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Paura dello straniero.

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Paura dello straniero.

Messaggioda Rosario Amico Roxas il 10/05/2009, 22:12

Paura dello straniero Rosario Amico Roxas

Quello che viene chiamato "pugno duro" contro i clandestini, in realtà nasconde una "fottuta" paura dello straniero; la medesima paura che si ha del "diverso" oppure di una diversa cultura.
L'autoaffermazione non conosce limiti; le azioni che vemngono intraprese sono inversamente proporzionali alla coscienza che si ha di sè.
L’incontro fra nazioni è diventato, ancora una volta, scontro fra culture; è sempre stato così.
Periodicamente l’uomo cede alla tentazione di sopprimere una fetta dell’umanità. Appare superfluo ricordare tutte le volte che è accaduto, tutta la storia che ci viene tramandata è un continuo ripetersi di quella tentazione. E’ la negazione dell’umanità, la guerra come rito selettivo, come normativa assurda, che rivela quell’intimo e ferino desiderio di sopprimere una parte della stessa umanità alla quale apparteniamo.
“Se questo è un uomo” di Primo Levi documenta, con straziante realismo, il cedimento a quella tentazione, che si concluse con lo sterminio degli ebrei europei, motivato dalla presunta difesa di una razza che si riteneva superiore, uno sterminio programmato da un popolo occidentale, proprio quello che ritiene la propria cultura superiore alle altre, e oggi, particolarmente, alla cultura orientale o arabo-musulmana.
Questa tentazione si fa sostenere dalla propaganda, che fagocita ogni episodio e lo reinterpreta a proprio uso e consumo. Con la propaganda si cerca di reclutare il maggior numero di persone alla causa che si sostiene; lo scopo è quello di suscitare sentimenti estremi, come quello di identificarsi con il Bene che lotta contro il Male, la vita contro la morte, la cultura contro la barbarie.
In questo tipo di propaganda di se stessi si perde anche il senso della misura e si acquisisce anche un tono epico, oltreché apocalittico, al punto di suggerire l’impressione che chi dichiara di assimilarsi al Bene per lottare contro il Male, sia, in realtà, patologicamente compromesso a livello di equilibrio mentale.
Il senso del collettivismo planetario annega nella logica di supremazia che un microgruppo vuole affermare su un altro, per dilatarsi, poi, in uno scontro fra macrogruppi.
Lo sviluppo dell’antropologia culturale ha compiuto uno sforzo controcorrente, perché ha cercato di dimostrare che tutti coloro che non fanno parte del nostro microgruppo sono pur sempre portatori di una civiltà, sono in grado di costituire una società vera e propria.
Anche l’incontro degli antropologi con tribù primitive è stato interpretato come un incontro con altri uomini, con altre culture, non peggiori e non migliori di noi, semplicemente “altro”. Si tratta di relativismo antropologico, che non è metodologia di studio, ma serve a ribadire che nessuno può affermare la superiorità di una cultura su un’altra.
Confondere la cultura con la tecnologia, l’evoluzione culturale con lo sviluppo della tecnica, vuol dire, semplicemente, negare la supremazia dell’uomo rispetto alla tecnica.
Una cultura, un gruppo non è l’umanità; le nazioni, le alleanze, le sudditanze politico-economiche formano un megagruppo con un’analoga cultura, ma anche i microgruppi hanno la loro cultura, ricordiamo Pasolini con la “cultura di quartiere”, ricordiamo Olivetti e Ottieri con la “cultura d’azienda”.
La differenza tra micro e macrogruppo, quello che pretende di fare la storia del mondo, sta nel fatto che il secondo è condizionato da due spinte:

• la volontà di egemonizzare il mondo, senza essere contaminato da nessun altro gruppo
• l’angoscia, che arriva alla paranoia, di essere distrutto da un altro macrogruppo.

