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A scuola di democrazia

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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda franz il 12/07/2010, 23:15

soniadf ha scritto:Tornando all’origine del discorso, io volevo solo sottolineare come ormai le diseguaglianze economiche sono esattamente sovrapponibili alla carenza di diritti democratici, come la democrazia politica non possa esistere senza la democrazia economica.

Mi manca una definizione di democrazia economica. È un concetto nuovo. Sempre che non sia uno vecchio rivesti to di nuovo.
Spero che non ci si riferisca solo al guru (anzi "baba") Prabhat Ranjan Sarkar.
La democrazia è una crazia, quindi una forma di governo. Adatta alla polis, intesa come insieme delle decisioni ufficliali prese dalla collettività attorno alle questioni che si è deciso di rendere collettive (pubbliche). Una crazia dell'economia, intesa come forma di governo dell'economia, come scelte collettive attorno a temi economici la vedo difficilmente praticabile. Già bisognerebbe delimitare bene l'area. Si cosa si decide? Su tutto o solo su alcune cose? Quali? Le macchine devono essere gratis ed il nostro stipendio lo votiamo ogni 4 anni? La democrazia economica si sostituisce al mercato? La democrazia politica già oggi puo' prendere decisioni errate (ne abbiamo un ricco esempio) ma se si prendono decisioni errate in campo economico, che fine fanno 6 miliardi e mezzo di persone?
Comunque sulla presunta sovrapposizione credo che tu abbia torto. Le maggiori disugualianze ci sono neui paesi poveri e dittartoriali. Maggiore lo sviluppo economico e maggiore la storia democratica di un paese, migliore è la distribuzione della ricchezza e del reddito. Di recente si parla va proprio qui dell'indice di gini. viewtopic.php?p=25840#p25840
Mi sembra prorio che pur tra le differenze che ci sono in occidente, la disegualianza in Itaila sia inferiore alla turchia o al messico (non ho lo studio completo ma possiamo immaginare nel terzo e quarto mondo) e che poi ci sia un altro modo (poco gradito) di ottenere la perfetta ugualianza: una popolazione tutta povera. 2000 anni fa c'era una perfetta ugualianza, salvo qualche rasissima eccezione fatta di imperatori e consoli. Non rimpiangiamo.

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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda pierodm il 13/07/2010, 0:32

E' stupefacente apprendere che il concetto di "democrazia economica" sia tanto arduo.
La democrazia che tanto sta a cuore dei super-liberali nasce come connessione indissolubile tra libertà politiche e libertà economiche: naturalmente in tempi nei quali la borghesia era una classe ristretta, che non faceva molte differenze tra il proprio potere e la propria libertà nel campo degli affari e quello nl campo dei diritti sociali e personali.
I problemi - sia quelli trattati qui ora, sia tanti altri - nascono quando la democrazia è diventata universale.
Visto che si era parlato di "alternative", io direi che già da un bel pezzo stiamo già vivendo in un'alternativa alla democrazia: solo che nessuno si è preso la briga di cambiare nome, e anzi molti fanno i capitomboli mentali per dimostrare che nulla è cambiato nella sostanza, che a stringere siamo sempre al tempo di Jefferson e che tutti - come popolo - siamo sovrani di noi stessi e della nazione, anzi del mondo.
Incidentalmente farei presente a Franz che non serve rifare la lezioncina su cosa sono le aziende, cosa sono i dipendenti, etc, ogni volta che qualcuno argomenta in materia economica: non è proprio un oltraggio di quelli che provocano "espiazioni", ma suona male, come se gl'interlocutori fossero dei coglioncelli che non hanno superato gli esami di terza media.
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda franz il 13/07/2010, 8:40

pierodm ha scritto:E' stupefacente apprendere che il concetto di "democrazia economica" sia tanto arduo.
La democrazia che tanto sta a cuore dei super-liberali nasce come connessione indissolubile tra libertà politiche e libertà economiche: naturalmente in tempi nei quali la borghesia era una classe ristretta, che non faceva molte differenze tra il proprio potere e la propria libertà nel campo degli affari e quello nl campo dei diritti sociali e personali.
...
Incidentalmente farei presente a Franz che non serve rifare la lezioncina su cosa sono le aziende, cosa sono i dipendenti, etc, ogni volta che qualcuno argomenta in materia economica: non è proprio un oltraggio di quelli che provocano "espiazioni", ma suona male, come se gl'interlocutori fossero dei coglioncelli che non hanno superato gli esami di terza media.

