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Populismi in Europa

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Populismi in Europa

Messaggioda flaviomob il 14/12/2018, 17:08

https://www.agoravox.it/Populismo-in-Eu ... di-un.html

Populismo in Europa: storia di un’ascesa

di YouTrend (sito)
giovedì 13 dicembre 2018

A dieci anni di distanza dalla sua esplosione, il quotidiano inglese «The Guardian» ha cercato di rispondere a due domande: cos’è oggi il populismo e quanto è diffuso in Europa?

di Nicolò Berti



Sull’onda del crescente consenso elettorale raccolto dai partiti populisti europei, il quotidiano britannico The Guardian ha lanciato un’inchiesta per tentare di comprendere a fondo il fenomeno populista in Europa, ripercorrendone storia, caratteristiche e risultati alle elezioni. Vediamo alcuni dei passaggi principali.

A cosa ci riferiamo con il temine “populismo”?
Alla base dell’analisi, il Guardian ha posto la definizione di populismo di Cas Mudde, scienziato politico tra i massimi esperti dei fenomeni di estremismo. Riassumendo, per populismo si intende un’ideologia che tende ad inquadrare la politica come uno scontro tra due gruppi antagonisti: il popolo (virtuoso per definizione) e le élite (corrotte e malvagie). Per i populisti lo scopo della lotta politica sarebbe quindi affermare la supremazia della la volontà generale, del popolo. Tali fenomeni tendono spesso a svilupparsi accompagnandosi ad un’ideologia più classica, sia essa di destra o di sinistra.

Il partito o il movimento di stampo populista è già presente nello scenario politico a partire dalla fine dell’Ottocento – pensiamo al People’s Party negli Stati Uniti – anche in Europa: nel XX secolo, abbiamo, tra gli altri, gli esempi del Fronte dell’Uomo Qualunque in Italia o della Unione Democratica di Centro (tuttora esistente) in Svizzera. Il termine viene però posto al centro delle dinamiche politiche Occidentali solamente a partire dagli ultimi anni, soprattutto a seguito del voto sulla Brexit e dall’elezione di Donald Trump.

Sarebbe però difficile riuscire a trovare una risposta univoca alla domanda “come nasce il populismo?”. Se infatti le condizioni propizie affinché tali movimenti possano svilupparsi possono verificarsi in vari stati (ad esempio, la crisi economica e/o migratoria), ogni partito ha storia e caratteristiche proprie. Alla base, in ogni caso, vi è la capacita di intercettare quel sentimento di frustrazione di una parte degli elettori, convinti di essere stati traditi dalle forze politiche tradizionali, oramai accomunate alle élite – in senso dispregiativo.

Chi sono i “populisti”?
Ma quali sono, in Europa, i partiti populisti? Tra i populisti di sinistra si possono individuare Die Linke in Germania, il Socialistiese Partij nei Paesi Bassi, in Spagna Podemos e la sua versione catalana En Comu Podem, così come il recente movimento di Jean Luc Mélenchon, la France Insoumise, nato nel 2017. Ben più folta è, invece, la platea dei populisti di destra, tra i quali spiccano, ad esempio, l’ungherese Fidesz (il partito di Viktor Orbán), il polacco PiS, Alternative für Deutschland, il Rassemblement National di Marine Le Pen, lo UKIP di Nigel Farage e, ovviamente, la Lega di Matteo Salvini in Italia. Per quanto riguarda il nostro Paese, il Guardian annovera anche Forza Italia. Senza una collocazione ben definita, invece, il Movimento 5 Stelle che a detta dello studio del Guardian si trova al centro ma tende a sinistra, insieme all’irlandese Sinn Feinn e al greco Synaspismos Rizospastikis Aristeras (ossia la Syriza di Alexis Tsipras).


