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La scomposizione

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

La scomposizione

Messaggioda flaviomob il 12/01/2012, 8:32

Da il manifesto

Visti da Lisbona

**Il totalitarismo dei consumi **

Goffredo Adinolfi - 08/01/2012

La liberalizzazione degli orari di vendita ha portato con sé, in
Portogallo, quella delle licenze di costruzione. E la città ne è
uscita sfigurata

C'è una cosa su cui il Portogallo è sicuramente molto avanti
rispetto all'Italia: le liberalizzazioni. Qui questo annoso e
antipatico problema degli orari dei negozi è stato risolto da tempo:
la libertà di scelta dei negozianti è ampia e così i clienti non
sono più vincolati da «assurde» leggi dal carattere vagamente
bolscevico (come accade ad esempio in Germania, Svizzera o Belgio) che
impediscono loro di acquistare quando meglio credono. Dalle 9 del
mattino alla mezzanotte, dal lunedì alla domenica supermercati,
libri, farmacie, tecnologie varie, vestititi eccetera: non resterete
mai a secco.

Concomitante, o conseguente, a questo processo di liberalizzazione
degli orari di vendita anche la liberalizzazione sostanziale delle
licenze di costruzione. La Lisbona dei quartieri arabi come l'Alfama e
la Mouraria, del Fado di Amalia Rodriguez e della Rivoluzione dei
Capitani di aprile si è «finalmente» modernizzata. Nuovi panorami
caratterizzano oggi la città, fra i quali certamente merita di essere
citato l'avveniristico centro commerciale «Colombo» che, fino a
pochi anni fa, era uno degli spazi di vendita più grandi d'Europa,
facilmente raggiungibile con la metropolitana. Un luogo, o meglio un
non luogo, fatto di strade, piazze, parchi e, non ci crederete mai,
anche una piccola cappella. Si sa quando facciamo acquisti ci sentiamo
sempre un po' in colpa, nel caso ci si confessa e via possiamo
alleggerire oltre che il portafogli anche il nostro cuore.

Anche la meravigliosa Praça de Touros, a Campo Pequeno, è stata
devastata dal centro commerciale: sotto il circo delle corride,
potrete trovare para-farmacie, supermercati e, chiaro, fast food in
abbondanza. Chissà, potrebbe essere un modo per finanziare i costosi
restauri del Colosseo o per dare una nuova vita al Pantheon o a Campo
dei Fiori, non vi pare?

Beh certo ogni processo di modernizzazione ha i suoi contraltari, ma
si sa un prezzo va pure pagato per il progresso. Avere un negozio al
centro commerciale è caro e se ne sei fuori nessuno ti conosce,
difficile reggere sul mercato. Chi se lo può permettere? Così le
grandi catene prendono il posto dei vecchi, slabbrati e polverosi
negozietti: Zara, Massimo Dutti, Vobis, Calzedonia e Mediaworld tanto
per citare a memoria. Processo di uniformizzazione? Forse, ma suvvia
non facciamo i polemici, in fondo il fatto che ci si vesta tutti negli
stessi negozi potrebbe avere anche qualche aspetto positivo: ricordate
il tanto criticato modello sovietico?

