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Perché si mente sulle cause della crisi

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Perché si mente sulle cause della crisi

Messaggioda franz il 16/08/2011, 8:38

Sono tante crisi nazionali, tutte uguali e che hanno la stessa origine. Ma, in Italia, la cattiva politica e il cattivo giornalismo le spacciano per una crisi internazionale attri­buendola a una non meglio speci­ficata «speculazione», una sorta di Spectre spuntata dal nulla. Se ci si attiene ai fatti, si constata, però, facilmente che sono in crisi i Pae­si con un grosso debito pubblico alimentato da un deficit di bilan­cio annuale.

Di internazionale c'è solo che in quelle condizioni sono in molti, an­corché ciascuno per ragioni, sem­pre le stesse, strettamente di politi­ca interna. Ma, allora, perché la politica e il giornalismo racconta­no la balla della crisi internazio­nale? La politica, perché, altrimen­ti, dovrebbe ammettere il proprio fallimento e non potrebbe chiede­re «sacrifici» ai propri cittadini, massacrandoli di altre tasse, per uscirne e, quel che è peggio, rico­minciare da capo come se nulla fosse, salvo tenersi di riserva la pro­spettiva di una stangata successi­va ai poveri contribuenti.

È fallita la politica di eccessiva in­termediazione pubblica, di invasi­vità statale che da sempre anche il sociologo Luca Ricolfi - di certo non un liberista - denuncia come produttrice di inefficienze, sprechi, corruzione, clientelismi, spesa pub­blica debordante e pressione fisca­le oppressiva. Lo Stato è diventato un enorme parassita, una zecca che succhia il sangue alla società civile. Il paradosso è che gli italia­ni sono, ora, sulla tolda della na­ve che affonda a cantare «Fratelli d'Italia», truffati e contenti (?) di dare il sangue alla Patria con un «contributo di solidarietà» che al­tro non è che un'altra tassa com­minata loro da una classe politica fallimentare per salvarsi.

Se, dunque, la politica ha le sue (cattive, ma comprensibili) ragio­ni, chi glielo fa fare ai giornalisti di raccontare balle? Un marxista­leninista direbbe che sono gli edi­tori a volerlo. Non sarebbe un'ipo­tesi lontana dal vero tenuto conto che gli editori italiani sono quegli tessi banchieri, industriali, faccendieri, parassiti che, secondo Luigi Einaudi, hanno preso d'assalto la finanza pubblica a partire dalla caduta della Destra storica nel 1876 e che hanno via via accresciuto la loro avidità nel secondo dopoguerra.

Ma chi conosce come vanno le cose nei giornali sa che non vanno così. In tanti anni di professione non ho mai visto un editore telefonare al direttore non dico per dirgli che cosa deve fare, ma neppure che cosa si aspetta dal giornale di cui pure è proprietario. Gli editori si limitano a nominare direttore uno che non disturbi nessuno e poi lo lasciano fare fino a quando non lo cacciano per fare un favore a qualche loro protettore politico o perché il giornale fa proprio schifo e non vogliono perderci, con la faccia, troppi soldi. Poi ne nominano un altro della stessa specie e si ricomincia da capo. L'informazione è l'ultimo dei loro pensieri. A raccontare balle sono proprio i giornali sti. Molto per ignoranza e inadeguatezza al compito, un po' perché credono di assecondare gli editori nella (errata) convinzione che quelli la pensino come il marxista-leninista attribuisce loro di pensare.

In poche parole, per un eccesso di servilismo, prevale il conformismo, l'adeguamento alla corrente - tutti si comportano allo stesso modo per non sembrare la pecora nera e mettersi, così, al riparo da eventuali sorprese (leggi licenziamento, che, in ogni caso, arriverà comunque, e per le ragioni meno prevedibili) - in un'orgia di «politicamente corretto» che è, poi, un «culturalmente catastrofico».

Nessuno pensa al cittadino, dei cui interessi non ci si cura, e neppure al lettore che pure tutte le mattine spende qualche euro per comprare un giornale del tutto inutile. E, nel frattempo, non solo i giornali, ma il Paese vanno a catafascio senza che nessuno se ne preoccupi non fosse altro per dire come stanno real mente le cose. In tale contesto, per dirla con Marx, assume i contorni della farsa quella che era incominciata come una tragedia. Dice il presidente del Consiglio, cav. Silvio Berlusconi, che lui passerà alla storia come colui il quale ha salvato l'Italia dal disastro.