L’ascesa del populismo
Un team internazionale (formato da oltre 30 specialisti tra analisti e politologi) ha osservato i dati della performance elettorale di tutti i movimenti populisti in 31 paesi europei (UE e non solo). Per riassumere il quadro oggi esistente, basta esporre alcuni numeri: se nel 1998 i populisti partecipavano al governo di due soli stati (Svizzera e Slovacchia) e valevano meno del 7% dei voti complessivi, oggi sono al potere in 11 nazioni, e ben un cittadino europeo su quattro ha votato populistanelle elezioni più recenti. Venti anni fa, solamente 12,5 milioni di cittadini erano governati da esecutivi che annoveravano al proprio interno almeno una forza populista: oggi quei cittadini sono 170 milioni.

Governi Populisti in Europa
Ogni partito populista ha una propria storia. Ma è innegabile come l’origine del boom di consensi sia da individuarsi prima di tutto in quanto avvenuto nel 2008. La crisi finanziaria e la conseguente recessione hanno reso i sistemi fondati sui partiti tradizionali estremamente vulnerabili alle accuse di essere corrotti e di ignorare gli interessi dei cittadini. Contemporaneamente l’alta volatilità del voto e alcune situazioni emergenziali (pensiamo al caso italiano nel 2011) hanno portato i partiti tradizionalmente contrapposti (socialisti/socialdemocratici e popolari/conservatori) su posizioni sempre più convergenti su alcuni temi di policy, spalancando le porte alla narrativa populista secondo cui tra loro vi fosse alcuna differenza. In questa prima fase, in particolare, abbiamo assistito alla nascita di diversi movimenti populisti di sinistra nel sud Europa (Podemos, Syriza).

Successivamente, a partire soprattutto dal biennio 2014-2015 si è inserito il tema migratorio: la crisi dei flussi, le difficoltà nella loro gestione e una dilagante percezione di insicurezza tra i cittadini hanno favorito l’affermazione di un populismo di destra, soprattutto nel centro e nel nord Europa. È curioso – aggiungiamo noi – altresì osservare come, in una sorta di reazione a quanto appena scritto, nel corso dell’ultimo anno si stia registrando un’espansione nell’area populista di sinistra(anche grazie alla nascita di nuovi soggetti politici) in Paesi del blocco centro-nordico, con il risultato della nascita di un quadro sempre più polarizzato.

Infine, ha indubbiamente avuto un ruolo significativo anche il cambiamento che ha colpito i media: da una parte l’affermarsi dei social network, con il loro carico di disintermediazione e polarizzazione; dall’altra il calo dei profitti, ha spinto i media tradizionali a porre al centro dell’agenda argomenti in grado di vendere con più facilità, ad esempio riservando sempre più spazio a scandali politici e conflitti, trasmettendo la percezione di un loro aumento.

Se, come appena scritto, nel Centro e nel Nord Europa i partiti populisti tendono ad essere di estrema destra e nei paesi del Mediterraneo, duramente colpi dalla crisi economica, emergono invece anche e soprattutto a sinistra, negli ex paesi del blocco sovietico i populisti sono per lo più partiti di centro, nati come forze mainstream e che solo successivamente hanno abbracciato temi cari al populismo e al sovranismo.


La mappa del consenso populista è molto eloquente nel confermare quanto scritto sino ad ora. Nel 1998 in paesi come la Spagna, la Croazia, il Regno Unito, le Polonia, la Svezia, la Bulgaria e i paesi baltici (eccetto l’Estonia) non esistevano movimenti o partiti populisti. Oggi invece esistono e sono ben radicati nell’elettorato, se non addirittura in posizioni di governo, come accade in Polonia.

Tra il 1998 e il 2018 il trend è lapalissiano. La Grecia di Alexis Tsipras ha visto passare il consenso populista da meno del 10% a più del 30%; in Ungheria, nelle ultime elezioni, l’accoppiata Fidesz-KDNP ha ottenuto il 49% dei voti. In Franca il RN di Marine Le Pen è, nelle intenzioni di voto, il primo partito (con il 20%), mentre il nuovo soggetto politico di sinistra di Mélenchon è accreditato del 10%. In Germania, l’AfD è la prima forza di estrema destra, dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, ad essere entrata in Parlamento, dove oggi detiene più di 90 seggi su 709, mentre in Svezia i Democratici Svedesi sono arrivati a quota 17,5%. Per non parlare del caso nostrano o, ancora, di quello di Giustizia e Libertà in Polonia (dal 9% del 2001 al 27% del 2015).