L'idea di una "crazia" diretta dell'economia mi pare decisamente aliena ai pensatori liberali (che sostengono diritti economici individuali, non collettivi) ed invece patrimonio del movimento socialista e cattolico, con le loro varie diramazioni. Ma non vorrei approfondire, perché altrimenti passo per chi vuole fare la "lezioncina ai coglioncelli", cosa che tuttavia mi pare che anche Pierodm ami fare ("naturalmente in tempi nei quali la borghesia era una classe ristretta, che non faceva molte differenze...").
Tornando alla democrazia economica, wikipedia (nel bene o nel male una prima fotenti partenza) ci spiega questo:

http://it.wikipedia.org/wiki/Democrazia_economica

PROUT
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
(Reindirizzamento da Democrazia economica)
Vai a: Navigazione, cerca

PROUT è l'acronimo per PROgressive Utilization Theory o Socialismo Progressista. È una teoria economica proposta dal filosofo indiano Prabhat Ranjan Sarkar.

L'economia proutista è una forma di economia decentrata e cooperativa, che guarda al benessere collettivo più che al profitto individuale, basata sulla cooperazione ma senza trascurare l'incentivazione dei meriti degli individui. È una economia non basata sul profitto immediato: al contrario sostiene di poter costruire il futuro collettivo.

Sostiene la massima utilizzazione delle risorse contro gli sprechi di ogni tipo, la valorizzazione dell'intelligenza umana, l'opposizione al consumismo, l'utilizzo di forme di energia e di sviluppi industriali che riducano i costi sociali presenti e futuri, e il diritto degli individui di decidere in campo economico, contro ogni monopolio economico e capitalismo di stato.

Dalla applicazione dei principi economici del PROUT e in particolare dei Principi Fondamentali del PROUT derivano i concetti di Democrazia economica e la politica economica esposta in seguito nei suoi punti fondamentali.

Il resto nella scheda, che vi invito a leggere. Quasi tutte le pagine trovate con Google cercando "democrazia economica" portano al PROUT.
Un solo primo commento: quando un filosofo si occupa di economia, se qualcuno li segue si preparano futuri disastri.
Lo abbiamo già visto con un filosofo che sembrava assai piu' preparato ma che in fondo si è dimostrato che di economia capiva ben poco. Tra l'altro i disastri, ma su piccola scala, si verificano anche quando gli economisti si occupano d'impresa (management diretto). Si narra la storia (forse leggenda metropolitana) di un decano di macroeconomia che eredita un chiosco da una vecchia zia e lo fa fallire in sei mesi.
Come si dice a Milano: Ofelè fa el to mesté. Chissà se in India c'è un proverbio equivalente ;)

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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda ranvit il 13/07/2010, 9:23

soniadf ha scritto:Tornando all’origine del discorso, io volevo solo sottolineare come ormai le diseguaglianze economiche sono esattamente sovrapponibili alla carenza di diritti democratici, come la democrazia politica non possa esistere senza la democrazia economica. Ed è facile individuare chi va verso la costruzione di regole che favoriscono la democrazia economica e chi si adopera per perpetuare meccanismi distorsivi del mercato. Quello che non capisco è questo giustificazionismo ad oltranza per condotte economiche antisociali, quando persino le imprese hanno di recente introdotto il cosidetto “Bilancio Sociale”, che è una vaga forma di rendiconto sull’impatto della propria impresa sul tessuto sociale che la ospita.
Lo stato democratico dovrebbe sostenere l’intero quadro in una sorta di equilibrio che favorisca gli interessi di tutti e mitighi lo strapotere di alcuni.
Da questi principi primitivi, noti nei porcili e nei canili di tutto il mondo, siamo arrivati a un governo che favorisce l’illegalità, che vara provvedimenti a favore dei potenti, ecc. ecc., e trova sempre qualcuno disposto a metterla sul piano della legittimità dei profitti, del business is business, del pareggio di bilancio, della supertassazione. Che c’entra?