Ma si dà il caso che l'Italia non sarebbe finita sull'orlo del disastro solo se lui stesso avesse fatto le cose che aveva promesso di fare e non ha fatto: riduzione della spesa pubblica e della pressione fiscale, semplificazione normativa e amministrativa, liberalizzazione del mercato, compreso il diritto societario, e privatizzazioni dei servizi pubblici oggi gestiti dagli Enti locali e che sono un ricettacolo di clientelismi e di corruzione. La colpa della crisi è, quindi, oltre che dei suoi predecessori al governo, anche sua. Il guaio è che, di fronte a una battuta come quella, nessuno ha riso e tanto meno gli ha fatto notare che era francamente ridicola.
Piero Ostellino, sul Corriere del Ticino del 16 agosto 2011
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Re: Perché si mente sulle cause della crisi

Messaggioda franz il 16/08/2011, 8:41

C'è un'altra possibilità, oltre a quelle elencate da Osterllino.
Ogni giornale e giornalista racconta cio' che i lettori desisderano (o si aspettano di) sentirsi dire.
E' un problema di mercato. Se un giornale dicesse cose sgradite alla sua particolare platea di lettori, col tempo li perderebbe.

Da qui possiamo intuire che molti italiani preferiscono sentirsi raccontare che la colpa è della speculazione, della germania che non ci aiuta, della crisi internazionale.
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Re: Perché si mente sulle cause della crisi

Messaggioda lodes il 16/08/2011, 10:25

Tutto vero quello che scrive Ostellino, ma.....ma cade alla fine del suo pezzo dove scrive "Ma si dà il caso che l'Italia non sarebbe finita sull'orlo del disastro solo se lui stesso avesse fatto le cose che aveva promesso di fare e non ha fatto: ..."
Siamo al 16 agosto del 2011 e a Ostellino piange il cuore per lui (l'unto del signore) che non ha fatto ciò che aveva promesso. Il nostro eroe, dopo quasi venti anni dalla discesa in campo del cavaliere, non riesce a immaginare che B. fosse intrinsecamente agli antipodi rispetto ad una virtuosa riforma, che nel panorama culturale/politico (sic!) di B. ci fosse la difesa della sua "roba" e dalla prigione dove sarebbe sicuramente finito se fosse vissuto in un paese "liberale".
Insomma ancora una volta questo pseudo intellettuale mostra tutta la sua inconsistenza.
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Re: Perché si mente sulle cause della crisi

Messaggioda ranvit il 16/08/2011, 10:52

Lodes hai ragione...ma non del tutto: in realtà davvero molta gente in Italia, stufi della politica troppo statalista dei democristiani (grazie anche all'appoggio della sinistra inciuciona, si era, e purtroppo in larga parte ancora lo si è, allo Stato occidentale piu' sovietico che ci fosse, dopo i Paesi comunisti) avevano sperato in buona fede che Berlusconi portasse davvero, comunque, un'ondata di liberalità. Si sono anche turati il naso tante volte facendo finta di credere alla persecuzione giudiziaria.
Solo ora si sono davvero convinti che non c'è piu' da sperare... e dall'altra parte per loro ci sono sempre "i comunisti"...


Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Perché si mente sulle cause della crisi

Messaggioda flaviomob il 20/08/2011, 3:45

dal Fatto

Le borse crollano e l’oro vola.
Ecco perché le ricette anticrisi di Fed e Bce non funzionano

La paura della recessione abbatte le quotazioni e sposta enormi masse di liquidità verso i Bond del Tesoro statunitense, l’oro, volato a 1828 dollari l’oncia dopo aver toccato 1880, i titoli svizzeri e persino i bond dei paesi del Golfo. E il rischio di un double dip (anticipato dal Fattoquotidiano.it già lo scorso 2 agosto) diventa ogni giorno più reale, perché, come ha spiegato l’economista Jean Paul Fitoussi, le politiche di austerità rischiano di peggiorare le cose. La dimostrazione palese che le ricette della Fed e della Bce, per iniettare moneta liquida sui mercati, non funzionano e stanno creando le condizioni di quella trappola della liquidità evocata più volte dagli economisti, è andata in scena sui mercati azionari di tutto il mondo.