A ben guardare c'è però un altro piccolo regalo che i processi di
liberalizzazione di orari e licenze hanno portato: la desertificazione
delle città e questo per due motivi. Innanzitutto, il piccolo
commerciante i soldi per tenere aperto il suo negozio dalle 9 del
mattino alla mezzanotte non li ha e quindi deve chiudere. In secondo
luogo perché le catene si concentrano in pochi spazi, oltre ai centri
commerciali ci sono le vie del centro, solo quelle più trafficate,
chiaro! Così la rua Augusta, che porta alla maestosa praça do
Comercio, quella della scena finale del film Sostiene Pereira, diventa
uguale a tante vie del centro di altri luoghi sparsi un po' in tutto
il mondo, ma questo è problema studiato. Lo aveva previsto Pasolini
nel 1974 che una società ancora troppo contadina come quella
portoghese male avrebbe resistito al «totalitarismo del capitalismo
del consumo». Le implicazioni sono molto più pesanti di quanto ci si
aspetterebbe, perché si finisce col perdere completamente i rapporti
tra le persone e il loro quartiere, che diventa soltanto un triste,
cadente e pericoloso dormitorio. Si perde il rapporto umano con il
proprio farmacista, libraio, edicolante, perché dentro quei posti ci
sono solo persone sfruttate che lavorano su turni e che probabilmente
ruotano su più negozi della stessa catena e, visto che nella maggior
parte dei casi sono precari, probabilmente li vedrete poche volte e
poi spariranno. Insomma vivrete, e viviamo, in ambienti sempre più
asettici dove saremo sempre meno conosciuti e riconosciuti: sempre
più clienti e sempre meno cittadini.

C'è infine un ultimo «piccolo» problema che la questione della
liberalizzazione degli orari dei negozi porta con sè: la assoluta
scomposizione dei rapporti umani di chi vive nel commercio. Lavorare
su turni che vanno dalle 9 del mattino alla mezzanotte 7 giorni su 7,
12 mesi all'anno significa fare fatica ad avere relazioni. I turni non
li sceglie il lavoratore, ma il datore di lavoro, che da queste parti
viene chiamato patrão, tanto per essere chiari su chi e su come si
comanda. Se disgraziatamente anche tua moglie, marito, fidanzato
lavora su turni, diventa difficile trovare un momento in cui
incontrarsi, in cui andare al parco a passeggiare o andare in vacanza
insieme. Non si cena più, non si pranza più, ci si incrocia e basta,
ogni tanto, se tutto va bene. Una vita che ricorda molto da vicino
quella descritta da Calvino nel suo racconto «l'avventura di due
sposi» dove appunto i due sposi, che lavoravano uno di giorno e
l'altro di notte, si incrociavano, di fretta, al bagno, quando uno
finiva e l'altro iniziava la propria giornata.

Siamo sicuri che per potere comprare più «liberamente», cioè
istigati da una pubblicità sempre più invasiva e penetrante, magari
risparmiare qualche centesimo di euro, valga davvero la pena accettare
quello che sembra essere sempre di più lo scenario descritto da
George Orwell in 1984, dove ogni aspetto sociale veniva controllato
dal grande fratello e ogni sentimento tassativamente proibito? Oppure
una realtà simile a quella di Metropolis di Fritz Lang, dove, nella
città sommersa, una sirena scandiva in due turni simmetrici da 12 ore
la vita di uomini trasformati in automi, attaccati a macchine, privi
di qualsiasi coscienza? Siamo sicuri che la completa
deregolamentazione di tutto sia una questione di civiltà? Siamo
sicuri che le liberalizzazioni portino posti di lavoro e non ulteriori
fonti di sfruttamento di manovalanza a basso e bassissimo costo?

Forse vale la pena tenerci il negozio sotto casa che chiude alle
sette ma il cui gestore si ricorda di noi, ci tiene il giornale o il
pane da parte e la domenica andarcene a fare una passeggiata, perché,
vi assicuro, se il supermercato è aperto voi ci andrete a comprare!


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Re: La scomposizione

Messaggioda ranvit il 12/01/2012, 9:11

Italietta....
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: La scomposizione

Messaggioda franz il 12/01/2012, 9:45

Interessante ma per nulla convincente (a parte chi già è convinto, of course).
Per prima cosa la sparizione dei piccoli negozi "sotto casa" non è legata agli orari ma è già in atto da tempo, anche dove gli orari sono fissi e bolscevici (perché cosi' vogliono i sindacati). Il fenomeno riguarda naturalmente le economia di scala che un grande centro commerciale puo' fare negli acquisti (soprattutto le catene come coop, carrefour etc) rispetto ad un piccolo negozio. Se poi a Lisbona le cose sono successe contemporanemante possono avere l'impressione che le cose siano collegate. Non è cosi'.
Chiaramente il fatto che i centri commerciali e le catene di supermercati facciano prezzi piu' bassi (e di parecchio) va a vantaggio di milioni di consumatori ed a svantaggio di pochi piccoli commercianti. Anche l'avvento dell'automobile ha significato un grosso problema per stallieri, maniscalchi, allevatori di cavalli, fabbricanti di selle e finimenti. Le rivoluzioni non sono pareto efficenti: portano vantaggi per la maggioranza e svantaggi per qualcuno. Amen.