Ogni macrogruppo ha bisogno della sua cultura, come elemento di coesione e di rafforzamento, perché, nel caso di una guerra (le guerre sono la costante del macrogruppo dominante), la comunità culturale viene esaltata fino alla sacralizzazione. Si fa riferimento ad una religione contro un’altra, ad una visione del mondo contro un’altra, ad un’impostazione dell’economia contro un’altra, ad una visione globale dell’esistenza contro un’altra. E’ quanto oggi stiamo registrando dal vivo: le guerre come guerre di culture, anche se necessita sublimarle in nome della civiltà. La cultura diventa una maschera pretestuosa incapace di meditare sul mito della Torre di Babele, quando la pluralità delle lingue rappresentò la molteplicità delle culture, che avrebbero reso vana la scalata verso il cielo, nell’illusoria volontà di imporre il dominio universale.
Le lingue, come le culture, non sono un’invenzione degli uomini, fissate una volta per sempre; lingue e culture sono il frutto di un evolversi nel tempo e di innesti che attecchiscono sul corpo principale; la cultura siciliana ne è un chiaro esempio, frutto dell’innesto di tutte le culture mediterranee..
Oggi possiamo affermare che l’Occidente vive la sua “cultura del petrolio”, che è ben diversa dal confronto diretto tra Occidente e Oriente, che si vuol far passare per confronto/scontro di due diverse forze spirituali. Viviamo, nell’opulento Occidente, una qualità della vita superiore alle nostre possibilità, ma non possiamo più tornare indietro, la “civiltà del petrolio” ci fa assistere ad uno scontro tra culture, che facilmente potrebbe essere ristretto allo scontro tra i vari Bush e i vari Bin Laden, due persone, due famiglie, due macrogruppi che vivono e si combattono per accaparrarsi quella materia prima che condiziona la nostra vita.
Altro che scontro tra il Bene e il Male, in tale apocalittico scontro Bene e Male si confondono, perché il gruppo che vorrebbe rappresentare il Bene deve adeguarsi ai mezzi usati dal gruppo che rappresenta Male, per non soccombere, e, quando uno dei due vince, non si riesce a capire se ha vinto il Bene o ha vinto il Male, perché entrambi sono diventati rappresentazione del Male, così “ha ragione” il vincitore, chiunque sia dei due.
Il mito della Torre di Babele trionfa, nessuno ha voluto esercitare la parola per dirimere le controversie; ognuno parla solamente il proprio linguaggio, per non capire e non farsi capire dall’altro, non comprendendo, entrambe le parti, che la guerra ha come suo fine ultimo quello di distruggere le culture, per rinnovarsi, anche tornando indietro nel tempo.
L’accelerazione della storia ha trasformato lo scontro tra microgruppi in scontro tra macrogruppi e, quindi, in scontro di due culture, che la guerra annienterà, entrambe.
E’ questo il senso dell’Apocalisse che giorno dopo giorno stiamo preparando, ciechi e sordi anche di fronte alla evidenza delle stragi, che lavano il sangue con fiumi di altro sangue.
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Re: Paura dello straniero.

