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La cura

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

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Messaggioda pierodm il 18/07/2010, 17:13

In questo forum - come del resto altrove - spesso si discute sul fatto che ci sono le "analisi" (in molti casi definite masturbatorie) e ci sono le proposte di "cura concreta" (in molti casi con le sembianze della veemenza e supponenza delle cazzate da osteria).
In realtà, se appena si apre un giornale, si scopre che sono presenti entrambe le tipologie di "pensiero politico" - comprese spesso anche la categoria delle cazzate, anche se in misura decisamente più limitata o meno evidente.
Del resto è ovvio che sia così, perché sia le analisi, sia le cure concrete sono connaturate alla discussione politica e sono necessarie: che poi siano possibili, facilmente praticabili o particolarmente geniali questo è un altro conto. Bisogna accontentarsi, per lo più, di non alimentare la suddetta categoria delle cazzate.

In questi mesi, anzi in questi anni, ci sono state un paio di diatribe particolarmente virulente in questo senso: per esempio, quella che vede tutto il male nella degenerata classe dirigente italiana, e quella che vede la degenerazione nell'elettorato.
Ebbene , nel numero di oggi della Repubblica Scalfari e Diamanti pubblicano due articoli che, messi uno di seguito all'altro, dirimono la questione.
Scalfari si occupa, con la chiarezza di cui è capace, della classe dirigente: quella attualmente al potere, ma in definitiva anche dell'altra, quella che sta all'opposizione o che al potere pure c'è stata.
Non afferma né lascia intendere che "sono tutti uguali" - semplicemente perché non è vero - ma lascia intendere (se si vuole intendere) che sono tutti in qualche modo corresponsabili, per azione o per omissione.
Diamanti si occupa invece della "opinione pubblica". In genere è meno chiaro, meno lineare di Scalfari, ma stavolta il discorso fila via liscio liscio.
Nel suo articolo non fa cenni "storici" - se cioè l'opinione pubblica italiana sia malata da decenni o se sia stata affetta da un virus recente. In modo molto pratico parla al presente e per il presente: la cosiddetta opinione pubblica, così come è fatta ora, così come si forma ora, non serve a niente. Né politicamente, né culturalmente, aggiungo io, se ho ben capito Diamanti. In fondo non serve nemmeno a far navigare stabilmente il suo manipolatore e sfruttatore Berlusconi, perché è un'opinione pubblica inesorabilmente divisa, che vede prevalere la destra, ma non abbastanza da farlo stare tranquillo come ostenta spesso di essere. E poi, c'è una classe dirigente - stampa, magistrati, intellettuali , etc - che, con tutti i suoi difetti non soccombe alla prevalenza sondaggistica berlusconiana.

Quella di Scalfari e quella di Diamanti sono entrambe delle "analisi" - o meglio, delle rappresentazioni - che non suggeriscono "cure", se non quella implicita di un'evoluzione democratica: informazione, informazione, informazione, e poi discussione, presa di coscienza, sia da parte di quello che dovrebbe tornare ad essere "elettorato" e non più "popolo dei sondaggi", sia da parte della parte sana, della parte migliore della classe dirigente.

In altre parti dello stesso giornale ci si occupa della cronaca, del "come" e del "chi" che giorno dopo giorno, mese dopo mese dovrebbe dare corso a questa evoluzione, o che invece tradisce questo impegno, per incapacità o perché non ha capito dove sta il problema.

Nel nostro piccolo, non c'è bisogno di schierarsi dalla parte delle analisi o dalla parte delle cure - anche perché di analisi veramente intelligenti ce ne sono poche in giro, e di cure efficaci ancora meno.
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Re: La cura

Messaggioda annalu il 18/07/2010, 18:36

pierodm ha scritto:Nel nostro piccolo, non c'è bisogno di schierarsi dalla parte delle analisi o dalla parte delle cure - anche perché di analisi veramente intelligenti ce ne sono poche in giro, e di cure efficaci ancora meno.