In secondo luogo il fatto di avere orari di vendita che non coincidono con l'orario di lavoro standard è positivo per tutti.
Questo perché la società di oggi vede in famiglia tutti lavorare (a parte l'Italia, dove come sappiamo poche donne lavorano). Quindi o si fa tutti la spesa al sabato (intasando strade e supermercati) oppure si puo' fare durante la settimana se l'orario di apertura dei centri commerciali e dei supermercati si prolunga oltre l'orario standard di lavoro nel secondario o terziario. È positivo anche per chi lavora nei negozi, perché finito il turno potrà trovare negozi aperti e fare la spesa.

Eviterei poi scenari grotteschi alla Orwell o Lang ma anche il pietismo romantico sul negoziante che si ricorda di noi. Perché se noi siamo veramnete noi, anche nei supermercati avviene la stessa cosa. Anche se fanno i turni io conosco tutti gli addetti e loro ormai conoscono me. Se vogliono comprare una certa cosa, mi avvisano che la prossima settimana sarà in offerta speciale e la tengono da parte. Anche in un grande supermercato ci sono relazioni umane tra clienti e lavoratori e vi assicuro che nessuno di loro è un automa collegato ad una macchina.
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Re: La scomposizione

Messaggioda flaviomob il 12/01/2012, 10:56

1 - L'articolo tratta delle conseguenze sociali, culturali e "umane", non solo economiche, di una trasformazione profonda del modo di fare gli acquisti nella quotidianità. Ho diversi conoscenti che lavorano la domenica (io stesso l'ho fatto, anche se in un ambito del tutto diverso) e ciò crea dei grossi problemi alle relazioni di coppia: non poter stare insieme ne' fare una gita fuori porta nel weekend, magari lavorare su turni diversi. Tra l'altro, se tutti lavorassero il sabato e la domenica, chi avrebbe vantaggio dall'apertura dei negozi in quei giorni?

2 - La relazione tra economia e questa distorsione del concetto di "liberalizzazioni" è tutta da dimostrare. Negli anni ottanta si viveva molto meglio di oggi, molte famiglie "proletarie" iniziavano ad avere le risorse per permettersi qualche capo firmato (all'epoca tanto di moda...) e magari per mandare i figli all'università. I negozi facevano orari "normali" e non c'erano i mega centri commerciali di oggi e vivevamo tutti meglio

3 - Il vantaggio collettivo è tutto da dimostrare. I prezzi al consumo scendono quando c'è più concorrenza (se è sana, perché l'Italia ha una storia di cartelli e di inciuci da spavento... benzina RCauto eccetera), ma anche quando si abbattono i costi del lavoro comprimendo i diritti e i salari oppure quando si riducono drasticamente i posti di lavoro.

4 - Il proliferare di centri commerciali ha coinciso, guarda un po', con la tendenza all'impoverimento della classe medio-bassa e all'accumulazione di ricchezze da parte della minoranza più facoltosa della popolazione. Sicuramente le grandi catene fanno profitti molto più elevati, in proporzione, rispetto ai piccoli commercianti...

5 - Con le nuove tecnologie è molto più semplice, economico ed ecologico svolgere in parte o del tutto il proprio lavoro da casa, con internet, in alcuni settori. Ciò rende più semplice fare la spesa nel negozio sotto casa piuttosto che prendere l'auto e ingolfare le strade fino al grande centro commerciale.