Messaggioda carlo gualtieri il 11/05/2009, 0:08

La paura dello straniero, sapientemente alimentata, e gestita come é gestita dai media, di fatto farà recuperare a Berlusconi consensi. Poco importa che siano stati respinti al mittente tre barconi, su un totale di olre 3.000 sbarchi, poco importa che i clandestini provenienti dalla Libia siano solo una parte, minoritaria, del totale. Non entro nel merito, l'hanno già fatto l'ONU e la Conferenza Episcopale. Il guaio é che non abbiamo, ancora, la capacità di impedire che sia il nostro avversario a decidere di che cosa si debba e di che cosa non si debba parlare in campagna elettorale. Ma é anche colpa nostra. Troppo spesso dimentichiamo che il moralismo é considerato dalla maggioranza degli italiani un'astrazione, ed é naturale, non é con il moralismo che nei secoli passati quell'accozzaglia di popolazioni che oggi sono gli italiani é riuscita a sopravvivere a ooccupazioni, guerre che non li riguardavano, governi dai più gretti ai più illiberali. E noi troppo spesso, dimenticando Gramsci, facciamo nostro il nobile moralismo del vecchio, glorioso partito d'Azione, che tuttavia non ha mai superato, tra gli italiani, il 3 per cento dei consensi. Abbiamo dimenticato con quale saggezza i Padri Costituenti riuscirono a creare una Costituzione condivisa, e non sappiamo più costruire un progetto di Italia complessivo, che sia percepito come concreto e affascinante, che sia condiviso.
Secondo me non ne siamo capaci anche perché non siamo ancora riuscii a costruire un Partito vero, radicato nel territorio, partecipato con passione (ancora non vedo strumenti per rendere la partecipazione, l'attivismo, allettanti: si partecipa solo se si vede che il proprio contributo ha spazio nelle dialettica di partito, che le decisioni non piovono più dall'alto da parte di un gruppo ristretto che mantiene saldo il controllo su tutti gli organismi interni).
Ma il problema non é solo Italiano.Dopo la crisi del 29 gli USA dettero il via al new deal, l'Europa tirò fuoori fascismo, nazismo e governi reazionari. Con l'attuale crisi la storia si ripete, gli USA hanno scelto Obama, noi abbiamo il conservatore Barroso che concepisce la Commissione Europea come strumento di coordinamento tra gli Stati membri e in genere governi conservatori un po' dapertutto: Perchè gli americani osano e gli europei al contrario si arroccano? queste sono le cose da cambiare, e credo che sia necessario cominciare a cambiarle pertendo dall'Europa.
Basta guardare qualcuno in faccia un po' di più, per avere la sensazione alla fine di guardarti in uno specchio. (Paul Auster)
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Re: Paura dello straniero.

Messaggioda Iafran il 11/05/2009, 2:40

carlo gualtieri ha scritto:Abbiamo dimenticato con quale saggezza i Padri Costituenti riuscirono a creare una Costituzione condivisa, e non sappiamo più costruire un progetto di Italia complessivo, che sia percepito come concreto e affascinante, che sia condiviso.
Secondo me non ne siamo capaci anche perché non siamo ancora riuscii a costruire un Partito vero, radicato nel territorio, partecipato con passione (ancora non vedo strumenti per rendere la partecipazione, l'attivismo, allettanti: si partecipa solo se si vede che il proprio contributo ha spazio nelle dialettica di partito, che le decisioni non piovono più dall'alto da parte di un gruppo ristretto che mantiene saldo il controllo su tutti gli organismi interni).

Dici bene, qualche decina d’anni fa alcuni esponenti, soprattutto del mondo cattolico (forse i “preti rossi”, ma non vorrei fare un torto ai fautori del “compromesso storico”), frequentemente ricorrevano ad un sostantivo/verbo “contaminazione/lasciarsi contaminare” per auspicare il superamento degli steccati ideologici della nostra classe politica al fine di arrivare ad una condivisione di impegni e di obiettivi per soddisfare meglio le problematiche sociali.
Alla luce dei fatti, mi sembra che quel desiderio abbia, poi, trovato riscontro (anche se non tutti condividono) con la proposta politica di Romano Prodi.
Io penso che l’Ulivo sia stato un buon tentativo e gli elettori lo hanno apprezzato; non è andato a compimento, però!
Forse … perché andava a ledere i privilegi consolidati di una casta di organismi o di persone, che trovava (e trova, ancora) ragione d’essere proprio dalla siffatta situazione della società italiana?
E' un dubbio amaro, purtroppo.
La spartizione del potere ha portato ad abbandonare "la contaminazione" e a fare abuso del termine “visibilità”, più una parte politica è numericamente insignificante, più richiede visibilità … con deleghe istituzionali!
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Re: Paura dello straniero.