Proprio qui sta la tragedia: in genere le analisi dovrebbero essere un utile presupposto a proposte davvero efficaci, come una diagnosi corretta è l'indispensabile (anche se non sempre sufficiente) presupposto per un corretta terapia.
Adesso invece, qui e in altri luoghi analoghi, se le analisi appaiono a volte almeno in parte azzeccate, mi sembra che più che altro siano il presupposto per un'atteggiamento di pessimistica rassegnazione. Se le classi dirigenti sono inadeguate e l'opinione pubblica inutile, che prospettive abbiamo?
Mi auguro che sia vero ciò che ogni tanto ci dice Gabriele, e cioè che i giovani fanno politica "altrove": solo se questi giovani e questo "altrove" esistono davvero, c'è possibilità di una rinascita.

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Re: La cura

Messaggioda trilogy il 18/07/2010, 20:32

Sullo stesso tema questo bell'articolo di Giangiacomo Schiavi
su corriere.it/cultura del 18 luglio 2010

RIBELLARSI AL DECLINO
La lotta delle formiche
Disagi e speranze nel Paese dei nessuno
Quell’Italia che fa ancora il proprio dovere

Buongiorno. Sono il signore che paga il biglietto del tram. La volontaria che assiste gli anziani soli. Il cittadino che non evade le tasse. La signora che chiede per favore. Il pensionato che fa la coda negli uffici. La dirigente che sa ascoltare. Il medico che non guarda l’orologio. L’artigiano che non bara sui conti. Lo studente che non crede alle lotterie.

Io non sgomito. Non appaio. Non cerco scorciatoie. Non mi arrendo. Lavoro a volte anche per gli altri. Mi fermo sulle strisce. Non getto mozziconi nelle strade. Aspetto il mio turno per parlare. Non parcheggio sul marciapiede e neanche in seconda fila. Faccio il mio dovere. Studio, perché penso sia importante per vincere i concorsi. Vado a votare e non al mare. Mando i miei figli alla scuola pubblica. Non penso a veline o tronisti. A volte inseguo le mie passioni..

Lettere dal Paese dei Nessuno, dall’Italia dei (cittadini) dimenticati che scrivono ai giornali per avere una speranza e riassumono il declino di un vivere comune, intaccato da una terribile domanda: ma chi te lo fa fare? Giovani che si spaventano: «Ho paura per il futuro mio, del mondo, di tutti, non riesco a vedere il prosieguo della storia che il presente ci sta raccontando» (Martino, vent’anni). Anziani che si deprimono: «Sono avvilita, disgustata. Tutti rubano, tutti mangiano, tutti si fanno appoggiare o raccomandare. Se non sei così ti tagliano fuori » (Barbara, settantacinque anni). Ragazzine che si interrogano. Come Giulia. Storia esemplare che non fa notizia, ma indica il retropensiero che aleggia su di noi quando prendiamo un impegno: ne valeva la pena?

Per tutto l’anno, finite le lezioni, due volte la settimana, Giulia si fa cinquanta chilometri per frequentare la scuola di ballo più famosa d’Italia. E dopo due ore alla sbarra e cinquanta chilometri di ritorno, è di nuovo a casa a fare i compiti. È brava, in classe e nella danza. Non ha tempo per playstation, Xbox, non si stordisce davanti alla tv. La vedi in giardino alla prima chiazza di sole esercitarsi nei passi e nelle ruote: su una mano, su due mani, di lato. Se riuscirà a continuare sarà ammessa alla frequenza quotidiana: vorrà dire la scuola, poi cinquanta chilometri, la lezione alla Scala, altri cinquanta chilometri, i compiti e così via, salvo i giorni delle prove per gli spettacoli, quando sarà impegnata fino a sera. Per anni e anni, ogni anno nel timore di non passare: pena l’esclusione dalla scuola di danza.

Già da ora qualche amica comincia a non capire. Si domanda il perché di tanto impegno, tanto stress, tanta fatica. Si chiede perché Giulia si diverta ad andare avanti e indietro rinunciando a molte cose divertenti, quando basta apparire in una trasmissione tv o ancheggiare un po’ per raggiungere lo stesso obiettivo: uscire dalla mischia, avere un posto in prima fila. Si spendono milioni di euro in tv per valorizzare pupe, veline e anche velone. E si sbeffeggia più o meno involontariamente chi ha scelto un impegno, chi fa coscienziosamente il proprio lavoro. «Pagano ancora il sacrificio, lo studio, la fatica in questo Paese?», è la domanda che Giulia invia nel pozzo delle mail, cercando una non scontata risposta.

