da pierodm il 31/05/2009, 1:38
Fenomenale: stiamo riuscendo a trasformare un concetto crudelmente semplice in un rebus.
La ridicolaggine esiste se uno ride: ovvio, se uno non ride non c'è ridicolaggine.
Inutile mettere di mezzo complicate teorie socio-politiche, sul personaggio Berlusconi: lo pensavo dieci anni fa, lo penso oggi.
Qui non parliamo della destra, del berlusconismo come cultura mediatica, del plebiscitarismo, delle politiche bene o male recepite, della disinformazione, e di tante belle cose delle quali abbiamo giustamente parlato tante volte.
Qui parliamo del personaggio Silvio Berlusconi: quell'omino ceronato e coi capelli a tessitura variabile, che caracolla impettito come un galletto, che fa cucù e le corna, che si sforza di fare lo spiritoso e il battutista, che parla ai terremotati di crociere e di campeggio, etc etc etc.
Ebbene: questo personaggio - intendo dire quella figura lì, che si vede e si ascolta, come si vedeva e ascoltava Totò o Pappagone - DEVE far ridere una persona normale: ridere, sorridere, storcere la bocca. Non si scappa.
Se uno non ride o non storce la bocca significa che c'è qualche intoppo nei suoi meccanismi degustativi, fisici e gastrici prima ancora che "culturali".
Qui non parliamo del "dare il voto", ma del ridicolo: personalmente, per esempio, ho dato il voto a Prodi, ma lo trovavo insopportabile, per quella sua aria da parroco, quel bofonchiare, quell'aria ostinata e anche per quell'ostentazione minimalista da parte di un uomo sicuramente di potere, e lo trovavo ridicolo in bicicletta, col corpaccione fasciato nelle tutine elasticizzate e il caschetto di gomma. E' una questione di reazioni istintive, di gusto e di gusti.
Quello che sta succedendo, con Berlusconi, dimostra che in efeftti una parte preponderante degl'italiani non solo e non tanto non ha senso dell'umorismo, ma ha dei gusti pessimi - che è cosa assai peggiore, che tuttavia ricomprende anche la mancanza di sense of humour: tanto per fare un esempio, avere pessimi gusti significa essere capaci e anzi assai pronti a ridere e sghignazzare delle cose serie, e magari delle cose intelligenti, tanto quanto significa rimanere indifferenti al degrado del paesaggio o dei beni artistici, e non battere ciglio di fronte al fatto che vengano imbrattati o sostituiti con la cafonaggine di villaggi turistici e discoteche.
In un paese della Sabina, da cui mia madre aveva origine, c'è un bellissimo santuario a pochi chilometri dall'abitato con chiesa del XI secolo. Il santuario di Vescovio, meta di molti studiosi dell'arte romanica, spasso non solo italiani.
Sono riusciti a far costruire uno squalido ristorante attaccato alla chiesa, ma non solo: ogni anno, a Pasqua, e durante l'estate, nei prati dintorno al santuario fanno sorgere un luna-park, con carrettini e giostre, e il relativo parcheggio alluvionale di macchine e motorini. Un Inferno. Un assurdo, si direbbe, e oltre tutto autolesionistico.
Se però si conoscono appena gli abitanti - basta farsi un giro in paese di dieci minuti - e i sindaci che si sono succeduti, tutto appare chiaro: non può che essere così. Da quella gente quello puoi avere: meglio non provare, poi, a mettere alla prova il loro "senso dell'umorismo".
Io ho frequentato, di riffa e di raffa, il paesello da quando sono nato: non tanto, non volentieri, ma facendo le somme abbastanza. Non sono mai riuscito a farmi non dico un amico, ma nemmeno una conversazione. Ho rapidamente imparato a non fare battute, a meno che non me ne venissero in mente di orrende, di quella da caserma.
Da quanto ne so, il tasso di gradimento verso l'omino di Arcore, nel paesello, è altissimo.
Quanti sono in Italia i paesi così, la gente così?
Prima dell'avvento di Berlusconi non lo sapevamo con precisione, adesso siamo in grado di fare qualche calcolo più approssimato: in via ufficiosa, naturalemnte, e politicamente scorrettissima, quindi attendibile.
Tuttavia, ciò non significa che in quegli stessi paesi nei quali si ride di Berlusconi siano tutti gentlemen dotati dello spirito di Oscar Wilde, o dell'ironia di Bertrand Russell. Significa soltanto che sono capaci di ridere di quelle cose - come il nostro premier - che sono oggettivamente e universalmente ridicole. Niente di più.
Io credo che bisogna fare un reset di qualche nostro modo di ragionare.
Bisogna fare pace col fatto che ci sono cose poco o niente discutibili, a cominciare da quelle che hanno a che fare proprio con il "gusto", prima che con l'intelligenza o con le analisi.
Tre, quattro, dieci agenti di polizia che trascinano per terra un manifestante, pendendolo a calci e manganellate, DEVE fare schifo ad una persona civile: senza se e senza ma. Così come deve fare schifo l'opposto.
Terroristi che fanno esplodere una bomba in un mercato - non in una caserma - DEVONO fare schifo.
Una platea di spettatori dietro il vetro della cabina della camera a gas, DEVE farse schifo.
Un politico ceronato che dice di Eluana che "può perfino avere figli", DEVE fare schifo.
Schifo, ridicolo, mal di stomaco: reazioni dirette, inesorabili per cose che non possono ammettere scusanti, che DEVONO colpire come colpisce il terrore di fronte ad una valanga o ad un incendio.
Questi sentimenti elementari sono come l'alfabeto: non sono ancora idee compiute, ma senza quell'alfabeto le idee non si formano e non si scrivono.
Bisogna anche fare pace col fatto che c'è una parte di popolo italiano che non è popolo, ma plebe: confusionaria, volgare, ignorante, rumorosa, arrogante, cafona - stando atetnti a non scambiare tutto ciò per una forma simpatica di "colore locale" e di allegria. Non c'è niente di più triste, cupo e funereo di una risata sgangherata e della cafonaggine.
Per l'ennesima volta, torno a citare Nietzsche, che in una delle sue Inattuali disse, più o meno: ci sarà un giorno in cui a dividerci non saranno le idee, ma il buon gusto.