Messaggioda Rosario Amico Roxas il 11/05/2009, 7:33

Iafran il oggi, 1:40

Più che di "preti rossi" parlerei dei "preti operari" dei quali Paolo VI disse: "quei fratelli che si spaccano la schiena..."; sono i sacerdoti illuminati, diretta derivazione della teologia della Liberazione, che già da cardinale Ratzinger volle condannare, costringendo Giovanni Paolo II e sottoscrivere lo bolla di condanna. Ma Giovanni paolo II seppe rettigficare quell'errore contro l'insegnamento genuino di cristo, sostenendo la causa dei preti operai nella Centesimus Annus.
Ora Ratzinger, dopo venti anni di manovre interne al Vaticano, ha agguantato il trono; invece di revocare quella folle condanna a Jon Sobrino e alla teologia della Liberazione ha preferito rivalutare i lefebvriani, condividere le farneticazioni del razzista Pera ed esaltare l'apostata Magdi Allam, non senza avere prima ribadito l'omertà sui preti pedofili (cosa per la quale risulta denunciato da una corte degli USA e, per poter entrare in America, dovette scrivere a Bush ribadendo la propria posizione di "Capo di Stato in carica", per cui non passibile di processo penale; è così che si conferma "successore di Cristo", il medesimo Cristo che affermò "Il mio regno non è di questo mondo", ovviamente il regno di Ratzinger è pesantemente inserito in questo mondo, per diventare un avallo al liberismo di questi improvvisati difensori dei valori della famiglia.
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Re: Paura dello straniero.

Messaggioda franz il 11/05/2009, 8:03

Rosario Amico Roxas ha scritto:Quello che viene chiamato "pugno duro" contro i clandestini, in realtà nasconde una "fottuta" paura dello straniero; la medesima paura che si ha del "diverso" oppure di una diversa cultura.

La xenofobia è una costante di tantissime popolazioni (primitive e non) e questo ha anche solidi motivi legati alla sopravvivenza delle popolazioni stanziali. Oggi tuttavia questo atteggiamento di diffidenza ed ostilità verso lo straniero piu' che scaturire dal passato mi pare sapientemente pilotato da chi, abilmente, sfrutta le paure ancestrali per obiettivi di politica spicciola.
Di solito questo viene fatto per coprire altre cose. Si fa rumore per coprire altro.
Una ipotesi - ditemi voi se di pura fantasia - è che si cerchi di far dimenticare in fretta il caso del divorzio di Berlusconi, con annessi e connessi.
I profughi respinti sarebbero quindi vittime inconsapevoli del caso del "papino".
Lo studio antropologico delle paure ancestrali sarebbe quindi una inutile, sia pur assai interessante, divagazione.
Pero' all'inizio hai usato il verbo "fottere" ed è forse da qui che dovremmo ripartire per trovare il bandolo della matassa.

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Re: Paura dello straniero.

Messaggioda pinopic1 il 11/05/2009, 10:44

Per la verità non è solo il papino che vogliono far passare in secondo piano. Ma penso che sia proprio come tu dici. Quello che però più mi fa rabbia e mi preoccupa pensando alle condizioni in cui questo paese è ridotto è che nessun organo di informazione (!) senta il bisogno di ricordare ciò che qui ha ricordato Carlo Gualtieri. I migranti che arrivano con i barconi saranno sì e no il 15% del totale; di questi non tutti partono dalla Libia, e non tutti vengono intercettati prima di sbarcare.
Il grosso dei "clandestini" arriva con aerei, navi, pullman e camion e in molti casi con regolare passaporto e visto. Per quelli che arrivano dalla Libia nessuno si chiede come facciano ad attraversare indisturbati tutta la Libia per arrivare alla costa dove altrettanto indisturbati si imbarcano. Forse al governo libico conviene così?

(Intanto, su questo e altri temi, impazza sulle reti Mediaset la propaganda elettorale camuffata da informazione e varietà)
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Re: Paura dello straniero.