Esistono, però, anche alcune eccezioni: in Belgio, Slovenia, Lettonia e Estonia, ad esempio, le forze populiste sono passate da un consenso, nei primi anni della crisi, pari circa al 10%, alla quasi totale sparizione alle ultime elezioni. Il Portogallo, invece, sembra essere immune al “virus” populista, nonostante sia stata una delle realtà più colpite dalla crisi. Insomma, c’è ancora una parte del’Europa in cui il vento populista non soffia o ha smesso di soffiare. Almeno per il momento.

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Re: Populismi in Europa

Messaggioda franz il 14/12/2018, 21:14

Interessante indagine che però sia carente sul lato del finanziamento a questi movimenti.
La politica costa e soprattutto quella che si rivolge alle moltitudini.

Leggete cosa scrive Luca Lovisolo


[Gilet gialli] – Ho seguito in originale il breve discorso tenuto da Emmanuel Macron in diretta TV ieri sera, all’orario di maggior ascolto, in risposta alle manifestazioni dei «gilet gialli.» Non mi addentro nella questione interna francese, mi concentro su alcuni aspetti internazionali che mi sembrano essere sfuggiti, almeno in parte, alla grande comunicazione. Prima, però, contrariamente al mio solito, comunico un’impressione di pelle, avuta guardano il discorso di Macron. Un’associazione storica, anche questa non abituale nel mio metodo, ma che è stata talmente forte che pare ingiusto tacerla.

Mentre Macron elencava gli aumenti di stipendio promessi per metter fine alle proteste, mi è parso, per un attimo, di essere a Bucarest, il 21 dicembre 1989. L’ultimo discorso di Nicolae Ceauşescu alla Romania infuriata che lo stava scaricando («Dragi tovarişi şi prieteni…»), l’ho ascoltato mille volte, nel suo romeno sbocconcellato da ex ciabattino diventato capo di Stato, quando studiavo la fine del regime romeno.

Una lista di aumenti di salario a tutte le categorie di lavoratori, con l’intento di placare la collera dei romeni. Ceauşescu elencò nel dettaglio, come Macron, quanti soldi in più andavano a quali categorie, quanti in più ai pensionati, e così via. Era dicembre, anche allora, e persino l’entrata in vigore degli aumenti promessi era uguale, l’inizio del nuovo anno. Uguale.

Poche ore dopo, Ceauşescu fuggirà dal tetto del Palazzo del Comitato centrale del Partito comunista romeno, salendo con sua moglie e alcuni stretti collaboratori su un elicottero che rischiò di precipitare sulla folla, per il sovraccarico. Il palazzo era circondato da cittadini inferociti, che dalla piazza lanciavano sassi fin dentro gli uffici. Ancora oggi, quando mi trovo a Bucarest e passo davanti a quell’edificio, che adesso ospita il Ministero dell’Interno, non riesco a non fermarmi, immaginando quelle scene, proiettandomi nella mente le immagini dei filmati storici. Quattro giorni dopo quei fatti, al termine di un drammatico processo che ho ascoltato e riascoltato non so più quante volte, Ceauşescu e sua moglie finivano mitragliati da alcuni militari nel cortile della caserma di Târgoviște, a due passi dalla stazione.

Lo so, lo so. Macron non è un dittatore e non è un ex ciabattino. La Francia di oggi non è la Romania di allora, non esiste una dittatura, né comunista né comunque la si voglia chiamare. Macron non farà la stessa fine di Ceauşescu, per fortuna. Poi, non si fanno le comparazioni storiche, lo so, è bello, facile e stiloso, ma non serve a niente. Eppure, ascoltando ieri sera Emmanuel Macron, sono rimasto di pietra. Il paragone si ferma qui, come il lampo di un ricordo da cui ci si risveglia subito alla realtà. Non scriverlo, però, sarebbe tacere che un parallelo esiste davvero, tra quei due discorsi: la debolezza di un leader, che difficilmente può essere più disperata, se un capo di Stato arriva a contare soldi, a citare per filo e per segno il denaro che mette in tasca ai cittadini. Macron ha riconosciuto anche delle colpe. Ceauşescu non lo fece mai. Ma adesso basta, veniamo all’oggi.