C’era una come lei una volta a Milano. Era figlia di un tranviere. Coi sacrifici e con il talento è diventata Carla Fracci. Ma non c’è più il futuro di una volta, scrivono oggi i writer sui muri. Nel paradosso temporale di un graffito il semiologo Francesco Casetti legge il bisogno di un’aspettativa non banale. «Si invoca il futuro, che non c’è ancora, non a partire dal presente, ma dal passato che non c’è più. Ieri c’era il senso del domani: oggi questo senso manca. E si deve andare a ciò che non c’è più (lo ieri) per poter recuperare ciò che non c’è ancora (il domani)».

Bisogna affidarsi alla memoria, allora, perché le opportunità non stanno nell’orizzonte geografico dei vari Nessuno che rumoreggiano dalle caselle della posta. Rispetto a ieri, la ragnatela di intrallazzi ha inquinato l’aria e ristretto i confini del galateo civico, come ha scritto Sergio Romano. «Il declivio del nostro vivere comune è intaccato dai comportamenti scorretti, a volte spregevoli, diventati prassi abituale», è la tesi di Maurizio Viroli, che alla decadenza delle buone pratiche ha dedicato una lunga riflessione e un libro dal titolo esplicito (La libertà dei servi, Einaudi).

«Quando si dirà che c’è un Paese anche per i Nessuno che tirano la pialla?», sollecita una dottoressa che a quarant’anni ha strappato il contratto definitivo di assunzione. Le donne in medicina faticano parecchio a trovare un posto, scrive: quando sono brave e competitive, non allineate allo standard della rampante o dell’amica del boss, le stroncano subito. Se hanno dei figli vengono penalizzate. Se si danno troppo da fare vengono redarguite. Se non si allineano, sono emarginate. Il mobbing nei reparti è prassi abituale. Senza sponsor politici negli ospedali difficilmente si fa carriera...

Si vagheggia un new deal civico, la scoperta di nuovi eroi. Si chiede un sussulto alla politica. Massimiliano Panarari, docente di Scienze politiche all’Università di Modena (L’Italia da Gramsci al gossip, Einaudi) profetizza l’abbattimento dell’impasto micidiale che alimenta la sottocultura e l’antipolitica. Ma non a breve: «La visione del mondo in Italia è basata troppo sull’irrealtà». Lo psichiatra e scrittore Vittorino Andreoli è ancora più scettico: «Io ho paura che questa società non si domandi più nulla, chieda solo e soltanto tecnologia: la tecnologia svuota, modifica i comportamenti, ci indica quel che serve a sopravvivere bene ma non risolve il senso della vita. A poco a poco stiamo diventando dei primitivi tecnologizzati in una civiltà dell’ingiustizia».

Poveri Nessuno, abbarbicati alla speranza di un Paese normale dove buongiorno, come diceva Zavattini, vuol dire davvero buongiorno. Formichine inattuali nel generale appiattimento verso la società della convenienza, che rischiano di essere schiacciate tra scarpe gigantesche e pietraie desolate, come immaginava vent’anni fa Anna Maria Ortese in un memorabile racconto milanese. Un bimbo, scivolato per disgrazia sotto le ruote di un tram, che offre al padre angosciato una riflessione fulminea sul senso della vita: «Noi siamo come le formiche, vero, papà?».

Bisogna forse dire «Basta!», come fa il designer Giancarlo Iliprandi che dal Politecnico di Milano teorizza un movimento culturale per cambiare aria e mette tra i capifila un grande centenario come Gillo Dorfles. «Basta a quello che non ci piace/ Basta senza sporcare i muri/ Basta per comunicare la voglia di cambiare».