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Re: La scomposizione

Messaggioda pianogrande il 12/01/2012, 11:10

Il piccolo negoziante ha una via per sopravvivere.
Quella della qualità.
Si deve specializzare e vendere prodotti e servizi di nicchia.
Vini, formaggi ..... consegne a domicilio ..... assistenza specialistica (fotografia, computers ....).
C'è solo da sbizzarrirsi.
Il piccolo negoziante che vende prodotti normali sarebbe il benvenuto nei piccoli centri dove di negozi non ce ne sono (figuriamoci i centri commerciali).
Categorie protette a spese del consumatore ce ne sono sempre troppe.
L'abbinamento orari dei negozi => licenza di costruire mi sembra un po' troppo fantasioso e, comunque, evitabile.
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
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Re: La scomposizione

Messaggioda franz il 12/01/2012, 11:58

flaviomob ha scritto:1 Tra l'altro, se tutti lavorassero il sabato e la domenica, chi avrebbe vantaggio dall'apertura dei negozi in quei giorni?

2 - Negli anni ottanta si viveva molto meglio di oggi,

3 - Il vantaggio collettivo è tutto da dimostrare.

Pochi punti per volta.
1) Non "tutti" ma solo chi lavora, centri commerciali, supermercati. Secondo il datawehouse di ISTAT parliamo di 162'000 addetti (23'600 nei grandi magazzini e 138'800 nei supermercati). Per i negozi tu dici che non gli conviene per cui non li conto. I negozi già oggi sono aperti al sabato.
2) negli anni 80 si viveva meglio? Ma in quale film? Magari c'era l'illusione di vivere meglio, con l'inflazione e lo stato che si indebitava. Ma francamente io vivo molto meglio oggi (ed anche le persone che conosco). Negli anni 80 non c'erano computer ed Internet, telefonini e telecamere, macchine fotografiche digitali. Insomma non si comunicava certo come oggi.
3) il vantaggio collettivo lo posso calcolare, rispetto agli anni 80 con merci migliori e a piu' buon mercato sia nell'elettronica e nell'informatica sia in una infinità di merci provenienti da tutto il mondo a prezzi sempre piu' abbordabili.
Non so in Italia (che mi pare indietro anche in questo) ma la densità dei centri commerciali nel mondo è in aumento ed io ne ho 5 nel raggio di 4 km, di cui uno a 500 metri.

Sul punto 4 sorvolo non per reticenza ma per non infierire.
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Re: La scomposizione

Messaggioda ranvit il 12/01/2012, 12:31

Se il giorno di Natale c'è un incendio.....i pompieri, persone, devono spegnerlo...

Chi ha detto che il piccolo negozio deve stare aperto 24 ore? Stia aperto per il tempo che vuole ma la smetta di fregare la gente (qualità, peso, prezzo). Se il servizio ed il prezzo è buono chi abita nel vicinato, compra.

Rapporti umani? Nella maggior parte dei casi consiste nel "ti do' confidenza cosi' ti fidi di me e posso fregarti".....naturalmente ci sono le eccezioni.

Ripeto: italietta!
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Re: La scomposizione

Messaggioda franz il 12/01/2012, 13:18

pianogrande ha scritto:Il piccolo negoziante ha una via per sopravvivere.
Quella della qualità.
Si deve specializzare e vendere prodotti e servizi di nicchia.
Vini, formaggi ..... consegne a domicilio ..... assistenza specialistica (fotografia, computers ....).
C'è solo da sbizzarrirsi.
Il piccolo negoziante che vende prodotti normali sarebbe il benvenuto nei piccoli centri dove di negozi non ce ne sono (figuriamoci i centri commerciali).
Categorie protette a spese del consumatore ce ne sono sempre troppe.
L'abbinamento orari dei negozi => licenza di costruire mi sembra un po' troppo fantasioso e, comunque, evitabile.

