
Chi è Mario Centeno, il socialista portoghese che vuole cambiare l’Europa
Il 50enne ministro dell'economia portoghese è diventato capo dell'organo che riunisce i 19 paesi con la moneta unica. Ama il rugby, il Benfica e ha risollevato l'economia del Portogallo con ricette anti austerity. Si propone come l'uomo giusto per riformare l'eurozona ma la strada è ancora lunga
di Andrea Fioravanti
5 Dicembre 2017 - 09:30
Da giovane giocava a rugby. Ora tifa il Benfica, sorride molto e parla poco. Dopo un dottorato ad Harvard e un decennio come dirigente della Banca centrale portoghese, nel novembre del 2015 è diventato ministro dell’economia del Portogallo. Ha preso un Paese a rischio default, con il rapporto debito Pil più alto dell’eurozona dopo Grecia e Italia, e un deficit del 4,2%. Non solo ha risanato le finanze rispettando e qualche volta sfidando i vincoli imposti da Bruxelles, ma ha fatto ripartire l’economia. L’ha fatto così bene che l'ex ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble, l’ha definito il Cristiano Ronaldo dei ministri delle finanze europei. E ieri Mario Centeno - 51 anni il 9 dicembre - è diventato presidente dell’Eurogruppo, l’organo europeo che riunisce i 19 ministri dell’economia dei Paesi con la moneta unica. Ha vinto grazie all’appoggio dei Paesi del sud Europa come Italia e Grecia; ma anche Germania e Francia hanno sostenuto la sua candidatura. Alcuni l’hanno già definito il campione dell’anti-austerity per le sue posizioni dure contro il rigore di Bruxelles, molti sperano che possa guidare l’integrazione dell’eurozona, tutti sanno che sarà un compito molto difficile.
Cresciuto a Vila Real de Santo Antonio, città di confine nel sud del Portogallo con il solo fiume Guadiana a separarlo dalla Spagna. Famiglia comunista, in un’epoca manichea dove chiunque fosse contro il regime era definito tale; il fratello maggiore Luis gli ha trasmesso due passioni: il Benfica e il rugby. Centeno è la definizione plastica di tecnico prestato alla politica: preparato ma pessimo oratore, fino ai limiti della goffaggine. Addirittura pochi giorni prima di essere nominato ministro delle finanze, nel novembre del 2015, durante una conferenza stampa per comunicare il programma economico del Partito socialista portoghese, non riuscì a ricordare la previsione del suo partito sul deficit, perdendosi dietro a una risata isterica. Con il tempo ha imparato come gestire la pressione, diventando sempre più mediatico ed efficace. Se fosse un motto latino sarebbe “Festina Lente”: affrettati lentamente. La sua è stata una rivoluzione tranquilla, fatta di mediazioni e qualche strappo. E anche per questo è stato eletto come presidente dell’Eurogruppo, forse l’organo europeo che vive più di frenate, accordi e negoziati.
Centeno è la definizione plastica di tecnico prestato alla politica: preparato ma pessimo oratore, fino ai limiti della goffaggine. Con il tempo ha imparato come gestire la pressione, diventando sempre più mediatico ed efficace. Se fosse un motto latino sarebbe “Festina Lente”: affrettati lentamente. La sua è stata una rivoluzione tranquilla, fatta di mediazioni e qualche strappo.
Da mesi si parla del modello portoghese come la risposta efficace alle politiche di austerità.Il governo del socialista Antonio da Costa, a capo di una coalizione formata da partiti di estrema sinistra (Bloco de Esquerda e Partido Comunista Português) ha basato la sua rinascita sul programma economico scritto da Centeno. Bruxelles ha dato due vincoli: ridurre di due punti percentuali il deficit (da 4,2% a 2,2%) e non chiedere altre tranche. L’obiettivo politico di Centeno, specializzato nello studio del mercato del lavoro, è stato quello di ridare fiducia alle famiglie della classe media per spingerle a consumare di più, aumentando i salari minimi e le pensioni. Per finanziare l’aumento della spesa senza sforare il budget, Centeno ha tagliato di ⅓ gli investimenti pubblici, aumentato le imposte indirette e ha previsto per i dipendenti pubblici un aumento graduale verso la settimana da 35 ore per aumentare la produttività. La miglior definizione della sua dottrina economica è “austerità redistributiva”, data dall’economista Ricardo Paes Mamede in un’intervista al Manifesto. Ovvero come uno chef con un frigo quasi vuoto, Ceteno ha lavorato con gli ingredienti a sua disposizione.
Molti media italiani ed europei in queste ore l’hanno definito il campione dell’anti-austeirty per la sua posizione dura, presa con il collega spagnolo Luis De Guindos nel novembre 2016, contro le sanzioni minacciate dalla Commissione europea. Lisbona e Portogallo sforarono di poco i parametri europei ma riuscirono a convincere Bruxelles ad applicare la regola del buon senso dopo le riforme dure fatte dai due Paesi.
Anche così Centeno ha costruito la sua reputazione, rimanendo nel precario equilibrio tra il rispetto dei vincoli europei e qualche forzatura. Una dote che farà comodo al nuovo presidente dell’Eurogruppo quando entrerà in carica il 13 gennaio. Sul tavolo avrà due dossier impegnativi: la riforma dell’eurozona e la ridiscussione del prestito alla Grecia. In un’intervista alla Bild del 22 novembre 2016, Centeno disse che L'Unione europea avrebbe dovuto discutere la riduzione del debito per Atene andando avanti anche senza il Fondo monetario internazionale. Anche per questo ha ricevuto il voto del governo Tsipras.