LE CURE CHE NON FUNZIONANO – I dati a raffica dall’economia Usa, la nuova paralisi del mercato interbancario in Europa che spinge la Fed a mettere sotto controllo alcune banche europee, le previsioni di una frenata persino della Cina, hanno investito come un tsunami le borse dell’intero Globo. La verità è che le banche centrali tengono i tassi artificiosamente bassi, stampano carta moneta ma le economie non si riprendono. O meglio le aziende sì: soprattutto la “corporate America” come viene chiamato il gruppo delle grandi corporation Usa ma anche le centinaia di società quotate nelle borse europee. Gli utili corrono, grazie ai giganteschi tagli occupazionali, ma i soldi non girano nell’economia perché il timore dello stallo tiene fermi gli investimenti e la mano pubblica è paralizzata dalla minaccia della speculazione che attacca gli stessi stati sovrani che hanno speso migliaia di miliardi per salvare la finanza.

CAMBIANO GLI INVESTIMENTI CONSIDERATI “SICURI” – Quello che è accaduto nell’ultima giornata di scambi, mentre Wall Street sprofondava di quasi quattro punti (il Dow Jones ha chiuso a -3,66%) trascinando tutta l’Europa, è emblematico: i rendimenti per i titoli del Tesoro Usa a 10 anni sono scesi per la prima volta nella storia sotto il 2%, livello mai raggiunto nemmeno durante la Grande Depressione degli anni ’30, fino a un minimo di 1,978% per poi risalire al 2,002%. La Svizzera già due giorni fa nel disperato tentativo di bloccare gli ingenti flussi verso il franco e i titoli di Stato, ha spinto in negativo i rendimenti dei titoli a due anni e quasi a zero quelli sui depositi a breve. I rendimenti sui titoli di Stato biennali svizzeri, quotati a Londra, sono scesi su livelli negativi (-0,06%) per il secondo giorno. In pratica alla scadenza gli investitori riceveranno meno di quanto hanno pagato i titoli di Stato, rimettendoci così non solo i rendimenti ma anche parte del capitale ma guadagnando sull’incredibile rafforzamento della valuta elvetica (+12% da inizio 2011).

Anche i rendimenti dei titoli a dieci anni sono scesi di 19 punti base a quota 0,86%. La Banca centrale svizzera ha annunciato misure straordinarie per frenare la corsa del franco immettendo liquidità sui mercati e fissando il tasso nominale a breve (tre mesi) più vicino possibile allo zero, in modo da scoraggiare i flussi di capitali verso la moneta e le attività nazionali. Il tasso interbancario Libor sui depositi a tre mesi è sceso oggi al record di 0,01333, il più basso dalla sua istituzione nel 1989. Ma gli investitori stanno esplorando anche altre attività ritenute sicure, come i titoli di Stato dei Paesi del Golfo. Il rendimento medio sui bond della regione è calato al 4,67% questo mese a causa della forte domanda, si tratta dell’interesse più basso da novembre scorso, secondo l’indice Hsbc/Nasdaq Dubai Middle East Conventional Sovreign Us Dollar Bond Index. I titoli di Stato più ricercati sono soprattutto quelli del Qatar e di Abu Dhabi. E lo stesso accade con l’oro, spinto ad oltre 1.829,40 dollari l’oncia.

L’ECONOMIA REALE NON CRESCE – Intanto i segnali che arrivano dall’economia reale continuano a fare paura. In Brasile calano le vendite di auto, aumenta la richiesta di sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti mentre calano le vendite di case nuove (-3,2%) mentre gli analisti si aspettavano un incremento del 2,5%. E arriva la solita ciliegina sulla torta di Morgan Stanley che annuncia che il rischio di recessione globale è salito al 25%. Il sistema economico globalizzato non funziona e soprattutto le ricette per evitare le crisi non sono più idonee. Senza una redistribuzione del reddito e una rivoluzione della dipendenza energetica il capitalismo globale non riesce a superare la propria endemica tendenza all’instabilità, come ha spiegato in diversi suoi libri Hyman Minsky.

