini e cercare di vinvere di rendita comprando (per chi ha i soldi) titoli di debito pubblico, che forse rendono di piu' e che non possono fallire. In effetti in caso di ventilato fallimento, intervengono le banche centrali, come con la Grecia.
Tanto di cappello quindi a chi oggi osa ancora rischiare di fare impresa.
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Re: La vulgata

Messaggioda pierodm il 07/08/2010, 18:06

Ah! Maledetto Altan! Gli bastano un paio delle sue figurette leggendarie un ombrellino rosso e due battute per esprimere una sintesi perfetta del Marchionne-pensiero. Noi siamo costretti a ricorrere a parole ridondanti il cui senso ultimo si stinge sempre più malinconicamente. Ed eccoci di nuovo a tentare di ridare corpo ad una delle copie di termini più abusate e più equivoche del linguaggio giuridico-sociale: diritti/doveri. Il capitalismo cambia, si trasforma, si espande, subisce mutazioni genetiche nel senso di metastasi finanziarie, ma il linguaggio del funzionario del capitale non cambia. Ai lavoratori dipendenti che subiscono i costi di tutte le crisi, che vedono erodersi il potere d'acquisto del loro già magro salario, che perdono il lavoro e che quando gli va bene arrivano a fatica a fine mese, il grande manager parla di doveri. Parliamone dunque di questi doveri. Cominciamo dalla madre di tutti i doveri che potrebbe essere posta in testa ad una seria e credibile carta dei doveri: "È dovere di ogni società che si voglia democratica assicurare ad ogni suo cittadino un lavoro consono alle sue capacità per garantirgli un'esistenza prospera e dignitosa. A questo dovere potrebbe seguire quest'altro: "è dovere di ogni cittadino che scelga di dedicarsi ad un impresa garantire ai suoi dipendenti un lavoro rispettoso della sua dignità di essere umano ad un salario atto a procurare al dipendente stesso una vita prospera e serena.". Anche questi sono doveri sociali ed individuali che corrispondono a diritti. Eppure di questi doveri i novelli Mazzini non amano mai parlare. I doveri civili e sociali dell'imprenditore, il quale, forse bisognerebbe rammemorarglielo, prima di essere capitano d'azienda è uomo e cittadino. È troppo sperare che un concetto così semplice si faccia strada nella cultura di impresa?

Ho trovato questo testo sul monitor, già aperto da Sonia che evidenetemente lo stava leggendo.
E'Un articolo dell'Unità, credo di Moni Ovadia, ma potrebbe o dovrebbe - secondo me - essere di chiunque abbia una sia pur vaga inclinazione di pensiero progressista.

Credo che, almeno in parte risponda ai tuoi argomenti, poiché ripete con parole diverse ciò che invano ho tentato di spiegare.
di base pero' solo l'imprenditore rischia del suo (tramite l'investimento privato) e rischia di fallire : quando si dice questo, citando espressamente l'investimento, si presume che s'intenda investimento di soldi, e il senso della frase è chiaramente quello di dire che "il suo" di ciascun attore economico sono appunto gl'investimenti, di soldi.
Perciò è del tutto fuori luogo tutta la tirata che comincia con i soldi non bastano ma occorre anche un "saper fare impresa" che è know-how non a disposizione di tutti ed è un valore importantissimo.
E, già che ci siamo aggiungo che basta e avanza l'agiografia che stai facendo da tempo delle gloriose virtù dell'azienda e dell'intraprenditore: non solo l'abbiamo capito, ma in realtà nessuno mette in dubbio che per fare impresa ci voglia la capacità di fare impresa.
Quello di cui si stava tentando di parlare era altro.
Ma non fa niente.
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Re: La vulgata

Messaggioda franz il 07/08/2010, 18:28

Moni Ovadia ha scritto:"è dovere di ogni cittadino che scelga di dedicarsi ad un impresa garantire ai suoi dipendenti un lavoro rispettoso della sua dignità di essere umano ad un salario atto a procurare al dipendente stesso una vita prospera e serena.".
Quello di cui si stava tentando di parlare era altro.

Verissimo e dove lo stato, con le tassazioni e regole limitate nonché ottimi servizi permette ed agevola l'impresa e tutto questo, io vedo che gli imprenditori possono adempiere a questo dovere. Quello che non riesco far capire a chi non vuole capire (quindi è fatica inutile) è che invece dove lo Stato pone regole (troppe, onerose e costose) il risultato è uno svilimento dell'impresa e l'impossibilità a seguire quell'imperativo morale ed un ingrassare delle caste e delle rendite.
Pierodm ha scritto:Ma non fa niente.

