Questo post fa parte di una piccola serie che ho selezionato nelle due settimane passate, che ora metto sul forum, in quanto rispecchiano e ripetono concetti che ho tentato di sostenere nei mesi (o negli anni recenti) appena trascorsi, suscitando l'accanita resistenza di alcuni partecipanti al forum.
In particolare tengo a sottolineare che non si tratta di articoli o di tesi scaturite da personaggi verso i quali sia facile buttare ottusamente la palla in corner, dicendo - come è stato fatto con me - che si tratta di "nostalgici del PCI", o roba del genere.
In coda, cito comunque alcune note che inquadrano l'autore, per facilitare la comprensione dei testi senza la necessità di correre subito a fare ricerche sul web.
Meritocrazia
di Pierfranco Pellizzetti
All’inizio degli anni Novanta, nel clima ottimistico creatosi dopo la caduta del muro di Berlino e in piena «rivoluzione digitale», tra le élite politiche e intellettuali si diffuse la convinzione che stesse materializzandosi una «Terza Via» tra la rassegnazione alle disuguaglianze del pensiero conservatore e l’egualitarismo redistributivo della tradizione progressista. Insomma, una sorta di bacchetta magica in grado di ricreare automatismi virtuosi pari a quelli che per buona parte del dopoguerra erano stati garantiti dai meccanismi escogitati dall’economista John M. Keynes (l’investimento statale in funzione anticiclica).
Le burocrazie di partito, che nei trent’anni precedenti avevano campato di rendita su tali meccanismi ingolfando gli organigrammi pubblici, furono colte da vero e proprio entusiasmo, mentre l’entourage new labour di Tony Blair si incaricava di predicare il nuovo Verbo; riassunto in una parola magica: meritocrazia, il mantra del riformismo up to date all’insegna della Terza Via.
Un’idea tipica dei liberali da Guerra Fredda alla Daniel Bell a giustificazione dell’ordine capitalistico classista, veniva riletta – per così dire – «a sinistra» legandola a processi di formazione in ambito scolastico che avrebbero premiato il merito (intelligenza più impegno) e garantito la mobilità sociale dei migliori, a prescindere dalle posizioni sociali iniziali.
Basta con le lotte di classe e con l’intervento pubblico: ora era sufficiente lasciare lavorare a pieno ritmo la cornucopia inclusiva dell’istruzione!
Purtroppo, dopo un decennio di benevola inerzia della politica, la nuova Mano Invisibile si rivela abbastanza rattrappita; le promesse di automatica inclusione sociale dei meritevoli nella Società Aperta risultano mendaci.
Recenti e accreditate inchieste sul campo hanno evidenziato quanto era facile prevedere: i processi formativi non avvengono nel vuoto pneumatico e l’esito di ogni studente è largamente influenzato dalle dotazioni ricevute con la nascita (il capitale economico, culturale e relazionale della propria famiglia). Sicché, a prescindere dal merito personale, l’allievo con scarse risorse di partenza risulta svantaggiato rispetto a quello più «ricco».
Per non parlare dei paracadute protettivi che si aprono sulla testa dello svogliato ma di estrazione elevata, come dell’andazzo – tipico dei genitori italiani – di trasmettere dinasticamente le proprie posizioni professionali (dai dentisti ai notari).
Certo, le ragazze e i ragazzi eccezionali possono sempre farcela (a prezzo di quali sacrifici è difficile stabilire), ma non era questa la promessa della meritocrazia. Non per niente le distanze tornano a crescere, anche in conseguenza del fatto che le posizioni più penalizzate oggi sono quelle dei figli degli immigrati.
Chi poi dovrebbe valutare i meritevoli al momento di occuparli?
Presto detto: i datori di lavoro. Quando un sondaggio di Unioncamere (il network di tutte le Camere di Commercio italiane) rivela che la qualità più gettonata in un nuovo assunto è «la docilità al comando».
Insomma, la falsa promessa meritocratica ha sovraccaricato ancora una volta quell’istituzione scolastica che poi viene abbandonata al proprio destino di Cenerentola dell’investimento pubblico.
Almeno qui da noi.
Ma forse non solo qui da noi, visto che Christopher Lasch definisce la meritocrazia «una parodia della democrazia». Ormai è chiaro: non ci sono scorciatoie nella fatica politica in materia di «società giusta». Accantonati gli abracadabra. Già lo diceva Max Weber: «la politica è un lento trapanare tavole dure».
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L'autore dice di sé:
Possibile – più in generale – che tra la posizione degli apocalittici (il vaffa) e quella degli integrati (non ci sono alternative) stenti a emergere un barlume di atteggiamento critico? Del resto non sono né un magistrato né un giornalista d’inchiesta. Soltanto un vecchio borghese con una certa praticaccia nella semiologia del costume, messa sommessamente al servizio della causa disperata di ritornare a essere un Paese più civile. Uno che alla domanda “con chi stai” vorrebbe rispondere come John M. Keynes: “se dovessi stare, starei dalla parte della borghesia colta”. Scelta sostanzialmente impraticabile in un’Italia così inguaribilmente incanaglita.
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Liberista Sarà Lei !
l'Imbroglio del liberismo di sinistra
La stagione del turbocapitalismo, del neoliberismo e della feroce speculazione finanziaria non durerà ancora a lungo. Per fortuna. Ma lascerà sul terreno macerie e molti feriti; macerie che andranno raccolte, e feriti che bisognerà curare.
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