Soniadf


Sembra un dialogo tra sordi....
Vorrei ricordare che stiamo su un forum di centrosinistra e che quindi siamo, in partenza, già tutti d'accordo sulle cose che dice soniadf. Come siamo tutti d'accordo sul giudizio ampiamente negativo verso questo governo.

Il punto è l'azione pratica che si intende svolgere per contribuire al raggiungimento di un sistema piu' equo e giusto.

Come dico in altri 3d,credo che il problema sia legato alla cialtroneria plebea delle classi dirigenti italiane, tutte.
Di destra e di sinistra. A loro volta determinate da una storia millenaria : il ruolo della Chiesa (fondamentale nel tenere divisi gli italiani e nel bloccare qualsiasi tentativo di affermazione delle idee liberali e socialiste), della geografia (la penisola come un cul de sac fuori dai grandi movimenti europei sia economici che culturali), dei Borboni, dello Stato piemontese...e poi della Dc, del Pci, etc


Se questa è la situazione soffermarsi ancora ed ancora solo e soltanto sugli imprenditori cattivi, sui poteri forti, sul Berlusconi cattivo etc etc, mi sembra solo un esercizio di autolesionismo (del resto tipico di tanta sinistra italiana).

Ritengo invece che bisogna far sentire ai "nostri" dirigenti tutto il nostro disappunto ed indignazione per l'incapacità di interpretare i bisogni e le aspirazioni dei cittadini di questo benedetto Paese, causa prima delle continue sconfitte elettorali.
Meglio ancora, invitandoli a farsi da parte e consentire un ricambio massiccio del personale politico.

Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda franz il 13/07/2010, 10:18

ranvit ha scritto:Sembra un dialogo tra sordi....
Vorrei ricordare che stiamo su un forum di centrosinistra e che quindi siamo, in partenza, già tutti d'accordo sulle cose che dice soniadf. Come siamo tutti d'accordo sul giudizio ampiamente negativo verso questo governo.

Essere genericamente d'accordo non ci porta da nessuna parte, perché la politica non puo' essere generica.
Quando si tratta di decidere, agire, fare, la generictà non ci è di aiuto.

Servono invece concetti concreti e se permetti io con quel "le diseguaglianze economiche sono esattamente sovrapponibili alla carenza di diritti democratici, come la democrazia politica non possa esistere senza la democrazia economica" non sono affatto d'accordo, soprattutto sulla seconda parte della frase. Quindi il "tutti" è impreciso.
Per me, su scala globale, le disugualianze economiche sono inferiori (impossibile azzerarle) dove sono maggiori i diritti democratici e la politica lascia sviluppare l'economia da lungo tempo senza imbrigliarla (paesi aed economia "free") o facendolo il meno possibile. Vedere Indice della libertà economica (provate un po' a cercare l'Italia ....)

Sarebbe interessante comparare quella graduatoria con quella della disugualianza economica (indice di Gini) e vedere se ci sono relazioni. Non credo che si sia una relazione forte ma mi aspetto che i paesi piu' "free" da lungo tempo siano anche i piu' benestanti e forse anche quelli in cui il benessere è ben distribuito (soprattutto nei paesi piu' piccoli). Naturalmente puo' essere facile avere una bassa disugualianza a san marino (antica democrazia ma 4 gatti) mentre è piu' difficile averla in India o in Cina. Non solo perché il primo è una democrazia e l'altro è una dittatura ma perché la loro crescita è recente e tumultuosa e quindi è naturale che partendo da una omogenea povertà (massima ugualianza) ora ci sia una forte disugualianza. Molto quindi dipende da quanto tempo la crescita è in atto e dalla quantità della popolazione.