Per chi, come me, segue i rapporti con la Russia, la vicenda dei «gilet gialli» ha avuto sin dal suo primo apparire un tratto caratteristico che si è puntualmente confermato nei giorni successivi e ancor più con i disordini di sabato 8 dicembre. La presenza di infiltrazioni russe e filorusse, reali e virtuali, nel movimento di protesta, allo scopo di rafforzarlo e volgerlo agli scopi che Mosca coltiva in Europa.

Non significa che le rivendicazioni dei «gilet gialli» siano inventate o che il movimento sia unicamente uno strumento in mano a Mosca. Significa, però, riconoscere che ogni moto di protesta sociale in Europa, ormai, si presta a essere infiltrato e cavalcato da elementi russi e filorussi. E’ accaduto con la Brexit, con il separatismo catalano, ora con le proteste francesi. Tra le fila dei dimostranti di Parigi sono comparse ormai senza vergogna le bandiere delle repubbliche filorusse autoproclamate nell’Ucraina orientale; agli osservatori più attenti, tra cui il sito di fact-checking Stopfake e il giornalista Mauro Voerzio, non sono sfuggiti, tra coloro che sfilavano e fomentavano disordini, i volti di attivisti appartenenti a movimenti politici di ali estreme, accomunati dalla fedeltà alla Russia di Putin, molti non francesi.

L’intromissione di elementi stranieri è risultata ancor più evidente nelle ultime manifestazioni, che hanno radunato ormai poche migliaia di persone, sebbene dalla TV russa siano state presentate come rivolte generalizzate. Altri profili Facebook di orientamento filorusso, anche in lingua italiana, parlano in queste ore di proteste di «gilet gialli» in molte città d'Europa, mentre, a una verifica, tali manifestazioni risultano o inesistenti o blande emulazioni marginali.

Seguo i media russi ogni giorno, quelli veri, non le versioni tradotte che circolano in Occidente. Non basta sentire le parole, bisogna percepire i toni paternalistici, talvolta stentorei, da cinegiornale Luce. Fin dal principio, hanno riferito dei disordini in Francia con il tono trionfalista che contraddistingue i notiziari di Mosca quando parlano delle debolezze dell’Occidente, vere o presunte che siano. Ricordo, il giorno in cui Emmanuel Macron fu eletto presidente, come i telegiornali russi ripresero l’unica manifestazione di protesta che si tenne quel giorno a Parigi e ne fecero passare le immagini per l’intera giornata, commentando che «l’elezione di Macron a Presidente della Repubblica ha causato gravi disordini in tutto il Paese,» descrizione facilmente smontabile come quanto meno iperbolica, se non del tutto falsa.

Gli inquirenti francesi, nel frattempo, indagano su profili Facebook e Twitter russi che in queste settimane avrebbero contribuito a pilotare le proteste dei «gilet gialli.» D’altra parte, il giornalista italiano Iacopo Iacoboni osservava nei giorni scorsi che molti utenti Facebook impegnati a rilanciare messaggi ostili al governo francese e all’Unione europea, nel contesto dei disordini, erano apparentemente intestati a cittadini francesi, ma erano impostati in lingua inglese e risultavano registrati negli Stati uniti. I social media si rivelano ancora una volta un buco nero dove si fa leva sull’anonimato, per dirigere con estrema facilità l’opinione pubblica verso obiettivi predeterminati.