L’EFFETTO DEL TERREMOTO IN GIAPPONE E DELLA GUERRA IN LIBIA – Ma se si guardano bene i dati si scoprono i due “mandanti” di una recessione che forse si può evitare: il primo è il terremoto del Giappone e quindi si dovrebbero superare gli effetti devastanti sull’economia mondiale entro la fine dell’anno. Il secondo si chiama Nicolas Sarkozy e la disgraziatissima guerra in Libia. Il sistema dell’economia occidentale è troppo dipendente dal petrolio, come evidenziato da una recente ricerca del professor James D. Hamilton dell’Università della California. Che evidenzia come lo shock petrolifero seguito alla sospensione delle forniture da Tripoli abbia impattato negativamente sul pil statunitense per almeno l’1,1% nel primo semestre di quest’anno. Se a questo effetto negativo sommiamo un mezzo punto di pil mondiale perso per effetto del terremoto che ha paralizzato la seconda economia mondiale, si capisce che la frenata era inevitabile. E che la recessione si potrebbe comunque frenare cercando di porre fine al più presto alla guerra in Libia e tagliando le spese militari più che mai improduttive in una fase di crisi come quella attuale.

di Andrea Di Stefano (direttore di Valori)


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Re: Perché si mente sulle cause della crisi

Messaggioda franz il 20/08/2011, 8:06

Il sistema economico globalizzato non funziona e soprattutto le ricette per evitare le crisi non sono più idonee. Senza una redistribuzione del reddito e una rivoluzione della dipendenza energetica il capitalismo globale non riesce a superare la propria endemica tendenza all’instabilità.

Vero, ma l'instabilità endemica non è tanto una proprietà dell'"ismo" di turno ma è proprietà di un sistema fortemente guidato dall'innovazione tecnologica. Tra 6 mesi potrebbe apparire un'innovazione che rende obsoleti centinaia di prodotti, di macchinari produttivi. Questo non solo nell'informatica ma anche nell'energia (e in tanti ci stanno lavorando) nella produzione alimentare, nella medicina. A mio avviso anche se ci liberassimo dalla citata dipendenza ed ottimizzassimo la ridistribuzione dei redditi, il sistema sarebbe sempre instabile, in modo intrinseco. L'innovazione (imprevedibile) comporta rivoluzioni tecnologiche, chiusure di attività, nascita di nuove. Pensiamo a quando è finita l'era della trazione anmale e si è passati alle macchine. O alla rivoluzione digitale. Molto spesso comporta che anche il know-how dei lavoratori, impiegati in una tecnologia che sta per essere sorpassata, diventi rapidamente osoleto. Non tutti i fabbricanti di carrozze sanno diventare carrozzieri di automobili.

Ma il vero problema del "sistema economico globalizzato" che è la mina vagante che sta facendo affondare tutti è costituito dei debiti pubblici. Stati come Giappone, USA e Italia, che hanno debiti pubblici sopra il 100% dei PIL (e tanti altri europei, che hanno in media debiti all'80% del PIL) stanno mettendo in crisi la finanza e l'economia reale. E non viceversa.
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Re: Perché si mente sulle cause della crisi

Messaggioda flaviomob il 20/08/2011, 14:35

Il primo segnale che qualcosa di importante stava accadendo da quelle parti è stata una recensione apparsa sul Financial Times, non proprio un Quaderno rosso. Parlando del libro di Eric Hobsbawm Come cambiare il mondo. Perché scoprire l’eredità del marxismo, lo definiva poco meno di un capolavoro di accuratezza, profondità e rigore. Un testo in grado di “diradare le nebbie del Ventesimo secolo”. Nientemeno. Il giornale della City, tempio del capitale, del mercato e del liberismo riconosceva al vecchio nemico comunista qualcosa di più dell’onore delle armi. Forse come accade a certi personaggi dei film che, rimasti senza la loro nemesi, non riescono a rassegnarsi e non possono posare lo sguardo sul campo di battaglia ormai deserto.