Tuttavia per esempio Cina e USA hanno lo stesso indice di gini (40) e quindi una disugualianza economica matematicamente paragonabile. Sono pero' molto piu' diversi quanto a democrazia. Questo mette in crisi l'affermazione "le diseguaglianze economiche sono esattamente sovrapponibili alla carenza di diritti democratici". La differenza economica pero' è sul reddito procapite, che in USA è 7 volte superiore a quello cinese (in termini PPP, a parità del potere di acquisto). Ora a parità di disugualianza economica credo che sia meglio stare in USA o in Italia che andare a vivere in CINA. Sicuramente pero' in Cina ci sono maggiori opportunità di crescita e di sviluppo, proprio perché i piccoli crescono piu' velocemente degli adulti. Opportunità anche in India che pero' è piu' omogena (indice di gini = 30) ma è 15 volte piu' povera degli USA quanto a reddito medio individuale, a parità di potere di acquisto ma è una democrazia. Insomma io questa "esatta sovrapposizione" proprio non la vedo. Forse non è nemmeno corretto paragonare le disparità cinesi ed indiane a quelle occidentali comunque la media dell'indice di gini dei paesi occidentali è sensibilmente piu bassa (quindi meno disparità) dei paesi non liberi (dittature).

Propongo quindi di lasciar perdere ogni tentativo di avere una crazia dell'economia e di concentrarsi sullo sviluppo (caso mai si discute di sostenibilità). Sviluppo dell'economia (vedere i paesi "Free" economy) e sviluppo della democrazia, che da noi zoppica parecchio. Che i politici pensino alla politica (che già basta e avanza) e lascino perdere ogni tentativo di governare l'economia. Ritengo che l'economia zoppichi dove la politica se ne interessa troppo.
Possono fare solo disastri e l'Italia è un buon esempio.
Quando vedremo l'Italia nelle prime 20 posizioni di quella classifica ne riparleremo.

Franz
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda soniadf il 13/07/2010, 13:14

Mi arrendo. Per gli altri partecipanti del Forum vorrei sottolineare che io non ho nostalgie bolsceviste, venendo dalla scuola liberale. Quanto a Ranvit, vorrei sottolineare che non sono mai stata comunista, né tantomeno un intellettuale, Dio mi guardi.
In quanto al fatto che le diseguaglianze economiche sono inferiori laddove il tasso di democraticità è superiore e quanto sostengo da qualche messaggio in qua. Quello che volevo far rimarcare è che l’aumento della disuguaglianza è una spia della cattiva salute della democrazia che la genera.
Il governo dell’economia si chiama politica economica e consiste in leggi quadro e regole perfettamente liberali, previste dai padri del liberalesimo, tese a mitigare le posizioni dominanti, le pratiche di dumping, inside trading, ecc. ecc. proprio per garantire le condizioni di libera concorrenza e un mercato sano e aperto. L’interessante collegamento fornito da Franz rivela appunto che l’Italia non è un paese dove vige una grande libertà economica.
In particolar modo a pesare sul dato finale è una bassa libertà fiscale (55,2%), i diritti di proprietà (55%, in quanto "c'è tutela ma le procedure giudiziarie sono troppo lente"), una libertà dalla corruzione molto bassa (52%) e la quota di spesa del settore pubblico (31,2%). È alta la libertà di commercio (87,5%), ma vanno migliorate la libertà monetaria (79%), la libertà d'impresa (77,9%) e di investimento (75%).
Tutte queste carenze possono essere colmate solo dallo stato, con leggi contro la corruzione, la riforma del processo civile, la lotta alle mafie, la semplificazione degli adempimenti amministrativi e la riforma fiscale, leggi antitrust per la salvaguardia della libera concorrenza e dei prezzi al consumo.
Questo non è “crazia” dell’economia, è semplice politica economica governativa, da augurarsi perché non finisca col prevalere la semplice legge del più forte. La democrazia economica è la trasposizione della tutela che si presta al più debole anche nei rapporti politici e civili, perché un uomo povero non è un uomo libero , e lo stato deve preoccuparsi di garantire a tutti il maggior tasso di libertà possibile.
Vorrei far notare a Franz che la crisi è nata negli USA e non in Cina. La possibilità che hanno avuto gli operatori finanziari USA di inondare di spazzatura le borse del mondo ci induce a chiedere conto alla democrazia americana delle sue regole e della sua vigilanza, affinchè non si perpetrassero truffe e illeciti. Ecco, questa mancata vigilanza è un indice di decadenza democratica.