Anche le rivendicazioni del movimento «gilet gialli» presentano numerosi elementi che fanno intuire finalità totalmente eterogenee, rispetto alle interpretazioni più superficiali. E’ opinione diffusa che non solo questo movimento, ma tutti i moti di protesta antigovernativi europei di questi anni rispondano all’insoddisfazione delle classi sociali medie e basse verso l’indebolimento della loro condizione economica. Leggendo le rivendicazioni dei «gilet gialli,» però, si riconoscono postulati tipici delle correnti estreme, insieme a pretese appartenenti al regno della pura fantasia e, naturalmente, alla immancabile richiesta di uscita dall’Unione europea. Domande che coincidono totalmente con l’armamentario ideologico che la Russia cavalca ormai da anni, in Europa, non certo per risollevare le classi medie dalle loro insoddisfazioni. L’obiettivo di Mosca è unire le ali estreme e più pronte alla rivolta urbana, anche violenta, di destra e di sinistra, su alcuni slogan di facile appiglio. Si è visto operare lo stesso meccanismo, generosamente alimentato da elementi filorussi, nell’Ucraina orientale, durante il 2013, prima che Mosca prendesse definitivamente il controllo del territorio.

Non si intende dire che la Russia voglia arrivare allo stesso punto in occidente: non avrebbe la forza politica ed economica di reggere le conseguenze. E’ un fatto, però, che Mosca interviene ormai sistematicamente per incoraggiare ed estendere ogni movimento che possa indebolire gli Stati membri dell’Unione europea e l’Unione stessa, certo non a vantaggio delle richieste dei manifestanti, ma a proprio unico profitto politico. Inoltre, il rischio che queste operazioni possano sfuggire di mano e portare a seri conflitti interni in qualche Stato europeo, andando anche oltre le intenzioni del Cremlino, non si può trascurare. Con l’arrivo di Donald Trump, su questi fronti l’azione degli Stati uniti si è allineata a quella di Mosca.

Per quanto riguarda l’Italia, resta fuori dal circuito. Mosca può contare, a Roma, su un Governo largamente devoto alla sua visione del mondo. E’ difficile che la Russia senta il bisogno di intervenire nella Penisola per pilotare a proprio vantaggio movimenti di protesta, ci pensano gli italiani stessi. Quanto alla Francia, è possibile che tra le rivendicazioni dei «gilet gialli» vi siano delle domande giustificate: rischiano di restare schiacciate fra i messaggi iperbolici e le logiche di influenza internazionale. Se il tremante discorso di Emmanuel Macron servirà a placare gli animi, si saprà presto.

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Re: Populismi in Europa

Messaggioda Robyn il 15/12/2018, 7:55

Il populismo nasce quando abili demagoghi riescono a sfruttare l'ignoranza della gente oppure quando elitè illuminate con le loro scelte producono talmente tanti guasti da spingere il popolo nelle mani dei demagoghi.In Italia abbiamo la Lega Nord che apertamente è un partito razzista e xenofobo.I vari provvedimenti razzisti della lega dovranno essere cancellati tutti perche contro il razzismo non si può transigere" diminuiti i flussi il resto era relativo".Il caso della mensa di Lodi è un'esempio di provvedimento razzista cancellato dalla magistratura.Questa prima era una destra razzista nascosta che oggi è venuta alla luce ma già si era capita la natura
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Re: Populismi in Europa

Messaggioda pianogrande il 15/12/2018, 12:11

Considero infatti da meri esecutori di ordini il fatto che il nemico di Salvini e soci sia diventato Macron e non più la spompata Merkel.

Anche in Germania c'è ormai abbastanza anti europeismo ed è ora di cambiare piazza.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Populismi in Europa

Messaggioda flaviomob il 15/12/2018, 14:59

Mi pare che le forme di contestazione dei Gilet gialli, degli indipendentisti catalani e dell'attuale maggioranza gialloverde in Italia siano profondamente diverse. In Francia esiste una tradizione di proteste popolari radicali o comunque prolungate e tenaci, totalmente autoctona e motivata dalla coscienza di essere cittadini titolari di diritti. L'indipendentismo catalano ha radici storiche antiche e denuncia la corruzione del governo centrale (come in effetti si è dimostrato, con la caduta di Rajoy). M5S e Lega hanno effettivamente mostrato accondiscendenza verso Putin, ma la debolezza italiana sul piano economico e su quello geopolitico internazionale non permette colpi di testa e i tradizionali "pifferi di montagna" hanno dimostrato di essere piuttosto "suonati" appena scesi a Bruxelles...