Quale che sia la motivazione profonda, il Ft ha ragione: Hobsbawm, uno dei più grandi storici viventi, ha raccolto una serie di saggi sul marxismo che escono dal campo accademico e proiettano quelle dottrine, quelle istanze, quelle parole sull’oggi. Le grandi intuizioni di Engels, per esempio, restano sorprendenti quasi più ora che a metà dell’800 quando le scrisse: l’assorbimento della politica nell’economia; l’amministrazione delle cose che soppianta il governo degli uomini; la capacità di trovare regole quasi scientifiche nell’alienazione degli operai e della società laddove altri vedevano soltanto disordine mentale; l’idea che le crisi a periodicità regolare fossero un aspetto integrante del capitalismo; l’unificazione delle grandi istanze della Rivoluzione francese con quelle del nuovo proletariato britannico che avrebbe generato una dottrina più pura in vista di una contrapposizione sociale più pura, quella tra operai e padroni anziché tra borghesi e aristocratici; le difficoltà pratiche in cui si sarebbe trovato un partito di massa di fronte a decisioni epocali; la fine della famiglia tradizionale a opera del capitalismo (su questo punto il Vaticano potrebbe trovare inaspettati compagni di strada).

Tutto elencato, analizzato e ricostruito da Hobsbawm con chiarezza e metodo, lo stesso metodo mutuato da Marx ed Engels, che rimasero sempre in questo, nonostante le discipline a cui diedero vita, due filosofi. Perché, “solo un individuo libero dalle illusioni della società borghese può essere un valido scienziato sociale”. Infatti mai nelle loro analisi i due autori del Manifesto usarono parole di disprezzo contro i capitalisti o i borghesi, ma sempre contro il grande “ismo”, l’ideologia che trasforma gli sfruttatori in una classe “profondamente immorale, incurabilmente corrotta dall’egoismo, corrosa nel suo essere”. I più scientifici tra i pensatori, ricorda il libro, si sono lasciati andare a profezie da brivido (e con echi che richiamano certe pagine mistiche di Simone Weil) regolarmente avveratesi: “La società borghese ha prodotto mezzi di produzione così potenti che rassomiglia al mago che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate; i rapporti borghesi sono divenuti troppo angusti per poter contenere la ricchezza da essi prodotta”.

Lo scenario è fin troppo evidente a tutti. Il mercato ha vinto su ogni cosa, la politica si è ridotta a specchio della finanza. Non si produce, si scommette. Non si progetta, ci si indebita. Non si assume, si affitta. Non si costruisce, si rimanda. Non si spera, si consuma. Tutto già detto, tutto già scritto. Tutto finito. Il campo di battaglia è vuoto. Nessun sol dell’avvenir risplende all’orizzonte. Nessuno spettro si aggira per l’Europa. O no?

Eric Hobsbawm, Come cambiare il mondo. Perché riscoprire l’eredità del marxismo (tr.it. L. Clausi, Rizzoli, 22 euro)
http://olivero.blogautore.repubblica.it/?ref=HREC1-3


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Re: Perché si mente sulle cause della crisi

Messaggioda franz il 20/08/2011, 18:30

Siamo veramente alla frutta. Hobsbawm è un vecchio marxista del 1917 (http://it.wikipedia.org/wiki/Eric_Hobsbawm).
In una società libera un giornale capitalista recensisce un suo libro ed i neuroni dei nostalgici si risvegliano? 8-) :lol: :D
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Re: Perché si mente sulle cause della crisi

Messaggioda flaviomob il 20/08/2011, 21:46

Un vecchio marxista del 1917 non può aver ragione, se si scopre che le sue previsioni si sono rivelate aderenti alla realtà?
Impossibile, per chi ha una visione ideologica è la realtà che deve adeguarsi alla teoria. Siamo alle solite :lol:


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Re: Perché si mente sulle cause della crisi

Messaggioda franz il 21/08/2011, 22:15

flaviomob ha scritto:Un vecchio marxista del 1917 non può aver ragione, se si scopre che le sue previsioni si sono rivelate aderenti alla realtà?
Impossibile, per chi ha una visione ideologica è la realtà che deve adeguarsi alla teoria. Siamo alle solite :lol:

Falvio, non prendiamoci per i fondelli. :P
I marxisti sono 150 anni che predicano la fine del loro storico nemico.
E sono 150 anni che dopo una crisi l'economia si riprende e si prepara per la prossima.
Nel frattempo l'unico storico fallimento reale che abbiamo osservato è stato quelli di chi aveva provato a mettere in pratica (male o bene che sia) le sconclusionate idee del carletto, che economista non era.
In pratica a questi falliti altro non resta che tentare di sollevare la testa ogni qual volta che l'economia entra in crisi dicendo "lo avevamo previsto".
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