O chiamarsi fuori, come Luca Goldoni, investigatore di lungo corso dei comportamenti nazionali, che a un certo punto si è reso conto di non abitare più nello stesso Paese in cui era nato. «È successo quando ho letto di una telefonata intercettata tra l’amica di un politico e un’ex compagna di classe in attesa di un provino tv. "Non c’era verso di farmi dare un contratto", diceva una. E l’altra: "E come hai fatto a ottenerlo?". "Non c’era modo di convincerlo". "E allora?". "E allora gliel’ho data"».


Non importa chi sei, ma chi conosci, si filosofeggia dai blog studenteschi. Servirebbe un antivirus alla cultura della convenienza, «perché se non ricostruiamo una società fondata sui doveri reciproci non sapremo nemmeno più godere dei nostri diritti », spiega Viroli. Servirebbe qualche gesto di coraggio in un Paese ricattato dall’egoismo e dalle cricche. «Cominciamo a difendere i Nessuno mettendo qualche sassolino nelle scarpe dei grandi — dice don Antonio Mazzi, fondatore di Exodus — e facciamo qualcosa per le vite di scarto, magari scuole per i bocciati da questo sistema poco umano, come don Milani a Barbiana». Esempi, responsabilità, impegno, pulizia morale: l’unico parametro legalmente riconosciuto non può essere quello del denaro, scrivono in tanti. Poi un cittadino indignato lascia cadere una domanda. «Chi è arrivato in alto con gli intrallazzi, può avere soprassalti morali?». Noi, come le formichine della Ortese, dobbiamo sperare. Ma è legittimo dubitare.
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Re: La cura

Messaggioda pianogrande il 18/07/2010, 20:55

Bisogna continuare e tenere duro.
Il mondo non lo portano avanti i furbi ma gli onesti.
Gli altri sono parassiti trasportati.
Un obiettivo non fantascientifico sarebbe di passare dalla categoria degli onesti-buoni a quella degli onesti-cattivi.
Perché un onesto deve essere, per forza, buono?
Se gli onesti diventassero cattivi, succederebbe quello che non è successo (più volte ho sentito questa considerazione) durante lo sterminio degli ebrei.
Se ogni ebreo si fosse fatto trovare con un'arma in pugno e ne avesse ammazzati più possibile ......

Gli onesti-cattivi dovrebbero far pesare di più la loro onestà.
Dovrebbero reclamare di più e rassegnarsi di meno.
Dovrebbero essere meno modesti ed umili e tranquilli e far pesare quello che fanno e quello che sanno fare.
Qualche volta dovrebbero far sentire la propria mancanza per mettere in crisi i parassiti (questa ultima cosa è quello che comincia a succedere nel governo Berlusconi).
Fotti il sistema. Studia.
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Re: La cura

Messaggioda Loredana Poncini il 19/07/2010, 7:58

Mi chiedo: "L'uso che noi facciamo di internet fa parte della cura, è un prendersi cura di ciò che ci sta succedendo, o no ?"
Gli interventi in questo forum mi fanno propendere per il sì.
Piero ci sintentizza gli articoli di Scalfari e di Diamanti, Annalù li commenta, Trilogy mette in luce i Nessuno in cui ci riconosciamo, nella quotidianità.
E tutto questo ci è permesso dircelo attraverso questo punto della Rete, QUI, tenuto vivo come ricetrasmittente dalla volontà di non essere succubi degli avvenimenti, ma partecipi ed agenti, in tutti i modi consentitici e che andiamo scoprendo, ANCHE navigando.
Pianogrande, invitando gli onesti a reagire, mi richiama quel rimbrotto di Gesù ai figli della luce a farsi furbi, imparando dai figli delle tenebre... :D :) ;)
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Re: La cura

Messaggioda pierodm il 19/07/2010, 18:43

Ognuna delle risposte che ho letto apre un capitolo diverso del problema.

Io devo confessare che sono influenzato soprattutto da una notizia che ho appena letto tra le lettere al Messaggero. Una storia come tante: un ragazzo che ha risposto ad un annuncio di lavoro, ha fatto una selezione e si è visto offrire un contratto di 2 (due) giorni.
Non riesco a togliermelo dalla mente e leggerlo ha avuto l'effetto di scolorire tutto il resto.
Non so a quale parte di opinione pubblica appartiene quel ragazzo, non so se la società di lavoro interinale alla quale si è rivolto meriti la definizione di "classe dirigente", o quella di truffatori legalizzati, insomma non so dove piazzare i protagonisti dell'episodio - che non è il peggiore che si conosca ma solo quello che ho letto proprio pochi minuti fa.