Draghi, tra le altre cose, ha parlato della necessità di una Ue con maggiore giustizia sociale: forse andrebbe ascoltato. Quale miglior antidoto alle sirene di Mosca?


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Re: Populismi in Europa

Messaggioda franz il 15/12/2018, 19:16

flaviomob ha scritto:Draghi, tra le altre cose, ha parlato della necessità di una Ue con maggiore giustizia sociale: forse andrebbe ascoltato. Quale miglior antidoto alle sirene di Mosca?

Vorrei capire cosa intedesse.
Tutto sommato l'europa, intesa come UE-28, ha il welfare piu' esteso e "generoso" del mondo.
Cosa vorrebbe incrementare?
È anche il compound con la minore crescita economica.
C'è chi dice che questa grande estensione (e costo) del welfare la crescita ridotta siano facce della stessa medaglia.
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Re: Populismi in Europa

Messaggioda Robyn il 15/12/2018, 20:48

Sono d'accordo con il governatore della Bce Mario Draghi un welfare più funzionante e rimodellato alle attuali esigenze è il miglior antidoto al fascino dell'illiberalismo.Più edilizia pubblica,welfare familiare,rmg,la previdenza rimodellata sul sistema a capitalizzazione.Finalmente un leader delle istituzioni finanziarie che può aiutare a crescere la componente lib-lab di sinistra
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Re: Populismi in Europa

Messaggioda flaviomob il 15/12/2018, 22:45

L'Europa ha il welfare più esteso al mondo. Affermazione corretta. Forse perché gran parte del mondo non sa che cosa sia il welfare, forse perché molti paesi vivono in una condizione di povertà estesa e diffusa. L'Europa ha anche il PIL più alto del mondo.

Tuttavia l'affermazione di cui sopra non ci dice nulla sullo stato della spesa per il welfare europeo, proprio perché è un "unicum" mondiale, abbatterla - per ipotesi assurda - della metà potrebbe non intaccare il primato globale, ma i cittadini avrebbero la percezione di un disastro sociale, di una macelleria dei diritti, di una regressione secolare. La crisi 2007-2008 ha provocato un innalzamento della povertà in tutta Europa e una riduzione del welfare. Inoltre a fronte della medesima spesa non è detto che vi siano gli stessi risultati e diverse categorie di persone risultano più penalizzate di altre, ad esempio i giovani in Italia non hanno alcun tipo di tutela, mentre in molti stati UE hanno incentivi per iscriversi all'università e per le spese relative (se devono affittare casa per studiare, etc.). Non è un caso che l'elettorato giovanile italiano si diriga sui movimenti populisti.
Il concetto di giustizia sociale, peraltro, non tiene conto solo del livello di welfare ma anche di come viene redistribuito il reddito, del tasso di occupazione, dell'equità fiscale, della qualità e dell'accessibilità dei servizi offerti dallo stato, eccetera.


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Re: Populismi in Europa

Messaggioda franz il 16/12/2018, 10:19

Quindi più che "estendere" direi "rimodulare".
Sono d'accordo e questo è vero soprattutto in Italia.
lo sapete come la penso.
Troppa spesa per pensioni, poca per ammortizzatori sociali, aiuto alle famiglie, politiche sulla casa.
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Re: Populismi in Europa

Messaggioda trilogy il 16/12/2018, 12:22

Draghi è intervenuto varie volte sul tema del welfare e dell'equità. Parlando di equità si è riferito agli squilibri tra giovani e anziani con riferimento a garanzie e pensioni. Ai giovani viene richiesta flessibilità senza amortizzatori sociali, la crescita dei salari è sostanzialmente basata sull'anzianità lavorativa. Molte risorse per le pensioni, poche per disoccupazione, case, assegni familiari. Comunque nella visione di Draghi la riforma del welfare deve muoversi in quadro di sostenibilità dei conti pubblici. Più deficit + spesa sociale non è la sua equazione.
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