Ecco, qui concordo. Non fa niente. Tanto la famosa carota a cui alludevi rimene in orifizi non miei e quindi chi ha capito ha capito (e sono tanti in Italia e anche su questo forum) e chi non vuole capire "fa niente". Vuol dire che gradisce.

Franz
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Re: La vulgata

Messaggioda ranvit il 07/08/2010, 18:59

E' inutile....fa niente....

D'altra parte iI piagnisteo sui deboli oppressi etc etc (sono almeno 50 anni che sento sempre le stesse cose ma mai che si sia realmente operato per superarlo....almeno nei limiti che fatto in tutti gli altri Paessi europei) è un tantra tipico di chi poi, in sostanza, non è capace di risolvere i problemi .....o, peggio, tutto sommato gli sta bene cosi' : ne ricava un godimento quasi sessuale a sentirsi l'unico che capisce tutto.

Come dicevo in altro post, bisogna "scartare" il 20% dell'elettorato e puntare al 41% del rimanente....

Vittorio
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Re: La vulgata

Messaggioda chango il 07/08/2010, 19:26

franz ha scritto:Verissimo e dove lo stato, con le tassazioni e regole limitate nonché ottimi servizi permette ed agevola l'impresa e tutto questo, io vedo che gli imprenditori possono adempiere a questo dovere. Quello che non riesco far capire a chi non vuole capire (quindi è fatica inutile) è che invece dove lo Stato pone regole (troppe, onerose e costose) il risultato è uno svilimento dell'impresa e l'impossibilità a seguire quell'imperativo morale ed un ingrassare delle caste e delle rendite.


dare la colpa soltanto allo Stato mi pare troppo facile e anche comodo.
molto spesso sono le imprese stesse, a presciendere dalla quantità e qualità delle norme statali, che provano a evitare questo imperativo morale.
in Italia ci saranno troppe leggi, ma anche una classe imprenditoriale che ha deciso che il modo migliore per competere era esclusivamente nel contenimento del costo del lavoro.
se gli imprenditori avessero perso lo stesso tempo a fare pressioni relativamente ai costi della burocrazia, dell'energia, della logistica, che hanno perso per ottenere la compressione del costo del lavoro, forse la situazione economica dell'Italia sarebbe un pochino migliore.
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Re: La vulgata

Messaggioda franz il 07/08/2010, 21:41

chango ha scritto:in Italia ci saranno troppe leggi, ma anche una classe imprenditoriale che ha deciso che il modo migliore per competere era esclusivamente nel contenimento del costo del lavoro.
se gli imprenditori avessero perso lo stesso tempo a fare pressioni relativamente ai costi della burocrazia, dell'energia, della logistica, che hanno perso per ottenere la compressione del costo del lavoro, forse la situazione economica dell'Italia sarebbe un pochino migliore.

Evidentemente se tutte le altre strade sono precluse (perché per la buricrazia ci sno ovviamente le preoccupazuioni sindacali sui "livelli occupazionali") ecco che rimane quella del costo del lavoro (che è oggettivamente tra i piu' alti, dati OCSE alla mano). Prodi, che aveva una visione politica ben diversa da quella della casta statalista (e per questo è stato disascionato prima da Bertinotti e poi da Mastella) infatti propose la diminuzione di 5 punti del cuneo fiscale. Poco ma il minimo che potesse essere fatto.
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Re: La vulgata

Messaggioda chango il 08/08/2010, 11:23

franz ha scritto:Evidentemente se tutte le altre strade sono precluse (perché per la buricrazia ci sno ovviamente le preoccupazuioni sindacali sui "livelli occupazionali") ecco che rimane quella del costo del lavoro (che è oggettivamente tra i piu' alti, dati OCSE alla mano). Prodi, che aveva una visione politica ben diversa da quella della casta statalista (e per questo è stato disascionato prima da Bertinotti e poi da Mastella) infatti propose la diminuzione di 5 punti del cuneo fiscale. Poco ma il minimo che potesse essere fatto.
Franz


veramente le altre strade non si è neppure preferito percorrerle. le ultime semplificazioni amminsitrative di qualche rilievo in questo paese sono quelle di Bassanini (fine anni novanta).

abbiamo un mondo imprenditoriale che dà credito a Tremonti quando sostiene che per semplificare bisogna modificare un articolo della Costituzione, quando in realtà basta abolire/modificare delle normalissime leggi oridinarie se non dei regolamenti. tutte riforme a costo zero e che non mettono in discussione nessun livello occupazionale e che richiedono al massimo una procedura legislativa ordinaria e non un iter di modifica costituzionale.
preferiscono dare credito a chi nasconde dietro a delle cazzate la propria mancanza di volontà politica.