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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda ranvit il 13/07/2010, 13:18

Totalmente d'accordo con soniadf.....che apprendo con piacere essere di scuola liberale.
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda pierodm il 13/07/2010, 14:08

Sonia di scuola liberale: verissimo, e infatti durante il ventennio berlusconiano è passata a sinistra, e si ritrova ad essere scambiata - salvo sue stesse precisazioni - per una specie di bolscevica alla quale fare le lezioncine. Quelle lezioncine che sapevano di gioco delle tre carte e di fuffa già cinquant'anni fa, ma che la guerra fredda in qualche modo faceva penosamente perdonare.

Agli argomenti di Sonia vorrei aggiungerne un altro, che nel suo discorso Sonia ha toccato solo fuggevolmente.
Lasciamo stare l'appiglio lessicale assai incerto sulla "crazia", sul quale ci sarebbe da discutere a lungo (e infatti si fa prima ancora dell'esecuzione di Luigi XVI) anche limitandosi alla democrazia più rassicurante di tipo politico, senza toccare i nervi scoperti dell'economia.
Democrazia economica non significa "governo dell'economia" (dio ci scampi) ma significa "fenomeni legati all'economia in una società democratica".
Che un governo, una "crazia", possa operare senza toccare temi e aspetti economici è un'idea talmente folle che non vale nemmeno la pena di discuterne: ma, appunto, non è questa la questione.
L'argomento è non il governo ma la società, o meglio ancora le condizioni concrete delle persone e delle categorie che la compongono.
Una società senza mobilità, di tipo per esempio corporativo, dove i mestieri e le appartenenze sono tramandate di padre in figlio, è una società democratica? Che genere di democrazia ne proviene?
Una società dove le grosse holding, le grandi lobbies fanno cartello, dirottano la gran parte delle risorse verso se stesse, fanno in modo che lo sviluppo economico torni all'80% a proprio vantaggio, può certamente essere una democrazia in cui si tengono regolari elezioni con tutti gli ammennicoli relativi, ma che tipo di democrazia è, se ancora lo è?
Sono solo esempi, scelti a caso, ma il conetnuto della vita sociale è fatto in gran parte di fenoemni direttamente e indirettamente economici, sui quali infatti si discute e si fondano, si alimentano programmi e si accendono vergognose vanterie.
O si pensa che un cittadino medio, diciamo un giovane laureato o un operaio, si senta democraticamente felice se - disoccupato, sottoccupato, precario - gli viene assicurato il diritto di affacciarsi alla finestra per mandare affanculo la "crazia" - affaccio comunemente definito "libertà di parola"?

Io direi, quindi, che prima di turarsi il naso con degnazione davanti alla "democrazia economica", ci si preoccupi della crisi, dei problemi, delle perennemente incombenti degenerazioni della democrazia politica. Questa è una cosa intelligente, che non a caso praticavano e praticano i liberali. Quelli veri, non i parvenu.
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda franz il 13/07/2010, 14:24

soniadf ha scritto:In quanto al fatto che le diseguaglianze economiche sono inferiori laddove il tasso di democraticità è superiore e quanto sostengo da qualche messaggio in qua. Quello che volevo far rimarcare è che l’aumento della disuguaglianza è una spia della cattiva salute della democrazia che la genera.

