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Referendum Scozia

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Referendum Scozia

Messaggioda mauri il 14/09/2014, 19:45

che scenario catastrofico un po' come da noi quando si parlava di uscire dall'europa, da terrorismo di stato, ma hanno diritto di poter decidere di essere indipendenti da londra
a quanto si legge è una zona depressa assistiti e aiutati dallo stato centrale che probabilmente ha l'interesse a tenerli sottomessi per via del petrolio, una forma di sussistenza che opprime, per un popolo è molto meglio decidere del proprio futuro da uomini liberi e cercare di uscire dalla arretratezza economica e culturale con le proprie forze, non so se gli scozzesi aspireranno sucessivamente ad entrare nella comunità europea
ciao mauri

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09 ... o/1120556/

Referendum Scozia, dalla moneta al petrolio al whisky ecco la posta in gioco
L'eventuale vittoria dei sì alla consultazione del 18 settembre sull'indipendenza dalla Gran Bretagna comporterà conseguenze pesanti per l'economia di Edimburgo. Secondo Londra, difficilmente potrà mantenere come valuta la sterlina. Molte banche sposterebbero poi la sede a Londra, riducendo di netto i 466 miliardi di sterline di attività finanziarie oggi ospitate dal Paese. Mentre l'industria del whisky, che vale 5,5 miliardi di euro l'anno, pagherebbe di più la materia prima importata dalla Ue
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Re: Referendum Scozia

Messaggioda pianogrande il 14/09/2014, 19:57

Il risultato del referendum non mi sembra dovrebbe compromettere l'appartenenza all'unione europea.

Questi "celticchioni" (per chi ha letto Asterix) secondo me stanno rischiando moltissimo.
Diventare piccoli, andare in mano ai populisti, perdere attività finanziaria, l'incognita della moneta... Mah!

D'altra parte, l'Inghilterra è scuola di separatismo e isolamento (più o meno splendido) e raccoglie quello che ha seminato nei secoli dei secoli e cioè ribellione al suo imperialismo.

Ormai non resta che aspettare i risultati.
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Re: Referendum Scozia

Messaggioda flaviomob il 15/09/2014, 1:12

In realtà più che populisti, gli scozzesi sono un bel serbatoio di voti per il Labour.

Senza Scozia, quel che resta della Gran Bretagna potrebbe diventare un grande feudo conservatore...


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
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Re: Referendum Scozia

Messaggioda franz il 15/09/2014, 7:35

Anche un gran serbatoio di petrolio, sentivo.
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Re: Referendum Scozia

Messaggioda gabriele il 15/09/2014, 15:10

franz ha scritto:Anche un gran serbatoio di petrolio, sentivo.


Un po' come la Norvegia che sulle Royalty del petrolio c'ha costruito uno stato sociale da favola.
Se succedesse in Italia si mangerebbero tutto in quattro e quattrotto
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Re: Referendum Scozia

Messaggioda pianogrande il 15/09/2014, 15:16

Il capo dei separatisti sembra molto ottimista.

http://www.repubblica.it/esteri/2014/09 ... ef=HREC1-9
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Il problema della Sternina

Messaggioda franz il 16/09/2014, 11:13

Scozia: indipendenza e unione monetaria sono compatibili?

815206064«L’unione monetaria è incompatibile con una Scozia indipendente.» Cosí, il 9 settembre, il governatore della Banca d’Inghilterra (BoE) Mark Carney rispondeva a distanza, senza troppi mezzi termini, a una precedente dichiarazione d’Alex Salmond, primo ministro della Scozia dal 2007 e leader del Partito Nazionale Scozzese, che aveva rassicurato il suo elettorato spiegando che una «Scozia indipendente continuerà a usare la sterlina». Il discorso di Carney, ex governatore della Banca del Canada, ha invece riaperto un dibattito — quello sull’unione monetaria e sulla valuta che verrà usata da una Scozia indipendente — che nel corso delle ultime settimane era stato snobbato dai media, molto piú intenti a raccontare la rimonta della campagna nazionalista Yes Scotland.

La questione è molto delicata, perché la valuta è un elemento chiave per qualsiasi economia. Nel corso di tutta la campagna elettorale, Salmond ha continuato a spiegare che, anche in caso di secessione, il nuovo Stato scozzese cercherà di mantenere la sterlina britannica. Alistair Darling, principale antagonista del primo ministro, leader della campagna unionista Better Together ed ex ministro delle Finanze del governo laburista guidato da Gordon Brown, ha invece evidenziato la mancanza d’un «piano B» da parte degl’indipendentisti per quanto riguarda la futura valuta d’una Scozia indipendente. Nel corso di queste ultime settimane di campagna elettorale, in molti — industriali, commentatori, economisti, politici — hanno rinfacciato a Salmond questo «vuoto».