Messaggioda Rosario Amico Roxas il 11/05/2009, 12:21

franz il oggi, 7:03

E' evidente che è stata colta l'occasione per far rumore e coprire gli scorreggi della vita privata del cavaliere, ma non possiamo fermarci a valutare questa, sia pur chiarissima, evidenza.
Il problema dell'immigrazione, della multietnicità è un problema vero, da affrontare con l'acume dell'antropologia.
Per adesso viene affrontata da "mercanti in fiera" che ne stanno facendo sfacelo; ma questi beoni non dureranno a lungo, non fosse altro che per naturale esaurimento. Così necessita analizzare il problema che altre nazioni stanno già studiando.
La Tunisia, dove ho vissuto per lavoro oltre 15 anni, è terra di immigrazione; arrivano in Tunisia dalla Mauritania, dal Marocco, etc. a frotte nei periodi di necessità di manodopera (raccolta delle olive, dei datteri, dei pomodori in pieno campo); vivono in capannoni messi a loro disposizione, mangiano appena per sopravvivere e raccolgono il denaro necessario per mantenere la famiglia per il resto dell'anno.
Si pose il problema della loro presenza. Il mio lavoro era di consulente del locale ministero per lo sviluppo economico, ma venivo spesso chiamato a tenere dei corsi occasionali all'Università La Mannouba, facoltà di Scienze della comunicazione.
Fu in quelle occasioni che me ne occupai, unitamente ad altri docenti di ruolo. Le mie argomentazioni trovarono dignità di stampa da parte della facoltà: "Tunisie, le defi du 2.000, ed. La Mannuoba, 2001".
Cercai di far emergere l'esigenza di accettare l'aspetto trascurato della ri-socializzazione di questa gente, perchè, indubbiamente, cambiando nazione, si ritrovavano a subire uno shock sociale, superabile a condizione di ricevere collaborazione dal gruppo stanziale; altrimenti quello shock sarebbe diventato un "eclissi sociale" (era la prima volta che veniva utilizzata questa formula), intendendo per eclissi l'assenza di ogni riferimento culturale: non più la propria cultura perchè lontani, nemmeno quella ospite perchè respinti.... esattamente come stiamo facendo in Italia, provocando una generazione atipica, priva di riferimenti civili, sociali ed...etici, per cui non meraviglia il ricorso a fenomeni criminali
Ma fallo capire a Bossi...!
(L'argomento non è esauribile in un commento sul forum, per cui è a mala pena accennato.)
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Re: Paura dello straniero.

Messaggioda franz il 11/05/2009, 17:32

Rosario Amico Roxas ha scritto:Ma fallo capire a Bossi...!

Si, Bossi, ma in realtà il suo popolo pedemontano.
Chi sta bene ed ha molto da perdere, ha piu' paura dialtri. Non trovi?

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Re: Paura dello straniero.

Messaggioda pinopic1 il 11/05/2009, 18:01

Ma sente anche il bisogno di coltivare odi e rancori? Perché questo sta facendo la Lega. Sta seminando odio che darà i suoi frutti per lungo tempo. Più degli atti concreti infatti usano le parole, gli insulti, le umiliazioni verso tutti gli stranieri indipendentemente dal fatto che possano fare paura o meno.
Conviene tutto questo a chi sta bene?
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Re: Paura dello straniero.

Messaggioda franz il 11/05/2009, 18:10

pinopic1 ha scritto:Ma sente anche il bisogno di coltivare odi e rancori? Perché questo sta facendo la Lega. Sta seminando odio che darà i suoi frutti per lungo tempo. Più degli atti concreti infatti usano le parole, gli insulti, le umiliazioni verso tutti gli stranieri indipendentemente dal fatto che possano fare paura o meno.
Conviene tutto questo a chi sta bene?

Sul bisogno di coltivare .... forse si. Il disagio (la paura di perdere quello che si ha) ha bisogno di una valvola di sfogo.
Una di queste valvole, antica come l'uomo, è la xenofobia.
E' gia pronta, nel meandri della mente. bastano poche parole per innescarla.
Ce ne possono essere altre di valvole ma richiedono due cose importanti:
a) una classe politica piu' colta ed intelligente
b) una popolazione piu' colta ed intelligente
Come vedi, se ci paragoniamo alla svezia, alla norvegia, alla danimarca, olanda, alla stessa germania (dove 70 anni fa il vento del razzismo volava senza ostacoli ma che ha imparato dallo shock) o alla spagna noi siamo messi molto male.
Ciao,
Franz
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