Ottima precisazione, perché l'affermazione "le diseguaglianze economiche sono esattamente sovrapponibili alla carenza di diritti democratici" mi pare che in Italiano significhi esattamente il contrario di quello che dici di sostenere da qualche messaggio in qua. Chiunque legga quella frase è portato ad intendere che una relazione diretta, non inversa. La perfetta sovrapposizione tra due andamenti infatti come concetto porta ad una relazione direttamente proporzionale, non inversamente proporzionale. Non so se ho capito male io o ti eri spiegata me tu ma ora è piu' chiaro.
Sono lieto di capire, dopo la tua precisazione, che anche tu consideri che le disugualianze tendono ad essere inferiori dove la democraticità è superiore (relazione inversa) anche se, come dicevo, esistono vistose discrepanze (vedi i dati di USA, India e Cina).
soniadf ha scritto:Il governo dell’economia si chiama politica economica e consiste in leggi quadro e regole perfettamente liberali, previste dai padri del liberalesimo, tese a mitigare le posizioni dominanti, le pratiche di dumping, inside trading, ecc. ecc. proprio per garantire le condizioni di libera concorrenza e un mercato sano e aperto. L’interessante collegamento fornito da Franz rivela appunto che l’Italia non è un paese dove vige una grande libertà economica.
In particolar modo a pesare sul dato finale è una bassa libertà fiscale (55,2%), i diritti di proprietà (55%, in quanto "c'è tutela ma le procedure giudiziarie sono troppo lente"), una libertà dalla corruzione molto bassa (52%) e la quota di spesa del settore pubblico (31,2%). È alta la libertà di commercio (87,5%), ma vanno migliorate la libertà monetaria (79%), la libertà d'impresa (77,9%) e di investimento (75%).
Tutte queste carenze possono essere colmate solo dallo stato, con leggi contro la corruzione, la riforma del processo civile, la lotta alle mafie, la semplificazione degli adempimenti amministrativi e la riforma fiscale, leggi antitrust per la salvaguardia della libera concorrenza e dei prezzi al consumo.

Perfettamente d'accordo. Una precisazione. Quelle carenze italiane esistono perché esiste uno stato (abnorme) che oltre ad essere tale (obeso) fa male il suo lavoro ed ha messo troppe regole e sbagliate. La soluzione è una cura dimagrante che permetta alla parte privata di svilupparsi ed alla parte pubblica di fare bene e meglio il suo lavoro. Vedi, uno stato che è solo normativo in modo snello, come illustri nel tuo intervento, non ha ragione di pesare per il 52% del PIL. Uno stato normativo pesa il 20 ... 25 ... massimo 30% del PIL.
soniadf ha scritto:Questo non è “crazia” dell’economia, è semplice politica economica governativa, da augurarsi perché non finisca col prevalere la semplice legge del più forte. La democrazia economica è la trasposizione della tutela che si presta al più debole anche nei rapporti politici e civili, perché un uomo povero non è un uomo libero , e lo stato deve preoccuparsi di garantire a tutti il maggior tasso di libertà possibile.

Se non è una "crazia" è sbagliato usare il termine "democrazia economica". Si parla di politica economica.
Ovviamente gli stati esistono e quindi devono anche fare qualche cosa. per ogni cosa che fanno esistono effetti positivio e negativi (come in tutte le cose). Gli stati tendono ad esagerare sia le correzioni sulla parte prvata sia sui difetti che loro stessi inducono. Questo crea una spirale negativa che bisogna capire quanto fermare.
soniadf ha scritto:Vorrei far notare a Franz che la crisi è nata negli USA e non in Cina. La possibilità che hanno avuto gli operatori finanziari USA di inondare di spazzatura le borse del mondo ci induce a chiedere conto alla democrazia americana delle sue regole e della sua vigilanza, affinchè non si perpetrassero truffe e illeciti. Ecco, questa mancata vigilanza è un indice di decadenza democratica.