Dopo le parole di Carney, sono seguite numerose dichiarazioni di diversi istituti bancari, assicurativi, finanziari e colossi industriali che hanno avanzato la possibilità concreta di spostare i loro quartieri generali in Inghilterra, in un Paese meno esposto a future speculazioni. The Royal Bank of Scotland, Standard Life, Clydesdale, Lloyds e BP hanno tutte comunicato che, in caso d’indipendenza, «continueranno a mantenere sedi operative in Scozia, ma i loro quartieri generali verranno riposizionati in Inghilterra», mettendo cosí a rischio migliaia di posti di lavoro. La sola Standard Life impiega oltre 5.000 dipendenti a Edimburgo.

Carney ha poi proseguito il discorso — che ha ripreso in parte quanto già espresso dalla BoE negli ultimi mesi — spiegando che «l’idea di nazione indipendente non coinciderà affatto col concetto d’unione monetaria». Secondo quanto spiegato ai media, Carney avrebbe avvertito la Scozia che un Regno Unito separato non tenterà di replicare quanto fatto dagli Stati europei nel creare una valuta unica senza prima una vera e propria politica fiscale comune. Secondo Carney, è questo il principale problema dell’eurozona: «I 18 Paesi che condividono l’euro detengono la stessa moneta, ma non condividono le stesse politiche fiscali, frenando cosí la crescita del continente intero». La BoE non sembra quindi intenzionata — a ragione — a mettersi in una condizione molto complicata in cui, da un lato, fa parte del Consiglio generale della Banca centrale europea e, dall’altro, condivide la stessa valuta con un Paese ormai esterno alla Gran Bretagna.

Come riportato dall’indipendente Adam Smith Institute il 10 settembre, in caso di vittoria degl’indipendentisti s’aprirebbero quattro possibili scenari.

Il primo, quello preferito dal governo scozzese, ma al momento quello meno probabile, permetterebbe alla Scozia di continuare a usare la sterlina grazie a un’unione monetaria formale.

Il secondo vedrebbe la Scozia continuare a usare la sterlina in modo informale come, ad esempio, Panama fa attualmente col dollaro americano.

Il terzo sarebbe quello d’adottare l’euro, la moneta unica europea. Anche in questo caso, però, non s’ha alcuna certezza su quando la Scozia potrà fare richiesta, poiché secondo fonti provenienti direttamente da Bruxelles (José Manuel Barroso, Herman Van Rompuy, Jean-Claude Juncker) in caso d’indipendenza la Scozia perderà lo status di Paese membro e dovrà richiedere l’ingresso nell’Unione europea, il quale però potrà avvenire presumibilmente dopo il 2019.

Il quarto scenario prevedrebbe la nascita d’una «sterlina scozzese», con tutti i rischi del caso.

Dopo il sondaggio rilasciato da YouGov sabato 6 settembre, che mostrava per la prima volta in assoluto il vantaggio della campagna Yes Scotland, lunedí il mercato ha già dato i suoi primi verdetti negativi. Per diritto di cronaca, un nuovo sondaggio di mercoledí 10 settembre reputa la campagna Better Together avanti 53% a 47%.

Secondo alcuni analisti, l’unica soluzione (in caso d’indipendenza) per il futuro governo scozzese sarebbe quella di proseguire seguendo la seconda opzione, denominata anche «sterlingisation». In questo caso, però, come spiegato da numerosi economisti e da diversi analisti della BoE e del governo britannico, in caso di recessione la Scozia dipenderebbe totalmente dalla banca centrale d’Inghilterra, rischiando cosí di non avere alcun tipo di reale indipendenza monetaria e, in secondo luogo, fiscale.

Salmond ha cercato di rassicurare i mercati — ottenendo scarsi risultati, al momento. Le sue risposte insoddisfacenti sulla valuta pesano molto, e rischiano di far tremare non solo la Scozia, bensí l’intero Regno Unito. Un Paese senza valuta è un Paese privo d’una reale indipendenza monetaria e molto vulnerabile ad attacchi speculativi e a shock asimmetrici. Una Scozia indipendente senza un piano serio sulla valuta rischia seriamente d’entrare in una potenziale spirale recessiva, come spiegato pochi giorni fa da Credit Suisse, JPMorgan, Barclays e Deutsche Bank. Il sogno «socialdemocratico» di Salmond rischia cosí di schiantarsi súbito alla prima difficoltà. Abbandonare il Regno Unito ora, in tempi di decisa espansione economica, non solo sarebbe un errore dal punto di vista monetario, ma rischia di trasformarsi in una disfatta, stile «battaglia di Neville’s Cross», che nel 1346 sancí la fine della seconda guerra d’indipendenza con una vittoria inglese e la cattura del re di Scozia Davide II.