@pianogrande, mi sorprendi - positivamente - sempre di piu'.
Segnalo anche che molti grandi centri commerciali contengono piccoli negozi o catene di piccoli negozi. Come a dire che se la montagna non va a maometto ...
Sicuramente i piccoli negozi devono specializzarsi e vcino a me c'è una panetteria-pasticceria con un tea-room annesso, veramente ottima e ... aperta la domenica mattina :-)
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Re: La scomposizione

Messaggioda flaviomob il 12/01/2012, 15:43

Tra gli anni settanta e i primi anni ottanta si raccolsero i frutti delle politiche sociali dei due decenni precedenti. Non vi è mai stata tanta mobilità sociale verso l'alto come in quel periodo, è inutile negarlo. Il debito pubblico è esploso dopo, ma le politiche di edilizia popolare e di garanzie per i lavoratori erano già state attuate (tra parentesi, il debito pubblico esplose con Craxi in una congiuntura di basso costo del petrolio scandalosa: si sarebbe dovuto ridurre, con politiche adeguate e in ogni caso la spesa pubblica esplose per LE TANGENTI E IL MALAFFARE, non certo per le politiche sociali, mentre ci raccontavano balle sull'abrogazione della scala mobile che da sola avrebbe permesso di risanare il paese). Non vi sono mai stati tanti figli di operai che si iscrivevano all'università come in quegli anni.

Che poi il piccolo negozio non debba fregare siamo d'accordo tutti (ma allora perché non denunciarlo?). E' molto più utile pensare a servizi per chi torna a casa tardi dal lavoro, come le consegne a domicilio anche in orario posticipato (creerebbero posti di lavoro nel quartiere, radicati nel territorio) o la produzione di pane fresco anche nel tardo pomeriggio e la domenica mattina (come in Germania). I piccoli esercizi non si possono permettere aperture serali a go-go (anche se in alcune città una sera la settimana viene fatto) o tutte le domeniche: mantenendo lo stesso numero di clienti, i costi aumenterebbero mentre la clientela dilazionerebbe semplicemente la spesa su più giorni, feriali o festivi che siano. Oltretutto siamo in recessione e certamente la gente non ha le tasche piene (il fallimento dei saldi - operazione peraltro anacronistica e dirigista - lo dimostrano: aboliamo i saldi "di stato").
Incrementiamo invece i consumi a km zero e legati al territorio, puntando sulla qualità dei prodotti e della vita. Tra l'altro, la spesa sul territorio si può fare a piedi invece che in automobile... Poi anche i piccoli negozi possono aprire, magari qualche domenica mattina, lasciando libertà di gestire più liberamente gli orari di lavoro (magari con qualche ora in meno in settimana, consegne a domicilio anche negli orari di chiusura), insomma soluzioni "liberali" ma con riguardo ai costi (umani ed economici) sostenibili anche per i "piccoli". In fondo, i veri liberali sono contro gli oligopoli.


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Re: La scomposizione

Messaggioda franz il 12/01/2012, 16:12

flaviomob ha scritto:(tra parentesi, il debito pubblico esplose con Craxi in una congiuntura di basso costo del petrolio scandalosa: si sarebbe dovuto ridurre, con politiche adeguate e in ogni caso la spesa pubblica esplose per LE TANGENTI E IL MALAFFARE, non certo per le politiche sociali)

(Sempre tra altrettante parentesi, sono tutte palle. Il debito esplose per i deficit previdenziali - chiarissimo sui giornali di allora, che pero' non sono in rete - e spiccano qui le famose pensioni a 15 anni sei mesi ed un giorno di cui tu stesso raccontavi anni fa esperienze molto vicine alla tua vita quotdiana. C'erano anche tangenti e malaffare ma queste esplosero dopo il crollo del muro di berlino, quando Washington e Mosca smisero di finanziare i partiti di riferimento).
Ma sono tutto sommato d'accordo con te. Le pensioni di anzianità non sono mai state "politica sociale" ma clientelismo allo stato puro, difeso a spada tratta dai sindacati e dalle sinistra fino al crollo poche settimane fa. La vera politica sociale in Italia non c'è mai stata e la gente si è arrangiata con le finte pensioni di invalidità, con l'evasione, con mille sotterfugi).
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