Il manifesto politico del nuovo presidente dell’eurogruppo si può trovare nell’intervista concessa a giugno a El Pais. Secondo Centeno la ricetta dell’Unione europea per risolvere i problemi dell’eurozona è stata «sbagliata, parziale e incompleta. Le riforme strutturali erano necessarie, ma dovevano essere accompagnate da stimoli per promuovere gli investimento».
Anche per questo Centeno sembra l’uomo giusto per portare avanti la riforma dell’eurozona. A settembre - come abbiamo scritto qui - il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker ha proposto di trasformare il presidente dell’Eurogruppo in un ministro delle finanze Ue. Non solo un mero coordinatore dei lavori, come è oggi, ma un commissario europeo con a disposizione un nuovo fondo economico per gli investimenti da istituire sulle ceneri del Meccanismo europeo di stabilità, il fondo salva stati creato nel 2011 per fronteggiare la crisi nell’eurozona. Domani la Commissione europea dovrebbe presentare le sue proposte, ma lo stallo in Germania, ancora alle prese con il negoziato tra Cdu e Spd per la Grande Coalizione rischia di bloccare tutto. Senza l’ok Berlino, Centeno sarebbe un generale senza esercito.
Ora con Centeno si apre una nuova fase ma sarebbe sciocco pensare che non riceveremo più lettere da Bruxelles con richieste di manovre aggiuntive o chiarimenti per gli accordi non mantenuti. La strada è ancora lunga e per ora il presidente dell'eurogruppo conta meno di quanto sperano gli amanti della flessibilità.
Senza contare che la nomina di Centeno è stata sostenuta da sette paesi e ha vinto solo al secondo giro di votazioni dopo il ritiro dei candidati meno forti. Questo vuol dire che almeno nove Paesi non sono favorevoli a un drastico cambio di rotta. Bisognerebbe ricordarli a quelli che hanno esultato per la nomina di Centeno. A difesa del suo predecessore Jeroeni Dijsselbloem, dipinto dalla stampa italiana come un freddo tecnocrate che prende in giro i viziosi Paesi del mediterraneo - qui spieghiamo come sia una bufala - bisogna dire che l’ex ministro laburista (sì, avete letto bene, laburista) sotto la sua presidenza ha dovuto affrontare la crisi del debito sovrano e il rischio default della Grecia. Un periodo non facile per nessuno.
Ora con Centeno si apre una nuova fase ma sarebbe sciocco pensare che non riceveremo più lettere da Bruxelles con richieste di manovre aggiuntive o chiarimenti per gli accordi non mantenuti. La strada è ancora lunga e per ora il presidente dell'eurogruppo conta meno di quanto sperano gli amanti della flessibilità.
Le istituzioni europee vivono di compromessi ed equilibri. L’unico modo per far coesistere 27 Stati, 24 lingue, 10 valute, 8 gruppi politici e due visioni opposte su come gestire l’eurozona. In questi anni la presidenza espansiva di Mario Draghi alla Banca centrale europea è stata bilanciata dal rigore nei conti del presidente dell'eurogruppo Jeoren Dijsselbloem; all’atteggiamento più blando del commissario agli affari economici Pierre Moscovici verso i conti dei Paesi del sud Europa si contrappone quello del finlandese Jury Katanien, falco dell’austerity e supervisore di tutte le decisioni economiche della Commissione europea. E fino a marzo 2017 popolari e socialisti si sono divisi anche le due poltrone principali: Martin Schulz presidente del Parlamento europeo e Jean Claude Juncker a capo della Commissione. Con l’elezione del popolare Antonio Tajani all’europarlamento il domino delle poltrone è ripartito portando all’elezione del socialista Centeno alla presidenza dell’eurogruppo per bilanciare lo strapotere dei popolari.
Mal di testa? Ce l’hanno anche a Bruxelles perché ora si aprono scenari inaspettati. A giugno scadrà il mandato di Victor Costancio come vicepresidente della Banca centrale europea. Fuori un portoghese, dentro uno spagnolo, il ministro delle finanze iberico Luis de Giundos. Ma la partita più importante si giocherà il 31 ottobre del 2019. Sarà l’ultimo giorno di Mario Draghi come presidente della Bce. In questo gioco di poltrone il favorito alla sua successione diventa Jens Weidmann l’attuale presidente della Bundesbank. Con lui la Bce potrebbe tornare al suo ruolo originale: arbitro dell’eurozona e non giocatore.Tradotto: niente più quantitative easing, l’acquisto massiccio di titoli di Stato che ha dato respiro alla fragile economia italiana; niente più bazooka finanziari per proteggere il debito pubblico italiano ed evitare l’aumento dello spread con i bund tedeschi. Un anno e mezzo è un’eternità in politica e con le elezioni europee di giugno 2019 ogni discorso è prematuro. Ma con l’anti-austerity Centeno alla presidenza dell’Eurogruppo il gioco di check and balances potrebbe portare alla presidenza della Bce l’uomo che ha votato negli ultimi anni contro tutte le decisioni prese da Mario Draghi. E dovrà solo spostarsi di 3 km, la distanza che separa la Bundesbank dalla Banca centrale europea, entrambe a Francoforte.