http://thefielder.net/15/09/2014/scozia ... mpatibili/
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Re: Referendum Scozia

Messaggioda franz il 16/09/2014, 11:14

Referendum Scozia: le ragioni liberali per l’indipendenza

Tra pochi giorni, il prossimo 18 settembre, gli scozzesi saranno chiamati a votare in uno storico referendum per l’indipendenza della Scozia. Fino a poco tempo fa, era convinzione generale che l’opzione indipendentista sarebbe stata sconfitta con largo margine, e che il senso della consultazione fosse, per la parte unionista, quello di legittimare l’Unione — allontanando per molti anni nuove velleità indipendentiste — e, per la parte nazionalista, quello di legittimare la richiesta di qualche competenza aggiuntiva per il Parlamento scozzese. Stando ai sondaggi delle ultime settimane, tuttavia, il referendum sembra ormai una partita vera, e il successo del sí all’indipendenza appare del tutto possibile.

Le argomentazioni entrate nel dibattito referendario non sono entusiasmanti dal punto di vista liberale, e alcune analisi hanno voluto evidenziare i limiti politici e ideologici del Partito Nazionale Scozzese e delle altre forze schierate a favore del sí. È vero: Alex Salmond è un socialdemocratico, e il suo partito è fortemente legato a ricette stataliste fallate ma dal notevole potenziale attrattivo nell’elettorato scozzese. La campagna per il sí ha chiaramente prefigurato la futura Scozia come uno «Stato del benessere» di tipo scandinavo, un modello ideologicamente datato sulla cui praticabilità nello scenario d’oggi è legittimo avere dubbi, specie qualora non si sia seduti su barili e barili di petrolio come càpita ai norvegesi.

Sarebbe sbagliato, tuttavia, derivare un pregiudizio sulla scelta indipendentista dalla cifra politica dei nazionalisti scozzesi. Se Salmond ha centrato la sua strategia di comunicazione sulla difesa e sul potenziamento dello Stato sociale, i sostenitori del «no» non sono stati da meno e, durante tutta la campagna, hanno cercato di spiegare agli elettori scozzesi come sia proprio nel quadro del Regno Unito che lo Stato sociale può essere meglio difeso. Per Better Together, «la piú grande minaccia ai servizi pubblici in Scozia, come la scuola e la sanità, viene dai 6 miliardi d’ulteriori tagli che saranno necessari se si voterà per la separazione. La realtà è che indipendenza significherà piú austerità». Non stupisce che il Partito Laburista sia in prima fila con questo tipo di ragionamenti. L’ex primo ministro Gordon Brown, ad esempio, evidenzia come ogni scozzese riceva oggi un surplus di 200 sterline rispetto a ogn’inglese in termini di servizi sanitari. Secondo Brown, «l’unica persona che finirebbe per privatizzare la sanità in Scozia è proprio Alex Salmond». Similmente, sulle pensioni i sostenitori del no affermano che la Scozia è messa peggio delle altri parti del Regno Unito nel rapporto numerico tra pensionati e persone attive, sicché, in buona sostanza, agli scozzesi conviene scaricare i propri costi s’un sistema pensionistico a livello britannico.

Alla fine, se in qualche modo Salmond ha mostrato di possedere una visione per il futuro della Scozia e per un suo autonomo sviluppo economico, il fronte del «no» non è stato in grado di presentare il valore aggiunto del mantenimento dell’Unione se non in termini di difesa della ridistribuzione assistenziale di cui oggi la Scozia beneficia. Dal punto di vista delle politiche socioeconomiche, il confronto è stato tra due approcci culturalmente di sinistra — perché, evidentemente, unionisti e nazionalisti si trovano a contendersi voto per voto il medesimo elettorato. La differenza è, però, tra la visione d’una socialdemocrazia «sostenibile» che deve far quadrare il proprio bilancio e la visione d’una socialdemocrazia «sostenuta», cioè alimentata da dinamiche malsane di dipendenza e di ridistribuzione tra territori.