Credo che si potrebbe andare avanti a lungo a discutere di come la crisi sia nata in USA ma la tesi che gli economisti danno per la maggiore è quella che tutto sia nato perché i governi americani degli ultimi 30 anni (sia democratici sia repubblcani) hanno imposto alle banche di concedere mutui (i subprime) anche a chi non era un soggetto sicuro in quanto a reddito e capacità di onorare il debito. Ottimo obiettivo sociale, sicuramente valodo, soprattutto se i governi americani lo avessero fatto con i LORO soldi, non imponendolo alla banche in cambio di sovvenzioni statali ma anche condito di minacce verso le banche non ottemperanti (ritiro della licenza). La bolla poi è scoppiata ma è un indice di come le politiche economiche possano essere sbagliate. Non è detto che una politica economica, solo perché decisa da un governo, sia automaticamente giusta e saggia. Nel mercato (quello fatto dai capitalisti cattivi che non guardano in faccia a nessuno) una banca non farebbe un mutuo a chi è senza reddito e non ha le necessarie garanzie. Dopo 30 anni di subprime la bolla è scoppiata appena si è capito che il sistema non stava in piedi ed il valore delle case è sceso gradualmente, sotto il valore del mutuo.
Le banche si sono trovate ad aver concesso mutui di 110 per case che valevano 90. Che poi le banche si siano difese contro questo rischio nascondendo la spazzatura in prodotti complessi e tossici è altra storia. Evidentemente quel rischio non era assicurabile, perché nessuno lo avrebbe fatto. Il che dimostra che comunque è stata l'opera di governi americani (ergo la loro poliitca economica) a mettere in crisi la finanza e non viceversa. Quegli stessi governi per per nascondere meglio queste cose hanno anche tolto i controlli che avrebbero reso evidente le cose molto prima.

Discorso a parte invece per la cisi del PIIGS. L'Italia e la Grecia non sono state coinvolte direttamente nei subprime. Infatti in Italia ci si vantava di essere immuni. Se hanno fatto debito nel 2008 e 2009 è per questioni politiche interne, malversazioni, incapacità di gestire la spesa pubblca clientelare. Non puoi dare la colpa alla finanza (usa o aliena).

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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda soniadf il 13/07/2010, 15:50

Non vorrei sembrare pedante, ma sono sinceramente dispiaciuta quando non riesco ad essere chiara in quello che scrivo.
“le diseguaglianze economiche sono esattamente sovrapponibili alla carenza di diritti democratici" dovrebbe costituire una misura direttamente proporzionale tra diseguaglianza e carenza di diritti.
Ma non voglio insistere e chiedo scusa per la fumosità dell’espressione.
Uno stato che pesa per il 52% del PIL è certamente abnorme e probabilmente complice di comitati d’affari, quando non artefice di un vero e proprio commercio di fondi pubblici (vedi la superfetazione di posti e stipendi della Regione Sicilia).
Un buon sussidio di disoccupazione per tutti, come in tutti i paesi civili, ci costerebbe molto meno degli LSU, delle collaborazioni finte, degli spazzini e dei vigili assunti a carrellate nelle amministrazioni locali. Ma, trattandosi di un diritto, non potrebbe più essere mercanteggiato come un favore dalla politica dei padrini.
La tua ricostruzione della crisi americana, poi, mi pare abbastanza surreale. Vorrei conoscere la banca costretta a concedere un prestito che non ritenga di accordare. La verità è che non di prestiti si trattava, ma della produzione di nuovi prodotti finanziari, basati su debiti inesigibili, immessi dolosamente sul mercato, per trarre profitti dalla loro transazione, esattamente come i magliari che vendevano il Colosseo. Questo modernissimo e antichissimo escamotage dovrebbe essere impedito dalle leggi dello stato.
Una parola sull’intervento dello stato. Quello che dispiace è che la cultura di sinistra si stia lentamente piegando ad una visione anarchica del mercato, come se bastasse lasciar fare alle sue leggi. Il mercato, come il sonno della ragione, produce mostri : i monopoli, i cartelli tariffari, i ricatti lavorativi, la remunerazione debole del lavoro con il corollario dell’assenza di diritti, ecc.
Il mercato, lasciato a sé stesso, elimina la libera concorrenza. Invece, alcuni sovrappongono i due termini come se fossero la stessa cosa.
La politica deve agire per garantire la libera concorrenza all’interno del mercato, perché nessuna spinta del mercato è in grado di farlo autonomamente, essendo l’aumento del profitto inversamente proporzionale alla concorrenza.

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