da pierodm il 26/03/2009, 10:43
Stefano stavolta ha ragione, quando dice che molti ragazzi, oggi, sono probabilmente "migliori" di quanto sembri, se conosciuti e vissuti da vicino. Spesso di un'innocenza disarmante.
Intanto, però, stabiliamo un punto: su questo argomento - ossia quello della continuità culturale - penso oggi le stesse cose che pensavo quando avevo diciott'anni.
Sul piano delle polemiche, infatti, questo e altri argomenti possono anche essere influenzati dalle condizioni momentanee e individuali, ma sul piano logico-intellettuale no. Non ho mai pensato che il sindacalismo generazionale fosse una buona cosa, e tanto meno lo penso adesso che le generazioni - ossia le età della vita - sono diventate delle categorie sociologiche o peggio ancora dei target commerciali, invece che dimensioni esistenziali.
Per tornare nel vivo dell'argomento, ho appena letto un articolo di Repubblica, che parla di una riforma della scuola elementare inglese, che riduce l'insegnamento della storia per spostarsi sull'uso di internet, facebook, wikipedia, etc.
La cosa riguarda solo le elementari, d'accordo, ma mi è venuta in mente subito una domanda: se questo corrisponde ad un orientamento destinato a dilatarsi anche ai livelli scolastici superiori, chi scriverà le cose che si possono trovare su internet e su wikipedia?
Sembra che non ci si renda conto di una cosa, sia da parte di molti giovani, sia anche di tutti noi, politici in primis: internet, la tecnologia che l'ha reso possibile, i suoi contenuti non sono un "bene" naturale, disponibile a prescindere, ma il risultato di una lunga, lunghissima storia, di secoli di letteratura, scienza, arti e mestieri.
I fruitori, per esempio, di cartoon e iconografie post-moderne ed eversive di una comunicazione sclerotizzata, non si rendono conto che niente di tutto ciò sarebbe possibile senza utilizzare, e perfino saccheggiare, l'intera storia dell'arte che si snoda per millenni, dall'estetica classica a quella medievale, passando per il grande serbatoio rinascimentale e barocco.
Basta parlare conun ragazzo di queste generazioni recenti, per constatare che non c'è coscienza della discontinuità culturale che è nel frattempo sopravvenuta: c'è solo un presente infinitamente e indiscriminatamente sovrabbondante di tutto ciò che è classificabile e comunicabile, senza alcun criterio di scelta che non sia il caso o il gusto personale - o la convenienza del momento. Come quando a carnevale si sceglie la maschera da indossare.
Non è una "colpa" imputabile a queste generazioni, ma se colpa è, è semmai nostra, che abbiamo demolito la coscienza per ragioni tattiche, o per semplice impotenza di fronte alla complessità dei problemi.
Dice, non a caso, Ranvit: Io cerco di dare un'interpretazione (ottimistica) della realtà rifuggendo dalla critica non si capisce rivolta a chi. Se questa è l'Italia che vedono,infatti, non resta (loro) che emigrare....
Difficile infatti capire "a chi" rivolgere la critica, ossia capire le origini e i meccanismi di un sistema che cannibalizza se stesso. Per lungo tempo la sinistra è stata la coscienza critica della società industriale, ma quando a questa è succeduta quella della democrazia di massa post-industriale non è stata più capace di capire, ci ha rinunciato e si è accodata alla decretazione della "morte delle ideologie". In nome di un "ottimosmo" astratto e privo di qualunque significato.
In questo senso, "l'emigrazione" di cui parla Ranvit avviene nei fatti, da parte di chi non accetta questa visione delle cose: non un'emigrazione geografica, ma culturale e intellettuale, ossia la ricerca di una posizione diversa dalla quale guardare alla realtà, senza perdere se stessi.
A destra - e qui torniamo alla Meloni - hanno dismesso il fascismo e quel genere di tradizionalismo - criticabili in lungo e in largo quanto si vuole - per approdare al simil-nulla berlusconiano: c'è un evidente significato simbolico in questo percorso.
A sinistra siamo approdati al vuoto, che non si riesce a riempire con un partito che non si riesce a fare, e che per farlo si ricorre a tutto e al contrario di tutto, in attesa di qualcuno o qualcosa che indovini una formula o un'idea.
Confidiamo - poco altro ci rimane - nei "giovani", e intanto che gli diciamo a questi giovani?
Gli diciamo: lasciate perdere le ideologie, affanculo la filosofia, non perdete tempo con i libri scritti da questi rompicoglioni d'intellettualoidi con la puzza sotto al naso, andate a "lavorare" nei call-center e navigate su internet.
Forse il sol dell'avvenire era un'illusione, ma questo sole del presente somiglia più che altro ad una lampada abbronzante.