Prodi avrà pure avuto una visione diversa dalla classe statalista, ma le imprese non è che abbiano apprezato (in termini di consenso) la riduzione dei 5 punti del cuneo fiscale.

più che colpe dello Stato, mi pare che sia notevole la mancaza di cultura imprenditoriale e il basso livello degli imprenditori italiani.
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Re: La vulgata

Messaggioda pierodm il 08/08/2010, 12:28

Quello che è l'aziendalismo e la "cultura d'impresa" italiana è stato analizzato e definito da gran tempo in una copiosa letteratura e pubblicistica.
Scindere, per altro, un giudizio sull'intera società italiana da una valutazione dedicata esclusivamente all'Imprenditoria è cosa non solo impossibile ma inutile e pretestuosa: l'imprenditoria italiana, così come i singoli imprenditori e gli attori economici, fanno parte integrante della società stessa, nel bene e nel male, e non sono quindi un'entità speciale la cui salubrità viene insidiata da uno "Stato" invasore iniquo o da oscure forze sociali incolte e traditrici.
Forse sarebbe esageratamente punitivo per quel ristretto gruppo di "giusti" che pure esiste nel campo economico italiano - dai rarissimi grandi capitalisti ai tenti piccoli imprenditori e artigiani - dire che il ruolo di oggettiva "classe dirigente" e di "motore economico" ricoperto dall'imprenditoria italiana non corrisponde minimamente ad un tentativo di assumersi la responsabilità che tale ruolo comporta: tutto sommato, anche i "giusti" si sono limitati ad esserlo nel loro esclusivo settore di competenza, ma con uno scarsissimo senso della socialità e del valore politico della propria stessa impresa.
Un valore politico che, invece, viene preteso dalle organizzazioni sindacali e dalle forze sociali, anche laddove sono considerate attori economici, e quindi anch'essi in diritto - secondo la scuola liberista - di essere svincolati dalla responsabilità di una "missione" che non sia quella del proprio esclusivo interesse - o presunto tale.

Quanto al fatto che in Italia ci sia stato un eccesso di statalismo, è vero solo in parziale apparenza.
Quello che c'è stato - e c'è ancora, in salsa di seconda repubblica - è in realtà un'anarchia corporativa, nella quale lo Stato non ha imposto una propria autorità, una propria visione, o un programma di politica economica, o un progetto di società: chi aveva un potere, qualunque tipo di potere contrattuale, lo ha esercitato nel proprio immediato interesse, e lo Stato ha legiferato per legalizzarlo, accumulando leggi, leggine e regolamenti applicativi spesso incoerenti tra loro.
Ci sono interi settori che per decenni sono rimasti extra legem, o regolati secondo normative risalenti all'inizio del '900, perché non c'era nessuna corporazione unita o sufficientemente potente (o intelligente, perfino) a fare pressioni per porre rimedio alla situazione.
Naturalmente ci sono stati momenti nei quali il potere contrattuale di un attore sociale ha corrisposto ad un'effettiva necessità di intervento e di modernizzazione: per esempio, lo Statuto dei lavoratori attuato dai socialisti, che - preso in sé - fu un elemento di effettiva democratizzazione della nostra società, in linea con spinte analoghe che c'erano state o si verificavano in quegli stessi anni in altri paesi occidentali industrializzati.
Ma una legge in sé, per quanto positiva, non basta. Anzi, può facilmente degradarsi a una farsa, o a un fattore negativo, in un quadro socio-economico anarchico e corporativo.

Per la verità, da quel che si vede, anche il federalismo tende a riproporre lo stesso schema: autorità pubblica debole, interessi corporativi o localistici forti e contraddittori.
Naturalmente, bisogna stare attenti a non scambiare l'arroganza per forza, o autorità: lo Stato debole è sempre arrogante, specialmente con chi ha meno possibilità di difendersi, con chi non appartiene alle corporazioni dotate di qualche potere.

Ma, tornando a noi, è scandaloso che il mondo economico e imprenditoriale si chiami fuori - o sia chiamato fuori - dal discorso delle responsabilità: non solo quelle "di rimbalzo", ma quelle etiche e quelle politiche, e che le colpe siano scaricate sempre e soltanto sulla "politica", come se fosse una forza perfida e insidiosa dietro e dentro la quale ci sono tutti "gli altri". Col sottinteso che, quando si dice "politica", s'intende soprattutto, in definitiva, la sinistra.
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