Pianogrande: il mondo lo portano avanti quelli che hanno soldi e potere. Teoricamente possono essere sia onesti che disonesti, ma in pratica vediamo benissimo che non è così.

Non so se i giovani abbiano altri modi per fare politica. Se ce l'hanno non se ne percepisce ancora nemmeno un vago sentore.
Ho l'impressione che abbiano altri modi per rappresentare una società, nella quale la politica ha uno spazio minuscolo e improntati più che altro alla tecnologia - e tutt'al più ai mezzi per ottenere l'inclusione nel sistema.

Non so. Sono sovraccarico di sensazioni, e soprattutto ho difficoltà a tenere distinto questo nostro tema da quello sulla disuguaglianza.
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Re: La cura

Messaggioda pianogrande il 19/07/2010, 22:30

Intendevo dire che chi lavora e "produce" davvero non sono le "trote" di turno.
I lavoratori veri (il vero "ceto produttivo") dovrebbero alzare la voce un po' di più ed un po' più spesso.
Possibilmente ogni volta che subisce un sopruso.
Le trote, a tutti i livelli, stanno, comunque, diventando un po' troppe ed è per questo che comincia a mancargli l'aria.
Sono ottimista.
Dove non arriva l'opposizione ci arriva la selezione naturale.
Diamogli una mano, però.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: La cura

Messaggioda pierodm il 19/07/2010, 23:22

Caro Pianogrande, avevo capito bene ciò che intendevi dire, ma è un tirare la carretta cieco, che non prevede conoscenza e decisioni, e nemmeno un voce in capitolo su come dividere i vantaggi (economici o d'altro tipo) del lavoro di tutto il carrozzone.
La democrazia in senso lato - e teorico - non dovrebbe consentire tutto ciò, e anzi dovrebbe esserne l'antitesi.
Le democrazie che si sono evolute e allontanate dalla loro origine teorica hanno ne conservato tutti gli aspetti formali, che non intaccano la sostanza di questa degenerazione: anzi la rafforzano, rendendo tutti i cittadini complici di decisioni che nessuno conosce, che rimangono le stesse anche quando sono conosciute e disapprovate, operando in una società talmente complessa in cui la differenza tra onesti e disonesti, tra meriti e demeriti è praticamente impossibile da determinare, e perfino quella tra ricchi e poveri diventa visibile solo quando è estrema, ma rimane un fatto statistico e non più esistenziale, che non fa paura a nessuno, che può essere manipolato con facilità: in fondo, basta ricordare ai poveracci di oggi quanto stavano male appena un secolo fa, o anche meno, al tempo delle sedici ore di lavoro e quando non c'era l'assistenza sanitaria pubblica - ma stiamo attenti, c'è anche la corrente di pensiero che sta rivalutando quei tempi laboriosi e risparmiosi.

Dici bene, quando parli di onesti-cattivi: ma cattivi come?
Intesa in un certo modo si tratterebbe di rifare daccapo le BR (ammesso che fossero quello che sembravano).
Io direi invece che l'onesto -cattivo è quello che si organizza in un partito "cattivo", poco disposto a farsi prendere per il culo o a prendersi per il culo da se stesso.
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Re: La cura

Messaggioda Loredana Poncini il 20/07/2010, 7:58

Pietro Ichino e il lavoro in Italia, oggi.
E se ripartissimo da qui ?

Il giovane Karl Marx fu sconvolto dalle condizioni di lavoro nelle fabbbriche della sua epoca, e trovò un rimedio nell'unione dei lavoratori.
Al "capitale", nell'epoca di internet, quali contrappesi possiamo contrapporre ?
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Re: La cura

Messaggioda Loredana Poncini il 20/07/2010, 8:01

Dimenticavo : il terzo settore messo in luce dalla "Caritas in veritate" ci suggerisce una via per uscire dal guado ?
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