La ragione per cui Salmond è stimabile è che ha avuto il coraggio di fuoruscire dalla logica del «sindacalismo territoriale» sulla quale si muovono molti partiti «autonomisti» interessati soprattutto a portare sul territorio una fetta piú ampia della cassa nazionale. I nazionalisti scozzesi sono disposti a mettere alla prova le effettive potenzialità della Scozia, nonché le proprie strategie per governarla, in assenza dei paracadute rappresentati dalla partecipazione a una piú ampia unione politica. La nuova Scozia farà i conti con la realtà, e non è escluso che ben presto, per difendere la propria praticabilità economica, si scopra, nella pratica, ben piú liberale di quel che si potrebbe prevedere dalla semplice osservazione del suo panorama politico attuale. Si pensi all’Irlanda, un Paese che non ha conosciuto un’elaborazione teorica e culturale di stampo liberale paragonabile a quella angloamericana: il retroterra culturale dell’indipendentismo irlandese non era certo il piú fertile rispetto alle ragioni del libero mercato e della società aperta, eppure l’Irlanda è diventata pragmaticamente, nel tempo, uno dei Paesi europei piú liberali in economia, con un mix di tasse basse e regolamentazioni limitate. Il futuro scozzese potrebbe essere nella stessa direzione. Dal giorno successivo all’indipendenza, la priorità per il governo d’Edimburgo diverrà quella d’attrarre investimenti, e questo sarà possibile solamente offrendo agli operatori economici condizioni vantaggiose. In Occidente, «Stato piccolo» fa rima con «economia libera», e ci sono buone ragioni per ritenere che la nuova Scozia non sfuggirà a questa regola empirica.

Tra gli effetti positivi dell’indipendenza scozzese c’è che la «questione nazionale» perderebbe la centralità che storicamente ha avuto nel dibattito politico, e ciò potrebbe condurre a una riconfigurazione del quadro partitico. Negli ultimi decenni, nei fatti, la Scozia è stata priva d’una vera destra, e il Partito Conservatore è stato considerato per molti versi un partito «straniero», quasi «coloniale». I tory non hanno la maggioranza in Scozia dagli anni Cinquanta e, nelle ultime quattro elezioni, non hanno mai mandato a Westminster piú d’un deputato scozzese. Una Scozia indipendente sarà l’occasione per la nascita d’un partito conservatore «autoctono» che non sia piú percepito come emanazione di dinamiche politiche aliene al tessuto scozzese.

L’indipendenza scozzese, peraltro, avrebbe anche un impatto immediato sulla politica del Regno Unito residuale. La perdita della Scozia sarebbe un duro colpo per i laburisti in primis e per i Liberal Democrats in secundis. Nel 2010, infatti, il Partito Laburista aveva còlto 40 dei 59 seggi scozzesi in palio per il Parlamento di Londra, mentre il partito del vicepremier Nick Clegg ha nel Nord della Scozia molte delle sue roccaforti elettorali. A guadagnarci sarebbero il Partito Conservatore e lo UKIP, che hanno invece il maggior radicamento in terra inglese. Un Parlamento di Westminster in cui il 90% dei seggi fosse eletto in Inghilterra (il 3% in Irlanda del Nord e il 7% nel Galles) sarebbe strutturalmente riorientato verso destra. Considerando che oggi, in virtú dell’asimmetria della devolution, i deputati scozzesi possono votare sulle questioni interne inglesi (mentre non viceversa), l’addio d’Edimburgo significherebbe, nei fatti, anche indipendenza dell’Inghilterra e possibilità per essa di sottrarsi al condizionamento statalista che il quadro unionista ha rappresentato. In altre parole, il Regno Unito residuale sarebbe piú libero di provare a seguire i princípi d’economia liberale che, dai tempi di Margaret Thatcher, hanno rilanciato il Paese, ma che gli scozzesi non hanno mai veramente metabolizzato.

Insomma, in un’ottica di libero mercato, una vittoria del sí al referendum indipendentista porterebbe un esito win-win, innescando dinamiche virtuose tanto a nord quanto a sud del confine.
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Re: Referendum Scozia

Messaggioda pianogrande il 16/09/2014, 14:02

Sono portato a credere più nel primo articolo.

In Scozia, sul nodo del bluff secessionista/separatista/indipendentista sta arrivando un pettine che di solito rimane puramente virtuale.

Vedere il nostro Alto Adige o la nostra Sicilia (tanto per dare i due estremi).

Normalmente, si tratta di un secessionismo col cappello in mano per ottenere sempre maggiori privilegi.

Tanto per essere chiari e non credo di andare fuori tema, in Italia sarebbe più verosimile un referendum per vedere se vogliamo ancora l'Alto Adige o per vedere se vogliamo ancora la Sicilia.

Per il parallelo con L'Inghilterra sono molto meno ferrato ma mi piacerebbe che questo paradosso fosse un elemento di riflessione.
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Re: Referendum Scozia

Messaggioda mauri il 16/09/2014, 18:26

mah? l'irlanda sotto gli inglesi era un paese povero e arretrato, oggi è uno stato membro dell'unione eu ed ha una economia abbastanza florida, ci sono voluti anni ma se non si comincia... è un esempio da seguire e contraddice tutti gli articoli sulla scozia che se riesce potrà utilizzare il petrolio come risorsa per investire sulla nascita dello stato
comunque vediamo cosa accadrà giovedì
http://www.snp.org/
ciao mauri
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