da pierodm il 03/04/2009, 13:22
La causa ultima del fenomeno che ho tentato di descrivere non esiste: si tratta di un tipico esempio di processo storico-sociale, che ha mille ramificazioni e che può essere determinata solo quando se ne manifestano gli effetti.
Certamente, le mutazioni nel tessuto economico che riguardano l'Italia non sono esclusive del nostro paese.
C'è un'etica del lavoro che in tutte le società occidentali è diventata un valore che viene ricordato e rimpianto, nel senso di un'attenzione e una cura, una dedizione, che appartengono ad un tempo ormai andato.
All'interno però di questo processo generalizzato, esiste una fenomenologia tipicamente italiana: di questa si parlava, ovviamente.
Uno degli aspetti che non ho reso esplicito, ma solo definito in modo indiretto, riguarda la dimensione familistica della nostra società.
Molte piccole e medie imprese ritengono infatti che in certi ruoli non considerati specialistici, o nei quali la comopetenza non si presneta come tassativa, viene meglio impiegare mogli, figli e nipoti, non solo per una sottovalutazione della competenza necessaria, ma anche per ragioni di "riservatezza" o di una generica "appartenenza", che si salda ad una scarsa propensione alla mobilità, all'apertura, al ricambio.
Mantenere in una certa misura le cose "in famiglia" è anche una cautela, verso le fluttuazioni dell'attività, in quanto si ritiene più facile gestire un personale "amico".
Potrei portare ad esempio una storia assolutamente esemplare, che mi riguarda molto da vicino, che ha portato un'azienda tecnologicamente ben munita al fallimento, per aver voluto impiegare nel settore contabile e nelle strategie commerciali "gente di casa".
Quando infatti Franz dice che la vendita è altrettanto difficile della produzione, ha in parte ragione, come del resto avevo detto anch'io in un inciso.
Ma un sistema basato sulla "qualità" si regge su competenze che riguardano la produzione, dato che solo la produzione ha una gamma amplissima di livelli di competenza, di campi di applicazione, di discipline. La vendita è sostanzialmente univoca, ed è comunque legata e subordinata ai tanti fattori di cui si compone la produzione.
Una produzione - sistema produttivo - nella quale la qualità si abbassa, in quanto si riesce a vendere tramite le tecniche di marketing anche un prodotto scadente, non solo abbassa il livello complessivo delle competenze richieste, ma riduce nella percezione sociale l'importanza stessa della qualità come "necessità".
Teniamo sempre ben presente che, per ciò che riguarda l'Italia, noi non abbiamo nella nostra cultura un'etica calvinista, che argina in parte la deriva consumistica e il degrado qualitativo che riguarda tutto l'occidente post-industriale.
Qui stiamo parlando in sostanza di un "ecosistema culturale" paragonabile a quello ambientale: non abbiamo un'etica adeguata alla conservazione di quest'ultimo, per ragioni simili a quelle che sono all'origine del fenomeno che riguarda la "qualità" del lavoro e d'impresa.
In questo senso, mettiamoci anche la nefasta idea che abbiamo di noi stessi come popolo, veneficamente insufflata da un vecchio e peloso nazionalismo: l'idea che noi siamo "pieni di fantasia", che siamo "più furbi", e che "basta che ce sta 'o sole, basta che ce sta 'o mare", e poi le repubbliche marinare, il papa, palazzo vecchio e il ponte dei sospiri, i cannoli, la pizza, michelangelo, caravaggio e tazio nuvolari ... tutto vero, tutto bellissimo, ma risalente a tempi in cui la qualità contava, e michelangelo e caravaggio si facevano dieci anni di "bottega", e la gente di Firenze diceva la sua su quale formella del duomo era fatta meglio di un'altra.